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Autore: Mucenje    04/11/2015    1 recensioni
Definire questa raccolta in un solo genere è riduttivo. Non c'è una trama come non c'è nella vita, sono solo piccoli frammenti di essa con un piccolo senno di poi.
Si tratta di una serie di racconti di ogni genere, sia inventati che realmente accaduti (a me in prima persona oppure a persone a me vicine), corti o lunghi, che ho voluto raccogliere insieme per tentare d offrire una piccola visione di quello che, secondo la mia visione e la mia esperienza, è il mondo e la società oggi.
Sentitevi liberi di recensire e commentare, criticarmi, darmi del pessimista, oppure raccontarmi qualcosa per contribuire nell'ampliamento di questo quadro.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1. L'umanità del Binario 2
 



"Si informano i signori passeggeri che il treno proveniente da Messina centrale in direzione Palermo centrale subirà un lieve ritardo, Trenitalia si scusa per l'inconveniente".

La frase peggiore che un pendolare che aspetta, come me, può sentire. In particolar modo se, buttando gli occhi allo schermo, il lieve ritardo sono altri 10 minuti di interminabile attesa in una piccola stazione di provincia. Sbuffo, non posso fare altro per esprimere il mio disappunto, mentre mi trascino alla ricerca di una panchina meno sporca degli scrausi resti delle seggiole della sala d'attesa. Alle 8 del mattino le stazioni di tutto il mondo dovrebbero pullulare di gente, ed invece no. Sarà Trenitalia che non funziona, sarà che i treni sono ormai demodé e tutti viaggiano in macchina, sarà che posso essere l'unico idiota che a metà agosto fa il pendolare verso l'università per lavorare sulla sua dannata tesi, mentre tutti i suoi coetanei stanno a smaltire la sbronza della sera prima sdraiati accanto ad una sconosciuta. Non volevo, e non voglio tutt'ora, sapere la risposta, mi basta aver trovato la mia panchina tra il binario 1, treni in direzione Palermo - Messina, ed il binario 2, il mio binario. Adagio delicatamente la borsa con il Laptop davanti alla valigia e mi butto di peso sulla pietra ancora non troppo calda di questo pseudo posto a sedere.

QUELL'ANNUNCIO.

