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Autore: Made of Snow and Dreams    27/10/2015    3 recensioni
'Ma questo era il minimo. Dov'era Simon?
Sparito. Scomparso. E nessuno aveva visto niente!'
Fanfiction su uno dei miei personaggi della Creepypasta. Mi appello alla vostra pietà.
Genere: Horror, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie ''Sometime nightmares are reality... like now.''
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PSYCHOSIS

Erano le tre di notte quando Simon si svegliò di soprassalto nel suo letto, sudato, tremante e terrorizzato.
Accese l'interruttore della lampada blu accanto a lui e si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi con forza e togliendosi la maglietta del pigiama che gli si era incollata addosso.
Aveva avuto un incubo. Ancora.
Non era raro che ne avesse spesso la notte, e lui stesso si era quasi abituato all'idea, ma ultimamente ne stava avendo troppi: a volte, capitava anche che sognasse la stessa cosa ripetutamente e senza sosta, come se avesse premuto l'interruttore di un nastro per cassette, e l'incubo non finiva di torturarlo fino a quando la voce acuta e indesiderata di sua madre gli comunicava che era tempo di svegliarsi ed andare a scuola.
Solo che stavolta si era svegliato troppo presto, e certamente non sarebbe più riuscito a prendere sonno di nuovo. E forse, neanche lo voleva.
Così decise di zampettare fino alla camera di sua madre cercando di fare meno rumore possibile, entrare nel suo letto e accoccolarsi vicino a lei: quando abbracciava la sua mamma nessun mostro riusciva a prenderlo.

'Ho avuto un incubo stanotte.'
'Ah. Ecco perché sei venuto in camera mia ieri... che hai sognato?' mugugnò sua madre Laury mentre prendeva la caffettiera da uno scaffale.
'Niente di importante. Le solite cose che si sognano quando si ha un incubo.' disse alzando le spalle Simon, sperando che il suo tono di voce indifferente potesse essere convincente.
'E per via della scuola nuova, vero?Non hai motivo di essere così ansioso, solo comportati più normalmente con gli altri bambini.'
'Ma che faccio di male? Io li avverto solo-
'Li avverti di cosa?'alzò la voce lei, battendo una mano sul tavolo apparecchiato. 'Che c'è un mostro che gli farà del male e che tu riesci a vedere? Con cui puoi parlare?'
'Ma è vero!' replicò il bambino, mentre cercava di reprimere le lacrime che già gli pungevano gli occhi, fissando sua mamma, sperando che almeno lei potesse capirlo.
'Basta!'' urlò Laury. 'Sono solo sciocchezze, solo dannati incubi, solo fantasie idiote!Ma io ti avverto, Simon: non ho i soldi per mandarti in un'altra scuola, quindi vedi di non costringermi a ritirarti di nuovo. Mi capisci? Non – ho - i soldi!'
'Ma...'
'Ora spicciati e preparati, e non dimenticarti di fare lo zaino. Sbrigati, che dobbiamo essere fuori tra mezz'ora!'

Venne presentato agli altri bambini che, a vederli tutti davanti, sembravano dei buffi pupazzi con gli occhi sgranati per l'attenzione data alle parole del loro professore.
'Lui è Simon, bambini, il vostro nuovo compagno. Puoi sederti lì, se vuoi, accanto a Giulia, nel secondo banco della terza fila.'
Simon obbedì e attraversò la classe per sedersi accanto a quell'ammasso di riccioli scuri che sembravano già esaminarlo da capo a piedi con un misto di curiosità e diffidenza, soffermandosi sui suoi capelli bianchi e gli occhi grigio-azzurri. Anche gli altri bambini lo stavano fissando, sì, sentiva i loro sguardi trapassarlo in ogni parte, soppesando la sua diversità: pelle diafana, capelli bianchi, camicia a quadri infilata malamente dentro i calzoni marroni, due enormi occhiaie sotto gli occhi rossi e gonfi.
'Perché hai i capelli bianchi? Sembrano quelli di mia nonna!' rise la bambin... Giulia, quando lui si fu messo a sedere.
'Sono nato così.' fu la sua secca risposta.
'E perché hai le occhiaie? Non hai dormito bene stanotte?'
'Perché faccio molti incubi la notte...'
'Davvero?Anche io qualche volta li faccio: sai, draghi che vogliono mangiarmi o un'infinita corsa in uno scivolo senza fine, cose del genere... tu cosa sogni invece?'
Simon lanciò un'occhiatina al viso di Giulia. Poteva dirglielo o no? La mamma si sarebbe sicuramente arrabbiata se lo avesse saputo, ma la sua compagna di banco sembrava così interessata...
Cominciò a raccontare.

