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Autore: Monique Namie    07/11/2015    10 recensioni
Rockerheart di professione fa l'Esploratore dell'Impossibile, ciò significa che mette piede in luoghi in cui nessun’altro essere umano si sognerebbe mai di andare: lo fa per scansionare i luoghi più impervi alla ricerca di rari materiali, o semplicemente per mappare zone sconosciute e un giorno poter affermare: «Sì, io sono stato anche lì!»
- AVVERTENZA: nel racconto è presente una buona dose di trash, come richiesto dal contest per cui è stato scritto.
Prima classificata al contest "Un, due... Trash!" indetto da Amahy sul forum di EFP.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ROCKERHEART Questo racconto si è classificato 1° al contest "Un, due... Trash!" indetto da Amahy sul forum di EFP.

N.d.A.

La citazione iniziale, presa dal libro di S. Hawking, l'ho riportata perché è stata la fiammella che ha alimentato la mia ispirazione e ha reso possibile la creazione di questa storia.
Per quanto riguarda il nome Rockerheart, mi sono ispirata a Rockerduck, l'eterno, instancabile e tenace rivale di Paperone.

AVVERTENZA: nel racconto è presente una buona dose di trash, come richiesto dal contest per cui è stato scritto.



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ROCKERHEART



«Esistono un certo numero di varietà diverse di quark: si pensa che ce ne siano almeno sei “sapori” che chiamiamo su, giù, strano, incantato, fondo e cima. Ogni sapore può presentare tre diversi “colori”: rosso, verde e blu.»

Tratto dal capitolo V,
Le particelle elementari e le forze della natura
del libro Dal Big Bang ai Buchi Neri, Breve Storia del Tempo di S. Hawking







Seduto in modo alquanto scomposto su una delle preziose poltrone in stile vittoriano, disposte a semicerchio sul palco della sala conferenze dell’hotel, non riusciva a schiodare lo sguardo dallo sfarzoso lampadario in cristallo. Spandeva una luce bianchissima e accecante che gli ricordava quella di un’esplosione stellare. E lui di esplosioni stellari se ne intendeva abbastanza. Un sorriso nostalgico s'impadronì del suo volto, mentre i ricordi riaffioravano vividi.

Aveva terminato da qualche ora di mappare il suolo di Cartj VII, un mondo dilaniato da continue tempeste di fulmini (un paradiso in cui un Esploratore dell’Impossibile come lui avrebbe anche potuto trasferirsi), quando gli era arrivato l’invito a presenziare a quella conferenza. Se aveva accettato di comparire tra ospiti d’onore, era solo perché sapeva ci sarebbero stati parecchi giornalisti e, tra tutti, sperava di rivedere anche lei. Da quando l’aveva vista la prima volta, aveva cercato informazioni sul suo conto, ma l’unica cosa che aveva scoperto era che faceva la reporter.

«Voi siete il primo l’Esploratore dell’Impossibile ad aver ottenuto la Glorius Nobi. Ci potete raccontare com’è successo?»

Scostò lo sguardo dal lampadario e cercò il volto dell’uomo che aveva parlato distogliendolo dalle sue riflessioni.

«Dunque... all’inizio esploravo solo luoghi terrestri», disse. «Erano posti in cui nessuno avrebbe mai sognato di mettere piede, perché il pericolo di morte era altissimo. In quel periodo, circa un anno fa, stavo mappando i cunicoli interni di un vulcano attivo e alloggiavo in un albergo, un po’ meno lussuoso di questo…»

Una risatina sommessa si levò dalla platea, facendolo esitare. Non si sentiva propriamente a suo agio tra tutta quell'eleganza, gli uomini in giacca e cravatta e le signore con lunghi abiti dalle stoffe raffinate. Tuttavia era certo che con il tempo si sarebbe abituato anche all’esagerata sfarzosità di quegli ambienti ricchi.

Senza ulteriori indugi, riprese il suo racconto, cercando di ricordare quanti più dettagli possibili…



Un anno prima.
Dopo la sua consueta escursione mattutina, Rockerheart entrò nella hall dell’albergo in cui alloggiava da ormai tre mesi, trascinandosi passo dopo passo sul pavimento lindo, con ancora addosso la tuta ignifuga. Quando poggiò i piedi sulla moquette dell’entrata, la receptionist avvertì subito l’odore di bruciato che si levava nell’aria, ma non osò rimproverarlo; avrebbe aggiunto direttamente le spese extra sul suo conto finale.

