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Autore: diademasiderea    08/11/2015    3 recensioni
Se questa non è felicità , pensò George Warleggan, deve sicuramente essere qualcosa di altrettanto soddisfacente. Circondato da dame e gentiluomini che ammiravano tutte le ricchezze da lui acquisite con astuzia e sagacia, non riusciva a nascondere quel sorriso di puro compiacimento che si dipingeva sul suo volto come l'ultima pennellata che dà l'artista per completare la sua opera.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se questa non è felicità, pensò George Warleggan, deve sicuramente essere qualcosa di altrettanto soddisfacente. Circondato da dame e gentiluomini che ammiravano tutte le ricchezze da lui acquisite con astuzia e sagacia, non riusciva a nascondere quel sorriso di puro compiacimento che si dipingeva sul suo volto come l'ultima pennellata che dà l'artista per completare la sua opera. Legni finemente lavorati e intarsiati, le migliori tappezzerie, cristalli e ori racchiusi in una sola casa, ricchezza da custodire e accrescere, e, per non dimenticare, da sfoggiare. Si può ben immaginare quanto il giovane si sentisse realizzato di fronte agli sguardi stupiti degli ospiti, che mai avrebbero sospettato una tale ascesa da parte di una famiglia dalle origini incontestabilmente borghesi e prive di vanto.
Sguardo fiero, mani nascoste dietro la schiena, passo dopo passo avanzava altezzosamente fra gli invitati, intrattenendosi nell'arte della conversazione da salotto, tra convenevoli e falsi sorrisi. Taluni avevano già lungamente approfittato degli ottimi liquori gentilmente offerti dalla casa, e non si poteva certo dire che fossero solo idratati, quei signorotti pasciuti e ben nutriti. Nonostante ciò, quella sera non v'era dubbio che il più sazio fosse proprio il padrone di casa, il cui nutrimento sembrava essere costituito dall'adulazione, dalle lodi tessutegli dalla sua nuova corte, dalla consapevolezza di essere ormai alle soglie del successo. Ecco il suo nettare divino.
Nella sala principale, rivestita di un porpora intenso, le dame volteggiavano abili sui loro tacchi impossibili, mentre ammaliavano seducenti i loro spasimanti, le cui intenzioni non erano certo difficili da immaginare.
Vesti blu, verdi, rosse e azzurre saturavano le stanze.
Gli occhi del giovane si posavano attenti su questi tessuti e sulle nobildonne che li indossavano, analizzando con minuzia ogni particolare, per non perdere d'occhio il loro status. Osservava tutto: i gioielli mediocri dei Middleford, ormai rovinati - e da chi? Da me, pensò sempre più soddisatto - , il cappello troppo sfarzoso della signorina Stevens, la cui famiglia rientrava negli obiettivi da eliminare dalla concorrenza, le perle della frivola signorina Teague, gli abiti consunti dei Webb, che ben presto non avrebbero più ricevuto alcun invito da nessuna famiglia benestante.
L'attenta analisi fu per qualche istante interrotta dal giallo oro di un abito appartenente a una dama che scendeva con leggiadria dal soppalco; i capelli color di fiamma che come lingue infuocate incendiavano le pareti, in contrasto con lo sguardo timido e stupito di una novizia. Demelza Poldark, disse a bassa voce George Warleggan con tono sprezzante, aggiungendola al suo catalogo serale. Quel vestito non è altro che tutta la ricchezza che possiedono, figuriamoci se ci sia da preoccuparsi.
Volgendo nuovamente lo sguardo al salone, notò con stupore che i suoi occhi non si erano ancora soffermati sulla figura snella e composta dell'altra damigella che portava quel nome. Elizabeth Poldark era tutt'altro che ricca: i beni della sua nuova famiglia erano stati aspirati via - e il sorriso del banchiere si allargò ancora di più - in un battito di ciglia, per la sconsideratezza del marito - e per la stessa scaltrezza che aveva portato alla rovina molte famiglie. Ma quel che certo non le mancava era la grazia, la portanza, i modi raffinati, la bellezza avvenente e soprattutto un nome importante. A George Warleggan mancava solo questo: un nome.
Avrebbe potuto guadagnarlo con il matrimonio, ma non aveva ancora trovato la donna il cui lignaggio avrebbe fatto palpitare il suo cuore. Se da un lato la nobiltà non era poi così diffusa nelle terre della Cornovaglia, ormai quasi tutte in suo potere, dall'altro si presentava l'aggravante della misoginia che pullulava nel suo corpo sin dalla nascita, e che lo rendeva incapace di provare qualsivoglia sentimento di benevolenza - e parlar d'amore non si poteva, non era una parola a lui nota- verso il gentil sesso. Gli istinti carnali, nati dalla rabbia e dalla frustrazione o da eccessi di entusiasmo, magari dopo aver causato il fallimento di un'altra miniera, piuttosto che per puro desiderio, erano stati sfogati 'sì rare volte che le poche, o meglio uniche donne con cui si era intrattenuto erano riconoscibili per i gioielli con cui erano state ornate dopo essersi rese utili, e tra esse vi era la sempre più conosciuta Margaret Vosper, il cui neo sulla guancia destra, come la moda dettava al tempo, aveva attirato a sé sguardi assai bramosi.
Il banchiere si avvicinò pomposamente alla fanciulla dal vestito color glicine, dimenticata dal marito Francis Poldark in un angolo della stanza, come un frutto che i raccoglitori di mele si erano dimenticati di prendere, anzi, che non erano stati capaci di cogliere. La bella, labbra di corallo e occhi verde pallido, aveva sul volto un'espressione infelice che mascherava sempre più a stento con sorrisi sempre più deboli, in attesa che qualcuno le chiedesse la mano per un ballo, così da dimenticare almeno per qualche minuto di essere stata trascurata dall'uomo che aveva spostato solo da pochi anni.