Rimase in silenzio. I liquidi occhi scuri rimanevano fissi a guardare un punto indefinito nel banco. Poi sussurrò: 'Che sogni strani fai.'
'Infatti non è un sogno, è un incubo.'
'Già. Mi hai detto prima che quella cosa ti aveva parlato e tu gli rispondevi. Quindi davvero puoi parlarci?'
'Sì, certo. Lui mi dice sempre un sacco di cose: mi dice chi ha bisogno del suo aiuto e chi non, chi gli sta antipatico, chi... rendere sua vittima, in che modo agirà, cosa le farà. Tante cose...'
La bambina annuì debolmente, fissandolo con la coda dell'occhio e stringendo i denti, senza dire una parola. Rimase in silenzio per qualche minuto, lasciandosi guardare da Simon che sperava in una sua comprensione, ma poi lei parlò.
'Se davvero puoi parlare con Lui, fai in modo che stia lontano da me e dalla mia famiglia, capito?'

I giorni passarono.
Simon... non sapeva nemmeno lui se si trovava bene o male nella sua nuova scuola. Tutti gli altri bambini sembravano evitarlo anche se non lo conoscevano, e altri addirittura non gli avevano rivolto nemmeno una volta la parola. Avrebbe dovuto farlo lui stesso, ma era un bambino molto timido e solo l'idea lo faceva irrigidire, fermo a osservare il traffico degli altri studenti che si ammassavano contro la porta al suono della campanella della ricreazione.
Ricordava quello che gli aveva detto una volta la sua cugina più piccola, quando lui le parlava della sua paura della scuola media e lei, da brava quindicenne, gli aveva risposto con la massima sincerità, affermando:'Stai attento a non fare passi falsi, Simon: nei tre anni delle medie i bambini sono nella fase di maggiore cattiveria in assoluto, e ti giudicheranno anche per una tua parola di troppo o per una sciocchezza. Io ci sono passata, e ti assicuro che essere giudicata strana dagli altri equivale a essere isolata o presa in giro tutto il tempo. I tuoi eventuali amici? Solo i professori.'
Beh, ora poteva affermare che sua cugina aveva avuto ragione su tutto. Era stata Giulia, forse, ad aver sparso la voce di quello strano sogno, facendo sì che gli altri ora lo evitassero?

Ebbe la conferma cinque minuti dopo.
'Perché gli altri mi evitano così?' le chiese Simon.
Giulia, che stava trafficando nel suo borsellino alla ricerca del colore verde a spirito, non si preoccupò nemmeno di voltare la faccia per guardarlo, nascosta com'era dai suoi capelli.
'Forse è perché non ti sei ancora presentato, no? Oppure è perché... insomma, non puoi pretendere che gli altri ti giudichino normale se fai dei sogni così!'
'E quindi glielo hai detto?' le ringhiò Simon, alzando di molto poco la voce. La ricreazione sarebbe finita cinque minuti dopo, per cui non c'era nessun professore che avrebbe potuto sentire la loro conversazione.
'Io? No, non è vero! Non lo avrei fatto mai!' disse Giulia, sempre evitando di guardarlo negli occhi, scuotendo la testa.
'E allora come avrebbero fatto a scoprire il mio segreto? Io l'ho detto a te, e tu dovevi mantenerlo, stupida!'
'Sai, mia mamma è amica di uno dei nostri professori e mi ha detto della tua famiglia. Ora capisco perché tuo padre se n'è voluto andare da casa vostra e partire: non poteva più stare con un figlio come te!'
A queste parole, Simon si slanciò verso di lei e la spinse a terra. Giulia emise un lamento soffocato prima che lui le fosse subito addosso, afferrandole la gola con entrambe le braccia.
'No! Lasciami, lasciami! Aiuto!' gridò lei.
Furono i bidelli e la professoressa di italiano a dividere i due: la bambina piangeva ininterrottamente aggrappandosi al maglione della prof, mentre Simon venne tirato a forza dal bidello, un uomo alto e muscoloso.
'Tu sei cattiva, capisci? Cattiva! Cattiva!' urlò Simon.
'E tu sei solo pazzo, sei uno psicopatico! Vattene via da me!'

