Dipinto
di un delitto
Il
numero 12 di Grimmauld Place
è silenzioso come di consueto, così si conviene a
una dinastia di maghi
purosangue da tempo immemore. Nonostante sia estate inoltrata dalle
finestre
non entra che un fil di luce, che rischiara a mala penna il salone,
aiutato da
qualche, sporadica candela. A uno sguardo estraneo l’ambiente
apparirebbe tetro
e inospitale, persino disabitato oserebbe dire qualche malalingua,
probabilmente Babbana, se potesse aver l’onore di entrarvi.
I
giovani Black sono a far
compere in vista dell’imminente inizio dell’anno
scolastico, per la gioia degli
elfi domestici che mal sopportano il temperamento del maggiore, Sirius
III, e
gli inesaudibili ordini del piccolo di casa, Regulus Arcturus. Si
può dire
quasi che aleggi un’atmosfera festosa tra i servi minuti, i
quali bisbigliano
animatamente, mentre il padrone si chiude nel suo studio e la signora
si veste
del mantello per incontrare alcune sue amiche di pari rango a un branch.
L’unico
a scompiacersi del poco
lavoro è un elfo anziano, con le orecchie lunghe e lo
sguardo arcigno. Il suo
nome è Kreacher e si aggira sconsolato per la dimora alla
ricerca di compiti da
svolgere. Si sente sporco e inutile ad approfittare
dell’inusuale pausa; il suo
dovere, l’unico motivo per cui vive è servire i
padroni, Orion e Walburga. Non
ha fatto altro per tutta la sua esistenza.
Un
singolo raggio di sole, che
non sa stare al suo posto, entra dallo spiraglio tra due tende andando
a
colpire proprio in un occhio il quadro della padrona. Il dipinto si
lamenta:
“Sbarra quella maledetta finestra, elfo, e distruggi quei
tendaggi inutili, ce
ne occorrono di nuovi quanto prima!” impone la donna,
raffigurata sulla tela.
Kreacher s’inchina profondamente e un piccolo sorriso si
forma sulle sue
labbra; trova rassicurante quell’opera d’arte:
è come se avesse sempre la
padrona al suo fianco.
Non
attende un minuto di più per
iniziare il lavoro assegnatogli: serra le finestre una per una e tira
giù tutte
le tende, strappandole e bruciandole come desiderio del quadro. Per
alcuni
attimi la luce sembra aver spazio nel salone di casa Black ma dura
poco, poiché
l’elfo si affretta ad appendere i tendaggi di riserva tra le
lamentele del
dipinto che li trova desueti e inadatti all’ambiente. Mentre
corre a ordinare
ai suoi simili di sbrigarsi a cucire le tende a ricami verdi e argento
richieste dai padroni nei giorni addietro, Kreacher si fa un promemoria
mentale: dovrà stirasi le mani più volte per non
aver compiaciuto la padrona.
Ci
mette più del previsto a
finire il suo dovere tant'é che i rampolli tornano alla
dimora. Il più giovane
si dirige a passi svelti verso lo studio del padre, bussa due volte,
picchiettando con garbo. La porta si apre e il padroncino scompare alla
vista
dell’elfo.
Sirius
rimane immobile, al
centro del salone: una smorfia sul viso e le sopracciglia alzate che
sottolineano il suo disappunto.
“Perché
è così buio qui?”
chiede, senza rivolgersi a nessun in particolare.
“Perché le finestre sono
sbarrate?” domanda ancora, non ricevendo risposta.
Sbuffa
e si lascia cadere su una
poltrona, posizionata sotto il dipinto della madre. Estrae un
coltellino
svizzero dalla tasca e comincia a giocarci distrattamente. Il servo gli
lancia
un’occhiata e pensa tra sé che ha proprio
l’aria di un quattordicenne viziato
che non ascolta i genitori e non sarà mai un gran
purosangue, poiché non crede
in nessun degli ideali della famiglia.
“Kreacher…”
lo sente pronunciare
stupito, quasi si fosse appena accorto della sua presenza.
“Sei qui, immagino
abbia fatto tu questo lavoro.” Ribadisce, indicando le tende.
Il tono è
tutt’altro che saccente o presuntuoso. Difficilmente Sirius
Black ordina,
solitamente domanda, non con eccessiva gentilezza, ma domanda soltanto.
