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Autore: slanif    04/11/2015    2 recensioni
accenni KuroFay
Si era innamorato.
E aveva cominciato a volere bene a quegli altri tre ragazzini.
E aveva capito finalmente quello che Tomoyo cercava disperatamente di spiegargli da anni: la vera forza è l’amore.
L’aveva capito dopo indicibili sofferenze e dolorose perdite, ma l’aveva capito.
E forse, per lui e per Fay, non era troppo tardi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Fay D. Flourite, Kurogane
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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AVVERTENZE: Spoiler GIGANTESCHI ai capitoli 166 e 167 (volumi 21 e 22). Per chi non è ancora arrivata fin lì nella lettura del Manga, consiglio di non leggerla.
NOTE: Alcune frasi sono riprese direttamente dal Manga. Tali frasi sono segnate in grassetto, per coerenza. Tutti i diritti vanno a chi ha creato i dialoghi e a chi li ha tradotti.
 
 
 
 

*

 
 
 
 

La Vera Forza
di slanif

 
 
 
 
Era tutto nero intorno a lui. Solo un leggero bagliore di luce squarciava l’oscurità. Corse verso quella luce, cercando di raggiungerla, e correndo con tutte le sue forze alla fine la luce lo inondò.
Aprì lentamente gli occhi, alzando le palpebre piano e osservando il Mondo tra le ciglia folte e scure fino a quando, improvvisamente, ricordò.
Spalancò gli occhi e si guardò intorno: soffritto bianco, tende bianche, e un soffice letto sotto il suo corpo stanco e provato.
«Dove mi trovo…!? E dove sono gli altri…!?», domandò agitato, in preda ad un vero e proprio terrore.
In un altro momento si sarebbe domandato cosa diavolo gli stava prendendo, a comportarsi così, ma dopo quello che era successo a Celes, aveva tutt’altro per la mente che fare la figura dell’uomo tutto d’un pezzo con chiunque lo sentisse.
«Sei nel regno del Giappone.» Una voce soave, tranquilla, pacata, che fin troppo bene conosceva, lo informò che i suoi compagni di viaggio stavano bene ed erano lì con lui.
Spalancò gli occhi e le iridi scarlatte si persero nel bianco dei bulbi mentre si voltava lentamente alla sua sinistra e incrociava lo sguardo di colei a cui doveva tutto. «Principessa Tomoyo...», disse incredulo. Ma poi subito si riscosse e ricordò qualcos’altro. «Sei tu, vero?», domandò diffidente. Perché se c’era una cosa che aveva imparato, viaggiando nei vari Mondi, era che potevi incontrare una persona con lo stesso aspetto di una che conoscevi nel tuo Mondo, ma non era quella stessa persona. Condividevano solo una straordinaria somiglianza fisica e caratteriale, ma erano due entità distinte.
Tomoyo gli sorrise con affetto: «Sì. Bentornato, Kurogane.»
Dietro le spalle della Principessa, la grande finestra aperta che faceva entrare una piacevole brezza primaverile, mostrava un cielo notturno, carico di nuvole scure e con un solo spicchio di Luna, così piccolo che la luce era pressoché assente.
Si tirò a sedere e le immagini di chissà quanti giorni prima cominciarono ad affastellarsi nella sua testa. Erano confuse e alcune mancanti, come il suo braccio sinistro, la cui non presenza riusciva ad avvertirla persino senza toccarlo. «La voce che ho sentito era…?»
«Sì, era la mia.», confermò la Principessa; e improvvisamente tutte quelle immagini sfocate tornarono a fuoco, nella mente di Kurogane.
Si rivide, sospeso nel vuoto, con la forza magica che lo trascinava via; la sua mano saldamente stretta al braccio di Fay, che gli intimava di andarsene e lasciarlo lì, perché non poteva uscire da quel cerchio magico, perché la sua stessa magia l’aveva creato.
Risentì nelle orecchie la voce di Tomoyo dirgli che doveva dare un pegno, un pagamento, qualcosa che compensasse la poca magia rimasta nel corpo stanco e spossato del Mago; e in quel modo avrebbe potuto portarlo in salvo. Se davvero lo voleva con tutto il suo cuore, allora doveva pagare un pegno per portare in salvo Fay.
E lui l’aveva pagato.
Si era reciso per intero il braccio sinistro dove poco prima Fay aveva compiuto una magia per permettergli di estrarre la sua spada ogni qualvolta avesse voluto, anche senza la presenza di Mokona nei paraggi.
Kurogane lo disse anche a voce alta: «Il mio braccio, in cui aveva infuso un po’ della sua magia, è stato sufficiente a pareggiare i conti.»
Tomoyo sospirò e chiuse gli occhi, sofferente e dispiaciuta che quel suo buon amico avesse dovuto compiere un gesto così disperato. Tuttavia, non poté esimersi dal domandare: «Hai capito qual è la vera forza?»
Kurogane ripensò al dolore di sentire la lama fredda della sua spada recidere la carne e poi i sensi l’avevano abbandonato. Ricordava gli occhi di Fay sbarrati e sconvolti, sconcertati che qualcuno – lui – avesse potuto compiere un gesto simile per lui.