Pazzo...
Psicopatico...

Il tragitto a casa fu silenzioso. Solo il ronzio del motore spezzava l'angosciante silenzio che opprimeva Simon, che non osava neanche alzare gli occhi per incrociare quelli di sua madre. Era silenziosa, pallida, rigida: i capelli biondi le ricadevano sul viso in ciocche scomposte, che le coprivano parzialmente gli occhi, rendendo la sua figura ancora più inquietante.
'Tra poco il pranzo sarà pronto. Poi dovrai fare i compiti per domani, senza disturbarmi che devo lavorare.'
'Domani? Andrò a scuola domani?' chiese il bambino, stupito.
'Sì. Sono riuscita ad evitare una sospensione, parlando con la preside. Ho parlato anche con i genitori di quella bambina, mi sono scusata anche con loro.'
La sua voce era piatta, meccanica e fredda. Simon rabbrividì.
'La colpa è solo sua, non mia. Devi credermi, mamma!'
Laury gli scoccò un'occhiata gelida prima di uscire dall'auto e intimargli di fare altrettanto. Simon, troppo agitato e troppo debole per potersi ribellare e sostenere la sua causa, obbedì.
Le parole di Giulia, di quella bambina odiosa, continuavano a ronzargli in testa, senza sosta.

Pazzo...
Psicopatico...

Ma lui non era né pazzo né psicopatico, anche se gli altri sostenevano il contrario: lui era sanissimo di mente, non aveva difetti, non aveva problemi, a parte... quel maledetto sogno.
E d'un tratto una terribile consapevolezza lo travolse: se Giulia lo aveva insultato in questo modo e lo conosceva da poco meno di una settimana, qual'era il pensiero di sua madre? Cosa pensava la sua bellissima mamma del suo problematico figlio? E suo padre? Pensava mai al suo figlioletto lì, dove si trovava?

Pazzo...
Psicopatico...

Quella notte Simon non riuscì a prendere sonno; continuava a girarsi e rigirarsi sotto le coperte del suo letto, stanco, arrabbiato, confuso, mentre Lui continuava a fargli visita. La cosa orribile non era tanto il fatto che stesse avendo uno dei suoi soliti incubi - che poi era sempre lo stesso - quanto il fatto che sembrava... davvero essere reale. Provava paura e angoscia ogni volta che il buio riusciva a ingabbiarlo, si sentiva in trappola quando quella voce rauca e bizzarra gli rivolgeva la parola dal nulla,come se lo conoscesse già e lo avesse aspettato per tutto il giorno. Era raro che Simon riuscisse a svegliarsi e a sfuggirgli, e per di più avere il coraggio di attraversare il corridoio buio e stretto che conduceva alla camera di sua madre senza inciampare, tanto era veloce la sua corsa.
Tuttavia quella notte, Lui non lo lasciò andare.