“È
stato un ordine di vostra
madre.” Risponde l’elfo. “Del dipinto di
vostra madre.” Aggiunge con un tono
burbero: una nota stanca nella voce per il continuo dover trattare con
il
giovane.
Il
ragazzo rivolge lo sguardo
verso l’alto, poi scoppia a ridere, forte, buttando la testa
all’indietro. “È
solo un quadro, Kreacher.” Si alza e fronteggia la tela con
aria di
sufficienza, la donna risponde con un’occhiataccia.
“Solo uno stupido, orribile
dipinto, raffigurante una donna stupida e orribile nel medesimo modo,
Non ti
può imporre di far nulla.”
La
mano che impugna il coltello
scatta nello stesso istante in cui l’ultima parola lascia le
sue labbra.
S’infilza nella parte superiore dell’opera,
all’altezza della nuca. Sirius
abbassa l’arto in unico, lungo movimento e crea un profondo
squarcio, rovinando
la tela e tutto ciò che significa.
Il
servo sbarra gli occhi,
pietrificato e sente una lacrima rigargli la guancia sinistra.
“Il dipinto
della padrona …” mormora piano, ma il ragazzo lo
sente. “Esatto!” esclama.
“Nessun altro ordine da quella megera dipinta. A volte vorrei
poter fare lo
stesso…” La frase rimane in sospeso, mentre Sirius
rivolge uno sguardo sognante
a niente di preciso dinanzi a sé. Probabilmente vede una
scena particolare, che
solo la sua fantasia crea e coglie, una fantasia destinata a rimanere
tale.
Kreacher
resta immobile, come la
statua del grande Merlino che si trova nell’ingresso, per
alcuni minuti. Poi
sente qualcosa rompersi all’interno del suo sterno, forse un
pezzetto del suo
cuore raggrinzito, che batte solo per l’antica dinastia.
Per
un attimo non vede più
nulla, tutto ciò che lo circonda è nero come la
pece, ma il colore cambia in
fretta e in un secondo davanti ai suoi occhi c’è
il rosso vermiglio del sangue:
l’unico dettaglio che riesce a cogliere chiaramente
è il coltello a serramanico
in mano al ragazzo.
È
questione di battito di
ciglia, qualcosa che l’elfo non può controllare,
ma anche se potesse, non è
certo che si fermerebbe. Uno schiocco di dita e il coltello compare tra
le sue
mani, lo sente pesante come una spada e leggero come una piuma al tempo
stesso.
Lo impugna e scompare per un istante con esso. Il giovane non ha
neppure il
tempo di realizzare l’accaduto: l’arma affonda
nella sua carne, un colpo
preciso e letale al collo, all’altezza delle corde vocali.
Non può emettere alcun
suono. Si porta le mani alla gola, prendendo lunghe boccate alla
ricerca
d’aria. Kreacher respira velocemente, inalando ed espirando
in modo innaturale,
estrae la lama, poi colpisce nuovamente: il bersaglio è la
trachea. Sirius
allunga una mano come se volesse afferrarlo ma si accascia il momento
successivo, ormai senza vita. Il sangue zampilla purpureo, bagnando la
camicia
bianca, immacolata.
L’elfo
singhiozza, tornato
momentaneamente in sé, ma si accorge presto di non piangere
per il delitto
compiuto, ma al ricordo del dipinto rovinato. Stringe la mano destra di
Sirius
nelle sue e scompare: la destinazione è la cantina di casa
Black, polverosa e
inutilizzata. All’interno c’è una
piccola stanza nascosta che ha scoperto per
caso e di cui i padroni non si curano minimamente. Posiziona il corpo
esamine
su una sedia malandata, con le gambe marce e lo schienale scrostato. Si
ferma a
fissarlo per poco, poi schiocca nuovamente le dita e fugge.
Ricomparso
nel salone si guarda
attorno spaventato: la porta dello studio è ancora chiusa e
nessun rumore
proviene dal portone principale.
C’è
ancora tempo: può mettere a
posto tutto e far finta che non sia successo alcunché.
In
cuor suo sente di aver
protetto ciò cui teneva, di aver punito il futur
traditore, nonostante ciò si punirà: ha pur
sempre posto fine alla vita di un
mago dalle pure origini, al primogenito di casa Black.