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Autore: Roxed    01/11/2015    0 recensioni
"Adam apri gli occhi, apri questi cazzo di occhi"
La voce era arrabbiata e alquanto distorta, come quando si sente una stazione ma non vi arriva l'onda. Decisi quindi, dopo averla riconosciuta, di aprirli e davanti a me c'era mio padre, morto ormai da 15 anni.
Genere: Horror, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: Violenza
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Stavo camminando per le strade della più disordinata e caotica città americana, ovvero Los Angeles. Come al solito ero in ritardo per il mio lavoro, la sveglia non aveva suonato e io quindi non mi ero svegliato. Odiavo la tecnologia, pensavo che era davvero futile, poichè doveva aiutare gli esseri umani e invece io mi ritrovai in ritardo a causa sua. Ed il bello è che era il primo giorno di lavoro e si sapeva che i novellini venivano sempre o maltrattati oppure ridicolizzati difronte a tutti quanti. Il mio cellulare, un vecchio 3310, squillò nel mio giubbotto di pelle facendomi trasalire, dato che stavo pensando ad altro.  "Sono Adam Rose, chi parla? " "Sono il tuo capo, Jesse Tresy, perchè non sei qui? Credevo che i neo diplomati arrivassero sempre in anticipo e invece tu sei in ritardo" Disse urlandomi nelle mie orecchie rendendomi quasi sordo, con voce incazzata e tonante. Non avevo sentito mai una ragazza avere quel timbro di voce. "Sono a due passi dalla stazione di polizia, arrivo" Dopo aver detto questo, riattaccai il telefono ed inizia a correre. Davanti a me si presentò quella enorme struttura chiamata centro di polizia, che era alquanto grande e bianca, asettica, senza emozioni. Presi coraggio e mi avviai verso la porta scorrevole e pensai di voler fumare ma non avevo tempo, tutta colpa della sveglia. Entrai velocemente e mi recai verso la reception, che era un cabinato di 4 metri per 5, era simile ad una gabbia per uomini.  "Scusami dove è il reparto scientifico delle persone scomparse?" Chiesi con tono gentile, però molto stanco data la precedente corsa per arrivare li. I miei occhi si posarono sulla persona all'interno di quel cabinato, era un uomo grasso, semi pelato, con il rimanente dei capelli che erano zozzi e pieni di palline di forfora. I suoi occhi erano da pesce lesso e anche la sua intelligenza non era quella di una persona normale, era quella di un scimpanzé ubriaco. Aveva una ciambella in mano e appena si voltò verso di me per rispondermi, riuscii a vedere dietro di lui un enorme pacco di quelle delizie fritte e piene di grassi, che molto spesso portano le persone a diventare degli addicted obesi.  "Sempre dritto, sali le scale fino al terzo piano e poi gira a destra" Dalla sua bocca uscirono oltre a quelle parole anche pezzi masticati della ciambella, che mi arrivarono sulla faccia e sulla mia camicia nera, macchiandomela. Sbuffai non poco mentre salivo le scale, dato che quel tipo che respirava pesantemente e faceva rumori suini, mi aveva sporcato il migliore vestito che avevo. Si non avevo gran che dato che non ero un tipo da amare la moda, preferivo andare a comprare i miei vestiti nei piccoli mercatini o negli outlet e con i soldi risparmiati compravo giochi e sigarette. Lo sapevo che le sigarette erano un brutto vizio, infatti cercai spesso di smettere ma amavo fumare, mi faceva distrarre dalle varie problematiche che avevo. Istintivamente girai appena finii di salire le scale e davanti ai miei occhi increduli il reparto delle persone scomparse. Era davvero enorme, grande quanto un centro commerciale aperto in questi anni. Infatti c'erano venti piccoli uffici, ognuno attaccato all'altro e alla fine del corridoio c'era un ufficio così grande che la casa dove abitavo sembrava una piccola tana. Sulle porte c'erano delle incisioni in ottone antico, molto scolorito ed opaco, con nome e cognome di ogni componente di quel gruppo che facevano parte di una delle più importanti branche della polizia. Davanti a me trovai una ragazza che stava seduta su una sedia davanti ad un bancone semi circolare. Sopra di esso vi erano fogli sparsi, un telefono e dei postit con dei cognomi scritti in nero, con una calligrafia davvero ben leggibile, a differenza della mia che sembrava più quella di un piccolo sumero che scriveva in geroglifico. Mi avvicinai a lei, cazzo era proprio una bella ragazza, capelli biondi lunghi, occhi di un verde chiaro, viso angelico e un profumo che mi stava inibendo ogni mia facoltà mentale.  " Sono Adam Rose, mi dovevo incontrate con..." Non finii la frase che dalla porta in fondo uscii un'altra ragazza, alta, snella, con occhi vispi di color giallo oro, capelli corti di color nero corvino e viso pieno di trucco. Aveva più l'aria di un pagliaccio che di una ragazza. Mi disse, guardandomi con sguardo intimidatorio ed interrogatorio " signor Adam,siete in ritardo e vi fermate a filtrare con la nostra centralinista, al posto di venire subito da me?” "No in realtà io..."  ed ecco che mi interruppe di nuovo. Odiavo queste persone, erano prese solo da loro e nessun altro importava. Avrei voluto dirle in faccia cazzo fammi parlare, ma dato che era la capo reparto della branca di polizia delle persone scomparse non dissi nulla, mi limitai solo a fare un si con la testa, che mi fece spostare il mio ciuffo di color marrone scuro superiormente, mentre sotto erano più chiari. Che cavolo di capelli che avevo, i geni dei miei genitori si erano ben mischiati e si erano presentati entrambi e per ciò tutti i miei amici o almeno quelli che reputavo tali, mi avevano sempre preso per il culo affibbiandomi il soprannome di The Strange, Adam The Strange Rose. Cazzo quanto lo odiavo quel nomignolo, che era detto con tono di ribrezzo dalle loro voci e la cosa peggiore è che per le superiori e gli anni universitari, tutte le persone che neanche conoscevo mi salutavano cosi. Jesse Tresy si spostò verso il suo ufficio e disse verso di me con quel tono da persona superiore "Seguimi che ti mostro il tuo ripostiglio o meglio l'ufficio"  Si mise a ridere, come una ebete cercando complicità anche con la ragazza della reception che la guardò e rimase li con sguardo orripilante. Appena lo vidi mi misi a ridere e Jesse Tresy pensò che stessi ridendo per lei e quindi mi fece un sorriso mostrandomi quei denti perfetti che da lontano mille miglia si capivano che erano finti o meglio alcuni erano veri altri invece erano fatti di ceramica. Ebbi un brivido, chissà se alla sua età anche io possa perdere i denti, sperai vividamente di no dato che andare dal dentista era una cosa che avrei evitato molto volentieri. Non chiesi la sua età dato che seguivo il galateo e il buon comportamento da gentiluomo, quindi rimasi con il dubbio, ma dalla sua corporatura gli diedi più o meno una 30 d'anni.  Mi condusse al mio ufficio e mi disse guardandomi in faccia con i suoi occhi vispi  "Bene ora dovrei aspettare che qualcuno sparisca e poi potrai entrare subito in azione, per adesso tutti i casi sono già stati presi dagli altri. Ah comunque all'ora di pranzo conoscerai tutti i vari agenti, spero che ti troverai bene qui." Le ultime frasi vennero dette in modo freddo e quasi indifferente, ormai l'avevo inquadrata e sapevo come sarebbe stato il suo comportamento dato che a lei interessava solo la gloria e anche se i suoi agenti si menavano o si odiavano, lei non avrebbe mosso un dito per chiarire le varie incomprensioni. La vidi andarsene via ed entrare nel suo gigantesco, abnorme ufficio e appena entrata tirò giù le serrande di ogni finestra e si isolò dal mondo esterno, neanche mi diede il tempo di rispondere alle sue false parole ma mi andava comunque bene così. Presi un grosso respiro ed entrai, avevo la mano tremante quando aprii la porta, infatti feci difficoltà a girare quella maniglia tonda di ottone antiquata. All'interno vi era una scrivania che era posizionata vicino ad una finestra che dava sull'esterno di quella struttura.  