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Autore: Ryoredwarrior    29/10/2015    7 recensioni
Nonostante Eren sia sotto la mia custodia da diversi mesi ormai, è la prima volta che dividiamo uno spazio vitale così ristretto, la cosa lo inquieta, è evidente.
Le sue iridi smeraldine mi fissano attraverso il fitto paravento delle lunghe ciglia castane intento e accorto come se stesse maneggiando polvere da sparo vicino al fuoco.
Mi fa sorridere l’angolo innaturale della sua schiena, il braccio rigido, è palesemente a disagio.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren, Jaeger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto perfettamente pulito e nella corretta sequenza, come avevo ordinato.
Se non fosse stato per quella dannata frattura al dito medio e all’anulare destro adesso avrei già finito di radermi e starei leggendo le mie scartoffie con una buona tazza di te fumante.
Se c’è una cosa che odio è il dover dipendere da qualcuno, mi urta i nervi.
Eccolo lì, il moccioso che mi scruta nervoso, in piedi di fianco alla poltrona in attesa di un mio cenno.
Mi ripasso sul viso il lembo dell’asciugamano umido che ho al collo, osservo il tavolo, la mia ciotola di vetro azzurro, il pennello, lo specchio, il sapone e il rasoio con il manico d’osso.
Sono nervoso, ho dormito meno del solito, il dolore alla mano mi ha tenuto compagnia fino all’alba, due, tre ore forse di dormiveglia.
Mi accomodo sulla poltrona allungando le gambe.
“Riposo, Eren”.
Quanto tempo era rimasto pietrificato nel saluto?
Strano, assurdo ragazzo.
Credo sia la prima volta che qualcuno mi rade, o perlomeno che avvicina una lama alla mia faccia senza essere trucidato.
Non ho alternative, non riesco nemmeno a stringere questo dannatissimo rasoio e saltare la mia rasatura quotidiana non è contemplato.
“Mio padre si faceva spesso la barba in mia presenza, gliel’ho visto fare diverse volte, ma non sono sicuro di…”.
I grandi occhi da capriolo smarrito mi osservano, sta cercando di pararsi il culo.
“Ti ho spiegato come fare, cerca di darti una mossa, non ho tutto il giorno”.
Prende il pennello dalla ciotola di acqua calda fumante e lo passa sul sapone.
“Devi sgocciolarlo prima”.
Mi sta dando la schiena ma lo vedo stringere le spalle di scatto, posso immaginare l’espressione contrita.
Si avvicina rimestando il sapone con il pennello, parte dalla curva della mascella maldestro e insicuro, un tocco così leggero da sentirlo appena.
“Fai movimenti circolari altrimenti la schiuma non si forma”.
“Sissignore”.
Nonostante Eren sia sotto la mia custodia da diversi mesi ormai, è la prima volta che dividiamo uno spazio vitale così ristretto, la cosa lo inquieta, è evidente.
Le sue iridi smeraldine mi fissano attraverso il fitto paravento delle lunghe ciglia castane intento e accorto come se stesse maneggiando polvere da sparo vicino al fuoco.
Mi fa sorridere l’angolo innaturale della sua schiena, il braccio rigido, è palesemente a disagio.
Un ciuffo di capelli castani gli ricade sull’occhio tanto da costringerlo a sbuffare dall’angolo della bocca per toglierselo di torno.
“Dovresti tagliarli, sono lunghi”.
Mi guarda sbattendo le palpebre uscendo improvvisamente dal suo limbo di barbiere concentrato.
“I capelli, sono lunghi”.
“Ah, si” le sue labbra si piegano in un sorriso “crescono molto in fretta”.
Mi gira intorno per cambiare lato e urta il mio ginocchio, qualche schizzo di sapone mi entra nell’occhio “Oi moccioso, che diavolo combini!” la mia voce suona come un ringhio.
