E’
lì ferma, in piedi nel corridoio. Una mano stringe la
borsa mentre le lacrime le scorrono sulle guance. Deve andare via. Deve
porre
fine a questa storia così che possano essere al sicuro. Deve
farlo affinché
possano andare avanti senza ombre. Deve ottenere giustizia per gli
amici che ha
fatto uccidere per colpa della sua ossessione.
Deve
lasciarlo.
Ma
semplicemente non ci riesce.
Non
riesce a imporsi di compiere quel passo. Non riesce a
convincersi a camminare fino all’ascensore e premere il
bottone. Lo ama. Ha
lavorato così tanto per ottenere ciò che hanno e
pare non riuscire a obbligarsi
ad andarsene, anche se ogni secondo che rimane lì aumenta il
pericolo che
incombe anche su di lui.
Rimane
lì ferma per un intero minuto, come se avesse
messo radici, prima di scivolare piano piano sul pavimento, mentre la
borsa si
affloscia tristemente accanto a lei. Se ne andrà fra un
minuto. Le serve… solo
un minuto.
Asciuga
velocemente le lacrime e percepisce la totale
mancanza di rumori provenire dall’appartamento, dal loft
… casa sua.
Non
può farlo, vero? Può davvero andarsene e
lasciarlo
lì?
Beh,
in realtà lo ha fatto, o almeno pare. Ma quanto
conta se non è nemmeno riuscita ad arrivare in fondo al
corridoio?
Raccoglie
le gambe al petto e fissa il muro,
soffermandosi su quella striscia che non hanno ancora fatto ridipingere
dopo
che hanno portato dentro il suo quadro. Rick ha fatto sistemare la
cornice ma
non si sono mai preoccupati della parete.
Quella
piccola macchia appartiene a loro. E lei la ama.
Dio,
ama lui.
E
pensa, è convinta di amarlo abbastanza da lasciarlo.
Ma
forse no. Forse non può. Forse non lo ama abbastanza
da abbandonarlo. Come potrebbe? Ovvero, come potrebbe questo gesto
rappresentare l’amore che ha per lui? Non se gli ha
trasformato il volto in una
maschera di dolore, il totale strazio negli occhi.
Come
può andarsene quando questa decisione le sta
letteralmente frantumando il cuore in mille pezzi?
Forse
lo ama così tanto da non poterlo lasciare. Forse lo
ama così tanto da non riuscire a fargli questo.
Sobbalza
quando lui scivola lungo il muro sedendosi
accanto a lei. Allunga le gambe davanti a sé e se ne sta
seduto vicino a lei
che tira su con il naso.
“Hai
bisogno di aiuto con la borsa?”
Lo
dice con un tono leggero, scherzando, ma lei
percepisce una punta acida.
Non
gliene può fare una colpa. Ha appena provato a
lasciarlo.
“Non
riesco a impormi di alzarmi” ammette.
“Beh,
io non sono riuscito a impormi di chiudere la porta.”
Lo
osserva, notando le spalle curve e la posa di
abbandono che ha assunto. “Io… io dovrei
…” mormora. “Dovrei andare. Dovrei
andare via e tu dovresti… una parte di me spera che tu mi
aspetterai… ma dovresti
lasciarmi andare.”
“L’ho
fatto, no? Non te ne sei andata.”
“No”
concorda. “Non posso” aggiunge. “Castle,
non posso.
Una voce nel mio cervello mi grida di alzarmi e lasciarti qui e io
semplicemente non ci riesco.”
“Stai
aspettando che mi metta a discutere con te? Perché
è una pretesa stupida, Beckett”
Soffoca
una risatina. “No, no, riuscire ad andarmene è
una cosa mia. Non voglio che tu mi mandi via” dice con un
sussurro.
“Allora
perché te ne vai?”
Scuote
la testa. “Io…. Io non ci riesco.”
“Non
riesci ad andartene o non riesci a dirmelo?” la
incita, avvicinandosi. “Puoi dirmi tutto, Kate.
Tutto.”
“Lo
so” annuisce, strofinandosi il volto alla meglio.
“So
di poterlo fare. Ma non dovrei.”
“Perché?”
“Perché
non è giusto nei tuoi confronti, e non è sicuro
per
te e se sto per gettarmi in un burrone non è necessario che
ti trascini con me.”
La
schernisce. “Quale parte del matrimonio non capisci?
Ci sono dentro anch’io. Tu vai giù, io vado
giù.”
“Ma
non è necessario che tu lo faccia” esclama,
voltandosi per guardarlo. “Non devi metterti in pericolo.
Io… io non voglio che
tu lo faccia. Non voglio che tu rimanga ferito, Castle. Non lo vorrei
mai. E se
ti trascino con me, potresti morire. Non voglio che tu muoia.”