Su quella scrivania vi era un cesto di frutta con un piccolo foglio, che si trovava sotto di questo. Presi il figlio con estrema tranquillità, vidi della scrittura, quindi me lo potrai vicino alla faccia e inizia a leggerlo. Vi era scritto Buon primo giorno da parte di tutti, immagini subito che erano i miei colleghi ad averlo comprato e posto come omaggio. Le miei iridi andarono di nuovo sul cesto e feci un sorriso, erano tutte banane, grandi e gialle. Dissi ad alta voce, facendo qualche passo verso la finestra del mio ufficio, con l'intenzione di aprirla  " che scherzo, ahahahahaha, il nuovo arrivato è gay ama le banane"  tranne le prime parole le altre modificai la mia voce imitando quella di un mio ex compagno di università, che spesso mi faceva questi scherzoni da bambino con problemi mentali molto gravi. La mia mano destra andò ad aprire la finestra tirandola verso di me, mentre la sinistra stava tastando i miei vestiti per scoprire dove avessi messo le sigarette e l'accendino Zippo. Il pacchetto di sigarette stava nella tasca destra dei jeans neri, lo tirai fuori e con una rapida schicchera sulla base, feci uscire una sigaretta che venne catturata immediatamente dalla mia bocca. Con la mano destra lanciai il pacchetto sulla scrivania, con molta sicurezza e fermezza e per pura fortuna, che non ho mai avuto, si fermò preciso preciso sull'angolo più lontano da me. Con l'altra mano presi lo Zippo, lo portai prima sulla mia gamba per aprirlo e poi mi accesi la sigaretta.  Feci qualche tiro, facendo uscire un po di fumo dalla bocca e il restante dal mio naso, prima di girarmi a guardare la porta del mio ufficio che era spalancata. Lanciai Istintivamente la sigaretta, che non era neanche a metà, fuori dalla finestra e guardai chi era entrato, sperando iddio che non era la direttrice, se no avrei dovuto sorbire una ramanzina da parte sua con quella irritante voce. Era però la mia giornata fortunata quella, dato che dietro di me c'era la centralista o meglio detta l'organizzatrice della squadra, che mi aveva portato il caffè dentro una tazza, dove vi era scritto una dedica strana che non capii subito, dato che lessi solo tali parole "alla ma del do".  L'odore del caffè era penetrano nel mio ufficio, contrastando quello della sigaretta che ancora svolazzava nell'aria anche se la finestra era aperta. Presi con la mano destra, allungandola fino al manico infilandoci tre dita, per poi portala verso le mie labbra, che già presentavano un sorriso. Lei mi guardò negli occhi e disse, con una voce molto rilassante e piena di felicità "Era l'unica tazza libera che c'era, non potevo mica darti quella dei colleghi, dato che so anche io che vuol dire i primi giorni" La guardai con estrema calma, passai dai suoi piedini, che erano dentro delle scarpe con il tacco di color rosso acceso e credo pure di marca, per poi soffermarmi un pochino sul busto, dove pendevano due enormi protuberanze, che ad ogni suo movimento rimbalzano leggiadramente. Infine andai a guardare il suo viso, che era illuminato dai raggi solari che entravano dalla finestra e la rendevano davvero bella come una antica dea greca o latina, dato che i suoi biondi capelli facevano contrasto con la sua chiara pelle, sembrando ai miei occhi increduli, che la luce provenisse da lei e non dalla finestra.  "è vero che il sole bacia i belli e io che avevo sempre pensato che i detti erano solo stronzate." Dissi ad alta voce senza rendermene contro, solo dopo che la vidi ridere capii cosa avevo fatto. Non era la prima volta che dicevo ciò che stavo pensando, anzi era pure per questo che mi chiamarono The Strange. Solo un'altra ragazza si mise a ridere quando lo feci e mi disse che ero davvero un tipo interessante e molto simpatico e che mi avrebbe voluto conoscere. Ed iniziammo ad uscire insieme, più e più volte e diventammo fidanzati dopo svariate uscite e la cosa strana fu che lei me lo chiese e che mi baciò sulle labbra, sul treno di ritorno, dopo una serata ad un pub metallaro vicino ai bassifondi di Los Angeles. Restammo insieme per due anni, prima si quel fatale incidente avvenuto nella notte del mio ventesimo compleanno. Lei era solita tornare a casa sua, ovunque andava, a piedi siccome amava