«Com’è il vulcano oggi?», chiese.

«Piacevole», rispose lui, la voce resa metallica dall’interfono del casco, «peccato che il computer interno sopporti la pressione di appena mille piedi di profondità. Se disponessi di un computer più potente avrei potuto rivoltare quel pozzo di lava come un calzino.»

La ragazza oltre il bancone della reception, che era ormai abituata alle sue stramberie, cercò il suo sguardo oltre la visiera oscurata del casco che indossava, ma non lo trovò. «Non siete più circondato dalla lava, potreste anche togliere quell’armatura, adesso.»

Sentì lo sbuffo della sua risata uscire deformato dal diffusore vocale, probabilmente danneggiato dalle alte temperature. «Questa non è un’armatura, è come la mia seconda pelle!»

«Una seconda pelle che vi protegge dal fuoco; qui siamo in un albergo dotato di aria condizionata», continuò l’altra cercando di mascherare l’irritazione con un finto tono cordiale. «Comunque, se il problema è la resistenza del computer, dovreste acquistarne uno nuovo», suggerì.

«Dovrei, ma preferisco fabbricarlo da me», fu la risposta concisa di lui. La ragazza gli porse sul bancone le chiavi della stanza, lui le afferrò senza togliere i guanti ancora ardenti e si diresse verso gli ascensori. Sentì lo sguardo della receptionist seguirlo. Era certo che sotto sotto fosse un po’ attratta da lui, ecco perché lo trattava sempre con un certo risentimento. Ma il suo cuore era già impegnato. Quando la porta dell’ascensore si aprì cambiò idea e puntò verso il bar-ristorante. Era ancora presto per il pranzo, ma non troppo tardi per un quark. Tutto quel fuoco gli aveva messo sete. Prima di buttarsi sotto il getto rigenerante della doccia avrebbe ingurgitato un po’ del suo nettare preferito. Si sedette dunque in una delle tante sedie libere vicino al bancone. Fortunatamente erano sedie metalliche che non correvano il rischio rimanere marchiate a fuoco. Tolse il casco e lo poggiò a terra: un viso giovane e piuttosto attraente, incorniciato da ciuffi spettinati di capelli castani, contrastò con la rusticità della tuta

«Il solito, Nat

«Un quark incantato blu al posto tre!», urlò il barista verso le cucine, poi si rivolse al ragazzo. «Allora, per quanto tempo ancora hai intenzione di fare il turista in quest’albergo?»

«Per tutto il tempo necessario a mappare le fenditure sotterranee del vulcano e a scovare qualche prezioso elemento.»

«Ragazzo mio, che cosa speri di trovare sotto un mucchio di roccia fusa?!»

Rockerheart non rispose. Sulla soglia dei trent’anni non aveva mai avuto un lavoro fisso, ma grazie alla sua passione per l’avventura estrema, era in grado di arrivare dove nessun altro uomo aveva mai osato. Era stato in profonde grotte subacquee a raccogliere cristalli curativi, aveva scavato cunicoli sotto i ghiacci dell’Antartide per diseppellire antichissimi fossili, e aveva volato nella ionosfera per imbottigliare l’essenza delle aurore. Non era un incosciente: amava imbarcarsi nelle imprese più ardue, ma solo quando era certo di potercela fare. In questo modo, aveva scoperto più di una decina di nuovi elementi chimici, che nel mercato planetario venivamo pagati molto bene, per cui aveva potuto mettere da parte un bel gruzzolo. Che cosa sperasse di trovare dentro al cratere di un vulcano pericolosamente attivo, era un mistero anche per lui stesso; seguiva l’istinto e l’istinto da ormai tre mesi gli suggeriva di cercare qualcosa lì.

Finì di bere il suo quark incantato blu, assaporandone l’aroma inteso all’anice e dal piacevole retrogusto esotico. Dopo aver scostato le labbra sottili dal bordo del bicchiere, rimase a riflettere sul quel sapore magico. Si concedeva un quark incantato blu alla settimana: la prima volta che l’aveva ordinato, accanto a lui c’era una ragazza. Il sapore del quark gli ricordava quello della sua pelle bianca, anche se non l’aveva mai assaggiata se non con gli occhi, mentre il colore blu gli ricordava quello delle sue iridi – quelle sì, aveva potuto ammirarle: vi si era specchiato l'anima ed era rimasto affascinato: un tale potere credeva potesse appartenere soltanto a una dea. Ogni volta si riprometteva di non ordinare più quella bevanda, ma la verità era che, ricreando quell’atmosfera e gustando quell’essenza, sperava di vederla entrare di nuovo dalla porta scorrevole del bar per venire a sedersi vicino a lui. Aveva chiesto informazioni su di lei, ma tutto ciò che avevano saputo dirgli era che faceva la giornalista e che si era fermata un solo giorno per scrivere un servizio su un avvenimento locale.