Aggrotta
le sopracciglia e la guarda dritta negli occhi
prima di allungare una mano per afferrarle la nuca e avvicinare la sua
fronte
alla propria.
“Nemmeno
io voglio che tu muoia. Quindi lascia che ti
aiuti, Kate. Qualsiasi cosa sia, possiamo occuparcene insieme. Lo sai.
Lo hai
appena visto.”
Scuote
la testa, mentre le loro fronti si sfiorano.
“Ma…”
“Ma
niente. Pensi che andandotene tutto questo si
fermerà? Se qualcuno ti sta cercando non pensi che verranno
a cercare anche me?
Lasciarmi non cancella la nostra relazione. Se vuoi un taglio netto,
chiedi il
divorzio.”
“Vuoi
divorziare?” gli chiede, udendo l’orrore della sua
stessa voce.
“Certo
che no” dice aspramente. “Tu vuoi
divorziare?”
“Certo
che no” ripete.
“Allora
perché cavolo stiamo gridando nel corridoio?”
Si
morde le labbra e si appoggia a lui, lasciandosi
abbracciare – meravigliata che lui voglia ancora farlo.
“Perché
ti amo e voglio proteggerti e mi pare di non
riuscirci.”
Rick
soffoca una risata e lentamente la tira su, dando un
calcio alla sua borsa – c’è roba
importante lì dentro – per spingerla dentro
casa e trascinando la donna con sé. Si libera
dall’abbraccio solo per chiudere
la porta. A chiave.
“Vuoi
proteggermi? Spiegami, Kate. Spiegami qual è il
problema e ce ne occuperemo. Insieme.”
“Io…”
inizia, fissando la porta dietro di lui. “Io devo
fermarlo”
mormora.
“Fermare
cosa?”
“Locksat”
La
fissa. “Devi?”
“Qualcuno
deve. Loro… Castle, ho fatto una ricerca su
Bracken e il risultato è che sei persone sono state uccise.
Devo fermarlo,
qualunque cosa sia. Devo.”
Rick
sospira e chiude gli occhi per un momento. “Pensavo
che fossimo al sicuro.”
“Per
ora” concorda. “Ma un giorno, succederà
qualcosa e
tutto tornerà a galla. E’ successo con Bracken. E
poi… Dio, se non avrò fatto
qualcosa, altre persone moriranno. Io potrei morire. Non…
non posso aspettare in
eterno. Non posso andare avanti con la nostra vita senza porre fine a
questa
storia. E se avessimo dei figli e un giorno, quando hanno 19 anni, io
finissi
per morire in un vicolo, Rick? Non posso vivere con questo
pensiero.”
Castle
espira profondamente e fa un cenno con la testa.
“OK, OK. Allora, cosa facciamo?”
“Noi”
inizia, facendo un passo verso di lui. I punti grossolani
sulla ferita al fianco tirano e la fanno sussultare.
Le
corre incontro e, passandole un braccio intorno alla
vita, la accompagna velocemente verso la camera e poi verso il loro
bagno. E
lei glielo lascia fare.
Non
se ne sta andando.
Si
sta facendo aiutare da lui.
E’
stupido. E da incoscienti. E sbagliato. Ma è… lui
ha
ragione. Insieme ce la faranno.
Lasciarlo
non lo proteggerebbe, non nel modo in cui
vorrebbe lei. Ha ragione, Castle rimarrebbe comunque un obiettivo. Non
è
un’attrice tanto brava da far finta di odiarlo, da far finta
che la sua vita e
la vita che si sono costruiti insieme non valga nulla.
E
proprio come adesso le sta togliendo la maglietta e sta
cominciando ad accarezzare i punti grossolani che si è data,
troverebbe
comunque un modo per infilare le mani nelle sue indagini, esattamente
come ha
fatto oggi. E per quanto ne sa, finirebbe per trovarsi altri ragni
sulla testa.
Castle
odia i ragni.
“Come
stai?” mormora. Solleva lo sguardo verso di lei,
confuso. “I ragni. Non te l’ho chiesto. Ho visto
e… tu li odi”
Scuote
la testa con leggerezza. “Davvero?”
“Andiamo,
quando hai visto quel ragno negli Hamptons ti sei
quasi rotto una gamba per saltare sul letto. Stai bene?”
“Sto
controllando i tuoi punti – quelli che ti sei messa
da sola, e tu vuoi sapere se io
sto bene dopo la storia dei ragni?”
“Sì.”
“E
volevi andartene e stare per conto tuo. Datti delle
priorità, Beckett.”
“Lo
sto facendo” insiste, accarezzandogli una guancia.
