N.d.A.
La citazione iniziale, presa dal libro di S. Hawking, l'ho riportata perché è stata la fiammella che ha alimentato la mia ispirazione e ha reso possibile la creazione di questa storia.
Per quanto riguarda il nome Rockerheart, mi sono ispirata a Rockerduck, l'eterno, instancabile e tenace rivale di Paperone.
AVVERTENZA: nel racconto è presente una buona dose di trash, come richiesto dal contest per cui è stato scritto.
ROCKERHEART
«Esistono
un certo numero di varietà
diverse di quark: si pensa che ce ne siano almeno sei
“sapori” che chiamiamo
su, giù, strano, incantato, fondo e cima. Ogni sapore
può presentare tre
diversi “colori”: rosso, verde e blu.»
Tratto
dal capitolo V,
Le particelle
elementari e le forze della natura
del libro
Dal
Big Bang ai
Buchi Neri, Breve Storia del Tempo
di
S. Hawking
Seduto
in modo alquanto scomposto su una delle preziose
poltrone in stile vittoriano, disposte a semicerchio sul palco della
sala
conferenze dell’hotel, non riusciva a schiodare lo sguardo
dallo sfarzoso
lampadario in cristallo. Spandeva una luce bianchissima e accecante che
gli ricordava
quella di un’esplosione stellare.
Aveva
terminato da
qualche ora di mappare il suolo di Cartj
VII, un
mondo dilaniato da continue tempeste di fulmini (un paradiso in cui un
Esploratore
dell’Impossibile come lui avrebbe anche potuto trasferirsi),
quando gli era
arrivato l’invito a presenziare a quella conferenza. Se aveva
accettato di comparire
tra ospiti d’onore, era solo perché sapeva ci
sarebbero stati parecchi
giornalisti e, tra tutti, sperava di rivedere anche lei. Da quando
l’aveva
vista la prima volta, aveva cercato informazioni sul suo conto, ma
l’unica cosa
che aveva scoperto era che faceva la reporter.
«Voi
siete il primo l’Esploratore
dell’Impossibile ad aver
ottenuto la Glorius Nobi.
Ci potete raccontare com’è
successo?»
Scostò
lo sguardo dal lampadario e cercò il volto
dell’uomo che aveva parlato distogliendolo dalle sue
riflessioni.
«Dunque...
all’inizio esploravo solo luoghi terrestri»,
disse. «Erano posti in cui nessuno avrebbe mai sognato di
mettere piede, perché
il pericolo di morte era altissimo. In quel periodo, circa un anno fa,
stavo
mappando i cunicoli interni di un vulcano attivo e alloggiavo in un
albergo, un
po’ meno lussuoso di questo…»
Una
risatina sommessa si levò dalla platea, facendolo
esitare. Non si sentiva propriamente a suo agio tra tutta
quell'eleganza, gli
uomini in giacca e cravatta e le signore con lunghi abiti dalle stoffe
raffinate. Tuttavia era certo che con il tempo si sarebbe abituato
anche
all’esagerata sfarzosità di quegli ambienti ricchi.
Senza
ulteriori indugi, riprese il suo racconto,
cercando di ricordare quanti più dettagli
possibili…
Dopo
la sua consueta escursione mattutina, Rockerheart
entrò nella hall dell’albergo in cui alloggiava
da ormai tre mesi, trascinandosi passo dopo passo sul pavimento lindo,
con
ancora addosso la tuta ignifuga. Quando poggiò i piedi sulla
moquette dell’entrata,
la receptionist avvertì subito l’odore di bruciato
che si levava nell’aria, ma
non osò rimproverarlo; avrebbe aggiunto direttamente le
spese extra sul suo
conto finale.
«Com’è
il vulcano oggi?», chiese.
«Piacevole»,
rispose lui, la voce resa metallica dall’interfono
del casco, «peccato che il computer interno sopporti la
pressione di appena
mille piedi di profondità. Se disponessi di un computer
più potente avrei
potuto rivoltare quel pozzo di lava come un calzino.»
La
ragazza oltre il
bancone della reception, che era ormai abituata alle sue stramberie,
cercò il
suo sguardo oltre la visiera oscurata del casco che indossava, ma non
lo trovò.
«Non siete più circondato dalla lava, potreste
anche togliere quell’armatura,
adesso.»
