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Autore: Rin Hisegawa    23/02/2009    1 recensioni
In piedi al centro della stanza un uomo stava chino su un tavolo simile a quelli che si vedono nelle sale operatorie, dando le spalle alla porta. Era molto alto, e indossava il kimono tipico degli shinigami, nero, con un obi bianco stretto attorno alla vita. Il viso era coperto da una maschera, che raffigurava un volto deformato da un orribile sogghigno e gli conferiva un aspetto vagamente inquietante. [MAYURI KUROTSUCHI X OC]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Bleeding Saga'
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Capitolo #1;

Il sole era appena sorto nel cielo, e riversava una pallida luce argentata attraverso la tenda leggera. La stanza, in quella penombra calda, sembrava molto più accogliente di quanto non fosse in realtà. Il pavimento di legno era coperto di fogli di carta appallottolati, provette, alcune delle quali gocciolavano liquidi di colori improbabili, e quelli che sembravano pezzi di metallo. Alle pareti, sugli alti scaffali, una vasta gamma di strumenti tra cui ancora provette, bisturi, beute, un fornello elettrico e altri oggetti di forma insolita. In questa accozzaglia di materiale, spiccavano una cinquantina di contenitori tappati, di varie forme e dimensioni, che contenevano frattaglie non meglio identificabili immerse nella formaldeide.
In piedi al centro della stanza un uomo stava chino su un tavolo simile a quelli che si vedono nelle sale operatorie, dando le spalle alla porta. Era molto alto, e indossava il kimono tipico degli shinigami, nero, con un obi bianco stretto attorno alla vita. Il viso era coperto da una maschera, che raffigurava un volto deformato da un orribile sogghigno e gli conferiva un aspetto vagamente inquietante.
Quando il campanellino sulla porta principale tintinnò, rivelando l’arrivo di un visitatore, l’uomo afferrò uno straccio che teneva sul tavolo, e prese ad asciugarsi le mani. Lo straccio si tinse di rosso, e l’uomo lo gettò di nuovo sulla superficie metallica con noncuranza, mentre nel corridoio che conduceva al laboratorio iniziava a farsi più chiaro un rumore di passi leggeri. Il visitatore sbatté appena le nocche sul legno della porta, per avvertire della sua presenza.
- E’ permesso? - chiese.
Era la voce di una ragazza, e non poteva avere più di vent'anni. L’uomo non rispose. Sempre dandole le spalle, si avvicinò ad un lavandino piuttosto in ombra rispetto al resto della stanza, e prese a lavare gli strumenti che aveva appena usato.
- Mi hanno detto che lei è il maggior esperto di anatomia qui - continuò la ragazza - quindi mi chiedevo se può fare qualcosa per questo...
L’uomo si voltò appena, lanciandole un’occhiata di sbieco. Era una ragazza esile, non molto alta, con i capelli quasi argentati tagliati corti. La frangia, tinta di viola pallido, le copriva interamente la metà sinistra del volto. Indossava il kimono delle allieve dell’accademia per shinigami, ma la manica sinistra era strappata e rivelava un braccio sottile e coperto di sangue, percorso per lungo da una profonda ferita ancora aperta. Era molto pallida, ma l’espressione del viso era rilassata, come se non stesse provando dolore.
- Non sono un medico. Il mio lavoro non consiste nel curare le ferite - rispose l’uomo con voce tagliente.
- Ah - disse lei semplicemente, con voce piatta - Allora, sembra che dovrò dire addio al mio braccio, eh?
Lui si voltò di nuovo, sorpreso. Quella conversazione stava prendendo una piega decisamente surreale: sembrava che alla ragazza non importasse effettivamente nulla di essere curata. Il tono leggero con cui aveva pronunciato quelle parole, però, gli aveva fatto venire in mente un suo vecchio progetto.
- Aspetta! - replicò, perchè lei si era già allontanata per uscire.
La ragazza si voltò immediatamente; l’uomo fece altrettanto, fissandola da lontano, con il volto, o per meglio dire la maschera, ancora in ombra. Poteva percepire la curiosità di lei nell’aria. Non trepidazione, o speranza. Solo semplice curiosità.
“Ha l’espressione di una che non ha niente da perdere.” pensò “Proprio quello che fa al caso mio.”
- Mi serve un assistente. Curerò il tuo braccio, a patto che tu accetti di rimanere qui e lavorare per me.
Lei inclinò la testa da un lato, le sopracciglia aggrottate, vagamente sospettosa. Poi sorrise.
- Ok. - disse, semplicemente.
L’uomo fece un passo avanti, uscendo dal cono d’ombra.
- Kurotsuchi Mayuri - si presentò.
La ragazza ebbe un sussulto fissando la maschera che gli copriva il volto, attraverso cui due occhi ambrati la osservavano con solennità. Lui si accorse della reazione e chiese, con un leggero tono di sfida:
- Qualcosa non va?
