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Autore: PassionWriting    29/10/2015    3 recensioni
Ci sono dei sentimenti che si percepiscono, che si comprendono e si ha il coraggio di esternare solo quando si rischia di perdere tutto. Camilla l'ha capito nel peggiore dei modi. Vivendo le ore e i giorni più brutti della sua vita. Un turbinio di emozioni e paure. Un uomo in un letto d'ospedale e la consapevolezza che l'amore quando arriva bisogna accettarlo, perchè la vita è troppo breve per passarla a chiedesi se si stia facendo la cosa giusta.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina io e Gaetano avevamo litigato pesantemente, c’erano ancora troppi se e troppi ma, troppe paure e insicurezze, troppa voglia di vivere quella storia a pieno senza rispettare i tempi dell’altro e con la smania di un Ti amo che non voleva arrivare. Io ero rimasta tutta la mattina con George e Livietta, rientrati da poco da viaggio di nozze. Mentre Gaetano andò al lavoro carico di delusione e frustrazione. Fu una telefonata a squarciare quell’apparente normalità e tranquillità che avevo preparato per il rientro dei due sposini. A rispondere fu Livietta che diventò immediatamente pallida in volto e che tenendosi la pancia con la mano libera, si dovette sedere.
“Ok, arriviamo subito”
“Liv amore che succede?”
“Mamma è successa una cosa”
In quel preciso istante, senza Livietta andasse oltre, mi sentì sovrastare da un enorme peso. I minuti che mi separarono dal luogo in cui George, seguendo le indicazioni della moglie, mi stava portando, passarono silenziosi, con il gomito appoggiato al finestrino, una mano alla bocca e gli occhi vitrei. C’ero stata tante volte in ospedale, ma mai come in quel momento, attraversando i corridoi, l’odore del disinfettante mi nauseava e il colore delle pareti mi infastidiva.
“Torre…”
Fu la prima parola che pronunciai dopo la telefonata.
“Professorè non so che dire…una sparatoria e il commissario è stato ferito, lo stanno operando”
Deglutii, dovetti prestare il doppio dell’attenzione alle parole dell’ispettore, perché mia lucidità era svanita. Dietro di me comparvero Carmen e Renzo, erano lì per una visita di controllo, ma nell’uscire avevano visto la mia macchina e così erano rientrati. Arrivati giusto in tempo per sentire e per vedere nella mia faccia tutto il dolore, la paura più grande della mia vita, avverarsi. Mi sedetti su una di quelle fredde e scomode sedie rosse della sala d’aspetto con l’impressione che c’avrei passato tanto tempo. Stranamente regnava un silenzio quasi surreale in quella stanza. Le mie mani diventarono talmente fredde da rendermi impossibile quali ogni movimento. Sorrisi nel ricordarmi la conversazione che io e Gaetano avevamo avuto un giorno in macchina. Mi disse che con le sue mani così fredde, io non mi sarei potuta scottare. Perché c’avevo messo così tanto tempo a capirlo? Perché non avevo aperto davvero il mio cuore?
Due ore dopo uscì un medico dalla sala operatoria. Ci avvicinammo tutti a quel uomo come se dalle sue parole dipendesse la vita non solo dell’uomo che amavo, ma anche di tutti noi.
“Allora?” chiesi con voce tremante
“Il commissario ha una pallottola conficcata quasi all’altezza del cuore, è un’operazione molto complicata e non possiamo garantire la sua riuscita. Sono uscito per dirvi che dovrete avere molta pazienza e pregare moltissimo”
Il medico si allontanò, iniziai a vedere offuscato attorno a me e senza quasi che me ne accorgessi scoppia a piangere, un pianto così forte da riempire pareti di quella stanza. Stavo male, stavo rischiando di perdere tutto e non mi vergognavo di farmi vedere fragile da chi era attorno a me. Trovai conforto nelle braccia di mia figlia che sembrava quanto e più sconvolta di me. Renzo invece mi fissava senza ben comprendere forse, che cosa stesse succedendo.
Passarono altre due ore, rimasero tutti in quella sala d’aspetto con me.
“Che dici se vado a parlarle?”
“No papà non è il momento. Abbiamo sbagliato tutti con lei e Gaetano, stavamo per rovinare una cosa finalmente bella per la mamma e adesso che siamo qui e Gaetano rischia di morire –un groppo alla gola interruppe la ragazza, che fu subito consolata da una carezza paterna –adesso non c’è nulla che vorrei di più al mondo che vedere un medico uscire da quella stanza e dirci che è andato tutto bene. Che Gaetano tornerà a casa e questo sarà solo un brutto ricordo.”