Il giorno dopo Simon aveva l'aspetto di un fantasma: i capelli bianchi erano disordinati, le occhiaie sotto gli occhi erano diventate di un colore molto simile al nero, il corpicino sembrava più fragile che mai sotto l'enorme maglione azzurro. Laury spiò il figlio di nascosto, osservando le mani tremare mente portavano la tazza di latte alle labbra, e, un po' turbata, gli propose di fare un giorno d'assenza.
Fu Simon a rifiutare.
'Perderei ore di scuola inutilmente, mamma; ti prometto che quando torneremo a casa andrò subito a dormire,va bene?' provò a dire Simon con un accenno di sorriso.
Laury non rispose,troppo impegnata ad accarezzare amorevolmente la testa ricciuta del figlio e a guardarlo, finalmente, affettuosamente.

Le cinque ore passarono lentamente per Simon: non perché le materie non gli piacessero quel giorno - l'arte gli piaceva davvero tanto - ma quanto per le occhiatine velenose di Giulia e le frecciatine degli altri suoi compagni, che parlavano davanti a lui fissandolo con i loro crudeli occhietti come se lui non ci fosse. Erano tante le cose che gli venivano dette in faccia, ma per quanto offensive potesse essere, Simon non alzò mai lo sguardo per rispondergli a tono. Tanto non sarebbe servito a niente.
'Guardalo, guardalo mentre colora il foglio! Come fa la prof. a non vedere questo schifo? E' forse cieca?'
'Vediamo se riesco a indovinare cos'è:una casa, forse? E questo è un albero. Solo i mocciosi disegnano queste cose.'
'Avete visto quant'è brutto oggi il nostro Simon? Non hai dormito questa notte, vero? Oh, certo non l'hai fatto: gli psicopatici come te non lo fanno mai.'
'Come fai ad essere ancora qui, Giulia? Lui non merita la tua compagnia!'
Simon avrebbe voluto davvero alzare le mani a tutti coloro che lo canzonavano davanti, sputando quelle parole così crudeli, avrebbe davvero voluto andarsene dalla scuola e andare da sua madre a piangere... o dormire.
Passarono giorni in quella maniera, tra insulti e lacrime trattenute a stento, tra lo sguardo preoccupato e accusatorio dei professori che avevano di certo sentito l'accaduto e gli abbracci dati da sua madre, che sull'argomento preferiva non aprire bocca.
Passarono notti in quella maniera, mentre l'incubo continuava inesorabile a travolgerlo senza che Simon potesse ribellarsi, gemendo nel sonno, e obbligando sua madre a chiudersi nella sua camera per non sentire quell'insopportabile suono provenire dalla cameretta del figlio: non che lei non volesse prenderlo e portarselo con sé per calmarlo, ma quella storia durava da troppo tempo; Simon doveva imparare a sconfiggere le sue paure da solo.
Tuttavia le speranze che Laury aveva riposto in quel momento si infransero una notte.
Laury si era appena lasciata sprofondare sul materasso dopo aver aperto la porta-finestra ed essersi rannicchiata sotto le coperte; il sonno l'aveva quasi vinta del tutto, mentre ascoltava con piacere il suono di un gufo in lontananza, quando uno strano rumore la fece balzare fuori dal letto, spaventata: proveniva dal corridoio.
Era simile al rumore che viene prodotto da un vetro rotto, o una lampada caduta a terra; cercando di fare meno rumore possibile, Laury riuscì a constatare anche che non era un suono continuo: era intervallato da momenti di assurdo silenzio per circa cinque secondi, e poi riprendeva, seguito da...
Laury si trattenne dall'urlare per la paura.
Passi.
Chi c'era in casa sua?
All'ennesimo rumore, la donna decise di aprire la porta della sua camera e affrontare colui che si trovava là fuori.

'Ora o mai più. Devo farlo,chiunque sia lì fuori non deve toccare mio figlio!'

Aprì la porta.
E ad accoglierla fu solo il buio.

Ma ad un tratto...

…le luci si accesero.

