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Autore: moonwhisper    23/02/2009    2 recensioni
Avevo quel desiderio di sposarti, amore, con il tuo odore di carne avanzata. Mi ricordi il cibo. Mi ricordi la mia natura di cannibale.
E un giorno ti mangerò, amore. Io lo so. Un giorno questa mia fame atroce prenderà possesso di tutto.
Ti masticherò il cranio mentre dormi, ti gusterò come fossi una pietanza servita al ristorante.
Se il freddo non mi ucciderà prima.
Non c’è stato mai nessuno che mi ha amato tanto come questa notte. Muoio. Ho fame, amore mio.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Volevo raccontarti un po’ di noi. Così, mentre dormi, ed io cerco di asciugare questo sudore dalla fronte, che proprio non se ne vuole andare, e brucia, ed è gelido, come il fuoco. Il fuoco è gelido, qui. E nasce nei bidoni. E qualche volta ce lo troviamo addosso, la notte, senza sapere perché. Qualche volta qualcuno di noi ci muore, nel fuoco. C’è odore di carne cotta dappertutto, poi. Un odore di quelli che ti fanno salire la fame nera in bocca, la fame che ti si struscia addosso. E ti chiedi se sei umano. Se è umano volersi mangiare quello che fino alla notte prima condivideva la panchina con te.

Nessuna risposta. Solo il silenzio. Dentro di noi, attorno a noi, fuori da noi. Non c’è più spazio per le domande inopportune. Per la coscienza. E per il bianco, e per il nero. Per il bene, per il male. Nel mondo non li si distingue più. E’ tutto un correre, un urlare, uno sbranarsi a vicenda. Credere di poter mangiare la coscia dell’amico qui vicino non è assurdo. E’ normale. E’ giustificabile. E’ ciò che siamo diventati. E’ ciò che ci hanno fatti diventare. Cannibali. Amiamo l’uomo e il suo sapore. I signori e le signore. Il loro eterno roteare, come agnello nel kebab.

Queste strade non dormono mai. C’è sempre una luce, qualcosa di rosso che lampeggia, qualcuno che si ammazza per sbaglio. I rumeni li dietro che ogni tanto si spaccano le bottiglie di birra addosso, e ci schizzano il sangue sulle scarpe. Poi c’è chi dorme, come te. Con i fogli di giornale fin dentro quel che rimane delle mutande. E puzziamo tutti, senza nessuna distinzione. Una decomposizione lenta e inesorabile, così la vedo. Non è solo sporcizia. No. Non è il pisciare contro i muri, lo sgocciolare nei pantaloni. Non è la merda nella quale ci rotoliamo. No. E’ proprio il Male. Il Male del mondo. Ce l’abbiamo spalmato sul corpo, impastato nei capelli, nei denti marci. La rappresentazione concreta di ciò che non dovrebbe esistere, e invece è. Noi non dovremmo essere qui. Non dovremmo dormire sull’asfalto e morire negli angoli delle strade. Quelli li, la in fondo, non dovrebbero rubare, non dovrebbero sbudellare altri con i coltelli, non dovrebbero violentare donne. E quei bambini che hanno con loro, che corrono come pazzi, a piedi nudi, sullo schifo della Stazione, e borseggiano i passanti. Non dovrebbero essere qui. Neanche loro. Con i funghi tra le dita dei piedi, e le infezioni, e la febbre che li fa morire. Le loro madri non dovrebbero seppellirli.

E invece. Invece. Siamo qui. Irrimediabilmente, esistiamo. E loro, loro, si vergognano di noi. Ed hanno paura di guardarci, e di accorgersi che siamo esseri umani come loro. E che abbiamo fame, come loro. E che proviamo dolore, come loro. E che amiamo, come loro.

È la fottuta assurdità di tutto questo. Continuo ad aver voglia di sognare quando dormo, anche se non mi riesce. E continuo a vedere i colori delle cose, anche se sono più animale, che uomo. I topi neri che ci mordono le dita, e i fiori. I fiori, amore mio. Ma tu li vedi? Come crescono per sbaglio? Li vedi anche tu? Come sono belli. E profumano. Ne ho preso in mano uno laggiù al parco, qualche anno fa. Non so spiegartelo, ma aveva l’odore di me stesso, quando ancora ero vivo. Quando avevo i calzini puliti la mattina. I calzini puliti.

E il Sole? Ci hai mai pensato, al Sole? Che batte anche qui, dove Dio ha dimenticato di arrivare. Il Sole su di tutti. Su di me, su di te. Che racimoliamo i caffè dai tavolini dei bar della periferia, e ci troviamo i vermi dentro, e ci riflettiamo in quelle larve grigie. Ma la voglia di bere non ci passa. E ingoiamo. E i vermi. E la polvere. E la disperazione.

Ti ho sposata qui. Anche se nessuno lo potrà sapere mai. Ma sai, avevo quel desiderio di sposarti, amore, con il tuo odore di carne avanzata. Mi ricordi il cibo. Mi ricordi la mia natura di cannibale. E un giorno ti mangerò, amore. Io lo so. Un giorno questa mia fame atroce prenderà possesso di tutto. Ti masticherò il cranio mentre dormi, ti gusterò come fossi una pietanza servita al ristorante. Se il freddo non mi ucciderà prima. Tutti questi brividi che ho addosso…

Mi trascino fino alla bottiglia di Peroni. Sa di urina, questa birra. Ha lo stesso sapore. Lo stesso odore di quella notte che te la sei fatta addosso per il gelo, ed ho dovuto asciugarti le cosce con il mio gilet. Ti baciai la fronte, quella notte. Hai sempre paura, tu. Non so come fai. Come si fa ad avere paura di qualcos’altro? Cosa può succederci di peggio? Temi davvero la morte? Con quei capelli grigi che ti ritrovi, e il naso all’insù, non è poi così difficile che arrivi. Io la morte me la sento nei grovigli della barba. Magari tu la senti nel cuore.

Ci penso un attimo. Si. Credo di essere sul punto di tirare le cuoia. Forse è un bene, sai. Non lo so. Non voglio restare, ma non sono sicuro di voler andare. Come farai senza di me? E chi ti sbranerà, un giorno?

Non c’è stato mai nessuno che mi ha amato tanto come questa notte. Muoio. Ho fame, amore mio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ispirata da: Antropophagus, Baustelle. Alcuni versi della canzone sono riportati nel testo. Cito: “Amiamo l’uomo e il suo sapore. I signori e le signore. Il loro eterno roteare, come agnello nel kebab”, e “Non c’è stato mai nessuno che mi ha amato tanto come questa notte. Muoio. Ho fame, amore mio”. Ovviamente nella One Shot sono presenti altri riferimenti alla canzone, individuabili attraverso la lettura del testo della stessa. Nel qual caso il significato dovesse sfuggire, sappiate che ho tentato di descrivere la mia visione distorta della vita di due clochard, altresì denominati “barboni”.

  
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