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Autore: Alessio Addams    31/10/2015    0 recensioni
La storia che segue è ispirata ad Harry Potter, Buffy e Sailor Moon. Parla di un ragazzo che fugge dalla famiglia di psicopatici con cui è cresciuto.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chissà come potrei raccontare di ciò che accadde, dal momento in cui la luce si insidiò nella mia vita. Nelle tenebre la luce non diventa che un fastidio, semplice visività, mera illuminazione dell’ambiente. Quando nell’oscurità si insinua il sacro e comincia a miscelarsi col profano, ecco allora che nasco io, che l’Equilibrio prende forma. La mia è una storia di profanazione, l’assistere a un perpetuo vilipendere mi ha spesso avvicinato al cielo, quando non ha rischiato di uccidermi. Iniziare a descrivere l’amore è come scrivere un libro che del sublime conosce l’infinità: perciò mi limiterò alla mera narrazione. Una storia straordinaria possiede dell’assurdo l’arduo discernimento, e mai si limita ad esistere in quanto superficiale narrativa. Scrivo lontano e nostalgico, ripensando beato ai trascorsi lieti di quel primo anno a Moonville.
 
IL RISVEGLIO
 
Mi svegliai il giorno dopo. Non ricordavo che anno fosse, né come fossi finito lì. Mi chiesi come mi chiamassi, ricordando a stento il mio nome. Mi sentivo privo di forze, riconoscevo appena ciò che mi circondava. Ero nella cantina di Nicholas e al mio fianco c’era qualcuno, probabilmente una delle vittime. Mio fratello, chino sul tavolo, cercava di porre fine al tremore che affliggeva il suo corpo. Una catena legava il mio piede e mi impediva di fuggire. A causa del fitto buio, non riuscivo ad individuare nessuno strumento che mi permettesse di spezzarla. Un’ondata di puzza mefitica mi fece quasi vomitare e trattenni a fatica un colpo di tosse. Dopo aver superato la nausea, ricordai improvvisamente quello che era successo la notte precedente e capii che mi rimaneva una sola cosa da fare. Raccolsi tutte le energie che avevo in corpo e cercai di forzare la catena. Con un silenzioso click, sotto i miei occhi increduli, essa si spezzò. Nicholas non sembrò accorgersi di nulla e continuò a contemplare il vuoto. Silenziosamente, strisciai nel buio della cantina e salii le scale. Quel legno, sempre rumoroso, quella volta non cigolò. Al piano terra non trovai nessuno. Pensai a David, il mio ragazzo, che viveva con noi da un anno, e mi chiesi dove fosse. Sentivo di avercela con lui, chissà per quale ragione. Non sapevo cosa fare, l’istinto mi diceva di scappare, ma il mio cuore desiderava che soccorressi gli altri. Ero sicuro, chissà perché, che Nicholas avesse imprigionato tutti, ma mi resi conto di non avere le forze necessarie per poterli aiutare. Decisi di scappare, fuggire, andare dove Nicholas ed Emeto non potessero trovarmi. Uscii di casa dalla porta sul retro e la luce del sole m’inondò. Zoppicando in quel giardino trasandato, ero quasi uscito dalla nostra proprietà, quando sentii un gemito soffocato provenire dal capannone degli attrezzi. Era una voce femminile, che riconobbi subito come quella di Mamma. La porta era chiusa con un catenaccio e decisi di mettere alla prova la mia nuova forza. Le diedi un debole calcio ed essa si spalancò come se l’avessi colpita con violenza. Mamma, tutta insanguinata e imbavagliata, era seduta sul pavimento e legata ad una trave legnosa.
– Mammina… – mi lamentai, avvicinandomi a lei.
Le tolsi la benda che la soffocava ed ella prese un gran respiro.
 – Figlio mio, non c’è tempo… – sussurrò con un filo di voce. – Devi fuggire, immediatamente, nasconderti da Nicholas… Quando riprenderò le forze, riuscirò a fermarlo, ma per ora non ne sono in grado… Fino ad allora, voglio che tutti i miei figli siano al sicuro… Lui ed Emeto sembrano essere impazziti, non puoi fare affidamento su di loro. Piccolo mio, devo dirti la verità. Come avrai intuito, non sono io la tua vera madre, ti rapimmo anni fa, quando eri soltanto un bambino. Recati a Moonville, a sud. Lì troverai le risposte che cerchi. Mi dispiace che debba saperlo in questo modo, ma adesso va’, non c’è tempo! Rimettimi la benda, in modo che Nicholas non sappia che sei stato qui, e va’ dove ti ho detto! A presto, amore mio – sussurrò Mamma in tono definitivo.
Con una lacrima agli occhi, obbedii.
– Grazie, Mamma – piansi, rivolgendole un ultimo sguardo prima di chiudere la porta del magazzino.
Attraversai il lotto e mi lasciai casa Davidson alle spalle. Avevo un solo desiderio: non rivedere più quel lupanare. Volevo riscoprire le mie origini, fuggire dai carcerieri che mi avevano abituato all’odio. Mi sentivo diverso, era come se non riconoscessi più i Davidson come la mia famiglia.
