Letter to a hero (
almost ) forgotten
In
molti mi hanno
consigliato di scrivere un diario per sfogarmi, per poter esprimere
emozioni
che non siano rabbia e per scrivere parole che non contengano insulti
ogni
volta che mi si rivolge una domanda personale.
Anche un semplice “Come stai?” è ormai
diventato come una dichiarazione di
guerra.
Come dovrei stare secondo voi?
So che dovrei parlarne con qualcuno, so che dovrei confidarmi con
qualcuno
della mia squadra, addirittura qualcuno mi ha consigliato di parlare
con
Jaeger, tanto nessuno gli avrebbe creduto se solo avesse osato pensare
di
spifferare qualcosa in merito ad una possibile nostra chiacchierata.
Eppure il solo pensare di poter aprirmi con qualcuno mi fa star male,
perché mi
costringerebbe a trovare le parole adatte, mi si costringerebbe a
pensare a
lui.
Per questo ho deciso di scrivere questo diario, almeno così
eviterò di spaccare
la faccia a Jeagar, a Conny o a Sasha a causa della loro dannata, e
fottutamente grande, boccaccia.
Quei piccoli bastardi fanno anche domande scomode, sembrano addirittura
delle
persone attente ai dettagli.
“Perché prima di ogni battaglia sfiori con le
labbra l’impugnatura delle spade
della manovra 3D?”
“Perché eviti sempre di andare a recuperare i
cadaveri dei compagni caduti?”
“Perché quando fa freddo non vai a dormire ma
stringi le spalle e guardi il
cielo?”
Perché, luridissimi bastardi ed impiccioni, voglio cercare
di sentire il suo
calore.
Perché ho paura di scorgere di nuovo il suo volto tra i
cadaveri.
Perché quelle sono le impugnature che lui toccò
prima di morire.
Sappiate che vi osservo, so che mi guardate con compassione quando sono
sovrappensiero.
So cosa pensate.
So che avete capito perché dopo ogni spedizione sono sempre
più irascibile del
solito.
So anche perché alcuni di voi mi guardano preoccupati ogni
volta che mi vedono
da solo o che mi allontano.
Dovreste smetterla di guardarmi e pensare alle vostre vite, non alla
mia, anche
perché io a quella oramai ci ho già rinunciato
dato che non ho più alcun
obiettivo da raggiungere, nessuna aspirazione, nessuna speranza.
Da quando te ne sei andato è tutto così vuoto.
E io non so che fare.
Eppure tu mi avevi detto di ammirarmi perché, a detta tua,
so sempre cosa fare
nelle situazioni pericolose e difficili che mi si parano davanti.
Guardami ora, Marco, guardami! Se fossi ancora qui, cosa vedresti?
Non sono un leader, non voglio che nessuno affidi la propria vita a me,
eppure
ogni volta ho sempre qualche vita a cui rendere conto se le cose vanno
male.
Lo so, cazzo, lo so che entrare in questa squadra significa lottare con
le
unghie e con i denti per sopravvivere, lo so che noi difendiamo il
diritto alla
vita di ogni essere umano.
LO SO.
Noi siamo i primi a tutelare il sacrosanto diritto di ogni essere umano
di
essere libero, offriamo liberamente e volontariamente la nostra vita
affinché
questo si compia.
Ma ormai non penso più a difendere la mia vita o quella
degli altri, Marco.
Queste idee sono svanite dalla mia mente.
Ma ogni volta torno sempre illeso o quasi dalle spedizioni, e la mia
squadra è
la stessa da un bel po’ di tempo.
Te ne rendi conto, Marco?
Non mi importa più di niente eppure continuo a non morire, a
non far morire
nessuno anche se sono diventato insofferente a tutto quello che mi
circonda.
Se esistesse un Dio saprebbe quante volte mi è balenata in
mente l’idea di
mollare tutto, di farla finita, di fare del mio meglio per
raggiungerti, eppure
non ci riesco mai.
Perché penso a ciò che tu vorresti per me, e so
che se ti raggiungessi tu mi
prenderesti a calci in culo per aver fatto una cosa così
dannatamente stupida.
