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Autore: Jess2792    05/11/2015    2 recensioni
[Political Animals]
TJ è di nuovo in terapia dopo l'ennesimo tentativo di uccidersi. E' di fronte a gente come lui e deve presentarsi e raccontare la sua storia fatta di alcol, sesso e droga. Elementi che lo hanno portato al punto di non ritorno.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Ciao a tutti. Mi chiamo Thomas e sono un tossico e alcolista. Per gli amici però sono TJ.
Beh, ecco, non c’è un modo semplice o veloce di raccontare la mia storia, se così possiamo chiamarla. Sì, perché una storia è interessante e stimola la mente verso nuovi fronti, la mia pare più un bruttissimo articolo di giornale scritto dal peggiore dei giornalisti che hanno conseguito la laurea solo grazie ai soldi di papino: non è interessante ed è pieno di errori grammaticali da correggere.
Qualcuno lo sa già, chi non lo sa lo scoprirà adesso. Spero che non vi siano giornalisti ficcanaso tra di voi. Sono il figlio dell’ex Presidente degli Stati Uniti d’America. La mia faccia è finita non so qualche centinaia di volte su giornali e riviste a causa della mia vita un poco sfrenata. Talmente poco sfrenata che sono dinanzi a voi, qui, oggi. A volte era per la droga, a volte era per una rissa, altre volte per un bicchierino di troppo. Poi sono finito sul giornale per essere il primo membro di una famiglia presidenziale a dichiararsi pubblicamente omosessuale. Ammetterlo fu dura, non tanto perché me ne vergognassi, ma mi sentii come se avessi sofferto di una malattia rara. Mio padre, naturalmente, non parlò con me per qualche giorno, mia madre fu fiera di me. Mia nonna mi chiese quanto ci avrei voluto mettere ancora prima di ammetterlo e poi mi ordinò uno dei miei favolosi drink giornalieri. Già, forse è proprio a causa sua che ho maturato l’amore per l’alcool. Quella vecchia stronza me ne offre dall’età di sedici anni.
Insomma, dicevamo.
La mia caduta nel Buco Nero è iniziata pressappoco due anni fa, dopo essermi dichiarato gay ai giornalisti. Stavo trascorrendo un periodo sereno, senza troppi pensieri. Avevo un fidanzato che mi amava ed io amavo lui. Ero il ragazzo più felice della terra. Mi svegliavo la mattina e lui era lì, affianco a me che fissava. Io gli chiedevo se fosse sveglio da molto, lui rispondeva che anche nel mondo dei sogni ammirava i miei occhi castani. Che stronzate queste romanticherie, eh! Erano delle mere stronzate, però mi facevano sorridere. Purtroppo però era sposato con una donna che non amava, non potevo far altro che assecondarlo, almeno finché non si fosse sentito pronto a mollare i suoi falsi sorrisi alla bacucca. Se ero geloso? Forse, ma non avrei potuto dire nulla. Dai, ero io la vacca in quel momento. Lo sfascia famiglie. Purtroppo non era il solo ostacolo: era una persona di un certo ceto sociale. Vi basti sapere che i suoi avvocati mi avrebbero fatto fuori a mani nude se avessi rivelato alla stampa della nostra relazione. Come al solito, però, quella pettegola della mia mammina lo venne a sapere quasi prima di tutti e si arrabbiò parecchio, mi intimò di non vederlo mai più, di non frequentarlo, di non avvicinarmi, di non chiamarlo mai più. In poche parole dovevo dimenticarmi di lui. Naturalmente mi rifiutai, chi era lei per decidere della mia vita sentimentale e/o sessuale? Scherziamo? Le risposi che le chiappe erano le mie e che ci avrei fatto quel che volevo. Immaginatevi la sua faccia, a sentirmi dire quella frase mia nonna intervenne e mi mollò una sberla, mio fratello non sapeva se mettersi a ridere e venirmi incontro o contrastarmi e consolare la mamma. Quando tornai al suo appartamento, Lui si fece trovare per una toccata e fuga. Mi disse che mio padre gli aveva telefonato per informarlo che la voce era divagata alla Casa Bianca. Mi guardò dritto negli occhi, preoccupato e sconvolto. Io lo baciai e per un momento lui contraccambiò, poi mi allontanò, prese la giaccia e giù di morale mi disse che non poteva andare avanti.