“Gli vuoi molto bene anche tu?”
“Sì –sospirò asciugandosi una lacrima –tu sei mio padre e ti amo come una figlia dovrebbe, ma Gaetano c’è sempre stato anche quando tu non c’eri e anche quando io lo respingevo. È sempre stato accanto a noi anche quando non c’era fisicamente. In questi mesi la mamma era una donna nuova, sorrideva, era felice, finalmente e adesso se Gaetano muore” a scoppiare in lacrime questa volta fu Livietta.
“Ehi Liv…amore” disse George abbracciandola “Calma, andrà tutto bene”
“Professoressa…”
“Dimmi Lucianona”
“Prima che arrivasse, l’infermiera mi ha dato questa, è per lei”
Presi la busta, estrassi il foglio e iniziai a leggere:
“Amore mio,
non so perché ti sto scrivendo, forse perché oggi ho uno strano presentimento o forse soltanto perché il modo in cui ci siamo lasciati sta mattina mi ha fatto stare male. Se ripenso alla nostra storia sorrido perché è riuscita a superare tutto, distanze, matrimoni, figli e quasi, quasi non riesce a oltrepassare la paura e la gelosia. La paura che ho di perderti a volte mi annebbia la mente. Ti potrei elencare i motivi per cui sto con te, perché sei una persona speciale, perfetta nelle sue imperfezioni, a volte testarda, ma senza la quale io non saprei più vivere. Sei riuscita a farmi innamorare di ogni tuo pregio e anche di ogni tuo difetto. Senza di te la vita è più dura, più difficile da mandare avanti. Se starai leggendo questa lettera vuol dire che la giornata non è andata come doveva, che io non sono tornato da te e non per mia scelta. Io ti amo Camilla e anche se avrei voluto che anche tu me lo dicessi, so che è così anche per te. L’ho capito dai tuoi gesti, dai tuoi sguardi. Sei sempre stata la parte migliore di me e lo sei anche adesso, ne sono sicuro. Volevo solo dirti questo, che ti amo e che più di così non riesco a dimostratelo, vorrei che tu ti fidassi di me e aprissi il tuo cuore. Io ci sono. G”
Stavo piangendo come una bambina alla quale stavano strappando via la bambola preferita. Quel biglietto non avrei dovuto leggerlo in un corsia d’ospedale, non era quella la fine che doveva fare quel biglietto.
Sentii una mano sulla mia spalla.
“Non fare così. Non serve a nessuno. Tanto meno a Gaetano”
Guardai Renzo con stupore.
“Grazie per essere rimasti tu e Carmen…”
“Senti in questo momento credo che i nostri problemi debbano passare in secondo piano.”
“Renzo io…”
“No, ho deposto le armi. Ho sbagliato. Mi sono assunto le mie responsabilità e ti ho persa. Ti guardavo prima. Soffre così solo chi è innamorato e tu lo sei”
La nostra conversazione fu interrotta dallo stesso medico di qualche ora prima.
“Allora?” Provai a dire con un filo di voce?
“L’operazione è, da un punto di vista tecnico riuscita. Il paziente è ora in coma farmacologico. Domani proveremo a sospenderlo”
“E?” chiese Livietta
“Un passo alla volta signori. La prognosi è ancora riservata”
Fu troppo per me. Svenni tra le braccia di George che era dietro di me.
Mi risvegliai con attorno decine di persone e le gambe in aria.
“Mamma come ti senti? Prova a metterti seduta” avevo la testa che mi scoppiava, speravo che nello svenimento, avessi rimosso qualche parte di quella orribile giornata e invece era tutto davanti ai miei occhi.
La gente attorno a me iniziò presto a diradarsi, qualcuno andò a casa, qualcun altro a prendere un caffè.
“Prima mentre stavi svenendo, il dottore ha detto che una persona se vuole può entrare da Gaetano. Credo che quella persona debba essere tu!” mi disse Livietta.
Indossai il camice verde da sala sterile, pigiai il pulsante della sala rianimazione ed entrai. Il cuore iniziò a battere ancora poi forte, avrei voluto andasse a tempo con le macchine salvavita, ma non riuscivo. Mi avvicinai al letto di Gaetano. A stento riuscivo a guardarlo. Era lì. Intubato, gli occhi chiusi. I suoi occhi, quelli che tante volte mi avevano fissata e a volte anche spogliata di tutte le mie ansie e paura. La mia mano aveva iniziato a tremare quando avevo tentato di fargli una carezza.