- Niente affatto! - rispose lei, velocemente – Io sono Rin.
Kurotsuchi la osservò per un attimo, ma decise di non domandarle il cognome. Non aveva bisogno di sapere altro, in effetti; per lui Rin non era niente più del lavoro che avrebbe potuto svolgere nel laboratorio.
- Bene. Siediti lì. Dovrò farti un’anestesia totale, sarà un’operazione piuttosto lunga. - disse Kurotsuchi, indicando con un cenno della testa il tavolo al centro della stanza.
- Ok. - ripeté lei.
Sedette dove le era stato detto e, tenendo in grembo il braccio sanguinante, prese ad osservare l’uomo che preparava gli strumenti dell’operazione. Tranne quei freddi occhi color ambra, più inquietanti della maschera che celava il resto del viso, le mani erano l’unico dettaglio che rivelasse che si trattava veramente di un essere umano.
Erano mani pallide, quasi bianche, e le unghie erano tinte di nero. Tuttavia, quando Kurotsuchi si avvicinò per praticarle l’iniezione di anestetico, Rin si rese conto che non erano gelide come si aspettava. Con sua grande sorpresa, la scoperta la tranquillizzò, e si sentì un po’ più fiduciosa, un attimo prima di cadere nel sonno profondo causato dall’anestesia.
Quando si svegliò, Rin si rese conto di essere stata adagiata su un futon. Il sole era ormai alto nel cielo, ma filtrava appena attraverso le tende chiuse disegnando linee prive di senso sulla semplice coperta blu.
La ragazza si guardò attorno: la stanza era molto sobria, col pavimento in legno e una grande porta finestra, che probabilmente dava sul retro della casa. Sulla parete alle sue spalle c’era un armadio a muro, mentre nell’angolo di fronte a lei un tavolo e una sedia, entrambi di legno, si scorgevano indistintamente nella penombra densa e calda che pervadeva l’ambiente.
Il braccio sinistro le faceva male. Rin tentò di muoverlo, ma una fitta di dolore la costrinse a cambiare idea. Dal polso alla spalla, fitte bende macchiate di rosso coprivano la ferita. Appoggiandosi al gomito sano, la ragazza riuscì a mettersi a sedere. In quel momento, il campanellino sulla porta principale tintinnò.
Kurotsuchi comparve sulla porta, tenendo in mano un bicchiere pieno di un liquido azzurro intenso.
- Non toccare la fasciatura per nessun motivo - disse.
Rin avrebbe avuto un sacco di domande da rivolgergli, ma rimase in silenzio, fissando la mano di lui che stringeva il bicchiere, l’unica cosa di quell’uomo che non le incutesse timore.
- Bevi questo.
- Che cos’è? - chiese Rin sospettosa.
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata tagliente.
- Non è veleno, se è questo che vuoi sapere. Non è nel mio interesse ucciderti.
La ragazza bevve diligentemente il liquido azzurro. Era amaro, e le dette una sensazione di torpore che le rendeva difficile persino rimanere seduta. Sentiva il volto in fiamme, e la stanza sembrava ruotare attorno a lei. Istintivamente tentò di coprirsi gli occhi con le mani, ma una nuova, lancinante fitta di dolore al braccio ferito la fece sussultare.
Poi sentì che due mani forti la sorreggevano e la aiutavano a stendersi di nuovo. Kurotsuchi le stava dicendo qualcosa, ma non era in grado di capire. Tutto, intorno a lei, stava diventando buio.
L’uomo sedette in un angolo della stanza, gli occhi fissi sulla figura stesa sul futon. Non aveva nessuna voglia di tornare al laboratorio. Grovigli di pensieri gli attraversavano la mente, gli sarebbe stato impossibile rimettersi a lavoro anche se avesse voluto. Quando quella ragazza era entrata  nei quartieri della dodicesima Divisione aveva visto in lei l’occasione che aspettava de mesi: era una persona del tutto priva di interesse per la propria vita, e quello sguardo scevro di paura o timidezza rivelava chiaramente che non aveva niente da perdere.
Le aveva detto che sarebbe stata la sua assistente, ma lei non poteva sapere che il lavoro che Kurotsuchi svolgeva ormai da tredici anni spesso necessitava di qualcuno su cui provare gli esperimenti. E che, in mancanza d’altro, questi esperimenti lui li compiva su se stesso.
È per questo motivo, pensò l’uomo sogghignando amaramente fra sé, che nessuno aveva mai accettato prima l’incarico che Rin, con tanta ingenuità, aveva accolto con il sorriso sulle labbra. Non si trattava solo di essere lo scienziato, ma anche la cavia.
La ragazza si mosse nel sonno. La medicina che le aveva somministrato era molto potente, abbastanza forte da farla dormire per dodici ore, considerato il suo fisico esile. Tuttavia, Kurotsuchi alzò la testa, sospettoso. Non poteva permettersi di fare errori. Un’occasione del genere forse non gli sarebbe più capitata.