 
SAMMY CUNNINGHAM
 
Vagai a lungo, affrontando il dolore del mio corpo che si trasformava. Vagai per Moonville per tempo indeterminato, fin quando un giorno lui mi riconobbe. Sammy Cunningham, un ragazzo che non avevo mai visto, mi riportò dalla mia vera madre. Diceva che da piccoli avevamo giocato assieme, ma di ciò non avevo alcun ricordo. Aveva un aspetto molto familiare, dopo soli cinque minuti sembrava lo conoscessi da sempre. Diventammo amici intimi nel giro di qualche giorno e, qualche tempo dopo, si unì a noi la sua migliore amica, Hallison Finnigan. Formammo un inseparabile trio e, insieme, ci divertivamo un mondo, anche se spesso non mi sentivo capito quando si parlava di vampiri. Vampiri, la causa del mio dolore, il mio tormento, la mia ossessione.
– Dai Evan, resta ancora un po’! – mi pregò Sammy.
– Ragazzi, sapete bene che devo passare dal cimitero – mi giustificai gesticolando.
 – Su… Soltanto un altro po’… Balliamo una mezzora e poi ti accompagniamo! – disse Hally.
– Accompagnarmi? Quante volte devo dirvi che… – stavo per dire, quando Sammy cominciò a scuotermi.
 – Piantala! Sei troppo… serio! Devi divertirti! – esclamò.
Accettai di restare ancora un po’ e scesi in pista con i miei amici. Mentre ballavo, mi resi conto che avevamo trascorso l’intera estate in quel locale, il Luna College, l’unico posto in cui il fantasma dei Davidson mi abbandonava, e che in pochi mesi la mia vita era diventata proprio come l’avevo sempre sognata. Avevo una madre umana e amorevole, una casa normale e degli splendidi amici che mi volevano bene.
 – Ehi, Evan, guarda quella ragazza! – urlò Sammy, tentando di superare il volume della musica e riportandomi alla realtà.
– Ma piantala, pensa a ballare! – esclamai in tono di rimprovero.
– Ci sarà un motivo se sono nato uomo – disse Sammy, ammiccando.
Hally sorrise divertita e ci coinvolse in un ballo sfrenato. Dopo aver ballato per più di un’ora, dissi ai ragazzi che era ora di andare. Uscimmo dal Luna In e ci dirigemmo verso il cimitero, poco distante dal locale. Stavamo percorrendo la via alberata e l’unica cosa che si sentiva era la musica lontana del discopub.
– Ragazzi, ve lo ripeto! Non dovete seguirmi! È pericoloso! – dissi.
– Ma noi ti vogliamo bene, siamo i tuoi amici, è normale, no? – disse Hally sorridendo.
– D’accordo… – dissi rassegnato. – Ma se vi dovesse capitare qualcosa… –.
– Nell’eventualità torneremo come spiriti per tormentare i nostri aggressori! Evan, rilassati, andrà tutto… – disse Sammy.
Non riuscì a finire la frase. Qualcosa di grosso gli saltò addosso, atterrandolo.
– Sammy! – urlai.
Lo riconobbi subito: era un vampiro. Lo spinsi violentemente, allontanandolo dal mio amico.
– Non ti hanno insegnato che non si spinge? – dissi, cercando di risultare minaccioso.
 – Ma guarda, la femminuccia di casa Davidson – ringhiò il vampiro, rialzandosi.
La sua frase mi spaventò.
– Che ne sai tu dei Davidson? – chiesi con voce tremante.
– Lavoro per Nicholas. È molto arrabbiato con il suo fratellino fuggitivo – disse quello mellifluo.
– Puoi dirgli che il suo “fratellino” ha un’altra famiglia adesso! – urlò Sammy.
 – Davvero? E sareste voi, poveri ragazzini sfigati? – disse il vampiro.
 – Adesso vediamo chi è lo sfigato – dissi, estraendo un paletto dalla borsa con mano tremante.
– Allora è vero che cacci i vampiri – esclamò quello disgustato.
 – Hai detto bene, cacciare. È quello che faccio. Vi ammazzerò tutti, dal primo all’ultimo! – dissi, impalettandolo.
Fui così veloce che non riuscì a schivare il colpo. Con un sospiro sommesso, chiuse gli occhi. Entro breve il suo corpo si sarebbe trasformato in cenere. Per i vampiri il legno consacrato è velenoso e quando penetra all’interno del loro cuore, cominciano a sciogliersi lentamente. Osservai scosso il vampiro morente, cominciando a respirare affannosamente. Nicholas mi aveva trovato. Presto sarebbe tornato, strappandomi via da quel sogno. Improvvisamente, la mia vita fu stretta da un abbraccio.
– Va tutto bene, fin quando sei con noi tuo fratello non può farti nulla. Ci sono io – sussurrò Sammy.
– Sono stanco – dissi.