Da quando non ci sei più ho dovuto vivere una marea di prime
volte.
Per esempio ho scoperto, per la prima volta, che a me importa degli
altri.
Ho imparato, per la prima volta, che bisogna fidarsi agli altri, non
importa se
quella persona abbia giurato di uccidere ogni fottuto gigante sulla
terra o
voglia solo difendere la persona a cui tiene.
Mi sono chiesto, per la prima volta, se esiste un paradiso o un inferno.
Perché, cazzo, non voglio credere che una meravigliosa
persona come te sia
morta così giovane senza che nessuno la osservasse
combattere, difendersi e
morire; non voglio credere che nemmeno lassù ti abbiano
visto.
Me lo sono chiesto perché non voglio credere che
l’ultima immagine che avrò del
tuo volto sia quella di un volto dilaniato ma sereno, pronto a
combattere e
morire eppure senza il dispositivo di manovra tridimensionale.
Me lo sono chiesto perché spero di raggiungerti un giorno
per prendere il tuo
culo lentigginoso a calci.
Ma chi cazzo ti ha detto di rinunciare al tuo dispositivo?
Che cazzo hai dimostrato a fare di essere un eroe?
Lo sai che quelli come te non vivono mai a lungo, quindi,
perché l’hai fatto?
So che non sei morto solo tu quel giorno, Dio, se lo so.
C’erano centinai di cadaveri, un tempo vivi, morti senza che
nessuno sapesse
delle loro gesta, alcuni non sono nemmeno stati riconosciuti. Nessuno
sa chi
siano e cosa abbiano fatto un istante prima di essere mangiati.
Ecco
perché, forse, mi
sto impegnando così tanto con Eren e gli altri
affinché ci siano meno morti
possibili; nessuno più deve morire senza essere ricordato.
Eppure…
Eppure…
Eppure sono così stanco, Marco.
Mi sento così solo anche se sono circondato da degli
imbecilli irritanti.
Non riesco più a guardarmi o ad essere guardato negli occhi,
so che c’è
qualcosa che è ben lungi dall’essere migliore di
un titano: c’è questo
qualcosa, questo demone se vogliamo, che silenziosamente si
è insidiato in me.
E cazzo se so che questo demone sei tu.
Mi spingi sempre a fare del mio meglio, a cooperare –Ci
credi? Io a cooperare?-
e a lasciar correre tutti coloro che, al nostro ritorno, storcono il
naso
pensando che tutto quello che facciamo non ha né senso
né valore.
Non ha senso?
“Quante persone sono morte anche per te, gran pezzo di
merda?” vorrei tanto
dirgli.
Ma non ci riesco, perché anche il solo pensare a tutti gli
eroi che hanno dato
la vita affinché l’umanità potesse
avanzare anche solo di un millimetro mi fa
venire in mente la tua faccia. La tua fottuta faccia che sogno ogni
notte, che
ogni notte affolla i miei incubi.
Avrei voluto proteggerti, davvero, avrei dovuto ma, per colpa del mio
egoismo e
della mia codardia sei morto. Sono morte tante persone.
Mentre alzo gli occhi al cielo posso quasi vederti tra le stelle che mi
guardi,
che mi chiami, che mi sproni a restare qui.
Ma non so se potrò mai farcela…
Noi vinceremo questa fottuta guerra contro i giganti, ne sono convinto,
ed io
parteciperò ad ogni fottuta battaglia che faremo ma non
parteciperò mai allo scontro
finale perché lo guarderò con te da
lassù, magari scommettendo su quanti
giganti faranno il culo a Jaeger prima che lui sfondi il loro.
Aiuterò nello scontro finché posso,
finché devo, finché tu me lo permetti ma
non parteciperò alla battaglia finale perché non
me lo merito e perché penso
che tu dovresti mostrarti un po’ più egoista. Non
merito di vivere una lunga
vita se non sono con te, non voglio vivere una vita longeva se tu non
sei al
mio fianco.
Hai fatto l’eroe ma, ti prego, ora sii egoista.