“Amore mio” mi lascia sfuggire. Riuscii a dire solo quello, prima di accasciarmi al suo capezzale, con il volto affondato sul suo braccio che non aveva perso il suo inconfondibile odore. Rimasi lì per qualche minuto. Sapevo che i giorni a venire sarebbero stati difficili. Lo sapevo e lo sentivo, ma quello che non volevo, era che a sentirlo e saperlo fosse anche lui.

Giorno 1
Avevo passato la notte in ospedale, ero completamente distrutta, ma non mi importava. Sapevo che dovevo rimanere lì.
“Mamma!” Mi sentii chiamare.
“Tesoro che ci fai qui a quest’ora?”
“E me lo chiedi anche? Siamo venuti tutti. Gli altri stanno parcheggiando la macchina. Ho incontrato anche Torre di sotto”
“Sì è appena andato via”
“Mamma…”
“Tesoro dimmi?”
“Come stai?”
“Come vuoi che stia?”
“Come una donna che aveva tutto e ora non ha più niente”
“Non è vero mamma…Gaetano si sveglierà, io ne sono sicura. Andrà tutto bene. Deve andare tutto bene”
“Non credevo che l’avresti presa così”
“Voglio bene a Gaetano e mi manca terribilmente.”
Fummo interrotte dall’arrivo del medico e da quello, concomitante, di Renzo, George e Carmen.
Ci avvicinammo tutti al dottore, nella speranza che ci desse buone notizie, ma non fu così.
“Abbiamo eliminato il coma farmacologico, ora dobbiamo aspettare...purtroppo il paziente non si è ancora svegliato”
“Che cosa significa dottore?”
“Che il coma adesso volontario, durante la notte c’è stato un piccolo embolo...dobbiamo aspettare che Gaetano trovi le forse per risvegliarsi, da qui in poi, dobbiamo sperare e non solo in un risveglio, ma anche che questo embolo non abbia lasciato danni a livello celebrale”
Sentii la mano di mia figlia sulla mia spalla, pesava come un macigno perché voleva dire che stava tentando di infondermi coraggio. Ma io il coraggio l’avevo perso.
Ci volle almeno qualche ora prima che mi riprendessi, mi avevano costretto ad andare a casa, cambiarmi, farmi una doccia e riposarmi un pochino, ma ovviamente riuscii a fare solo due di queste tre cose.

Giorno 2
Il mio secondo giorno di veglia, ero distrutta, ma non potevo cedere. Era solo il secondo giorno, ma già stavo perdendo le speranze. Vedere Gaetano in quelle condizioni mi distruggeva. “Renzo...ciao...”
“Allora come sta?”
“Come lo vedi...ne miglioramenti ne peggioramenti”
“E tu?”
“Come mi vedi”
“Se hai bisogno di qualcosa…”
“Grazie…”
“Ehi non c’è un secondo fine, credimi”
“Lo so…senti porta a casa Carmen, è stanca…”
 
Giorno 3...4...5 ecc ecc
I giorni a seguire non furono diversi da quelli precedenti. Passavo tutto il giorno in ospedale, avevo chiesto qualche giorno di ferie da scuola, andavo a casa solo per una doccia e per cambiarmi. A volte mi assopivo appoggiando la testa sul suo braccio, era l’unico modo che avevo per riposare, solo lì ci riuscivo.
Lo guardavo spesso dal vetro della sala rianimazione. Quanto tempo buttato via, quanti rimorsi e rimpianti, quante persone che avevano sofferto in quella storia. Quanta infelicità per noi e per gli altri. Quello che mi rattristava di più era che, c’era voluta una tragedia simile per fare aprire a tutti gli occhi. Farli aprire a Renzo per capire che l’amore a senso unico non è amore. Farli aprire a me, per capire che l’amore, quello vero, non deve essere per forza quello che è lì da una vita, ma che non ti dà emozioni e farli aprire persino a mia figlia che aveva capito che la felicità di una madre non passa solo attraverso di le. L’unico che ad aprire gli occhi, nonostante li avesse in quel momento chiusi, per primo era stato proprio Gaetano. Gaetano che aveva preso il coraggio a quattro mani, che aveva tentato di farmi capire con rispetto quanto mi amasse, lui ora doveva trovare la forza per tornare da noi, da me.