le passeggiate e soprattutto l'aria notturna che era un po più fresca e respirabile rispetto a quella del giorno, dato che lo smog era molto elevato. Quella sera però decise di prendere un autobus dato che era rimasta con me fino a tardi. Là dentro trovò la morte, dato che lì c'era oltre all'autista, anche un'altra persona, almeno così affermava Timmy, un altro ragazzo che prese quel maledetto autobus notturno, ma per sua fortuna scese prima dell'ultima fermata, dove la mia ex ragazza, di nome Maddy fu trovata senza vita, il mattino seguente. Stetti molto male, dato che ero io la causa della sua morte, ero io che la feci rimanere con me quella sera del 16 ottobre di cinque anni fa e la feci salire sull'autobus senza accompagnarla. Mi isolai dal mondo intero, dedicandomi solo allo studio, così da poter poi andarlo a cercare e ad arrestare quel lurido verme. La cosa strana era che Meddy non presentava né tagli né buchi che potessero indicare il metodo con cui l'assassino l'aveva trucidata. Quando mi resi conto dell'essere entrato in modalità detective, guardai la ragazza che muoveva le labbra dicendomi qualcosa che non riuscì a sentire, dato che in quella fase tutto ciò che era intorno a me diventava prima in secondo piano e poi scompariva totalmente, lasciandomi solo con i miei pensieri e ragionamenti. Era come se qualcuno mettesse un velo nero che mi impediva di rimaner cosciente su quello che mi stava succedendo attorno. Istintivamente feci di si con la testa, muovendo il mio ciuffo che aveva vita propria poiché anche se la mattina mi pettinavo, lui tornava alla sua posizione iniziale. La ragazza mi sorrise e mi scrisse un numero su un pezzo di carta, che aveva strappato da un suo quaderno che teneva sotto il braccio destro. Me lo consegnò e disse, mostrandomi di nuovo quel sorriso che un pittore o uno scultore non riuscirebbero a scolpirlo o riportarlo su un dipinto.  " Allora ci vediamo questa sera, al pub qui vicino ok? Ti aspetto signor belli capelli" ed uscì senza aspettare una mia risposta, dato che ero totalmente imbambolato su quel foglio che tenevo ora in mano, che tremava lievemente. Quando sentii la porta chiedersi, presi il mio 3310 e scrissi il suo numero, ma non sapevo il suo nome finché non lo lessi sotto il numero: Cassidy. Oltre ad avere una bella faccia, un corpo mozzafiato e tante curve sinuose anche il nome era davvero bello, sensuale e rispecchiava appieno la sua figura. Dissi ad alta voce, avvicinandomi alla porta, con l'intenzione di aprirla per uscire fuori "Ma cosa mi ha detto? "  si stavo parlando a me stesso, un'altra mia stranezza. Il problema era che lo facevo spesso, anche quando stavo con altre persone che ritenevo noiose. Ormai ero abituato alle miei stranezze, che non erano molte, forse solo cinque o sei, ma nessuna era peggiore rispetto alla mia doppia personalità. Questa l'avevo creata dopo la morte di Meddy, perché mi aiutava a continuare a vivere la mia vita. Diventai stronzo, schietto, chiuso in me stesso, irritante e piena di borio, ma il vero problema era che non me ne fregava un cazzo di niente, soprattutto se usavo le maniere forti per uscire dalle situazioni che mi davano sui nervi. Si era totalmente l'opposto di come ero io, dato che io non avrei mai fatto male a nessuno neanche se fosse stata una zanzara che succhiava il mio sangue, anzi la lasciavo fare. Io normalmente ero una persona dolce, simpatica e sensibile, forse pure troppo, che si riteneva un essere inutile e dannoso per le persone che mi stavano intorno. Non avevo vita sociale, soprattutto dopo la morte di Meddy, non che ne abbia mai avuta una. Fin da piccolo ero sempre l'ultimo ad essere avvertito su uscite o compleanni, sopratutto perché per un caso del destino potevo, ed anche adesso, entrare nei sogni altrui, scoprendo ogni volta le paure e le fobie di ogni persona. Mi ricordavo un episodio in particolare, vi era ancora Meddy e io stavo a dormire da lei, con lei, nuda fra le mie braccia e entrambi stavamo dormendo profondamente. Sentii un rumore e mi alzai lasciando Meddy