Tornai a casa piangendo come un bambino, mi scolai circa due bottiglie di vodka e mi infilai in macchina. Li cercai di rollarmi una canna, ma non avevo più erba in tasca. Ero disperato e mi frullò nella testa un unico pensiero. Avete capito bene. Accesi la macchina con un bel tubicino collegato al tubo di scarico e rimasi lì in attesa, sempre in lacrime e con la speranza di trovare un po’ di quella serenità che avevo stando con Lui. Mia madre, che stava rientrando dopo la tipica giornata di lavoro, mi chiamò e mi cercò, poi sentì l’odore e corse in garage. Mi trovò privo di sensi e che non respiravo.
Quando mi risvegliai, mi trovavo in un letto d’ospedale. Mio fratello dormiva su un divanetto, papà leggeva un libro e mamma dormiva con la testa poggiata sul letto tenendomi la mano. Devo essere morto per qualche minuto, avevo i segni dei cerotti per la defibrillazione. Ero spaesato, ma comprendevo ciò che avevo appena fatto. Mi rimisi a dormire, lasciando cadere delicatamente qualche lacrima ancora. Avevo fatto una stupidata, ma in quel momento pensai che fosse per una giusta causa. Forse in quel modo la mia famiglia avrebbe capito il danno che mi aveva recato.
Andai in terapia dopo essermi ripreso completamente. Psicologi, farmaci, guardie del corpo impiegate ventiquattro ore su ventiquattro per sorvegliarmi. Il tutto durò circa sei mesi. Appena terminati, tornai a bere e a fare festini. Non m’importava chi mi portassi a letto. Uomini, donne, avrei potuto portarmi a letto anche la papera del mio cane, non me ne sarei accorto. Me ne fregavo di tutto e di tutti. Ero rimasto solo, mi sentivo solo. Non avevo una ragione per continuare a fare la bella faccia. Mi disegnavano come il figlio ribelle, frocio e festaiolo? Io gli avrei dato il figlio ribelle, frocio e festaiolo.
Il tutto “finì” poche settimane fa. Ecco perché oggi sono qui: secondo tentativo di suicidio.
Forse non fu proprio un suicidio, anche perché non ricordo granché. So di essermi fatto una dose, una sniffatina, come ne facevo sempre alle feste, di coca e poi giù di drink assieme agli amici. Forse la coca era stata trattata male, che ne so. So di essermi svegliato nuovamente in ospedale, con la bocca che sapeva di acido. Sicuro avevo anche vomitato, sentivo lo stomaco completamente vuoto.
Sentii mio padre che mi teneva la mano e mi diceva di non preoccuparmi, che si sarebbe occupato di me. Avrei voluto dirgli:“Porca puttana, vecchio, smettila di fare finta che te ne importi qualcosa e fammi tornare con Lui!”. Non sempre però la nostra vita, ricchi o meno, equivale a una fiaba. La mia la reputerei un vero e proprio Inferno. Poi lo sentii piangere e capii di avere fatto l’ennesima, stupida, stronzata.
Oggi, vedendo dove sono finito, vedendo come ci sono finito, mi sento uno schifo. Questo non dovrebbe essere il mio posto. Eppure sono qui.
Maledizione a me e alla mia testa piena di merda.
Beh, che altro dire… ripeto: spero vivamente che non ci siano giornalisti fra voi. Sarei molto dispiaciuto di dover far intervenire i due colossi che potrete notare bene fuori dalla porta.
Grazie.
   
 
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