Se mio fratello mi avesse trovato, sarebbe cambiato di nuovo tutto, la mia vita sarebbe nuovamente precipitata. Avevo paura che facesse del male alle persone che mi circondavano, oltre che a me.
– Ev… Siamo qui con te, non temere – disse Hally, accarezzandomi una spalla.
– Sono sicuro che verrà a cercarmi… E mi troverà – dissi, guardando la luna.
– E noi lo affronteremo. Tutti e tre insieme – disse Sammy.
Apprezzai le loro parole e mi sentii subito meglio. Era bello avere a fianco qualcuno che mi risvegliasse dagli incubi.
 – Dai, ragazzi, meglio tornare a casa per stasera. È settembre e fa freddo e… per Evan è già troppo – disse Hally.
– Sì, hai ragione, mi sento distrutto – dissi, svincolandomi dall’abbraccio di Sammy e cominciando a camminare.
– Ragazzi… Qualcuno di voi dormirebbe con me stanotte? Non è che abbia paura, ma… Cioè… – dissi in tono sommesso.
– Io verrei, ma cosa dico ai miei genitori? – disse Hally.
– Tranquillo, Ev, vengo io. C’è bisogno di un uomo per farti dormire tranquillo – disse Sammy, mettendomi un braccio intorno al collo.
Accompagnammo Hally e tornammo velocemente a casa. Fortunatamente, la mamma già dormiva e ci infilammo silenziosamente sotto le coperte. Ero felice di avere Sammy al mio fianco, lo consideravo il mio migliore amico.
– Sammy – dissi sdraiato, osservando il soffitto. ­– Ti capita mai di pensare che il dolore possa unire le persone tanto quanto la gioia? –.
– Il dolore è conseguenza di un sentimento positivo, spesso arriva quando le speranze che riponiamo in qualcosa cominciano a vanificarsi – disse, sdraiato accanto a me, guardando il soffitto.
– Ti è mai capitato di volere bene qualcuno al punto da essere ossessionato al pensiero di perderlo? – gli chiesi.
– Lo sai bene, Ev – mi rispose Sammy.
– Parli di Samantha? – gli chiesi.
– Sì… Parlavo proprio di lei… – rispose in tono non troppo convinto.
Per qualche minuto scese il silenzio. Non avevo voglia di dormire, avevo voglia di parlare ancora un po’.
 – Se ti dico una cosa prometti di non giudicarmi e di non dirlo a nessuno? – dissi.
Sammy annuì assonnato.
– Sammy, hai capito? – gli chiesi, scuotendolo.
– Ev, possibile che metti ancora in discussione la mia fiducia? Parla liberamente! – disse, ridestandosi improvvisamente.
– Ricordi quel David di cui ti parlavo? Devi sapere che è un… è un… vampiro – dissi con voce tremante.
Sammy si girò e mi guardò dritto negli occhi.
– E tu hai amato un vampiro? – disse, strabuzzando gli occhi, in leggero tono di rimprovero.
Annuii senza guardarlo in viso, non sarei riuscito a sostenere il suo sguardo. Mi stupì, abbracciandomi.
– Sai bene che è stata una pazzia e che se lo rifarai ti prendo a calci – mi sussurrò all’orecchio.
La luce argentea dell’occhio del cielo incorniciava onirica i nostri corpi avvinghiati.
– Mi ha fatto… male – dissi.
– Te lo sei meritato – sussurrò Sammy con voce calda, accarezzandomi in modo rassicurante.
– Piantala, non è cattivo, non tutti i vampiri sono uguali! – esclamai, scostandomi.
Se solo avesse saputo ch’ero stato io a trasformarlo non mi avrebbe più parlato.
– Se prova ad avvicinarsi a te, si ritroverà un paletto nel cuore prima ancora che riesca a toccarti – disse buttandosi su di me.
– Sammy, mi fai male! – mi lamentai.
Tuttavia, non sembrava intenzionato a spostarsi e avvicinò lentamente il suo viso al mio.
– Nessun vampiro ti farà più del male ­– sussurrò.
Sentivo il suo respiro e il battito del suo cuore. Mi sentivo appagato, protetto ed emozionato. Il suo viso si fece sempre più vicino, fino a quando non ci baciammo. Ci amavamo, ogni tanto fisicamente. Trovavo gradevole ogni cosa in lui, i suoi intensi e aggressivi occhi verdi, il suo sbarazzino caschetto biondo cenere, la sua profumata pelle chiara. Pur essendo magro quanto me, esprimeva sicurezza, virilità. I nostri corpi si incastravano perfettamente. Dopo aver soddisfatto il nostro bisogno di amore, mi accasciai sul cuscino e Sammy mi abbracciò.
– È stato bellissimo – sospirai sognante.
Sammy mi strinse e calò il silenzio. Non volevo ancora dormire, speravo quel momento non finisse mai.
– Certo che abbiamo uno strano modo di dimostrarci l’affetto – dissi.
– Se sei in fase paranoia rimanda a domani che ho sonno – disse il biondo poggiando testa sulla mia spalla.