Sentì
lo sbuffo
della sua risata uscire deformato dal diffusore vocale, probabilmente
danneggiato
dalle alte temperature. «Questa non è
un’armatura, è come la mia seconda
pelle!»
«Una
seconda pelle che vi protegge dal fuoco; qui siamo
in un albergo dotato di aria condizionata»,
continuò l’altra cercando di
mascherare l’irritazione con un finto tono cordiale.
«Comunque, se il problema
è la resistenza del computer, dovreste acquistarne uno
nuovo», suggerì.
«Dovrei,
ma preferisco fabbricarlo da me», fu la
risposta concisa di lui. La ragazza gli porse sul bancone le chiavi
della
stanza, lui le afferrò senza togliere i guanti ancora
ardenti e si diresse
verso gli ascensori. Sentì lo sguardo della receptionist
seguirlo. Era certo
che sotto sotto fosse un po’ attratta da lui, ecco
perché lo trattava sempre
con un certo risentimento. Ma il suo cuore era già
impegnato. Quando la porta dell’ascensore
si aprì cambiò idea e puntò verso il
bar-ristorante. Era ancora presto per il
pranzo, ma non troppo tardi per un quark. Tutto quel fuoco gli aveva
messo
sete. Prima di buttarsi sotto il getto rigenerante della doccia avrebbe
ingurgitato un po’ del suo nettare preferito. Si sedette
dunque in una delle
tante sedie libere vicino al bancone. Fortunatamente erano sedie
metalliche che
non correvano il rischio rimanere marchiate a fuoco. Tolse il casco e
lo poggiò
a terra: un viso giovane e piuttosto attraente, incorniciato da ciuffi
spettinati di capelli
«Il
solito, Nat.»
«Un
quark
incantato blu al
posto tre!», urlò il barista verso le cucine, poi
si rivolse al ragazzo.
«Allora, per quanto tempo ancora hai intenzione di fare il
turista in
quest’albergo?»
«Per
tutto il tempo necessario a mappare le fenditure
sotterranee del vulcano e a scovare qualche prezioso
elemento.»
«Ragazzo
mio, che cosa speri di trovare sotto un
mucchio di roccia fusa?!»
Rockerheart
non rispose. Sulla
soglia dei trent’anni non aveva mai avuto un lavoro fisso, ma
grazie alla sua
passione per l’avventura estrema, era in grado di arrivare
dove nessun altro
uomo aveva mai osato. Era stato in profonde grotte subacquee a
raccogliere
cristalli curativi, aveva scavato cunicoli sotto i ghiacci
dell’Antartide per
diseppellire antichissimi
fossili,
e aveva volato nella ionosfera per imbottigliare l’essenza
delle aurore. Non
era un incosciente: amava imbarcarsi nelle imprese più
ardue, ma solo quando
era certo di potercela fare. In questo modo, aveva scoperto
più di una decina
di nuovi elementi chimici, che nel mercato planetario venivamo pagati
molto
bene, per cui aveva potuto mettere da parte un bel gruzzolo. Che cosa
sperasse
di trovare dentro al cratere di un vulcano pericolosamente attivo, era
un
mistero anche per lui stesso; seguiva l’istinto e
l’istinto da ormai tre mesi
gli suggeriva di cercare qualcosa lì.
Finì
di bere il suo quark
incantato blu, assaporandone
l’aroma inteso all’anice e dal piacevole retrogusto
esotico. Dopo aver scostato
le labbra sottili dal bordo del bicchiere, rimase a riflettere sul quel
sapore
magico. Si concedeva un quark incantato blu alla settimana: la prima
volta che
l’aveva ordinato, accanto a lui c’era una ragazza.
Il sapore del quark gli
ricordava quello della sua pelle bianca, anche se non l’aveva
mai assaggiata se
non con gli occhi, mentre il colore blu gli ricordava quello delle sue
iridi – quelle
sì, aveva potuto ammirarle: vi si era specchiato l'anima ed
era rimasto
affascinato: un tale potere credeva potesse appartenere soltanto a una
dea.
Ogni volta si riprometteva di non ordinare più quella
bevanda, ma la verità era
che, ricreando quell’atmosfera e gustando
quell’essenza, sperava di vederla
entrare di nuovo dalla porta scorrevole del bar per venire a sedersi
vicino a
lui. Aveva chiesto informazioni su di lei, ma tutto ciò che
avevano saputo
dirgli era che faceva la giornalista e che si era fermata un solo
giorno per
scrivere un servizio su un avvenimento locale.