“Mi dispiace, non volevo…”
Si riassesta passandosi il polso sotto il naso piccolo e insolente.
Solo ora mi accorgo che ha il bordo delle maniche bagnato.
“Come pretendi di fare un lavoro serio senza arrotolarti nemmeno le maniche, dai qua” gli prendo la ciotola dalle mani e aspetto che denudi gli avambracci coperti da una peluria chiara mentre il suo viso s’imporpora impercettibilmente.
Ah, strano ragazzo.
Il secondo strato di schiuma è andato, si gira per prendere il rasoio.
“Moccioso” lo ammonisco “ti ricordo che se dovesse scapparti dalla mano l’attrezzo e tagliarmi farò la stessa cosa con te, ci siamo capiti?”
Annuisce solerte.
“Signore, con tutto il rispetto, perché si fa la barba? È poco più di un’ombra quasi non si vede” mi sorride mostrando una fila di denti candidi e perfetti.
Devo rispondergli? Mi secca, ma sono sicuro che poi mi tedierebbe con altrettante domande, ormai lo conosco.
“E’ mia abitudine farla ogni mattina, ci tengo a rispettare i miei programmi, salvo casi eccezionali”.
“Per far colpo su qualche signora?” il sorriso muta in una direzione obliqua, maliziosa.
“Cosa ti sei bevuto Jaeger? Siamo tra i ranghi militari, non so a quale signora tu ti riferisca, ad ogni modo lo faccio per me, mi piace avere un aspetto ordinato”.
Non gli dovevo una spiegazione.
Il ragazzo m’incuriosisce, una pietra grezza ricca di sfaccettature, in grado di mutare velocemente come il cielo durante un temporale estivo.
Il suo atteggiamento ora ubbidiente e remissivo nasconde un animo tormentato e oscuro, quegli occhi verdi che ora annegano in un mare di tranquillità li ho visti divampare più di una volta di un fuoco distruttivo. La dualità del suo carattere così evidente ne fa un mostro di là da ogni suo potere sovrannaturale, non ho mai visto convivere due personalità così agli antipodi in nessun altro prima di lui, il mistero Eren.
I suoi lineamenti, il profilo del suo corpo conserva ancora un’impronta fanciullesca, ma una pacata ruvidezza nel tono della voce e certi suoi modi affettati sono invece tipici dell’età adulta, un curioso limitare, una linea di confine ancora sfocata.
Avvicina il rasoio alla mia guancia rigido come una scopa.
“Sei troppo lontano, non puoi avere il controllo così distante” lo afferro per la maglia e lo attiro verso di me accorciando di parecchio lo spazio tra di noi.
Deglutisce nervoso “Sissignore”.
E’ così vicino che posso sentirne l’odore. Forse ha ragione Mike, in un gesto così istintivo come l’annusare qualcuno è possibile percepire cose che all’occhio sfuggono, che l’analisi superficiale tralascia.
Sapone e muschio. Qualcosa di famigliare, pulito, domestico e rassicurante punteggiato da una nota di selvatico.
Lo immagino, il giovane capriolo che s’inoltra nel fitto sottobosco ignaro di poter divenire l’oggetto del desiderio di un oscuro e feroce predatore annidato nell’ombra.
Il predatore lo studia, nascosto tra i rovi, ne osserva i movimenti, improvvisamente il vento muta direzione rivelando la sua presenza e la giovane preda inizia la sua fuga disperata.
Il cacciatore eccitato dalla fame lo insegue scoprendo le fauci fino a sopraffarlo, preso alle strette il capriolo cosa farebbe? Potrebbe decidere di reagire e combattere o si lascerebbe divorare come un tenero agnellino?
La prima passata di rasoio è leggera e tremolante.
“Tieni la lama inclinata, devi tagliarmi solo i peli non la faccia”.
La punta della sua lingua rosea saetta ogni tanto a umettare le labbra, è concentrato.
Ha una bella bocca, la linea che disegna il labbro superiore ha un che di ferino e sensuale.