Ma l’aveva fatto senza esitazione, senza pensare, perché l’unica cosa che voleva era portare via Fay, in salvo, via con lui.
«Può darsi...», sorrise, andando con l’unica mano rimasta a toccare lì dove l’altra aveva lasciato il vuoto. «Non sono affatto pentito di essermi tagliato il braccio.», ammise. «Io... ho sempre desiderato essere il più forte di tutti... in modo da non farmi sottrarre mai più coloro a cui volevo bene...» E solo gli Dei sapevano cosa provava per Fay.
Non poteva dirlo a voce alta, non davanti alla Principessa, ma quest’ultima sembrò capire perché con una delle sue piccole mani andò a toccargli lì dove ormai il suo arto non c’era più e con lo stesso tono con cui l’aveva riportato alla luce anni e anni prima, sospirò felice: «A quanto pare, ora hai capito... cos’è la vera forza.»
«Sì.», annuì il Ninja, sorridendo appena alla sua Principessa che per tanti anni aveva protetto, unico scopo della sua vita.
Ma ora di scopi ne aveva altri. Di persone da proteggere ne aveva moltissime di più. La Principessa Sakura, che aveva perduto le sue memorie e quindi anche un po’ di sé stessa; Shaoran, che per lunghi anni era stato solo e che adesso era di fronte a una sequela di dolore che cercava di gestire con energia e coraggio; c’era quella piccola rompi scatole di una polpetta bianca di Mokona, che continuava ad intrufolarsi sotto i suoi vestiti e a rubargli da mangiare, ma che era anche così morbida e calda e sensibile e la cui presenza era indispensabile per continuare il viaggio, perché solo lei poteva spostarli da un Mondo ad un altro e avvertire la presenza delle Piume Di Sakura.
E poi c’era Fay.
Tra loro era iniziata nel peggiore dei modi. Quello stupido e irritante Mago che passava tutto il suo tempo a sorridere e a dire scemenze, affibbiandogli nomignoli improbabili e fastidiosi; col tempo aveva capito che in realtà tutta quell’allegria serviva solo a nascondere tutto il dolore che sentiva dentro, tutta la sofferenza e la solitudine. Col tempo aveva imparato a guardare oltre le apparenze e a cogliere i segnali che il Mago, inconsciamente, gli mandava. Aveva capito come leggere in quegli occhi azzurri come il cielo prima e dorati ora, tutta la verità che la sua bocca non diceva.
E si era innamorato.
E aveva cominciato a volere bene a quegli altri tre ragazzini.
E aveva capito finalmente quello che Tomoyo cercava disperatamente di spiegargli da anni: la vera forza è l’amore.
L’aveva capito dopo indicibili sofferenze e dolorose perdite, ma l’aveva capito.
E forse, per lui e per Fay, non era troppo tardi.
Forse Fay lo avrebbe perdonato, prima o poi, di avergli impedito di morire per due volte di seguito. La prima nel Regno di Tokyo, quando aveva patteggiato per lui, diventando la sua preda mischiando il suo sangue a quello di Kamui e facendolo così trasformare in un Vampiro; e ora a Celes, che l’aveva trascinato via da quella prigione di ghiaccio, stringendogli forte il braccio, più che poteva, per niente intenzionato a mollare la presa.
«Sei innamorato di lui, non è vero?»
La voce dolce ma leggermente divertita di Tomoyo lo riportò alla realtà. Se fosse stato un tipo emotivo, probabilmente sarebbe arrossito fino alla punta dei capelli, diventando un tutt’uno col colore dei suoi occhi. E invece riuscì a rimanere pressoché impassibile quando bofonchiò qualcosa di incomprensibile che suonava molto simile ad un’ammissione.
Tomoyo gli sorrise di nuovo e gli strinse piano una mano prima di voltarsi verso la porta e, alzandosi in piedi, dire: «Scusa se ti ho fatto aspettare. Adesso puoi entrare.»
Kurogane fissò curioso la porta e ne vide entrare proprio colui che più di tutti desiderava vedere: Fay.
Il Mago avanzò lentamente nella stanza, socchiudendo la porta scorrevole con un fruscio. Il kimono bianco e nero strusciava sul pavimento di legno, producendo un leggero sottofondo passo dopo passo. La benda nera all’occhio gli copriva la vista, ma non per questo non riusciva più a vedere. Lo vedeva chiaramente Kurogane seduto sul letto candido, con una spalla della casacca troppo cadente per essere piena.
Con quella manica che ormai non conteneva più niente.
Il suo cuore si strinse in una morsa dolorosa mentre avanzava lentamente. Non aveva il coraggio di guardare l’altro negli occhi, perché se l’avesse fatto sarebbe scoppiato in lacrime.
Quando, nel Regno di Celes, il cerchio si era chiuso e la sua stessa magia l’aveva imprigionato, aveva pregato Kurogane di andarsene. Gli aveva detto: «Va’!», con la speranza che lo facesse davvero. Con la speranza che non lo facesse.