Osservò
malinconicamente il bicchiere vuoto, poi lo
mise nel casco, attivò il risequenziatore
materico e
ne tirò fuori una barretta energetica. Iniziò
subito a sgranocchiarla per
eliminare ogni prova, prima che il barista si accorgesse di aver perso
l’ennesimo bicchiere.
Tolta
la tuta ignifuga, Rockerheart
si ritrovò a pesare circa quindici chili di meno.
«Emet
Jonna
Ottismour
Ceasar Aarymond Rockerheart?»
chiese la ragazza, squadrandolo dalla testa
ai piedi.
«Sì,
sono io», rispose.
Fu
più sorpreso che la sconosciuta conoscesse il suo
nome completo, piuttosto del fatto che fosse riuscita a entrare con
porte e
finestre chiuse. Rockerheart
effettivamente era solo
il suo cognome. Quando si stabiliva per un po’ in un albergo,
consegnava alle
autorità il suo documento di soggiorno provvisorio, in cui
compariva solo
l’essenziale: cognome e gruppo sanguigno. Il suo nome proprio
era troppo lungo
e complesso da poter essere ricordato e lui, finora, si era spostato
abbastanza
rapidamente da un posto a un altro, prima che qualcuno potesse
trovargli un
soprannome. Tutti finivano quindi per chiamarlo Rockerheart.
Per questo motivo fu sorpreso di sentirsi chiamare con il suo nome
intero.
«Sono
qui in vece del governo, allo scopo di reclutarvi
per una missione», disse la ragazza.
«Mi
spiace, al momento sono impegnato con un vulcano»,
rispose lui, entrando in bagno e chiudendosi dentro. L'impiegata
governativa
rimase per qualche istante interdetta, poi si avvicinò alla
porta e cercò di
riprendere la comunicazione, ma l’altro aveva aperto il getto
d’acqua della
doccia e il rumore sovrastava le parole. Attese seduta con impazienza
su una
poltrona, tra una saldatrice quantica e un convertitore universale
finché, un
quarto d’ora dopo, lui non uscì dal bagno ripulito
e vestito con abiti nuovi.
«Vi
ho detto che al
momento sono impegnato», disse con aria seccata, quando
scoprì che la sua
ospite non se n’era ancora andata.
«Signor
Rockerheart, statemi
a sentire, per favore. I minuti di tempo che voi avete impiegato sotto
la
doccia, per gli abitanti di Jorno
sono un lusso che
non possono permettersi. È da anni che il governo controlla
i vostri
spostamenti per…»
«Mi
controllavate? Sono un onesto cittadino e chiedo il
rispetto della mia privacy», la interruppe bruscamente lui.
«Lasciatemi
finire! Vi seguiamo da anni, e abbiamo
appurato che voi siete il candidato ideale per una missione di vitale
importanza. Riteniamo che un compenso di otto milioni di traki
sia la cifra adeguata da assegnarvi, nel caso in cui
accettiate.»
Rockerheart
rise credendo
fosse una presa in giro. Con tutti quei soldi avrebbe potuto comprarsi
un
piccolo pianeta e fondare il suo impero.
«Non
è uno scherzo», si affrettò a
specificare la
ragazza. «Vi lascio qui un fascicolo con i dettagli della
missione e un
recapito a cui potrete rivolgervi quando avrete deciso cosa
fare.» Esitò un
istante e poi aggiunse: «Prendetevi tutto il tempo
necessario, ma dateci una
risposta entro un’ora. La situazione è alquanto
critica.»
Appoggiò
un plico sopra al tavolo, gli si avvicinò, lo
fissò intensamente per qualche secondo e così
facendo scannerizzò i suoi
pensieri, poi si dissolse lasciando dietro di sé uno
scintillio.
«Teletrasporto!
Chissà che mi credevo!», disse, rivolto
al nulla davanti a sé. Il titolo del plico che la ragazza
aveva lasciato era “VY
Canis Majoris
Collapse [1]”.
Dopo
pranzo, tornò quindi nuovamente sulle pendici del
vulcano e quando incontrò il primo fiume di lava,
issò sul capo il casco della
tuta ignifuga che già aveva addosso e vi s’immerse.
