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Autore: theSwamp    22/02/2009    4 recensioni
Renesmee è cresciuta, e della bambina deliziosa che incantava chiunque è rimasto davvero poco, rimane solo una ragazza costretta a vivere una vita sul filo di due mondi totalmente diversi. E arriverà il momento in cui dovrà capire quale sia il vero significato dell'amore.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Merda. Traffico. Sentii qualche idiota che suonava il clacson, alzai un po’ la musica. Detesto il traffico. Lo odio. Sentii il motore della macchina che gemeva, soffriva con me, almeno lei. Era tardi e a casa avrebbero avuto da ridire, sicuramente. Mi concentrai sulla canzone. Jealousy turning saints into the sea, turning to sick lullabbies, joking on your alibies….cause I’m Mr Brightside… La colonna si mosse, finalmente. E si fermò dopo cinquanta metri, perfetto. Vibrò il telefono: era lei, lo sapevo. Abbassai il volume e risposi subito -Mamma!- -Stai tornando?- sentii la sua voce un po’tesa –Tra quanto arrivi?- Mamma, mamma, se tu sapessi almeno aspettare le mie risposte! –Sì ma c’è traffico…ci metterò ancora un’oretta- Sentii il respiro di mia madre, misurato, per telefono. Sospirò –Tesoro lo so che abbiamo litigato ma chiudiamo l’argomento, adesso. Ci stai? Lo so che anche tu preferisci fare finta di niente, passare avanti…e ci possono essere dei momenti nella vita che non vanno come devono o che non ti soddisfano o che…- Le morì la voce. Rimorso, orrendo rimorso. Ero cattiva e non meritavo il dolore di mia madre. -Torno subito mamma, non sto lontana da casa tanto per starci, c’è davvero traffico, ok?- Pausa –Scusami- Chiusi il telefono e spensi la musica, tanto non riuscivo a concentrarmi, aspettando di raggiungere l’imbocco dell’autostrada. Nemmeno il tempo di riappropriarmi di me stessa che il telefono vibrò di nuovo, e anche quella volta indovinai al primo colpo chi fosse il misterioso personaggio che mi cercava. Come avrei potuto sbagliare? Per un momento fui tentata di non rispondere, ma quel che rimaneva della piccola ragazzina adorabile che avevo dentro di me mi intimò di muovere il culo e di rispondere a una delle persone che più mi amava al mondo. Se non quella che più mi amava in assoluto. -Jake?- -Nessie dove diavolo sei??- La voce stretta in una morsa, sembrava un bambino sull’orlo di una seria crisi di pianto. -Ho fatto un giro….shopping, riflettere. Sai, forse non l’hai notato ma a volte le persone amano anche stare per conto loro- Oddio ero acida. Perchè me ne accorgevo sempre dopo aver parlato?- Eccolo, un altro che sospirava –Stai tornando?- -Da quando vi siete messi in testa che sono in fuga? No sai, vorrei saperlo- -E’ solo che mi manchi, quindi torna presto. E anche gli altri sono un po’…disturbati da…da oggi- Detesto il rimorso. Il rimorso e il traffico. -Jake sto tornando, tranquillo. E non sono nemmeno particolarmente alterata, quindi stai ancora più tranquillo. E adesso fammi un piacere: dì che sono a posto ma che non sarà più così se riceverò ancora una telefonata di qualcuno che voglia verificare se sto passando il confine dello stato, ti spiace?- Sento che ride, un po’ sommessamente – Certo capo, a dopo.- Pausa respirone –Ti adoro- Perfetto, pure la dichiarazione di rito ci mancava. Prima della completa rottura del mio equilibrio psico mentale, fortunatamente raggiungo l’ingresso dell’autostrada. Accelero e finalmente mi rilasso, l’auto che scivola liscia sull’asfalto bagnato, il riscaldamento che rende l’aria densa e profumata e che fa uscire tutta la fragranza dei sedili di pelle beige. Viaggio sulla corsia di sorpasso, ma tanto l’autostrada è semi vuota. Vedo il buio, nel senso che vedo tutte le sfumature dei colori della notte, e i fari delle poche auto che viaggiano con me, verso Nord, e i movimenti ora tranquilli, ora vorticosi, che il vento fa fare ai rami delle piante che costeggiano l’autostrada. E finalmente la pace raggiunge anche me, e per la prima volta in quella lunga giornata, non penso a niente. Oggi ho litigato con la mia famiglia, o forse farei meglio a dire che oggi ho aggredito senza un logico motivo la mia famiglia, gli ho rovesciato addosso tutta la mia frustrazione da ragazzina viziata e disadattata, li ho feriti e poi, da vigliacca quale sono, sono fuggita da quello che avevo fatto, ho preso la macchina e me ne sono andata. Sono rimasta in giro per tutto il giorno a piangere, fare shopping e a guardare il cielo. Ero troppo arrabbiata, è per questo che sono scappata via. Le mie emozioni fluiscono a tratti lente, quasi non ci fossero, a tratti particolarmente impetuose, e quando si liberano, vorrei avere attorno a me il deserto, per poter urlare, scalciare, sgretolare una montagna o chissà cos’altro. Se proprio non potevo avere il deserto fisico, ho almeno cercato di creare quello emotivo, allontanando tutti da me. Renesmee, sei da strizza. Te lo ha mai detto nessuno? Ho detto a mia madre la cosa più brutta, orribile, meschina e idiota che potessi pensare. Che sono un mostro. L’ho vista sbiancare, cercare con affanno un’ombra di ironia nei miei occhi, un qualsiasi appiglio che non la facesse sprofondare. Come ho