Eravamo tutti con gli occhi spalancati, tranne lui.
 
 
Giorno X
Quella mattina avevo una strana sensazione addosso, Livietta era casa, ormai era prossima al parto e faticava a muoversi. Mentre io, per la prima volta, ero riuscita a chiudere occhio, in un posto diverso dal braccio di Gaetano. E per questo mi sentivo terribilmente in colpa. Mi vestii in fretta e corsi in ospedale, in cerca di una buona notizia. Notizia che non arrivò, perché tutto in quel giorno X era uguale al giorno X-1. (Avevo smesso di contare i giorni).
Ero triste, perché i giorni passavano e io avevo la paura, anzi il terrore, di dimenticare lo sguardo Gaetano, la sua voce, le sue carezze. Il dolore mi stava inaridendo, stava offuscando la mia memoria e io questo non lo potevo permettere.
Mi ritrovai nella stanza insieme a lui, ancora una volta. Il suono, regolare, del battito del suo cuore proveniente dalla macchina attaccata al suo petto, mi dava un senso di tranquillità, ogni volta che entravo lì dentro, mi sembrava di mettere i piedi in un mondo ovattato, dove i rumori esterni non riuscivano ad arrivarmi in modo distinto e nitido. Presi una sedia e mi misi accanto a lui. Stringendogli la mano iniziai a parlare senza sosta. Come un fiume in piena.
“Gaetano svegliati ti prego. Io non ce la faccio più. Mi manchi, ci manchi. Non sono mai stata brava con le parole, non sono mai stata una donna romantica e non ho mai pregato Dio. Oggi invece sono qui a pensare a come sarebbe stato se fossi stata un po’ più dolce, un po’ più coraggiosa, se non fossi stata così tremendamente disincantata dall’amore. E sono qui a pregare, a pregare un Dio che non conosco bene fino in fondo, affinché tu possa tornare da me. Io ho bisogno di te Gaetano, solo tu puoi scalfire il mio cuore, solo tu sei in grado di farmi vivere emozioni che non ho mai vissuto. Ho sbagliato tutto con te, non ti prometto che cambierò radicalmente, perché forse non ne sono capace, ma ti prometto che con te accanto, ci proverò. Proverò ad essere felice e sono sicura che ci riuscirò, ma per fare questo tu devi tornare da me...devi farlo Gaetano, non puoi lasciarmi così...non è giusto.... Gaetano ho paura, ho paura di dimenticarti, di dover vivere la mia vita senza di te.”
Mi alzai quasi d’istinto, stavo per fare una cosa molto lontana da quello che ero io, ma era l’unico modo per scacciare le mie paure e allo stesso tempo per tentare il tutto per tutto. Presi il mio cellulare, misi il volume al massimo e feci partire una canzone.
Questo piccolo grande amore...Era la canzone più adatta per quel momento, perché conteneva le parole giuste, quelle che avrei dovuto dire da una vita. Iniziai a stringerli la mano e al momento giusto a ripetere le parole più belle di quel brano: “ti amo davvero, ti amo lo giuro, ti amo, ti amo, ti amo”.
Le lacrime che tanto e che tutti stavano attendendo, e che avevo represso dal quasi subito, arrivarono come un fiume sul mio volto. Scoppiai a piangere senza riuscire a fermarmi. Una di queste lacrime sfuggi al controllo delle mie dita che tentavano di asciugarle ed andò a colpire la mano di Gaetano. Non mi accorsi subito di quello che quella goccia stava facendo. Ero troppo intenta a disperarmi. Alzai la testa solo quando la canzone finì e io sentii un colpo di tosse, unito al tentativo di Gaetano di chiamarmi.
Rimasi ferma immobile, le parole non uscivano e le gambe non si muovevano, ma i suoi occhi, i suoi occhi mi stavano guardando, mi stavano parlando. Era vivo, era tornato da me.
Pochi secondi dopo mi sorrise: “Ci voleva una pallottola a fartelo dire”
Prima sorrisi e poi risi. Una piccola folla si accalcò davanti al vetro. Livietta, che alla fine era arrivata insieme a George, entrò nella stanza insieme al medico. Mi portò per un secondo via da Gaetano, ma non feci opposizione. Sapevo che era solo un momento e poi sarei tornata da lui, per sempre.
   
 
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