La
sua era una tuta rosso vermiglio che si confondeva
facilmente con il colore della roccia fusa.
Camminando
all’interno del fiume di lava osservò il
termometro esterno raggiungere e superare gli 800°C. Quello che
stava
terminando di mappare era un vulcano di tipo super-pliniano, il che
voleva dire
che poteva esplodere da un momento all’altro. La
consapevolezza di camminare su
una bomba innescata non lo preoccupava affatto, anzi gli regalava un
impagabile
senso adrenalinico che non avrebbe scambiato per nulla mondo.
In
prossimità del
cratere principale, ripensò a ciò che aveva letto
nella documentazione lasciata
dalla giovane impiegata governativa. VY Canis
Majoris: una stella con
un raggio di circa duemila volte
più grande di quello del Sole, situata al centro di un
sistema planetario da
poco colonizzato dall’uomo, stava per diventare
un’ipernova. Probabilmente
l’ipernova non sarebbe durata che qualche giorno, il nucleo
sarebbe ben presto
collassato su se stesso formando un buco nero che avrebbe condannato
tutte le
colonie più vicine. Il governo chiedeva a Rockerheart
di scongiurare questa fatalità inserendo un convertitore di
probabilità al
centro della stella. Era spiegato anche che il convertitore non poteva
essere
mandato lì con una sonda, perché a causa delle
temperature proibitive, i
comandi a distanza risultavano inutilizzabili: doveva esserci una
persona a far
funzionare l’aggeggio.
Il
ragazzo alzò lo sguardo verso un getto di fuoco,
fumo e lapilli sprigionato dalla potenza del vulcano e, ammirando
quello
spettacolo, si mise a riflettere ad alta voce. «È
una condanna a morte entrare
in una stella di quelle dimensioni. Ok, ok! C’è
una temperatura di tremila
gradi Kelvin inferiore a quella del Sole, ma resta comunque un
suicidio! Dovrei
perfezionare la resistenza degli scudi termici esterni, ma dove lo
trovo un
materiale in grado di sopportare un calore superiore a quello di
centinaia di
esplosioni nucleari?!»
I
lapilli, lanciati
nel cielo poco prima, ricaddero a terra attratti dalla forza di
gravità, quelli
che cadevano addosso a Rockerheart
andavano in
frantumi come gesso.
No,
non avrebbe accettato la missione: non ci teneva a
morire così giovane. Portò le braccia lungo i
fianchi e si tuffò a piedi pari
nel cratere colmo di lava del vulcano.
Non
esisteva un materiale in grado di resistere alle
temperature stellari.
Ogni
cosa esistente è formata da atomi che sono stati
creati dagli scarti della fusione nucleare delle stelle; ciò
significa che
l’unico materiale che può resistere a tali
temperature deve trovarsi fuori
dall’universo, tuttavia, quello che si trova oltre i confini
dell’universo è
materia per filosofi.
Si
lasciò scivolare sempre più in basso nel cratere
grazie al peso della tuta. Il computer sulla visiera segnalò
un cunicolo
secondario che non aveva ancora esplorato. Facendo perno con una mano
su uno
spuntone di roccia semifusa, entrò nel cunicolo. La
pressione si fece maggiore,
il segnale del computer interno vacillò, lasciando Rockerheart
per qualche attimo immerso nell’oscurità.
Quando
si trovava a qualche centinaio di metri sotto la
superficie terrestre, circondato dal fuoco, si sentiva vivo. Non era
pazzo,
sapeva quello che faceva e quali erano i suoi limiti e i rischi a cui
andava
incontro. La sua audacia era bilanciata dalla paura. Controllava
compulsivamente il livello di ossigeno e lo stato degli scudi termici.
L’adrenalina era a mille.
Improvvisamente
qualcosa interferì con il computer
della tuta: un uomo possente con addosso un gonnellino da Romano, elmo
dorato,
sandali, scudo e mantello decorati, era apparso a qualche metro da lui.
Zoomò
meglio sulla figura: l’immagine sul display della visiera
sfocò e poi tornò
limpida: il misterioso uomo reggeva tra le mani una lancia
incandescente.
«Che
diavolo...», mormorò Rockerheart.