– Ma no… Volevo solo dirti che… con te sento un forte legame… È la prima volta che provo così tanto affetto – dissi.
– Grazie, Ev – disse, scostandosi e girandosi, voltandomi le spalle.
– Ho detto qualcosa che non va? – chiesi sorpreso.
 Sammy si voltò e mi diede un bacio in fronte.
– Sei l’unica persona a cui tengo – disse.
Poi, si girò nuovamente e mi diede la buonanotte. Riusciva sempre a sorprendermi. Lo abbracciai e mi abbandonai ad un lieto sonno.
 
L’ISTITUTO ARTEMIA MONIS
 
La notte trascorse rapidamente. Senza sapere che ore fossero, aprii gli occhi, svegliato dal frenetico bussare della mamma.
– Evan alzati, è tardi! Non dirmi che di nuovo vuoi saltare la scuola? Evan? Sei sveglio? Evan? EVAN! – urlava dietro la porta.
– Mamma, mi sto alzando. Sammy… Sammy, sveglia! – dissi dolcemente, scuotendo leggermente il suo corpo.
– Dana… Dana… Oh, Ev, sei tu – disse, stropicciandosi gli occhi.
– Chi è Dana? – chiesi con un sorriso malizioso.
– Una tipa niente male da cui mi hai appena strappato via – disse, alzandosi.
– E figurati – dissi rassegnato. – Sbrighiamoci, Hally ci aspetta –.
Ci vestimmo velocemente e scendemmo per fare colazione.
– Ma c’è anche Sammy? Ciao! – disse la mamma stupita.
– Sì, mamma, prendiamo due brioche e le mangiamo per strada, siamo già in ritardo – dissi.
Il suo sguardo si fece malizioso e cercò di capire se avevo qualche cattiva intenzione, ma si rasserenò dopo poco.
– Ok, ciao amore – disse riempiendomi di baci.
Sammy la salutò e ci incamminammo verso scuola, trangugiando le brioche. Davanti al portone d’ingresso trovammo Hally, con un libro stretto tra le braccia, che ci aspettava.
– Buongiorno Hally! – esclamai lieto.
– Buongiorno ragazzi! – rispose quella pimpante. – Sono così emozionata per il primo giorno di liceo che ho portato quasi tutti i libri che abbiamo in programma! –.
– Pensa, io non ho neanche una penna! – commentò Sammy.
– Quella io la ho! – esclamò una rossa e bassa ragazza.
– Buongiorno Margaret! – esclamai.
Quella ricambiò con un gran sorriso. Margaret era una vicina di casa. Era di corporatura tozza e aveva i capelli sfibrati di un rosso tendente all’arancione, la pelle molto chiara e lentigginosa.
– Margaret tutto a posto? Hai una faccia… – dissi.
– Non proprio, quell’antipatico di Jeordie Wiston mi ha umiliata di fronte ai suoi amici – disse.
– Wiston è proprio un… – disse Sammy, cercando di controllarsi.
– Cos’è che sarei, Cunningham? – sibilò Jeordie Wiston, che passava per caso dietro di lui.
Alto, magro e terribilmente viscido, sia alle elementari che alle medie era stato il più popolare della scuola. Suo padre era il sindaco di Metafora e lo viziava in ogni modo. Lo avevo conosciuto qualche settimana dopo essere tornato a casa, il giorno in cui mi ero iscritto a scuola. Adesso, rivolgeva uno sguardo inquisitorio a Sammy.
– Wiston, levati dai piedi – disse Sammy minaccioso.
– Volentieri, non ho mica voglia di stare con tre sfigati e una balena – disse quello sdegnato.
La faccia di Sammy cambiò colore. Stava per dire qualcosa, ma lo fermai.
– Sammy, calmati, lascialo perdere – dissi con decisione.
– Meglio essere ciccioni che viscidi come te, Wiston! – urlò Margaret.
Wiston si dileguò entrando a scuola, circondato da Russel Daily e Iolanda Neumann, due elementi poco raccomandabili.
– Qualche volta lo uccido – ringhiò Sammy incollerito.
– Ragazzi, è solo un bambino viziato, non dovete dargli retta – commentai.
Sammy annuì silenziosamente, con gli occhi ancora concentrati sulla sagoma lontana dell’acido biondo.
– Su, non facciamoci rovinare la giornata, ci aspetta una lunga serie di entusiasmanti novità! – esclamò Hally entusiasta.
Sammy e Margaret la fissarono perplessi.
– Beh, non sarà così terribile il primo giorno… Conosceremo i nuovi insegnanti, ci pensate? – continuò emozionata.
Continuarono a fissarla perplessi.
– Ok, sto zitta – disse senza entusiasmo.
– Parliamo di cose allegre, stasera andiamo al Luna College? – chiesi.
– Magari ne parliamo quando usciamo, se siamo ancora vivi – disse Sammy.
Suonò la campana ed entrammo a scuola.