Osservò malinconicamente il bicchiere vuoto, poi lo mise nel casco, attivò il risequenziatore materico e ne tirò fuori una barretta energetica. Iniziò subito a sgranocchiarla per eliminare ogni prova, prima che il barista si accorgesse di aver perso l’ennesimo bicchiere.


Il suo appartamento al quinto piano dell'albergo, durante quel periodo di permanenza, si era trasformato in qualcosa di simile a un laboratorio. Aggeggi tecnologici dal dubbio utilizzo, macchinari per il calcolo di complicate statistiche e probabilità, erano accatastati in modo disordinato vicino alle pareti.

Tolta la tuta ignifuga, Rockerheart si ritrovò a pesare circa quindici chili di meno. Era coperto solo da un paio di boxer neri, quando vide sbucare dalla cucina una ragazza con la divisa governativa. La osservò incuriosito per un attimo, poi continuò a muoversi per la stanza senza mostrare il minimo imbarazzo.

«Emet Jonna Ottismour Ceasar Aarymond Rockerheart?» chiese la ragazza, squadrandolo dalla testa ai piedi.

«Sì, sono io», rispose.

Fu più sorpreso che la sconosciuta conoscesse il suo nome completo, piuttosto del fatto che fosse riuscita a entrare con porte e finestre chiuse. Rockerheart effettivamente era solo il suo cognome. Quando si stabiliva per un po’ in un albergo, consegnava alle autorità il suo documento di soggiorno provvisorio, in cui compariva solo l’essenziale: cognome e gruppo sanguigno. Il suo nome proprio era troppo lungo e complesso da poter essere ricordato e lui, finora, si era spostato abbastanza rapidamente da un posto a un altro, prima che qualcuno potesse trovargli un soprannome. Tutti finivano quindi per chiamarlo Rockerheart. Per questo motivo fu sorpreso di sentirsi chiamare con il suo nome intero.

«Sono qui in vece del governo, allo scopo di reclutarvi per una missione», disse la ragazza.

«Mi spiace, al momento sono impegnato con un vulcano», rispose lui, entrando in bagno e chiudendosi dentro. L'impiegata governativa rimase per qualche istante interdetta, poi si avvicinò alla porta e cercò di riprendere la comunicazione, ma l’altro aveva aperto il getto d’acqua della doccia e il rumore sovrastava le parole. Attese seduta con impazienza su una poltrona, tra una saldatrice quantica e un convertitore universale finché, un quarto d’ora dopo, lui non uscì dal bagno ripulito e vestito con abiti nuovi.

«Vi ho detto che al momento sono impegnato», disse con aria seccata, quando scoprì che la sua ospite non se n’era ancora andata.

«Signor Rockerheart, statemi a sentire, per favore. I minuti di tempo che voi avete impiegato sotto la doccia, per gli abitanti di Jorno sono un lusso che non possono permettersi. È da anni che il governo controlla i vostri spostamenti per…»

«Mi controllavate? Sono un onesto cittadino e chiedo il rispetto della mia privacy», la interruppe bruscamente lui.

«Lasciatemi finire! Vi seguiamo da anni, e abbiamo appurato che voi siete il candidato ideale per una missione di vitale importanza. Riteniamo che un compenso di otto milioni di traki sia la cifra adeguata da assegnarvi, nel caso in cui accettiate.»

Rockerheart rise credendo fosse una presa in giro. Con tutti quei soldi avrebbe potuto comprarsi un piccolo pianeta e fondare il suo impero.

«Non è uno scherzo», si affrettò a specificare la ragazza. «Vi lascio qui un fascicolo con i dettagli della missione e un recapito a cui potrete rivolgervi quando avrete deciso cosa fare.» Esitò un istante e poi aggiunse: «Prendetevi tutto il tempo necessario, ma dateci una risposta entro un’ora. La situazione è alquanto critica.»