E lì, al centro della stanza, c'era Simon.
Indossava il suo pigiama blu scuro, che ricadeva addosso al suo corpo magrissimo e pallido. I suoi capelli bianchi era scompigliati, e gli ricadevano sul viso in lunghe ciocche scomposte. Le labbra erano grigiastre, molto simili a quelle di un morto, e tremavano come se fosse sul punto di avere un tic; ma i suoi occhi... furono quelli che più la impressionarono.
Erano enormi, sgranati, vuoti; il grigio-azzurro che li popolava era diventato scurissimo in mezzo al buio, quasi simile al nero, e in più erano circondati da due occhiaie spaventose che facevano sembrare il visino emaciato molto simile a un teschio.
Stava lì immobile al centro del corridoio con ancora la lampada infranta ai suoi piedi sanguinanti, senza dire una parola, fissando il pavimento.

'Simon?'

Il bambino non rispose.
Laury provò ad avvicinarsi a lui lentamente per non farlo spaventare, ma la paura aveva appena iniziato a divorarla dall'interno e ragionare con lucidità le riusciva molto difficile. Afferrò suo figlio per le braccia e lo scosse, senza alcun risultato. Il bambino continuava a fissare il pavimento, la boccuccia aperta mentre un rivolo di saliva colava per terra, gli occhi vacui.
'Simon! Ti prego rispondimi!'
'Ma-mma... ma – m... m... a'
Laury strinse a sé Simon cercando di svegliarlo e riportarlo alla realtà, accarezzandogli i capelli con delicatezza e sentendo quel peso fin troppo leggero.
'Sonno...' mormorò Simon sillabando la parola meccanicamente.
'Sì, Simon, hai sonno... andiamo amore mio, per oggi dormirai con me nel lettone, va bene?'
Chiuse la porta dietro di loro a chiave e poggiò il cellulare sul comodino, non dimenticandosi di accendere la lampada del comò.
E Simon, almeno per quelle poche ore rimaste, dormì.

Il giorno dopo Laury lo accompagnò a scuola,facendo promettere a Simon di chiamarla se si fosse sentito male. Il bambino annuì distrattamente che, con grande sollievo della donna, sembrava essere tornato in sé: i capelli erano stati pettinati da lei stessa con cura, e si era preoccupata di preparargli lo zaino per regalare al bambino qualche minuto in più di sonno. Ripartì con il cuore un po' più leggero.
Ma a scuola, l'inferno ricominciò: Giulia sembrava avere tutte le intenzioni di divertirsi con gli altri, schernendolo per ogni cosa che faceva, approfittando di ogni suo momento di distrazione per prendere il pennarello nero e scrivergli in faccia la parola 'psicopatico'.
'Così almeno tutti vedranno che sei tu, e potranno mettersi al sicuro da te. E' quello che ti meriti, solo quello che ti meriti!'

Pazzo...
Psicopatico...

Le risate degli altri e gli insulti gli rimbombavano in testa, senza tregua, ogni faccia che gli si metteva davanti gli sembrava uguale alle altre, la stessa bocca ghignante, lo stesso sguardo crudele, le stesse parole usate...
E lui aveva così sonno...
L'inchiostro nero che aveva usato Giulia per scrivergli quell'odiosa parola sulla fronte sembrava bruciargli, ed era fin troppo nitida sulla sua pelle, simile a uno scarabocchio.
Mani nemiche iniziarono a toccarlo in faccia, pizzicandolo, dandogli schiaffi, graffiandolo. Quelle mani che ora aveva davanti alla sua bocca, e che lui schiuse, preda di un irresistibile istinto di... mordere.
E così fece.
Afferrò una delle mani che lo tormentavano con forza e la morse, serrando le mandibole con quanta più forza aveva e lasciando che i denti schiacciassero la pelle, le ossa, i tendini: fu un gesto liberatorio lasciare che i suoi istinti lo travolgessero e la facessero pagare a tutti quelli che lo torturavano quotidianamente, ma quando uno strillo acuto, che gli fece perdere la presa, gli fece alzare anche lo sguardo su tutti i visi sconvolti, infuriati, accusatori, lui perse il controllo.
Fuggì via dalla scuola, leccandosi quel piccolo rivoletto di sangue che gli colava sul mento.