riposare lì, siccome lei aveva il sonno molto pesante che neanche le cannonate o attacchi aerei potevano svegliare. Mi avviai verso il tintinnio che piano piano aumentava di forza. Arrivai in cucina e vidì Meddy che stava parlando con sua madre bevendo un tè, quando entrò di botto il padre dalla porta e si diresse verso di loro con aria furibonda e una faccia che non poteva indicare altro che aveva bevuto fino ad allora. Infatti i suoi zigomi erano rossissimi, mentre la faccia in totale era pallida come il latte, lo sguardo era vuoto quasi quanto quello delle persone che si drogano. La camminata, se pur svelta, mostrava squilibri dato che più che un essere umano mi sembrava una scimmia ammaestrata che doveva richiedere elemosine alle varie persone che passavano per di li, facendole impietosire per la sua condizione di animale sfruttato. La madre di Meddy disse alla ragazza di andarsene di là, poiché sapeva cosa sarebbe successo da li a poco, indicando la scala che l'avrebbe riportata in camera sua, ma lei cadde sulle sue ginocchia iniziando a piangere e a disperarsi. Decisi quindi di prenderla e portarla via con me, infatti allungai la mano destra cercando di raggiungerla, ma essa trapassò le sue esili braccia bianche. Oltre a rimanere sorpreso, siccome era troppo reale per essere un mio sogno, rimasi dubbioso, dato che non riuscivo a collegare il perché stavo facendo questo incubo e perché c'erano sia Meddy che i suoi genitori.​  " Meddy fuggi..." Dissi ad alta voce guardando il padre avvicinarsi alla tavola, che era imbandita e quindi piena di utensili per il tè, prendere un coltello e dirigersi verso la moglie. Non ebbi il tempo di chiudere i miei occhi che vidi Albert, così si chiamava il padre di Maddy, portare la mano dove teneva il coltello sul volto di Nora e con una forza e precisione le tagliò un pezzo di guancia, che cadde a pochi passi da me e da Meddy. Abbassai gli occhi per andar a vedere quel pezzo di carne che era ancora tremolante e pieno di sangue che continuava a colare piano piano, dolcemente sul terreno creando un piccolo ruscello che passò fra le mie gambe, per poi sparire dietro di me. A​lzai di nuovo lo sguardo portandolo verso Nora, che stava urlando dolorante e tentava con la mano destra, che non era per nulla ferma, di bloccare l'uscita del sangue che scorreva su tutta la sua figura, fino a cader a terra. Qui però non vi erano tracce, come se toccando quelle mattonelle di color blu fosse risucchiato da queste. Perdeva molto sangue, infatti il suo colorito che di solito era bello rosso e paonazzo, stava piano piano diventando bianco e i suoi movimenti diventavano sempre più lenti. Mi portai verso Meddy che era ancora a terra con la faccia rivolta al muro, non stava guardando per sua fortuna, perché mentre feci l'ultimo passo e mi posizionai davanti alla mia ex ragazza, come un scudo. Il padre attaccò di nuovo rabbiosamente, puntando questa volta la gola di Nora, che come un panetto di burro venne penetrata da quel coltello. Gli occhi di Nora da celesti divennero piano piano bianchi, senza vita. Il suo corpo cadde a terra, come un piccolo frutto maturo cade dall'albero, le sue mani andarono a cingerle il busto, mentre le gambe lentamente scivolarono in avanti. Albert tirò fuori il coltello dalla gola della moglie e con sorriso sadico si avventò su Meddy, mentre dal corpo di Nora, più precisamente dal buco creato dal coltello per la carne, uscì sangue che mi attraversò colpendo il muro bianco della cucina. Mentre ero incantato dalla scena, che mi fece raggelare il mio sangue, non mi accorsi che Albert aveva già preso Meddy per un braccio e tirata su e passava il coltello, pieno di sangue, sulla sua innocente faccia. Non feci in tempo neanche a chiudere un occhio o a deglutire, che mi ritrovai di nuovo in camera, con il fiatone e lacrime sugli occhi e dei conati di vomito mi stavano risalendo. Infatti corsi in bagno a vomitare tutto quello che avevo mangiato il giorno prima, mentre la mia dolce ex metà stava ancora dormendo beata sul letto e anche con tutto il casino che feci non si alzò per niente.