potuto ferire mia madre? Lei, che ha rischiato la vita per farmi venire al mondo. Non lo farò mai più. Anche se è così che mi sento, non le dirò mai più la verità. Anche se ogni giorno mi chiedo dove sia il mio posto, se fra gli umani, o fra i vampiri, o fra chissà quale altra diavoleria. Tutto tranne vedere ancora una tale sofferenza sul volto di mia madre. Per mio padre è diverso, lui può vedere quello che penso. E se da una parte odio questa cosa, dall’altra sento che lui è con me, lo sento vicino. Mi conosce, e so che mi capisce, e che in qualche modo riesce a perdonare il mio egoismo. Ho detto alla mia famiglia che odio la vita che viviamo, il nostro voler vivere sullo sfondo del mondo vero, della gente reale. Che avrei preferito seguissero il loro istinto, cacciassero e uccidessero come era nella loro natura. Sono pazza. Perché mai avrei dovuto dire queste cose a loro? Loro, che sono molto migliori di tanti esseri umani. A Rose, che mi ha amata e educata come la migliore delle sorelle maggiori e come una madre devota; a mia nonna, Esme, la persona più dolce e comprensiva della Terra; a Carlisle, che preferirebbe morire tra i tormenti piuttosto che soddisfare i suoi istinti; a Emmett, che vede il mondo come un luogo in cui il nostro unico scopo è amare la propria compagna; a Jasper e a Alice, che mi dimostrano ogni giorno come l’amore possa qualsiasi cosa, nonostante tutto. Come ho potuto dire questo ai miei genitori? Le lacrime mi scendono piano, una dietro l’altra, sulle guance, fino a scendere sul mento e a cadere sul mio piumino. I singhiozzi silenziosi danno il ritmo al mio ritorno. Attraverso il viale alberato che mi riporta a casa, le querce sono bianche di gelo, perché qui la pioggia che è caduta oggi è già ghiacciata. Abbiamo cambiato casa da qualche mese, Forks non era più sicura: dopo essere scomparsi dalla vita “civile” della città, e aver vissuto per alcuni anni nella casa che avevamo lì, era venuto il momento di trasferirci. Mia madre e mio padre erano stati irremovibili: dovevo andare a scuola, e avrei dovuto conseguire il diploma (con ottimi risultati) come qualsiasi ragazza umana. Prima avevo studiato a casa, a causa della mia crescita “particolare”, istruita dai membri della mia famiglia. Esme mi aveva fatto studiare lettere, teatro, narrativa, poesia, storia e geografia, mentre Carlisle si occupava di matematica, chimica e biologia. Ero brava, sempre attenta, perché mi sarebbe dispiaciuto non soddisfarli. E poi in casa nostra era impensabile sfuggire al peso della cultura…perciò meglio arrendersi da subito. Così ci eravamo trasferiti, anche se la città distava nemmeno un centinaio di chilometri da Forks, per evitare di lasciare solo Charlie, che abitava ancora là. Povero Charlie. La mia crescita a vista d’occhio (nel vero senso della parola) lo spaventava, ma nonostante tutte le stranezze e i sospetti, pur di vedere me e la mamma aveva sempre accettato tutto: non so se sia un pregio o un difetto, non so se è un uomo dal cuore incredibilmente grande o un vigliacco. La nuova casa mi piace meno dell’altra, forse perché nell’altra ci sono tutti i ricordi più impagabili. La casa è molto antica, di fine ottocento, uno degli edifici più vecchi della zona: è di mattoni rossi, con un porticato bianco che corre davanti e su un lato, i due piani scanditi dalle finestre bianche, ad arco, e la piccola mansarda che Esme ha ristrutturato pensando a me. Avrei preferito vivere in un bell’appartamento in città, con i vicini che tengono il televisore troppo alto e il pensionato del piano di sotto che al sabato mattina decide di fare dei lavoretti con il trapano, ad un orario in cui le persone normali si dedicano solitamente al sonno. E invece vivevo in una casa in cui il tempo non era mai scandito, nessuno che dormisse, mangiasse o prendesse le pastiglie per il mal di testa. Tranne me. Egoista Renesmee, cattiva che non sei altro. Loro ti amano e tu non fai che lamentarti e rimuginare. Entro nel garage. Avevo già visto da prima una sagoma, e temevo che fosse mio padre, ma adesso la vedo meglio: è Jasper. Dio benedica Jasper, lo salvi e gli faccia un monumento. Scendo dalla macchina. Jeep nera, regalo di Rose ad Emmett per lo scorso compleanno. Jasper mi guarda, anzi mi squadra, cercando di comprendere il perché del mio rossore e dei miei occhi gonfi. -Mi vergogno Jazz, ecco qual è il problema- - Capisco…- e mi guarda più serenamente. Non ero del tutto sicura che capisse, ma mi faceva comunque piacere che si sforzasse di farlo. -Senti io non avevo assolutamente intenzione di dire quelle cose…è stato un momento…è un brutto momento, ecco. Ma io cerco di farmela passare, Jazz, credimi- Lo fissavo implorante. -Ti credo- e mi sorride. Grazie Jazz per infondermi la tua calma, la tua speranza. –Adesso però entriamo,piccola. Ci sei mancata tanto, non andartene così mai più. Hai fatto anche saltare la partita a baseball, Emmett è molto arrabbiato con te- Ci guardiamo e scoppiamo a ridere. -Anche voi mi siete mancati- Jasper mi fissa per un secondo e capisce. Mi abbraccia forte e poi ci avviamo verso la casa. Mi siete davvero mancati.
  
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