Fu strano varcare la soglia del nuovo istituto. Non capivo perché trovassi così accogliente quella vecchia struttura. Era la classica scuola un po’ malandata, con file di armadietti lungo i larghi corridoi e distributori di lattine ad ogni angolo. Entrammo in classe. Nonostante fosse piccola, risultava gradevole quella stanza verde chiaro con una greca color legno che le correva intorno. I nove banchetti erano divisi in tre gruppi. Mi sedetti vicino a Sammy e ad Hally nei banchi alla destra della cattedra, vicino alla finestra. Accanto a noi, al centro della classe, sedevano Margaret, Helen Warner, una compagna delle medie di Sammy ed Hally, e Karly Stephenson, sua migliore amica. Alla sinistra della cattedra sedevano Joerdie Wiston e la sua banda.
– Che bello, siamo a scuola, vi rendete conto? – disse Hally entusiasta.
– Deve avere qualche rotella fuori posto – mi disse Sammy.
Improvvisamente, calò il silenzio. Mi voltai per capire cosa fosse successo e vidi un’alta donna chiudere la porta e dirigersi verso la cattedra a passo sicuro. Aveva capelli e occhi castani, occhi decorati da una leggera montatura, e qualcosa di anomalo: due spalle eccessivamente larghe per essere femminili. Avrà avuto circa quarant’anni, l’alta figura gradevolmente sofisticata.
– Buongiorno a tutti, sono Nell Stephen, la vostra nuova insegnante di storia – disse.
La sua voce era nasale a tal punto che sembrava parlasse con le narici, e così buffa che riuscii a trattenere a stento una risata. Inoltre, aveva un difetto fonatorio, a causa del quale pronunciava con troppa enfasi la lettera t.
– Siete fortunatti, come vedette, in pochi si segue meglio – disse, cercando di risultare simpatica. – Adesso farò l’appello e, quando dirò il vostro nome, vi presenterette. Adaman Evan –.
Quando sentii il mio nome, mi sentii avvampare. Mi alzai timidamente in piedi, cercando il sostegno di Sammy mentre allargavo il colletto della mia maglietta col viso di panda, e mi schiarii la voce.
– Sono Evan Adaman, sono nato il 3 luglio, ho quattordici anni e vengo da Moonville – dissi.
Joerdie Wiston sibilò qualcosa all’orecchio di Iolanda Neumann, che scoppiò a ridere.
– Qual è il tuo sogno nella vita, Evan? – mi chiese la Stephen, rivolgendogli un’occhiata di disappunto.
– Il mio sogno? Beh… Il mio sogno è combattere per la pace – dissi, imbarazzato.
La Stephen mi sorrise, stupita, e mi chiese se volessi fare il militare.
– M–militare? No! Cioè, non proprio! – balbettai.
Capii che dovevo mentire solo quando Sammy mi diede un pizzicotto nella gamba.
– Cioè, sì! – dissi disperato, incapace di inventare una scusa plausibile. – Insomma, il mio sogno è quello di vivere in un mondo felice, in cui tutti si vogliano bene, in cui non esistano odio e paura –.
Joerdie Wiston e i suoi scagnozzi sghignazzarono volgarmente.
– Non c’è niente da ridere, ragazzi – li riprese la Stephen con un sorriso disarmante. – Cunningham Sammy –.
Sammy si alzò di scatto, cercando di risultare sicuro di sé, picchettando leggermente con le dita la propria camicia quadrettata nella zona addominale. In quel momento, i suoi jeans erano a vita particolarmente bassa.
– Che dire, sono nato il 7 novembre e sapete già come mi chiamo e quanti anni ho. Il mio sogno è quello di crearmi una famiglia, visto che non ne ho mai avuta una, e di essere felice. Non ho particolari pretese – disse.
Joerdie Wiston lo guardò con espressione disgustata e si voltò indignato. Io, invece, fui molto colpito da ciò che disse. Sapevo che Sammy era cresciuto con sua nonna, ma non gli avevo mai voluto chiedere il perché. La Stephen lo guardò con espressione seria e indecifrabile, dissimulando curiosità.
– Molto bene. Daily Russel – disse con professionalità.
Il pelato e robusto braccio destro di Joerdie Wiston si alzò in piedi. Notai solo allora quanto fosse largo il suo naso e quanto la sua espressione poco intelligente. Aveva la classica faccia da energumeno e i suoi occhi esprimevano cattiveria.
– Il mio nome è Russel Daily, sono nato il 20 gennaio e il mio sogno è fare il calciatore – disse, sputacchiando.
Joerdie Wiston alzò gli occhi al cielo e osservò Iolanda Neumann scuotendo il capo.
– Molto bene. Finnigan Hallison – disse la Stephen.
Proprio nel momento in cui Hally si alzò, alla Stephen cadde la penna. Quando si chinò per prenderla, vidi la cattedra alzarsi leggermente. Ebbi l’impressone che la professoressa l’avesse alzata con facilità, utilizzando solo una mano. Pensai di averlo sognato.