​ Scesi le scale, non prima di aver preso il mio telefono e aver digitato il numero di mia mamma, che mi rispose celermente. Era la prima volta che chiamavo di prima mattina, infatti la sua voce quando rispose era preoccupata e mi chiese subito come stessi, se era successo qualcosa o se la cena mi avesse provocato acidità di stomaco, la mia quarta stranezza. “ No mamma, no tranquilla è solo che..” Mi fermai subito, non volevo che lei si preoccupasse inutilmente per un incubo, stranamente vivo e grottesco. Scaccia per un attimo quell'idea e risi andandole a dire “ Con te non posso mentire. Mi è tornata l'acidità “ Infondo non era una bugia, dato che comunque avevo appena vomitato tutta la cena che mi aveva “preparato” Maddy, un bel cibo precotto che doveva solo riscaldare dentro il microonde. Dopo le solite raccomandazioni, ovvero prendi un succo di mirtilli che è basico così da contrastare l'acidità, mia madre riattacco ed io aspettai Meddy che si svegliasse, ma non chiesi nulla, solo che la vidi più stanca del solito anche se aveva dormito per 11 ore di fila. Mi resi conto che stavo ancora davanti alla porta a ragionare, era di nuovo entrato in quella mia particolare forma: la modalità detective e avevo perso molto tempo, infatti da che erano le 11, le lancette segnavano le 13 e 30 e io sarei dovuto essere in mensa per la presentazione. Iniziai quindi a correre e scesi le scale di fretta e furia, raggiungendo in pieno orario la mensa. Quasi tutti erano lì, o seduti uno vicino all'altro oppure in gruppo a bisbigliare fra loro di casi irrisolti o delle partita di football dell'altra sera. Presi un sandwich e ad agio mi sedetti in quei posti che nessuno usava, dato che erano per i detective che dovevano mangiare e tornare subito a lavoro, cosa che non dovevo fare io ma avrei tanto voluto. Neanche il tempo di azzannar il mio cibo che Jasse Trasy mi fece scendere da quello sgabello e presentarmi davanti a tutti, cosa che feci con un sorriso tiratissimo, che fece ridere alcuni colleghi. Ci fu un applauso e poi tutti tornarono a bisbigliare fra loro e io riuscii a finire di mangiare il sandwich senza più interruzioni. La giornata finì in un lampo e io avevo l'appuntamento con Cassy al bar di sotto. Mi vestii velocemente, profumandomi un po' con alcune buste di profumo che avevo dimenticato di avere dentro la ventiquattro ore. Arrivai al bar e dentro c'era una folla di poliziotti, avvocati e più ne ha più ne metta ma riuscii subito a notare Cass, che era seduta ad un angolo aspettandomi, con un bicchiere vuoto di birra e mezzo cesto di patatine finito. Mi sedetti subito vicino a lei e con voce tranquilla, anche se non si poteva dire delle altre parti del corpo che tremavano per l'eccitazione, dissi al barista: “ Riempia il bicchiere di questa stupenda ragazza e me ne dia una anche a me”. Lei rise, io feci la parte del simpatico e dopo pochi boccali di birre, sette a testa, ce ne andammo via da quell'incasinato pub. Le cercai di chiamare un taxi, ma non riuscivo a digitare bene e quindi rinunciai subito, ero già ubriaco che vergogna soprattutto perchè Cass era ancora arzilla. Infatti fu lei che mi chiamò un taxi e mi fece entrare dicendo all'autista di portarci a Rodeo Drive, una via sconosciuta per me. Poi fu solo buio, finchè la mattina non aprii gli occhi e guardando dove ero, riuscii a capire tutto. Stavo a casa di Cass e forse avevamo...diventai rosso peperone in faccia, ma poi mi tranquillizzai dato che era su un divano ancora vestito e sopra a me avevo un enorme pacco giallo. Lo aprii ed era il mio primo caso, con una annotazione speciale di Cass stessa, che diceva: Tigre ieri sera sei stato una belva, ti ringrazio anche di aver fatto il gentile con me e cercato di andar via dopo il sesso, ma eri troppo ubriaco. Ora dimostra che sei bravo anche qui.” Chiama un taxi e prima di collassare di nuovo in un pacato sonno gli dissi di dirigersi all'indirizzo della busta, Kenny street 3.
   
 
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