Invece, Rin dormiva tranquilla, con un’espressione rilassata e indifesa dipinta involto. Fissandola, l’uomo provò un moto di rabbia verso di lei. Come poteva essere così rilassata, in casa di uno sconosciuto e senza nemmeno la zanpakuto con sé? Kurotsuchi si alzò di scatto, e uscì a grandi passi dalla stanza, diretto verso il laboratorio.
Se avesse cominciato subito, forse sarebbe riuscito a combinare qualcosa di buono prima del calar del sole.

Lo shinigami dai capelli biondi stava dritto di fronte a lei, brandendo la zanpakuto con fare minaccioso. Rin non riusciva a muoversi. Aveva già perso molto sangue e l’attacco che il suo avversario le aveva lanciato le impediva di fare qualunque movimento. Poi, un lampo di luce argentata. Di chi era la voce che stava urlando? Rin si svegliò con un grido. La ferita le faceva un male terribile.
- Stai ferma.
Qualcuno era inginocchiato accanto a lei nel buio, e armeggiava con le bende attorno al suo braccio. Lentamente, i ricordi degli ultimi cinque giorni tornarono alla luce nella mente della ragazza: il duello, il lungo cammino per raggiungere il laboratorio di Kurotsuchi e poi l’operazione. Il resto del tempo lo aveva trascorso in uno stato di dormiveglia febbricitante, interrotto ogni tanto solo per assumere qualche farmaco.
- Devo toglierti le bende.
Lei non rispose. Se ne rimase immobile, raggomitolata nella coperta, osservando l’uomo sciogliere con delicatezza la fasciatura che le stringeva il braccio. Le mani di lui si muovevano rapide ed esperte, e le bende a poco a poco si srotolavano ammucchiandosi sul pavimento.
C’era qualcosa di rassicurante nei suoi gesti lenti e calcolati, e Rin si ritrovò a pensare che alla fine forse non era caduta nella trappola di un pazzo.
- Ho ricostruito la maggior parte dei muscoli senza troppi problemi, ma alcuni nervi e le articolazioni erano compromesse. - disse Kurotsuchi con tono grave. - E’ stato necessario creare dei sostegni esterni perchè tu potessi muovere di nuovo il braccio.
Rin lanciò un’occhiata alla ferita. Una lunga fila di ordinati punti di sutura era interrotta all’altezza del gomito, del polso e della spalla da quello che sembrava un rudimentale esoscheletro di metallo. I punti in cui questa struttura si interrompeva erano stati attentamente fasciati con lacci di cuoio, ma nel muoversi Rin si rese conto che questa specie di armatura era saldata ai resti delle sue articolazioni.
Fissò Kurotsuchi, un po’ perplessa.
- Il metallo è...?
- Non c’era altra soluzione. - tagliò corto lui, cogliendo il suo sguardo. - Dal punto di vista pratico, in realtà, un arto meccanico è notevolmente superiore a uno normale: puoi ritenerlo un ottimo scambio. Tuttavia, questi metodi di cura sono considerati poco ortodossi dall’opinione comune, perciò quando sei in pubblico fai in modo di coprire la ferita.
Rin non rispose. Se il braccio meccanico si fosse rivelato veramente migliore di un braccio normale, ottimo. Se invece fosse stato peggiore, beh, infondo un mero surrogato era pur sempre meglio che niente.
Kurotsuchi raccolse le bende da terra e si allontanò dalla stanza, senza aggiungere altro. Il sole aveva cominciato a spuntare a est, promettendo un’altra soffocante giornata estiva, ma a lui non importava. Nel laboratorio, raccolse dal tavolo tutti gli strumenti che aveva utilizzato per medicare la ferita di Rin e li gettò via. Non poteva permettersi di lasciare in giro le tracce di un simile intervento.
Rimase nel laboratorio gran parte della mattinata, cercando di concentrarsi su un esperimento che portava avanti oziosamente da un paio di mesi, e intanto rimuginando tra sé riguardo agli eventi accaduti di recente. Non si era mai interessato apertamente alle faccende della Soul Society che non lo riguardassero direttamente, ma da qualche settimana erano giunte alle sue orecchie voci secondo cui Urahara Kisuke, il Capitano della dodicesima Divisione, era stato accusato di aver creato qualcosa che andava oltre la semplice illegalità. Se Urahara fosse stato condannato, Kurotsuchi avrebbe sicuramente ottenuto il suo posto in qualità di attuale Vice-Capitano.
Naturalmente, anche Kurotsuchi aveva i suoi scheletri nell’armadio. Per questo motivo, aveva deciso di restarsene in silenzio e aspettare finché il Consiglio non avesse preso una decisione. Non poteva certo permettersi di perdere la promozione a Capitano a causa di una semplice negligenza.
Questa situazione lo rendeva nervoso.
  
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