Il pulsare ritmico del suo battito cardiaco percorre la vena del collo, la seguo fino all’incavo delle clavicole con lo sguardo, la sua pelle è ambrata e sottile.
“Sono necessari almeno tre passaggi per ottenere una rasatura come si deve, inizia con brevi passate della lama seguendo il verso del pelo per poi finire con movimenti più lunghi”.
Ci sta prendendo la mano, lo sento più sicuro, mi osserva con la coda dell’occhio “Potrebbero venirmi utili tutte queste informazioni se dovessi decidere di diventare un barbiere dopo l’esercito”.
Arrogante, mi sta prendendo in giro.
A conferma vedo l’angolo della bocca che s’incurva leggermente verso l’alto.
Dovrei prenderlo a calci nel culo, ma nella posizione in cui sono, a gola scoperta a pochi centimetri da un rasoio, non è sicuramente consigliabile.
Insapona di nuovo per la seconda passata in senso trasversale passando sui lati del viso e sulla linea della mascella.
Mi accorgo che non segue soltanto il movimento con lo sguardo, mi sta studiando, è uno di quei momenti in cui sono felice di poter custodire i pensieri sottochiave in un angolo segreto e inaccessibile.
Terzo e ultimo passaggio, il più difficile e rischioso, contropelo, comprese le parti attorno al collo.
“Signore dovrebbe sollevare il mento” la sua voce è più ferma e più bassa di prima.
Mentre si china per passare sul collo le sue ginocchia mi premono fastidiosamente la coscia, divarico le gambe e lo lascio entrare per farsi più vicino, non è il caso di rischiare la giugulare.
La lama percorre lentamente il mio collo, sento il suo respiro che mi solletica, è quasi piacevole.
Stringe il rasoio con le dita lunghe e sottili, troppo affusolate per un soldato, sembrano piuttosto mani da pianista o da dottore.
Ho appoggiato la mano sul retro della sua coscia, sotto la curva della natica destra, il moccioso non tradisce nulla, serio e scrupoloso porta a termine il suo lavoro aggrottando le sopracciglia e stringendo gli occhi al massimo del suo impegno.
Ha le labbra socchiuse, sulla sua fronte stillano piccole gocce di sudore, sta facendo caldo, lo sento anch’io nonostante indossi solo la camicia.
Lentamente risalgo con la mano sulla sua natica e m’insinuo tra la cintura dei pantaloni e la maglia, la punta dei miei polpastrelli accarezza un lembo di pelle liscia e morbida.
Imperterrito il mio improvvisato barbitonsore rifinisce tra il lobo dell’orecchio e la basetta, ma il suo respiro rapido lo tradisce, sta mascherando l’agitazione.
Mi restituisce lo sguardo, la pupilla dilatata eclissa il verde dell’iride riducendolo a un anello brillante e sottile. Lo sento appoggiare il peso su di me, un eccesso di confidenza che mi confonde, l’àncora della mia razionalità sta lentamente perdendo presa scivolando sul fondo dell’abisso.
Avverto un leggero bruciore sulla guancia, appoggia il rasoio macchiato del mio sangue sul tavolo “Mi spiace a volte sono così maldestro” la sua voce tradisce un tremito.
Prendo lo specchio con il manico per controllare, un piccolo segno rosso, quasi un secondo sorriso sottile si apre beffardo sulla mia guancia “Ti va bene, è solo un graffio” avrei voluto che la mia voce fosse più dura invece ha assunto quasi un tono accondiscendente.
Mi alzo ripulendomi con l’asciugamano gettandolo poi sul tavolo, inforco la giacca “Pulisci tutto e metti in ordine”.
“Sissignore”.
Mentre varco la porta, la sua voce alle spalle mi accompagna.
“Sono sicuro che domani farò meglio”.
“Ne sono convinto, moccioso”.
 
 
 
   
 
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