“Stai bene?”
Perché
le importa. Le importa tantissimo.
“Se
non scappi nel cuore della notte, lasciandomi solo,
starò bene. Puoi placare i miei incubi, ok?”
Dio,
quella frase arriva nel profondo del suo cuore. Ma
può farlo. Può svegliarlo se ha gli incubi.
Annuisce. “OK”
“Ok.
Ora posso giocare al dottore? O portarti da un
dottore vero? Lo hai fatto da sola?”
“Sì”
dice dando un’occhiata alla piega sgraziata e
frastagliata della sua pelle. Almeno è riuscita a togliere
la maggior parte del
sangue.
“Sei
una tipa tosta” la rimprovera con un sorriso,
spingendola verso il mobiletto mentre cerca delle bende e un
antisettico.
“Ricordami perché non siamo andati
all’ospedale per farti sistemare?”
“Non
c’è stato tempo.”
“Stronzate.”
“Non
l’ho ritenuto prioritario” si corregge.
“Dovremo
fare un discorsino sulle priorità” dichiara
serio. “Ma prima ti medico, poi mangiamo e poi ci facciamo
una bella dormita.”
“OK”
dice, concentrandosi sulla tenerezza con cui lui si
sta prendendo cura di lei, assicurandosi che la ferita sia pulita e ben
protetta. Le impone di prendere un antisettico e poi la avvolge fra le
sue
braccia, posandole un bacio sulla testa.
“Sono
un po’ arrabbiato” le confessa in un orecchio.
Gli
sorride tristemente. “Lo so, mi dispiace.”
Le
sussurra. “Hai provato a lasciarmi.”
“Lo
so” ripete, con voce più dolce.
“Non
posso credere che tu abbia provato a lasciarmi.”
“Pensavo”
inizia, prima di accarezzargli la nuca. “In
realtà non ci ho pensato abbastanza” decide.
“Volevo proteggerti e questo mi ha
accecato e mi dispiace davvero tanto, Rick. Davvero” si
allontana da lui per
guardarlo negli occhi. “So che non basta ma ti amo e mi
dispiace.”
“Promettimi
che non lo farai mai più” le dice, incatenando
lo sguardo al suo e tenendola stretta a sé.
Non
è riuscita ad allontanarsi più di cinque passi
dall’appartamento. In nessun modo riuscirà a stare
un giorno, una settimana, un
anno – o persino di più – senza di lui.
“Te
lo prometto” dice, sollevandosi sulla punta dei piedi
per stampargli un bacio sulle labbra, appoggiandosi a lui.
“Te lo prometto.”
“Ok”
le dice, liberandola dall’abbraccio per afferrarle
una mano e guidarla verso la cucina. “Riavvolgiamo il nastro.
Sto facendo le
omelette con i marshmellow e la cioccolata, ne vuoi una?”
No.
No, non ha certo voglia di marshmellow e cioccolata
in un’omelette. A chi potrebbe mai venire un’idea
simile?
Ma
può leggere la speranza negli occhi dell’uomo,
può
vedere che mangiare questo miscuglio disgustoso rappresenterebbe il
primo passo
per ricostruire quella fiducia che lei ha mandato in frantumi meno di
trenta
minuti fa.
“Ok,
Castle, fammi un’omelette con marshmellow e
cioccolata, per favore.”
Le
regala un largo sorriso e lei si mette a guardarlo,
accomodandosi su uno degli sgabelli, come se niente fosse successo. Con
la coda
dell’occhio vede la sua borsa, ma decide che per il momento
può vivere senza la
roba che ci ha messo dentro. La infilerà nel guardaroba
più tardi e chiuderà il
capitolo della sua idea di separarsi e di trasformarsi in un
giustiziere
solitario.
Partner.
Riesce
persino a non vomitare quell’intruglio mentre lui
la prende in giro perché ha difficoltà a
deglutire.
E’
davvero schifosa.
Ma
l’ha fatta lui e lui è suo.
Niente
più martirio. Ci sono dentro insieme, schifezze al
cioccolato comprese.
Nota
della traduttrice
Il
modo con cui gli autori stanno sviluppando questa ottava serie mi
lascia
alquanto perplessa, così quando
ho letto
questa ff su fanfiction.net mi si è allargato il cuore.
Citando il mio angelo
custode, avrei tanto voluto vedere questa scena…
Grazie
a Emma per avermi concesso l’onore di tradurre la sua storia
in italiano
(l’originale è disponibile qui: https://www.fanfiction.net/s/11566765/1/Of-Course-Not),
al mio angelo custode per la sua
pazienza e a tutti voi per il tempo che mi avete regalato arrivando
fino qui.
Un
abbraccio,
Deb