Era lungo tempo che provava questi sentimenti contrastanti, per il Ninja. All’inizio aveva fatto di tutto per non ammettere che era amore, la parola giusta per riempire quel vuoto, ma era così abituato a stare da solo e a non contare su nessuno che anche solo l’idea lo terrorizzava a morte. Aveva giurato che mai più si sarebbe avvicinato a qualcuno, che mai più avrebbe voluto così dannatamente bene a un altro essere umano.
Ma poi erano arrivati Sakura e Shaoran e Mokona e Kurogane. Loro, che nonostante lui gli avesse da sempre mentito, avevano fatto di tutto per portarlo in salvo e guarirlo.
Kurogane, specialmente, per due volte aveva barattato se stesso per salvare lui.
Prima a Tokyo, quando si era tramutato di sua scelta nella sua preda; e poi a Celes, quando senza esitazione aveva reciso il suo braccio, quello che impugnava la spada e che era la sua forza. Quel braccio che per lui era fondamentale.
Quando, dopo la sua supplica, Kurogane aveva mollato la presa, aveva sentito il cuore andare in frantumi, anche se sapeva che era giusto così. Se avesse potuto scegliere, avrebbe scelto la salvezza di Kurogane, piuttosto che la sua. Ma poi il fendente era partito e la mano di Kurogane l’aveva stretto forte di nuovo e l’aveva portato via, senza una parola e senza un suono. Così, come se non contasse niente quel gesto importantissimo, l’aveva salvato di nuovo barattando il suo corpo come pagamento.
E Fay, in quel momento, ancor più che dopo Tokyo, aveva capito che non poteva più negare a se stesso la verità: era innamorato di lui. Di quello stupido Ninja ubriacone e permaloso, che passava il suo tempo a bisticciare con lui e con Mokona, che si faceva in quattro per loro, silenziosamente, senza chiedere mai nulla in cambio, e che era fastidiosamente perspicace con lui, sapendogli leggere dentro anche le più piccole sfumature.
All’inizio l’aveva odiato, per questo, ma poi proprio quello era stato uno dei motivi per cui aveva imparato ad amarlo.
E doveva essere anche piuttosto evidente, perché Re Ashura-oh aveva colpito apposta Kurogane, ferendolo così brutalmente; perché voleva che Fay lo uccidesse, perché sapeva che se avesse toccato Kurogane, Fay sarebbe impazzito di dolore e paura. E anche se aveva provato una sorta di odio verso Kurogane quando aveva ucciso Ashura-oh al suo posto, quel Re che si era preso cura di lui per così tanto tempo, al contempo aveva provato una forte gratitudine e un immenso sollievo. Per questo non era riuscito a dire nulla, né «Perché l’hai fatto?», né «Grazie.» Niente.
Ma con Kurogane le parole non servivano, perché Fay sapeva che l’altro aveva letto quei turbamenti interiori nei suoi occhi e aveva capito.
Esattamente come in quel momento il Ninja comprese che l’altro non avrebbe mai parlato per primo. Che, una volta avanzato nella stanza, se ne sarebbe rimasto zitto a testa china. Perciò disse semplicemente: «Ciao.», perché era seriamente felice di rivederlo. Perché stavolta se l’era vista brutta e pensava che non l’avrebbe mai più rivisto.
Ci fu un lungo momento di silenzio, e poi Fay fece l’unica cosa che mai Kurogane si sarebbe aspettato: gli tirò un pugno in faccia.
Lo fissò incredulo mentre si spingeva la mano sulla fronte, sconcertato; ma d’altronde era per questo che amava quello stupido Mago da strapazzo, no? Perché era una continua fonte di sorprese e con lui, di certo, non ci si annoiava mai.
Tuttavia, era così incredulo che non riuscì nemmeno a trovare degli insulti da urlargli contro.
«Te lo dovevo… signor Kurogane.», disse il Mago, sorridendo maligno, mostrandogli ancora il pugno. Perché, Dei!, se si era preoccupato! Era stato terrorizzato per giorni, fino a quanto Tomoyo non era venuta personalmente da lui a dirgli che si stava per svegliare, che le condizioni del Ninja si erano completamente stabilizzate.
E aveva atteso dietro quella porta, col cuore in gola e l’angoscia in petto, impaziente di vedere con i suoi stessi occhi che l’altro era vivo e vegeto e che potevano continuare le loro schermaglie e le loro incomprensioni, le loro continue litigate, i nomignoli idioti e le bevute in compagnia, dove lui fingeva di ubriacarsi per essere portato a letto in braccio da Kurogane, che da bravo paparino gli rimboccava persino le coperte con cura.
Dio, era pazzo di quel Ninja...
Kurogane, dal canto suo, fu così dannatamente felice di quella reazione del Mago che non ebbe nemmeno voglia di arrabbiarsi. Cercando di sfoderare un’espressione minacciosa, sorrise: «Tsk. Provaci un’altra volta e ti riduco in poltiglia.», lo minacciò.
Ma in realtà non ci credeva nemmeno lui e, ne era certo, non ci credeva nemmeno Fay.
 
 
 
 

FINE

   
 
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