Jean non poteva saperlo perché non aveva avuto modo di
conoscerlo a fondo, ma
anche Marco era egoista.
Così egoista che lo aveva spinto al suo limite per fare in
modo che si
redimesse da quel peso, quella colpa, che si era volontariamente messo
sule spalle:
la sua morte, come quella della sua prima ex squadra, non era stata una
sua
colpa; erano tutti così giovani, così inesperti,
come avrebbe potuto salvarli?
Marco aveva sempre saputo che Jean era un leader nato, ora che poteva
guardarlo
lottare e proteggere chi amava non poteva essere più felice
e fiero di lui.
Eppure ogni sera lo vedeva tornare distrutto alle sue stanze o non lo
vedeva
tornare affatto dato che spesso si limitava a guardare il cielo.
Allora Marco capì che, forse, poteva essere un po’
egoista.
C’era
un sole
splendente quel giorno, nemmeno un’ombra tentava di oscurare
quel sole così
luminoso.
Tutti
i membri, o meglio quel che rimaneva, del 104° Corpo di
addestramento
erano riuniti in uno spiazzo: sui loro volti aleggiava un sorriso
sereno.
Anche
i Caposquadra erano lì e le reclute cercavano invano
di capire perché
fossero tutti così felici quel giorno anche se un altro
Caposquadra era morto.
Nessuno
riusciva ancora a comprendere perché, come mai,
durante quella piccola
spedizione alla preparazione di una delle battaglie decisive solo un
commilitone era morto.
Tutti
i novizi si chiesero come mai solo Jean Kirschtein non avesse
fatto
ritorno e perché tutti sembravano così sollevati.
Nessuno
dei più “anziani”
spiegò loro il perché, non sarebbe servito,
probabilmente non avrebbero capito.
Eren,
Mikasa, Connie, Sasha e Armin erano davanti a due tombe identiche
e le
osservavano sorridenti, anche se nei loro occhi aleggiava quel velo di
malinconia che rendeva i loro occhi lucidi e prossimi alle lacrime.
“E
bravo il nostro Jean, alla fine ha raggiunto il suo
obiettivo” proferì
Connie tentando di sdrammatizzare.
“Già,
quella faccia da cavallo ottiene sempre
quello che vuole” disse Eren in
risposta, più verso la lapide di Jean che in risposta a
Connie.
Le
reclute che si unirono alla Legione la sera stessa non seppero mai
perché ci
fossero quelle due lapidi in quello spiazzo circondato dal verde,
né di chi
fossero.
Non
aveva importanza.
Non
sono i nomi che rendono gli uomini degli eroi, non sono quelli che
devono
essere ricordati. Sono le loro azioni, i loro tentativi per far
sì che tutti
possano vivere la vita che loro hanno agognato e hanno tentato di
raggiungere
che devono essere degni di nota.
E
tutti quegli eroi, quei caduti per il bene della patria non sono
altro che le
stesse persone che sono state dimenticate o il cui merito è
stato sminuito.
L’eroe
è la stessa persona che ti sta accanto ma
tu probabilmente nemmeno ti
accorgerai della sua presenza, nemmeno saprai il suo nome.
Ma
non importa, quando morirà per salvare
l’umanità tu diventerai eroe a tua
volta per non rendere vani i suoi sacrifici.
E
poi, tutti gli eroi sono egoisti, vero Marco?
Non
abbiamo la
possibilità di cambiare molte cose che la vita ci mette
davanti ma possiamo scegliere
come affrontarle quanto farci influenzare da esse …e quanto
lasciare che ci
trasformino dentro.
-
K. Kann
[The
end]
Buonsalve!
Questa è la
prima ff angst che scrivo in tutta la mia vita e sono profondamente
consapevole
del fatto che faccia un po’ schifo. Ma, nonostante io odi le
angst –soprattutto
le JeanMarco angst-, non ho potuto fare a meno di mettere due parole su
“carta”
per loro perché meritano tanto.
That’s
it.
Spero
di poter leggere qualche vostro commento.
Grazie
per aver sprecato qualche minuto del vostro tempo per leggere questa ff.
Un
bacio a tutti e per ciascuno!