Ecco, adesso tocca aspettarne 20 di minuti. Fumo troppo ultimamente. Giuro, denuncio tutti se mi viene il cancro, dall’università ai mezzi di trasporto al mio cervello che mi ha fatto scegliere di fare sto schifo di facoltà. Magari mi danno un risarcimento bello grosso e passo i miei ultimi giorni da miliardario prima di devolvere tutto il mio restante patrimonio alla tabaccheria sotto casa. Intanto ho in tasca il pacchetto di sigarette, c’è una certa rassegnazione al mio destino, quindi tanto vale fumarmi quest’ennesima Lucky Strike rossa. Dove diamine è l’accendino? Ci fosse una volta che lo trovo. E questo? Un Clipper verde e giallo, con disegni degni di una camicia hawaiana. Non so bene a chi l’ho rubato, mio non è di sicuro. Probabilmente è di quello sbandato di Calogero, che a casa sta facendo la collezione sul cornicione della finestra, e probabilmente non se n’è neanche accorto. Ma cosa faccio, esco il pc e mi metto a scrivere la tesi? Che fa chi aspetta il treno, chi sta patendo le mie stesse odiose pene? Provo una certa empatia per questi sconosciuti. Siamo tutti sulla stessa barca. Una donna dai capelli biondo cenere, bassa e tozza, visibilmente straniera, sta appoggiata ad una delle colonne con una borsa per la spesa in tela nella mano sinistra e lo smartphone sdraiato nell'altra. Mi venne spontaneo chiedermi come mai non si siede date le innumerevoli panchine ancora libere. Mentre cercavo un sostegno per il fondoschiena le sono passato accanto ed ho sentito provenire dallo stesso smartphone quello che sembrava il brusio di un telegiornale russo, o forse polacco, una lingua a me non comprensibile insomma. L’unica conclusione logica è che la ricezione sulla panchina non sia delle migliori. A proposito! Ma il mio telefono? Se mi avesse cercato qualcuno in questi attimi di insensata leggerezza? Ovviamente nessuno, sono le 8 del mattino, chi mai dovrebbe cercarmi? Tanto vale posare nuovamente l'aggeggio infernale in tasca prima che lo scordo qui, tanto il cartellone segna ancora 20 minuti di ritardo. Un signore anziano, ad una decina di metri da me, borbotta con una signora sul caldo africano e sull’arrivo di un ciclone dal nome antico che preannunciava un’ulteriore aumento di temperatura. Ed io sono qui, con la mia camicia che sta per diventare maculata di sudore, i jeans e le Converse ai piedi perché, diciamocelo, davanti al tuo relatore di tesi non ti puoi presentare in sandali e bermuda. Che poi, sant’uomo, non va in vacanza? Perché non è in Jamaica al posto di chiamarmi la domenica mattina per dirmi di avere del materiale da discutere con me. C’è da dire che lui era quello che ci faceva recuperare le lezioni il sabato per poi lamentarsi sull’improvviso cambio di ideologia politica di chi non si presentava fingendosi fascista (o ebreo, a seconda dei casi). Spero solo che nel treno ci sia la consueta aria condizionata a – 20°C almeno evito di aggiungere altro sudore sul sudore. Una ragazza è appena arrivata dall’ingresso principale, affannata, chiedendo in giro se il treno da Palermo fosse già arrivato prima di tirare un sospiro di sollievo ed accendersi una sigaretta. È carina, ma un po’ troppo piccola e stereotipata per i miei gusti. Se non altro ha fatto innalzare l’età media dei presenti, Wo-hoo! Neanche a farlo apposta hanno appena annunciato il treno che cerca! Che culo. Ora lei salirà e starà tranquilla per tutto il suo viaggio senza aver dovuto aspettare qui ed a vuoto per un tempo incalcolabile. Ecco qui il regionale opposto al mio che mi si piazza dietro la schiena ed apre le porte. Mi consola tanto vedere che solo una persona è salita, vuol dire che non sono l’unico scemo a dover aspettare l’ignoto. Stranamente la ragazza che chiedeva di quel treno non ci è salita, ora la vedo bene perché è proprio accanto a questa lapide a forma di panchina. Sta piangendo, lo vedo da qui nonostante abbia gli occhiali da sole. Adesso è corsa incontro a qualcuno. Non che io sia impiccione ma la noia gioca brutti scherzi, se mi giro per gettare la sigaretta la vedo meglio. Via, gettata lontano. Ah. Ora ho capito. Si sta stringendo al petto di un ragazzo che può avere la mia età, lui ha due valigie che sembrano abbastanza cariche, verrà da lontano. Le bacia la fronte e le dice qualcosa che a causa del fracasso del treno in partenza non sento, sembra quasi la scena di un qualche film sentimentale. Normalmente mi sarei fatto accogliere dai pregiudizi, facendo qualche commento scontato su quanto fossero scontati, ma dopo aver visto la faccia di lei non riesco. C’è qualcosa che prescinde dai sentimentalismi banali da adolescenti (e forse lei non è così piccola come pensavo). Che sia questo quello che chiamano amore? È un concetto che ho sempre considerato commerciale quanto la festa di San Valentino, però vedere una scena del genere me lo ha fatto rivalutare in un attimo... Anch’io, un giorno, avrò qualcuno pronto a guardarmi con i suoi stessi occhi? Se qualcuno che mi conosce mi dovesse sentire verrei ricoverato come pazzo. Forse sto solo delirando, non esiste nessun amore, è il caldo che mi sta dando alla testa. Intanto i piccioncini se ne sono andati mano nella mano, lei si è impadronita del manico di una valigia, insistendo probabilmente e rivendicando la parità dei sessi. Anche lui sembrava felice. Che schifo. Oh, guarda, non l’avessi mai pensato, ho un piccione vicino al piede! Qui però stiamo andando troppo ad associazioni di idee, eh! Lui potrebbe volare via quando vuole, che lo aspetta a fare il treno? Non lo sai quanto sei fortunato, maledetto pennuto scagazzone? Vedi come voli quando ho appena finito di lavare la macchina, ci manca poco che mi fai un bisognino sulla scarpa. Ma quindi chi è rimasto? Io, il piccione ovviamente, il meteorologo ottantenne e la sua comare di sproloqui, la donna russa-polacca-ucraina-lituana-est europea insomma, due ragazzette di massimo 14 anni che masticano rumorosamente dei chewing-rum (si sentono tanto stronzette dei telefilm americani mi sa) in tenuta da mare, beate loro! , e poi desolazione. Non passano nemmeno le palle di fieno. Inizio ad avere mal di testa, solo questo mi mancava. Con la fortuna che ho, se entro al bar a chiedere un bicchiere d’acqua per prendere una moment, annunciano subito il treno e mi tocca correre. Che poi non ho mai capito cosa lo annunciano a fare il treno quando è quasi arrivato, nelle stazioni “serie” lo dicono almeno cinque minuti prima! Ne ho le scatole piene, mi ha abbandonato anche il piccione, se il treno non arriva entro 5 minuti mando a quel paese prof e tesi e torno a dormire. Nel futuro zapperò le patate, va bene lo stesso, è un lavoro dignitoso e qualcuno dovrà pur farlo, no? Ok, ora sto davvero delirando. Se continuo così tra poco vedrò Italo Svevo seduto accanto a me dandomi dell’inetto con movenze ed intonazione della sempiterna gloriosa “CAPRA-CAPRA-CAPRA” di Sgarbi. Sono quasi sicuro di stare usando verbi e parole a caso. Non ci capisco più nulla, voglio il mio letto ed il mio condizionatore. Che vuole questo?