«Ragazzo,
porta rispetto al dio della guerra», ruggì la
divinità, provocando una scossa di terremoto che rese il
vulcano più furioso
che mai.
«Il
dio della guerra sul fondo di un vulcano?!»
«Quale
luogo migliore? In guerra si usano armi da fuoco
e l’umanità tocca il fondo. Incredibile, vero? Un
dio della guerra pacifista.
Oh, non fraintendere, una volta la guerra mi piaceva, quando ancora ci
si
scagliava uno contro l’altro come… come in una
partita di rugby. Adesso sapete
solo costruire bombe da lanciare qua e là, a mo’
di battaglia navale. Che
divertimento c’è?»
Sballottato
dalla pressione della lava, Rockerheat
non riusciva più a mettere a fuoco la figura del
dio. In un primo momento pensò che fosse terminata la scorta
di ossigeno e che
il suo cervello gli stesse procurando delle allucinazioni. Poi il dio
continuò,
con voce più potente di prima: «Sono qui per
affidarti un compito di vitale importanza.
So che ti hanno proposto di andare su Canis
Majoris. Se recuperai il
prezioso oggetto che mia figlia ha
perduto proprio su quella stella, esaudirò il tuo
più grande desiderio.»
Il
ragazzo non fece in tempo a replicare che Marte
aveva già creato un varco dimensionale facendo roteare la
lancia incandescente
e, un momento dopo, il fuoco del vulcano era già stato
sostituito da un salotto
bianco con la pavimentazione lucida e le pareti linde. Attorno a lui,
due
persone se ne stavano a debita distanza a osservarlo piuttosto
incuriositi: Jiorsh,
che era un esperto nella fusione di qualsiasi cosa
e Mirikal, che si era
specializzato nello studio
delle anomalie e due anni prima aveva ottenuto un riconoscimento
mondiale per
l’aver estratto un dinosauro da una singolarità
spazio-temporale. Il primo era
un ometto basso di bell’aspetto, con capelli biondo cenere e
occhi stanchi di
un piacevole color nocciola. Il secondo, invece, sembrava uno
scapestrato: con
quei capelli neri sparati in tutte le angolazioni dal gel, e lo sguardo
furbesco, non ispirava per niente fiducia.
Qualche
minuto dopo, Rockerheart,
parlando con quei due personaggi, scoprì di essere finito
esattamente sulla
base spaziale orbitante attorno a YV Canis
Majoris. Da qualche
parte in quella stessa struttura doveva
esserci anche il capo della missione.
«Bene
ragazzi», intervenne lo scapestrato Mirikal,
«siamo qui per svolgere una missione e la
svolgeremo. Ma non ora», concluse in tono solenne.
«Seguitemi! Appena arrivato
qui, ho fatto una scoperta!»
La
scoperta era davvero sensazionale. La base orbitante
attorno alla stella era dotata di una sala giochi immensa. Dimentichi
della
gravità della situazione, i tre si sfidarono prima al laser
game e poi al
calcetto elettronico mentre si raccontavano le rispettive storie.
Saltò fuori
che Mirikal era stato
portato lì dalla dea Venere in
persona e Jiorsh da un
enorme pupazzo gommoso con un
occhio solo.
«Tutte
proiezioni mentali!», annunciò Mirikal. «Per quanto
vorrei credere che Venere si fosse
davvero interessata al sottoscritto, devo analizzare i fatti dalla
prospettiva
più probabile. Hanno scannerizzato i nostri collegamenti
neurali per creare la
proiezione adatta a trascinarci fin qui», disse.
«Fidatevi. Ve lo dico io, che
sono in grado di percepire anomalie di qualsiasi tipo, anche a
chilometri di
distanza.»
«E
il tunnel? Il varco dimensionale che ho visto?»,
chiese Rockerheart.
«L’hanno
aperto loro. Un semplice teletrasporto con
qualche effetto speciale in più», concluse. Poi
assunse un’improvvisa espressione
accigliata. Sembrò tendere l’orecchio verso una
delle pareti metalliche che
separavano l’interno della base spaziale dal vuoto cosmico.
«Ecco! Sì!
L’anomalia proviene esattamente da nord!»
Jiorsh,
che fino a quel
momento era sembrato un uomo molto tranquillo e pacato, se ne
uscì con
un’espressione piuttosto agitata, composta da una fusione di
diverse lingue. «Esto
super sun bu keyi être un illusion!