Appoggiò un plico sopra al tavolo, gli si avvicinò, lo fissò intensamente per qualche secondo e così facendo scannerizzò i suoi pensieri, poi si dissolse lasciando dietro di sé uno scintillio.

«Teletrasporto! Chissà che mi credevo!», disse, rivolto al nulla davanti a sé. Il titolo del plico che la ragazza aveva lasciato era “VY Canis Majoris Collapse [1]”.


Quando Rockerheart doveva riflettere per prendere una decisione importante, necessitava di un luogo tranquillo e solitario in cui meditare, un luogo in cui potersi sedere a gambe incrociate, osservare l’orizzonte in lontananza e ascoltare i suoni della natura.

Dopo pranzo, tornò quindi nuovamente sulle pendici del vulcano e quando incontrò il primo fiume di lava, issò sul capo il casco della tuta ignifuga che già aveva addosso e vi s’immerse.

La sua era una tuta rosso vermiglio che si confondeva facilmente con il colore della roccia fusa.

Camminando all’interno del fiume di lava osservò il termometro esterno raggiungere e superare gli 800°C. Quello che stava terminando di mappare era un vulcano di tipo super-pliniano, il che voleva dire che poteva esplodere da un momento all’altro. La consapevolezza di camminare su una bomba innescata non lo preoccupava affatto, anzi gli regalava un impagabile senso adrenalinico che non avrebbe scambiato per nulla mondo. Dopotutto anche se l’esplosione fosse avvenuta in quel momento, avrebbe al massimo preso qualche ammaccatura.

In prossimità del cratere principale, ripensò a ciò che aveva letto nella documentazione lasciata dalla giovane impiegata governativa. VY Canis Majoris: una stella con un raggio di circa duemila volte più grande di quello del Sole, situata al centro di un sistema planetario da poco colonizzato dall’uomo, stava per diventare un’ipernova. Probabilmente l’ipernova non sarebbe durata che qualche giorno, il nucleo sarebbe ben presto collassato su se stesso formando un buco nero che avrebbe condannato tutte le colonie più vicine. Il governo chiedeva a Rockerheart di scongiurare questa fatalità inserendo un convertitore di probabilità al centro della stella. Era spiegato anche che il convertitore non poteva essere mandato lì con una sonda, perché a causa delle temperature proibitive, i comandi a distanza risultavano inutilizzabili: doveva esserci una persona a far funzionare l’aggeggio.

Il ragazzo alzò lo sguardo verso un getto di fuoco, fumo e lapilli sprigionato dalla potenza del vulcano e, ammirando quello spettacolo, si mise a riflettere ad alta voce. «È una condanna a morte entrare in una stella di quelle dimensioni. Ok, ok! C’è una temperatura di tremila gradi Kelvin inferiore a quella del Sole, ma resta comunque un suicidio! Dovrei perfezionare la resistenza degli scudi termici esterni, ma dove lo trovo un materiale in grado di sopportare un calore superiore a quello di centinaia di esplosioni nucleari?!»

I lapilli, lanciati nel cielo poco prima, ricaddero a terra attratti dalla forza di gravità, quelli che cadevano addosso a Rockerheart andavano in frantumi come gesso.

No, non avrebbe accettato la missione: non ci teneva a morire così giovane. Portò le braccia lungo i fianchi e si tuffò a piedi pari nel cratere colmo di lava del vulcano.

Non esisteva un materiale in grado di resistere alle temperature stellari.

Ogni cosa esistente è formata da atomi che sono stati creati dagli scarti della fusione nucleare delle stelle; ciò significa che l’unico materiale che può resistere a tali temperature deve trovarsi fuori dall’universo, tuttavia, quello che si trova oltre i confini dell’universo è materia per filosofi.

Si lasciò scivolare sempre più in basso nel cratere grazie al peso della tuta. Il computer sulla visiera segnalò un cunicolo secondario che non aveva ancora esplorato. Facendo perno con una mano su uno spuntone di roccia semifusa, entrò nel cunicolo. La pressione si fece maggiore, il segnale del computer interno vacillò, lasciando Rockerheart per qualche attimo immerso nell’oscurità.

Quando si trovava a qualche centinaio di metri sotto la superficie terrestre, circondato dal fuoco, si sentiva vivo. Non era pazzo, sapeva quello che faceva e quali erano i suoi limiti e i rischi a cui andava incontro. La sua audacia era bilanciata dalla paura. Controllava compulsivamente il livello di ossigeno e lo stato degli scudi termici. L’adrenalina era a mille.