– Scusatte. Prego, signorina Finnigan – concesse gentilmente la Stephen, sistemandosi i capelli.
Hally tolse le mani dalle tasche dei jeans a zampa, si sistemò il maglione rosso all’altezza dei fianchi e cominciò a gesticolare freneticamente. Il suo volto era dello stesso colore dei suoi capelli.
– Sono Hallison Finnigan, nata il 13 marzo, ho quattordici anni e vengo da Moonville. Il mio sogno è frequentare il collage e laurearmi, perché penso che lo studio sia la cosa più importante. Non mi definisco una ragazza noiosa, però ammetto che l’idea di passare un’intera giornata su antichi testi storici mi alletta da morire! Grazie – disse timidamente, tornando a sedere.
Iolanda Neumann sbuffò.
– Ha ragione, signorina Finnigan. Prego, Green Margaret – disse la Stephen.
Tirando leggermente in avanti le bretelle della propria salopette in jeans, Margaret cominciò a parlare con disinvoltura.
– Il mio sogno è quello di fare la scrittrice e di avere tanti soldi per potermi comprare una casa con un bel giardino. Sono nata il 10 maggio – disse.
Da come parlava e da ciò che disse, pensai che avesse l’innocenza di una bambina. La trovavo molto simpatica.
– Certo. Neumann Iolanda – disse la Stephen.
Quando la corvina ragazza dal viso d’angelo si alzò, le rivolse una silenziosa occhiata obliqua. Scostando i capelli che gravavano sul suo maglione bluastro, Iolanda Neumann strinse le pungenti pupille azzurrine e cominciò a parlare con espressione da saputella.
– Sono Iolanda Neumann, sono nata il  24 giugno, ho quattordici anni e, ovviamente, vengo da Moonville. Il mio sogno nella vita è quello di fare l’attrice. Ho fatto da poco dei provini per una fiction televisiva e ho vinto diverse fasce importanti, quali Miss Moonville e Miss Dite – disse.
La Stephen le rivolse un sorriso palesemente falso e passò avanti.
– Stephenson Karly – disse.
La minuta e olivastra Karly si alzò timidamente, accarezzandosi i morbidi e leggermente sfibrati capelli castani. Prima che iniziasse a parlare, Helen le sistemò la rossa maglietta aderente.
– Ciao a tutti, sono Karly Stephenson, sono nata il 6 aprile e sono di Moonville. Il mio sogno è quello di sposarmi e di crescere dei figli – disse, spostando nervosamente a destra e sinistra gli occhi castani per studiare l’espressione della Stephen.
La professoressa annuì gentilmente e chiamò Helen Warner.
Con naso all’insù ed espressione arcigna, quella si alzò in piedi e cominciò a parlare con disinvoltura, mentre i suoi mossi capelli castani ondeggiavano lentamente.
– Che dire, sono nata il 13 settembre e la mia passione è lo studio, naturalmente. Ho sempre avuto il massimo dei voti in tutte le materie e sia alle elementari che alle medie ero la più brava della classe. Faccio equitazione da quand’ero bambina e il mio sogno è quello di diventare una scienziata – disse.
La Stephen la osservò un po’ perplessa.
– E per finire… Wiston Joerdie – disse.
Guardando la professoressa quasi fosse un verme, il velenoso Wiston si alzò. Il suo viso pallido dai delicati lineamenti, coronato da biondi capelli e reso pungente da taglienti occhi di smeraldo, era disgustato.
– Sono nato il 2 settembre e tutto il resto lo sapete. Non ho un sogno nella vita, perché la mia vita è già il sogno che tutti desiderano. Ma non tutti possiamo essere figli del sindaco – concluse viscidamente.
La Stephen lo guardò con espressione interrogativa. Poi, chiuse il registro, aggirò la cattedra e vi si sedette di sopra.
– Molto bene. Adesso, visto che mi avete parlato di voi, vi dirò qualcosa di me – disse con un sorriso. – Sono natta il 14 marzo e sono di Moonville. Non è da molto che insegno in questa scuola e la mia matteria preferitta è la Storia, ovvero quella che insegno. È facile andare d’accordo con me, basta studiare ed essere educatti. Sarette lietti di sapere che non do molti compiti, ma meno lietti di scoprire che pretendo costanza. Se ne avrete voglia, insieme ci divertiremo –.
Successivamente, cominciò a presentare parte del programma che avremmo affrontato, destinando poche parole ad ogni argomento.
– Avanti, sono sicura che qualcuno di voi saprà chi è Napoleone. Chi sa dirmi quando morì? – chiese.
Io e Sammy evitammo di incrociare il suo sguardo, Hally ed Helen alzarono la mano.
– Signorina Warner? – disse la Stephen.
Scorsi la delusione dipinta sul volto di Hally quando fu fatto il nome della compagna.
– 5 Maggio 1821 nell’isola d’Elba – rispose Helen con aria da saputella.
Joerdie Wiston e la sua banda risero sottecchi, mentre la Stephen sembrò compiaciuta.