De unique possible explanation
es un muro utopico! Khruphiden!
Necexito de hablar avec les
ombres qui on erfunden
si formidable tecnoloja!»
Subito
intervenne Mirikal,
improvvisandosi traduttore. «Sta dicendo che YV Canis
Majoris, in
realtà, è un diversivo per qualcosa di
più grande che si nasconde al suo interno, e vorrebbe
conoscerne gli ideatori.»
«Lo avevo intuito», disse Rockerheart,
continuando ad
osservare il cerchio infuocato oltre il vetro blindato. Se
c’era qualcosa che
non sopportava, oltre ai venti gelidi dell’Antartico, che lo
avevano
accompagnato durante più di un’esplorazione,
quella cosa erano le finte stelle
usate come diversivo per i complotti interplanetari.
«Scusate,
quando qualcosa mi entusiasma, tendo a
mescolare le lingue», si giustificò Joirsh,
schiarendosi la voce dopo essere tornato in sé.
Picchiettò sul vetro con la
pistola laser che aveva sottratto al laser game e valutò per
qualche istante la
situazione. «Non so voi, ma yo
[2]
«Se
la corteccia esterna fosse spessa solo qualche
metro, potrei tuffarmici dentro con l’armatura ignifuga e
indagare», disse Rockerheart.
Gli altri due, sentendosi messi in secondo
piano, si animarono e iniziò così
un’accesa discussione, in cui ognuno cercava
un motivo per risultare più importante dell’altro.
«Ragazzi!
C’è un
sole che sta per diventare un’ipernova! Vi sembra il caso di
continuare con
questa discussione?», intervenne Rockerheart,
preso
da un improvviso senso di preoccupazione. Gli altri, tuttavia, non lo
ascoltarono. Sembrava che quella futile disputa fosse destinata a
degenerare,
quando finalmente entrò nella sala giochi il generale Kolberto
Kolver, colui che stava
a capo della missione, e con
il suo sguardo glaciale fece ammutolire tutti i presenti. Su Kolberto Kolver
giravano
parecchie leggende; una di esse diceva che avesse ottenuto il posto di
generale
convincendo il suo predecessore a dare le dimissioni con un solo
sguardo, per l’appunto.
E a giudicare dall’effetto che provocò sui tre
ragazzi, forse la quella
leggenda aveva un fondo di verità. Kolberto
vestiva
con un’elegante divisa bianca costellata di medaglie
miniaturizzate per farle
stare tutte entro i bordi della giacca. Senza staccare gli occhi dai
tre, si
sfilò la medaglia più importante, la Glorius Nobi,
di un colore bellissimo e inteso da risultare
indescrivibile, che solo a guardarla sembrava magica, e disse:
«Farò sì che
ognuno di voi ottenga una medaglia identica a questa, se porterete a
termine la
missione in tempo.»
Non
ci fu bisogno di aggiungere altro. Mirikal
riuscì a creare un’anomalia che conduceva oltre la
radiazione di fondo dell’universo; riuscì a
crearla in modo spettacolare,
usando una slot machine e una manopola del tavolo da calcetto
elettronico.
Dall’anomalia estrasse un elemento sconosciuto, qualcosa che
stava fuori
dall’universo e che prima di allora era solo materia di
discussione per i
filosofi. Jiorsh fuse
abilmente il nuovo elemento con
la tuta ignifuga di Rockerheart;
riuscì nel suo
intento di fusione posizionando ben ottantatré lenti
telescopiche una di fronte
all’altra e facendo passare dentro di esse un fascio di luce
d’intensità
inimmaginabile.
La
nuova tuta di Rockerheart,
così upgradata, aveva delle sfumature fosforescenti e pesava
qualche chilo in
più. Quando la indossò, si sentì una
persona nuova, pieno d’energia e
positività, pronto esplorare qualsiasi cosa.
***
La
voce armoniosa di una donna lo colse di sorpresa. Rocherheart interruppe il suo
racconto e fece scorrere lo
sguardo verso le ultime file, per dare un volto a quella bella voce, ma
il
fondo della sala era immerso nella penombra.
«La
tuta ignifuga è come l’armatura di un cavaliere:
se
l’uomo che la indossa non ha alcuna abilità,
cadrà al primo fendente», rispose.