Improvvisamente qualcosa interferì con il computer della tuta: un uomo possente con addosso un gonnellino da Romano, elmo dorato, sandali, scudo e mantello decorati, era apparso a qualche metro da lui. Zoomò meglio sulla figura: l’immagine sul display della visiera sfocò e poi tornò limpida: il misterioso uomo reggeva tra le mani una lancia incandescente.

«Che diavolo...», mormorò Rockerheart.

«Ragazzo, porta rispetto al dio della guerra», ruggì la divinità, provocando una scossa di terremoto che rese il vulcano più furioso che mai.

«Il dio della guerra sul fondo di un vulcano?!»

«Quale luogo migliore? In guerra si usano armi da fuoco e l’umanità tocca il fondo. Incredibile, vero? Un dio della guerra pacifista. Oh, non fraintendere, una volta la guerra mi piaceva, quando ancora ci si scagliava uno contro l’altro come… come in una partita di rugby. Adesso sapete solo costruire bombe da lanciare qua e là, a mo’ di battaglia navale. Che divertimento c’è?»

Sballottato dalla pressione della lava, Rockerheat non riusciva più a mettere a fuoco la figura del dio. In un primo momento pensò che fosse terminata la scorta di ossigeno e che il suo cervello gli stesse procurando delle allucinazioni. Poi il dio continuò, con voce più potente di prima: «Sono qui per affidarti un compito di vitale importanza. So che ti hanno proposto di andare su Canis Majoris. Se recuperai il prezioso oggetto che mia figlia ha perduto proprio su quella stella, esaudirò il tuo più grande desiderio.»

Il ragazzo non fece in tempo a replicare che Marte aveva già creato un varco dimensionale facendo roteare la lancia incandescente e, un momento dopo, il fuoco del vulcano era già stato sostituito da un salotto bianco con la pavimentazione lucida e le pareti linde. Attorno a lui, due persone se ne stavano a debita distanza a osservarlo piuttosto incuriositi: Jiorsh, che era un esperto nella fusione di qualsiasi cosa e Mirikal, che si era specializzato nello studio delle anomalie e due anni prima aveva ottenuto un riconoscimento mondiale per l’aver estratto un dinosauro da una singolarità spazio-temporale. Il primo era un ometto basso di bell’aspetto, con capelli biondo cenere e occhi stanchi di un piacevole color nocciola. Il secondo, invece, sembrava uno scapestrato: con quei capelli neri sparati in tutte le angolazioni dal gel, e lo sguardo furbesco, non ispirava per niente fiducia.

Qualche minuto dopo, Rockerheart, parlando con quei due personaggi, scoprì di essere finito esattamente sulla base spaziale orbitante attorno a YV Canis Majoris. Da qualche parte in quella stessa struttura doveva esserci anche il capo della missione.

«Bene ragazzi», intervenne lo scapestrato Mirikal, «siamo qui per svolgere una missione e la svolgeremo. Ma non ora», concluse in tono solenne. «Seguitemi! Appena arrivato qui, ho fatto una scoperta!»

La scoperta era davvero sensazionale. La base orbitante attorno alla stella era dotata di una sala giochi immensa. Dimentichi della gravità della situazione, i tre si sfidarono prima al laser game e poi al calcetto elettronico mentre si raccontavano le rispettive storie. Saltò fuori che Mirikal era stato portato lì dalla dea Venere in persona e Jiorsh da un enorme pupazzo gommoso con un occhio solo.

«Tutte proiezioni mentali!», annunciò Mirikal. «Per quanto vorrei credere che Venere si fosse davvero interessata al sottoscritto, devo analizzare i fatti dalla prospettiva più probabile. Hanno scannerizzato i nostri collegamenti neurali per creare la proiezione adatta a trascinarci fin qui», disse. «Fidatevi. Ve lo dico io, che sono in grado di percepire anomalie di qualsiasi tipo, anche a chilometri di distanza.»

«E il tunnel? Il varco dimensionale che ho visto?», chiese Rockerheart.

«L’hanno aperto loro. Un semplice teletrasporto con qualche effetto speciale in più», concluse. Poi assunse un’improvvisa espressione accigliata. Sembrò tendere l’orecchio verso una delle pareti metalliche che separavano l’interno della base spaziale dal vuoto cosmico. «Ecco! Sì! L’anomalia proviene esattamente da nord!»