– Ottimo, signorina, vedo che ha un’ottima preparazione – disse quella.
Quando suonò la campana, la professoressa si alzò e si mise la giacca avana che aveva poggiato sulla cattedra.
– Fatte una ricerca su Napoleone, la prossima volta ne parleremo insieme –.
Poi prese i libri e uscì dalla classe. Hally si avvicinò sconsolata a me e Sammy.
– Non è giusto, ho studiato tanto per fare una buona impressione il primo giorno e non vengo presa neanche in considerazione – brontolò.
– Io sono lieto di non essere stato preso in considerazione – disse Sammy, stiracchiandosi.
– Dai, Hally, fa niente. Sono sicuro che non hai studiato solo per fare buona figura – dissi.
– Sì, certo, però… D’accordo, sarà per la prossima – disse facendo spallucce.
Una voce viscida ci distrasse dal discorso, attirando la nostra attenzione.
– Warner, sei patetica – sibilò Joerdie Wiston.
– Wiston, qui dentro sappiamo tutti perché hai sempre avuto buoni voti. Io almeno li ho sempre meritati – sibilò Helen.
A quel punto gli occhi del biondo si fecero più perfidi.
– Meglio essere figli del sindaco che di un contadinotto – disse velenosamente.
Helen arrossì e fu sul punto di piangere.
– Karly, andiamo in bagno – disse, tirando l’amica per il braccio.
Alle medie, Hally veniva considerata una ragazza molto studiosa, Helen e Karly invece erano ritenute due secchione sociopatiche. Soffriva, Helen, quando qualcuno le facevano notare ch’era saputella, ma non riusciva a fare a meno di ostentare la propria conoscenza. Mentre le due amiche stavano per andare in bagno, incrociarono una figura elegante sul ciglio della porta della classe.
– Dove andate, signorine? – chiese.
– Professoressa, avevo bisogno di andare al bagno, ma visto che lei è tornata… – disse Helen, cercando di trattenere le lacrime.
– Andate pure – disse quella gentilmente.
Non riuscivo a credere ai miei occhi.
– Non ci posso credere, è Alberta Mauro, la storica professoressa italiana! È stata insegnante di mia madre e proprio lei mi ha detto che girano strane voci sul suo conto… Dicono sia un vampiro! – sussurrai, rivolgendomi a Sammy.
Quello cercò di trattenere le risate.
– Questa nonnina un vampiro? Ma smettila! – disse sghignazzando.
Aveva un aspetto rassicurante, Alberta Mauro, da buona persona anziana. Era dotata di un certa eleganza nel muoversi, nonostante avesse un aspetto un po’ trasandato. Aveva un viso largo, tempestato di rughe poco profonde, concentrate soprattutto attorno ai buoni occhi castani. Le sua labbra, piccole e rosee, sembravano racchiudere parole d’incanto e gentilezze. I suoi capelli canuti, coronati da un grazioso ciuffo rivolto verso destra, erano corti. Quando lo sguardo dell’anziana professoressa vestita di bianco incrociò il mio, diventò analitico e curioso. Distolse a fatica quegli occhi magnetici, concentrando la propria attenzione sul dorso bluastro del registro.
– Buongiorno a tutti, sono la professoressa Alberta Mauro, la vostra nuova insegnante di letteratura. Oggi, faremo qualche breve accenno alla concezione letteraria dei più grandi autori recenti – disse, senza troppe cerimonie.
Ero molto incuriosito da quel bizzarro personaggio che, ogni volta che osservavo, trovavo familiare. Sammy sbuffava, completamente disinteressato a tutto ciò che lo circondava, Hally sembrava estasiata. Anche se biasimai l’atteggiamento di Sammy, dopo circa mezzora di lezione mi persi nei ricordi. Cominciai a pensare a Philip, un vampiro con il quale avevo avuto una profonda amicizia che non sfociò in amore, ma in odio feroce. Tuttavia, puntualmente, preferivo ricordare solo i bei momenti trascorsi con lui. Mi tornò a mente di quella volta in quel cimitero…
– Evan… – ripeteva Philip piangendo.
– Phil, parlami! ­Che ti prende? – gli chiesi, visibilmente preoccupato.
– Prometti di non odiarmi, Evan – mi disse, piangendo.
La pioggia rendeva tutto surreale, ma estremamente romantico. Lui, inginocchiato ai miei piedi, col nero chiodo zuppo di pioggia, era più bello che mai. I suoi lineamenti definiti, il suo collo sottile e sinuoso dal pomo maschile e pungente, i suoi corti e arruffati capelli castani… era tutto meraviglioso.
– Evan… Per me sei importante… – mi disse tra fiumi di lacrime.
– Anche tu per me sei importante… ­– gli dissi, fissandolo intensamente.
Sembrava di vivere una fiaba maledetta.
– Evan… Io… Tu… – balbettava, piangendo.
– Non aver paura, parla! – gridai, cercando di contrastare il forte rumore della pioggia.
Io ti amo! – urlò piangendo, quando un fulmine squarciò il cielo.