La
stessa voce di donna pose un’altra domanda: «Che
cosa avete trovato dentro al sole?»
«Fui
sparato nello spazio con un cannone cosmico,
attraversai la prima corteccia infuocata e mi trovai di fronte a una
città, di
più, una megalopoli. No, non rende bene l’idea.
Lì dentro c’era proprio un
altro mondo, completo di centri commerciali, parchi con alberi di
fuoco, mari
di plasma, ristoranti esotici, fiumi e cascate di lava, abitazioni
costruite
con mattoni di energia elementare. Per non parlare dei mercatini
d’antiquariato: fu sbirciando in uno di questi che, per puro
caso, riuscii a
trovare l’origine del problema…»
Il
pubblico era ammutolito per la curiosità, ansioso di
ascoltare il resto.
«Il
sole non stava per esplodere. I dati inviati ai
computer della base orbitante, tramite la sonda che mi era stata
affidata,
furono analizzati da Joirsh,
che oltre a saper
fondere qualsiasi cosa, parlava tutte le lingue terrestri e aliene
conosciute.
Dopo aver intrattenuto un'emozionante conversazione con i computer,
identificò
il problema. Magari alla prossima conferenza lo invitate e vi fate
spiegare da
lui stesso quello che accadde durante la sua incredibile chiacchierata
bit a
bit.»
Rockerheart
si alzò. «Bene,
direi che è arrivato il momento di fare una pausa di
ristoro.»
Avanzò
nel corridoio centrale, senza badare agli
inchini e agli elogi delle persone mentre passava loro vicino.
Raggiunse le
ultime file e individuò la donna che prima gli aveva posto
le domande. Quando
la vide non ebbe dubbi: era la stessa donna che aveva rapito il suo
cuore un
anno prima, nel bar di un modesto albergo alle pendici del vulcano che
aveva
scelto di mappare. Vestiva con un elegantissimo abito color zucca pieno
di
risvolti, merletti e fermagli in oro. Le si avvicinò e la
salutò con un
aggraziato baciamano. «Permettevi di farvi un dono che si
intoni alla vostra
bellezza.»
Detto
questo, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un
cofanetto e aprendolo ne rivelò il braccialetto che stava
dentro. Era così fluido
e brillante che sembrava in oro liquido, costellato da lacrime di dee
versate
sulla Via Lattea e mischiate ai sapori afrodisiaci di mille sanguinose
battaglie.
Alla
vista di quel gioiello, il volto della donna
assunse un’espressione tra l’ammirato e il
sorpreso. Sollevò gli occhi in cerca
dello sguardo di Rockerheart
e sorrise.
«La
leggenda dice che la figlia di Marte sarà destinata
a vivere da comune mortale, e invecchiare lentamente sovrastata dallo
scorrere
del tempo, finché un giovane esploratore non
ritroverà il suo bracciale
smarrito», disse lei.
Il
ragazzo prese il bracciale e glielo mise al polso
con delicatezza. Dopodiché lei cercò le mani di
lui e le avvolse come per
proteggerle dal freddo di una tormenta di neve.
«Sono
Pentesilea, figlia di
Marte.»
«Emet
Jonna
Ottismour Ceasar Aarymond
Rockerheart, Eploratore
dell'Impossibile.»
Entrambi
risero come due complici amanti.
Il
ragazzo, che si era già guadagnato otto milioni di traki e aveva appuntata al petto
la Glorius
Nobi, ora aveva anche la
possibilità di chiedere a
Marte di realizzare il suo desiderio più grande. Alcune idee
gli si
affacciarono subito alla mente, ma decise di prendersi un po' di tempo
prima di
esprimere il desiderio: voleva essere certo di usare il favore del dio
della
guerra nei migliore dei modi. Intanto invitò la bella Pentesilea
al bar e le offrì un quark
incantato blu.
Glossario:
1- YV
Canis Majoris
è
una stella che esiste veramente. Ad oggi è considerata la
stella più grande conosciuta. I dati riguardo la sua
grandezza e la
temperatura, riportati nel testo, sono quelli fornirti dalle attuali conoscienze scientifiche.
2-
Non è un refuso: yo
= io
in
spagnolo, è messo all’interno della frase per far
intendere che Jiorsh
fatica a dominare l’entusiasmo e qualche parola
straniera continua a intrufolarsi nei suoi discorsi.
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