Si spostarono tutti verso una delle grosse finestre blindate, e l’unica cosa che poterono osservare, verso nord, era l’enorme disco infuocato di YV Canis Majoris, opportunamente schermato.

Jiorsh, che fino a quel momento era sembrato un uomo molto tranquillo e pacato, se ne uscì con un’espressione piuttosto agitata, composta da una fusione di diverse lingue. «Esto super sun bu keyi être un illusion! De unique possible explanation es un muro utopico! Khruphiden! Necexito de hablar avec les ombres qui on erfunden si formidable tecnoloja

Subito intervenne Mirikal, improvvisandosi traduttore. «Sta dicendo che YV Canis Majoris, in realtà, è un diversivo per qualcosa di più grande che si nasconde al suo interno, e vorrebbe conoscerne gli ideatori.»
«Lo avevo intuito», disse Rockerheart, continuando ad osservare il cerchio infuocato oltre il vetro blindato. Se c’era qualcosa che non sopportava, oltre ai venti gelidi dell’Antartico, che lo avevano accompagnato durante più di un’esplorazione, quella cosa erano le finte stelle usate come diversivo per i complotti interplanetari.

«Scusate, quando qualcosa mi entusiasma, tendo a mescolare le lingue», si giustificò Joirsh, schiarendosi la voce dopo essere tornato in sé. Picchiettò sul vetro con la pistola laser che aveva sottratto al laser game e valutò per qualche istante la situazione. «Non so voi, ma yo [2] devo assolutamente sapere cosa c’è dentro quel sole!»

«Se la corteccia esterna fosse spessa solo qualche metro, potrei tuffarmici dentro con l’armatura ignifuga e indagare», disse Rockerheart. Gli altri due, sentendosi messi in secondo piano, si animarono e iniziò così un’accesa discussione, in cui ognuno cercava un motivo per risultare più importante dell’altro.

«Ragazzi! C’è un sole che sta per diventare un’ipernova! Vi sembra il caso di continuare con questa discussione?», intervenne Rockerheart, preso da un improvviso senso di preoccupazione. Gli altri, tuttavia, non lo ascoltarono. Sembrava che quella futile disputa fosse destinata a degenerare, quando finalmente entrò nella sala giochi il generale Kolberto Kolver, colui che stava a capo della missione, e con il suo sguardo glaciale fece ammutolire tutti i presenti. Su Kolberto Kolver giravano parecchie leggende; una di esse diceva che avesse ottenuto il posto di generale convincendo il suo predecessore a dare le dimissioni con un solo sguardo, per l’appunto. E a giudicare dall’effetto che provocò sui tre ragazzi, forse la quella leggenda aveva un fondo di verità. Kolberto vestiva con un’elegante divisa bianca costellata di medaglie miniaturizzate per farle stare tutte entro i bordi della giacca. Senza staccare gli occhi dai tre, si sfilò la medaglia più importante, la Glorius Nobi, di un colore bellissimo e inteso da risultare indescrivibile, che solo a guardarla sembrava magica, e disse: «Farò sì che ognuno di voi ottenga una medaglia identica a questa, se porterete a termine la missione in tempo.»

Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Mirikal riuscì a creare un’anomalia che conduceva oltre la radiazione di fondo dell’universo; riuscì a crearla in modo spettacolare, usando una slot machine e una manopola del tavolo da calcetto elettronico. Dall’anomalia estrasse un elemento sconosciuto, qualcosa che stava fuori dall’universo e che prima di allora era solo materia di discussione per i filosofi. Jiorsh fuse abilmente il nuovo elemento con la tuta ignifuga di Rockerheart; riuscì nel suo intento di fusione posizionando ben ottantatré lenti telescopiche una di fronte all’altra e facendo passare dentro di esse un fascio di luce d’intensità inimmaginabile.

La nuova tuta di Rockerheart, così upgradata, aveva delle sfumature fosforescenti e pesava qualche chilo in più. Quando la indossò, si sentì una persona nuova, pieno d’energia e positività, pronto esplorare qualsiasi cosa.


***

«Quindi, è per merito di quella tuta che siete diventato Esploratore dell’Impossibile e avete ottenuto la medaglia più prestigiosa esistente.»

La voce armoniosa di una donna lo colse di sorpresa. Rocherheart interruppe il suo racconto e fece scorrere lo sguardo verso le ultime file, per dare un volto a quella bella voce, ma il fondo della sala era immerso nella penombra.