Centinaia di chiamate aveva ricevuto, e centinaia di chiamate aveva fatto lei.
Nessuno era riuscito a ritrovare il suo bambino e nessuno l'aveva chiamata per darle almeno una pista; il preside della scuola le aveva spiegato l'accaduto per telefono, comunicandole l'accaduto e anche la conseguente sospensione.
Ma questo era il minimo. Dov'era Simon?
Sparito. Scomparso. E nessuno aveva visto niente!
Si asciugò le lacrime col primo pezzo di stoffa che le capitò sottomano e si rannicchiò sulla poltrona, lasciando che la sua mano pendesse fino a sfiorare la cornetta del telefono.

Rimase in posizione fetale per almeno due ore, rannicchiata su se stessa, con la mano che pendeva sul telefono, dondolante.
Ma non arrivò nulla.
La sua camicia di notte non riusciva a proteggerla dal freddo serale, ma non le importava nulla: non si curò neanche di chiudere la porta-finestra, tanto niente avrebbe riportato Simon a casa.
Chissà dov'era in quel momento...
Chiuse di nuovo gli occhi, addormentandosi con gli occhi gonfi per il pianto.

'Mamma...'
Laury si svegliò di soprassalto. Era notte fonda.
'Mamma...'
'Simon?'urlò Laury. Si mise in posizione eretta sulla poltrona facendo leva con le mani e fece il giro della stanza con gli occhi: non c'era nessuno.
'Ma quella voce... la sua voce... Simon!'
Stavolta la donna si precipitò giù, gettandosi in ogni anfratto, ogni fessura, addirittura anche sotto la poltrona, tutto per cercare suo figlio.
Ma non c'era nessuno.
'Mamma...'
La voce proveniva dalla camera da letto, flebile, sottile, trasparente.
'Mamma... vieni, sto male...'
Percorse il corridoio come se fosse inseguita dal diavolo in persona, annaspando in cerca d'aria per lo sforzo, aprendo la maniglia di scatto.
'Mamma...'
'Simon? Amore, dove sei?'
'Qui sotto... chinati.'

E Laury lo fece.

Il colpo fu talmente improvviso da non lasciarle nemmeno il tempo di aggrapparsi a qualcosa; cadde a terra gemendo per la paura,mentre suo figlio le stava addosso, stringendo la carne con le mani, graffiando, annaspando, ringhiando come un animale.
Sentì qualcosa di tagliente trovare quello che stava cercando; Laury cercò disperatamente di rialzarsi e spingere via da sé quella belva... no, Simon! … che la feriva, finché la lama le strappò via un brandello di carne viva dalla sua gola.
Strillò.

La terra era umida e fredda ai suoi piedi nudi, ma a lui non importava. Doveva camminare, doveva continuare a cercare.
Il sangue che gli colava dalla bocca aperta e dal mento sembrava un fiume, come quello che aveva visto quando aveva squarciato la gola della sua mamma con i denti e l'aveva lasciata lì agonizzante, con gli occhi aperti. Era un sapore dolciastro, simile a quello che provava quando, neonato, succhiava il latte ancorato al corpo della sua bellissima mamma. Erano bei tempi quelli, quando ancora papà non se n'era andato...
Si strinse nel pigiama blu che aveva indossato dopo aver ucciso quella stupida di sua madre, quella schifosa che gli aveva sempre reso le cose difficili. Aveva avuto quello che si meritava!
Il sogno aveva avuto ragione: lo aveva guidato fin da subito cercando di mostrargli la via corretta, continuando a palesarsi anche quando la sua bellissima mamma continuava a combatterlo, e lo avrebbe guidato ancora.
Gli restava ancora una cosa da fare, e Simon lo sapeva bene.
La terra era umida e fredda, ma continuò a camminare imperterrito, deciso a cercare... lei.

Ehm.....ok.
E' la prima volta che pubblico qualcosa in questa sezione, e ho pensato di debuttare con la storia di uno dei miei personaggi creati da me. Esattamente, ci sarà il seguito perché Simon non sarà solo! ;)
Spero vi piaccia la storia, siate clementi.

Made of Snow and Dreams.

  
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