“Scusa, il treno per Palermo è già passato?”

Si, noi siamo rimasti qui perché ci piace il caldo e guardare le canne che crescono selvagge. Ma che domanda è?

“No, non è ancora passato ma dovrebbe arrivare a breve.”

Non ha colpa lui, poverino. Ogni tanto riesco a contenere il mio sarcasmo, anche perché sono io quello in anticipo nonostante il treno in ritardo e che quindi ha seguito tutte le sue evoluzioni, lui che era già in ritardo non poteva sapere. Che nervi. Il caldo mi innervosisce, la tesi mi stressa ed essere sempre in anticipo è un calvario. Dovevo mettere un cartello con scritto “attenti al cane” e delle transenne attorno a me, almeno evitavo il rischio di mordere qualcuno e passare per la persona di merda di turno. Ho sentito qualcosa. Era mica un Plin Plon quello? Se dice che è in ritardo giuro che bestemmio.

“Il treno regionale proveniente da Messina Centrale e diretto a Palermo Centrale è in arrivo al binario due.”

Ho le lacrime agli occhi, sono proprio commosso. Non ci speravo più ormai, eppure lo sento in lontananza! Allora non è uno scherzo! La mia valigia c’è ancora? Il mio pc sembrerebbe anche… oddio quanto pesa! Fortuna che mi devo spostare poco altrimenti a portarlo a tracolla ci perdevo una spalla. Lo vedo. Ecco il treno. Fai che mi si fermi davanti, fai che mi si fermi davanti, fai che mi si fermi davanti… E quando mai! Mannaggia la miseria, la porta più vicina è dall’altro lato del mondo. Poco male, almeno il tempo di raggiungerla sarà sceso chiunque debba scendere. Oh, addirittura tre persone! Ora inciampo nello scalino, sicuro. Ma in valigia ho messo i sassi? Ora il treno parte con la mia valigia e mi lascia a piedi. Ok, sono riuscito a salire finalmente. Cerchiamo un posto libero… eh, sembra facile. Ma certa gente lo sa che esiste la doccia? Anche se, ora come ora, temo di puzzare anch’io. È quello che sembra? È un posto accanto al finestrino quello? Dev’essere proprio la mia giornata fortunata! Ma perché sono sarcastico anche con me stesso? Intanto posiamo questa tracolla sul sedile, poi… oh-issa! Anche la valigia è al suo posto. Posso sedermi e godermi la seconda parte del mio viaggio della speranza.

Cos’ho imparato oggi? La prossima volta parto in macchina.
   
 
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