«La tuta ignifuga è come l’armatura di un cavaliere: se l’uomo che la indossa non ha alcuna abilità, cadrà al primo fendente», rispose.

La stessa voce di donna pose un’altra domanda: «Che cosa avete trovato dentro al sole?»

«Fui sparato nello spazio con un cannone cosmico, attraversai la prima corteccia infuocata e mi trovai di fronte a una città, di più, una megalopoli. No, non rende bene l’idea. Lì dentro c’era proprio un altro mondo, completo di centri commerciali, parchi con alberi di fuoco, mari di plasma, ristoranti esotici, fiumi e cascate di lava, abitazioni costruite con mattoni di energia elementare. Per non parlare dei mercatini d’antiquariato: fu sbirciando in uno di questi che, per puro caso, riuscii a trovare l’origine del problema…»

Il pubblico era ammutolito per la curiosità, ansioso di ascoltare il resto.

«Il sole non stava per esplodere. I dati inviati ai computer della base orbitante, tramite la sonda che mi era stata affidata, furono analizzati da Joirsh, che oltre a saper fondere qualsiasi cosa, parlava tutte le lingue terrestri e aliene conosciute. Dopo aver intrattenuto un'emozionante conversazione con i computer, identificò il problema. Magari alla prossima conferenza lo invitate e vi fate spiegare da lui stesso quello che accadde durante la sua incredibile chiacchierata bit a bit.»

Rockerheart si alzò. «Bene, direi che è arrivato il momento di fare una pausa di ristoro.»

Avanzò nel corridoio centrale, senza badare agli inchini e agli elogi delle persone mentre passava loro vicino. Raggiunse le ultime file e individuò la donna che prima gli aveva posto le domande. Quando la vide non ebbe dubbi: era la stessa donna che aveva rapito il suo cuore un anno prima, nel bar di un modesto albergo alle pendici del vulcano che aveva scelto di mappare. Vestiva con un elegantissimo abito color zucca pieno di risvolti, merletti e fermagli in oro. Le si avvicinò e la salutò con un aggraziato baciamano. «Permettevi di farvi un dono che si intoni alla vostra bellezza.»

Detto questo, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un cofanetto e aprendolo ne rivelò il braccialetto che stava dentro. Era così fluido e brillante che sembrava in oro liquido, costellato da lacrime di dee versate sulla Via Lattea e mischiate ai sapori afrodisiaci di mille sanguinose battaglie.

Alla vista di quel gioiello, il volto della donna assunse un’espressione tra l’ammirato e il sorpreso. Sollevò gli occhi in cerca dello sguardo di Rockerheart e sorrise.

«La leggenda dice che la figlia di Marte sarà destinata a vivere da comune mortale, e invecchiare lentamente sovrastata dallo scorrere del tempo, finché un giovane esploratore non ritroverà il suo bracciale smarrito», disse lei.

Il ragazzo prese il bracciale e glielo mise al polso con delicatezza. Dopodiché lei cercò le mani di lui e le avvolse come per proteggerle dal freddo di una tormenta di neve.

«Sono Pentesilea, figlia di Marte.»

«Emet Jonna Ottismour Ceasar Aarymond Rockerheart, Eploratore dell'Impossibile.»

Entrambi risero come due complici amanti.

Il ragazzo, che si era già guadagnato otto milioni di traki e aveva appuntata al petto la Glorius Nobi, ora aveva anche la possibilità di chiedere a Marte di realizzare il suo desiderio più grande. Alcune idee gli si affacciarono subito alla mente, ma decise di prendersi un po' di tempo prima di esprimere il desiderio: voleva essere certo di usare il favore del dio della guerra nei migliore dei modi. Intanto invitò la bella Pentesilea al bar e le offrì un quark incantato blu.




Glossario:
1-
YV Canis Majoris è una stella che esiste veramente. Ad oggi è considerata la stella più grande conosciuta. I dati riguardo la sua grandezza e la temperatura, riportati nel testo, sono quelli fornirti dalle attuali conoscienze scientifiche.
2- Non è un refuso: yo = io in spagnolo, è messo all’interno della frase per far intendere che Jiorsh fatica a dominare l’entusiasmo e qualche parola straniera continua a intrufolarsi nei suoi discorsi.






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"Rockerheart" di Monique Namie
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