In realtà lo avevo già capito, ma desideravo ardentemente sentirglielo dire.
– Phil… Come potremo mai amarci? Siamo così diversi… Tu – balbettai, interrompendomi.
Il temporale infuriava, l’albero sotto cui eravamo rifugiati appariva sofferente, temprato dalle intemperie.
– Lo sapevo… Non dovevo dirti niente… Uno come te non può amare uno come me… – disse addolorato.
– Non possiamo mai sapere cosa ci riserva il futuro, possiamo solo decidere se vivere un sentimento o reprimerlo. Io voglio viverlo – dissi commosso, abbracciandolo.
Non rispose. Stemmo abbracciati a lungo, riscaldandoci e proteggendoci l’un l’altro.
– Lei cosa ne pensa, signor Adaman? – mi chiese la Mauro, riportandomi improvvisamente al mondo reale.
Mi accorsi che tutti erano rivolti verso di me.
– Io? Beh… Non ho un vero parere a riguardo – balbettai timidamente.
Sammy sghignazzò silenziosamente.
– Si ricordi che Foscolo riesce ad esprimere perfettamente le contraddizioni dettate da un forte sentimento e gli esiti estremi a cui esse possono condurre. La invito a leggere le sue poesie – disse la Mauro, con uno strano sorriso stampato sul volto. – Non sottovalutate il potere della letteratura, può aprirci orizzonti di cui sconoscevamo l’esistenza -.
Rimasi scosso dalle sue affermazioni. Sentii che sapesse che stavo pensando a qualcosa di romantico, sembrava avermi letto nel pensiero.
– “Non ho un parere a riguardo” – mi scimmiottò Sammy.
– Piantala, idiota! – dissi, colpendolo con una gomitata.
La campanella suonò poco dopo.
– D’accordo, la lezione è finita. Pensate a quanto ci siamo detti oggi – concluse la Mauro, fissandomi.
Uscimmo velocemente dalla classe, facendo un gran chiasso.
– È assurdo, deve essere per forza un vampiro! – dissi, passeggiando nei corridoi con Sammy e Hally.
– Non era difficile intuire che stavi pensando a Philip, considerando che avevi gli occhi a cuoricino – disse Sammy ridacchiando.
– È stato strano comunque – dissi pensieroso.
– Beh, vampiro o non vampiro, sembra molto preparata… Parlare di Foscolo alla prima lezione… – disse Hally trasognata.
– Ma poi guardala, Evan, con un altro po’ la vedremo col bastone, altro che vampiro! – disse Sammy gesticolando.
– Non so, è strana… Comunque, sono molto contento di questo primo giorno, solo tre ore di lezione e una prof che sembra molto buona! – dissi estasiato.
– Ehi ragazzi! – disse una voce alle nostre spalle.
Ritrovandosi Margaret vicina, Sammy sembrò inorridito.
– Ciao Marge! Piaciuta la lezione? – le chiesi, sorridendo.
– È fantastico, la Mauro con noi, non ci posso credere! – disse estasiata.
Hally sembrò ridestarsi da un lungo sogno.
– Concordo! Parlare di Foscolo alla prima lezione! – disse, saltellando eccitata.
– La conoscevi già, Marge? – chiesi sospettoso.
– Certo, è una cara amica di mio padre – rispose la rossa.
La guardai incuriosito e quella colse la mia espressione.
– Si sono conosciuti molto tempo fa, non saprei come, è stato prima che nascessi. Penso sia molto simpatica, una volta ha letto un mio racconto e ha detto che sarei diventata una grande scrittrice – disse.
Raggiungemmo l’uscita della scuola, e un timido sole settembrino c’investì.
– Ragazzi, adesso devo andare, a domani! – disse Margaret, salutandoci con un cenno e correndo verso una grande macchina nera.
Osservai il veicolo allungato con i finestrini oscurati.
– Però… Se sposassi Margaret farei un affare – disse Sammy, ipnotizzato dal veicolo.
– Sei un idiota! – dissi, colpendolo giocosamente.
– Povera Margaret, sembra così sola… – disse Hally in tono triste.
– Già, cerchiamo di starle accanto – dissi, rivolgendo uno sguardo severo a Sammy.
– Comunque, ragazzi, adesso che non ci sono intoppi, che ne dite di uscire stasera? – chiese Sammy.
Gli rivolsi un’occhiataccia.
 – “Intoppi”? – sibilai. – Ci vediamo al Luna College alle 21.30 –.
– Come? Non ci vediamo pomeriggio? – mi chiese Sammy.
– Sai benissimo che ho bisogno di una lunga e rilassante doccia e di un po’ di riposo, visto che stanotte andrò di nuovo al cimitero – dissi senza entusiasmo.
Dopodiché ci salutammo.
Pranzai velocemente e mi infilai sotto la doccia. Mi rilassai talmente tanto che vi rimasi quasi un’ora. Appena finito, indossai il pigiama e mi buttai stancamente sul letto, per addormentarmi qualche secondo dopo.
  
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