Non è ben chiaro il motivo per cui George Warleggan, dopo aver conversato con l'ospite su quanto incantevole fosse la festa, piuttosto che serpeggiare verso altre famiglie, prese fiato puntando lo sguardo verso il pavimento, aggrottando le sopracciglia, quasi cercasse di individuare minuscoli granelli di polvere, per poi spostare freneticamente il peso da una gamba all'altra, come se la polvere si fosse rivelata essere carboni ardenti.
«Elizabeth» disse tornando a fissarla negli occhi «mi fareste la cortesia del prossimo ballo?» e subito si impadronì nuovamente dell'orgoglio che, per qualche secondo, sembrava averlo abbandonato.
Il volto di lei sembrò riaccendersi come le candele che emanano luce nelle buie chiese; fece un inchino sollevando leggermente l'ampia gonna e afferrò delicatamente la mano destra che le veniva offerta.
Un moto di sentimenti, troppo variopinti per poter rimanere stipati nel corpo del gentiluomo, erano la causa delle strane reazioni, fra loro inconciliabili, che non sarebbero potute sfuggire ad un occhio attento. Una gocciolina di sudore era scesa rapida lungo il suo collo per essere inghiottita dal fazzoletto legato stretto, e stessa sorte capitò a quel nodo in gola, ancor più stretto, che fu invece inghiottito e costretto a scivolare lungo la faringe, tradito dalla deglutizione. Tali particolari erano frutto di quelle stesse dolci mele rosse che si dipingevano sulle guance della sua compagna, talmente miste al belletto da potersi rivelare una semplice fantasia del signor Warleggan. D'altronde, l'agitazione era perfettamente mascherata nel più spontaneo dei modi dallo sguardo fiero e dal petto gonfio di superbia da quando il primo invitato aveva varcato la soglia della sua villa, sebbene in quel momento si fosse gonfiato ancor di più. I cristalli sul soffitto, i tendaggi ricamati, i ninnoli di recente acquistati, le statuette di marmo, tutto il meglio della casa era stato messo in bella mostra al fine di suscitare invidia nell'intera Cornovaglia, i cui abitanti, o almeno i più illustri fra essi, erano tutti partecipanti alla festa; e il padrone di tali beni, mentre continuava a fornire appoggio alla mano delicata della fanciulla che lo affiancava, non poteva fare a meno di assaporare nei dettagli il dessert del suo banchetto di lusso, credendosi vicino all'estasi ogni volta che giungevano alle sue orecchie complimenti sull'arredo.
Ben presto la sua attenzione venne distolta dagli ori che lo circondavano, ma solo perché qualcosa di ancor più luminoso del più raffinato dei metalli si era fatto spazio nelle sue pupille, affondando per metri e metri dentro la cavità nera, avvolta dalle iridi azzurre.
Forse la causa di quanto accaduto risiedeva nella luce delle candele, o forse negli stessi candelabri dorati che le sostenevano, ma per non sottrarre al lettore alcuna ipotesi, sarà lecito nominare il verde degli occhi di Elizabeth Poldark, che avevano abbandonato la pallida tinta verdastra per assumere il colore della speranza, quel verde cangiante che aveva distratto George Warleggan dalle sue fortune, facendolo sentire invece fortunato di quanto ora aveva dinnanzi a sé.


 

 
La notte avvolgeva tutta la Cornovaglia, già silenziosa per natura, e, da padrona qual è, si occupava dei campi e dei boschi riempendoli della presenza di quegli animali che solo chi ha conosciuto l'insonnia è stato capace di vedere, udire o addirittura, in rari casi, toccare. In questo silenzio immacolato, interrotto esclusivamente dai bubolii dei gufi e dal quieto frusciare delle foglie, qualcosa si agitava. Se vi si prestava attenzione, ci si poteva accorgere che il movimento proveniva proprio da quella villa da cui gli ultimi invitati erano partiti da poco, esattamente da una camera da letto. Si percepiva qualcosa agitarsi e dimenarsi dentro la gabbia toracica del giovane che poche ore prima aveva ballato con Elizabeth Poldark. Il suo cuore martellava turbolento, mentre le mani erano scosse da lievi tremiti.
Là, in quel luogo remoto da cui giungevano battiti tanto strepitanti, vi era un piccolo lago dall'acqua diafana, circondato da salici i cui lunghi rami ricadevano al suolo sinuosamente. Non c'era alcuna traccia del sole, ma la luce illuminava le foglie sottili che dal verde mutavano al giallo, e che impegnate in un valtzer sembrano non essersi accorte che la festa in casa Warleggan era già terminata. Ma questo posto idilliaco era ben lontano dalla Cornovaglia, era lontano dalla stessa Inghilterra, così lontano da risultare accessibile ad una sola mente, giuntavi grazie al sonno. All'improvviso, sulle acque limpide, una lieve increspatura preannunciò un cambiamento.
Lentamente dal lago emerse una figura misteriosa, dalle fattezze umane, con capelli tanto lunghi da arrivare a sfiorare la roccia su cui si poggiava. Le movenze di questa creatura erano di una tale delicatezza che avrebbe fatto invidia agli angeli; le sue braccia eburnee vorticavano aggraziate nell'aere, mentre con le dita affusolate tracciava disegni impercettibili sul suo corpo di angelo.
Era una ninfa.
La pelle nivea, così amabile, così morbida solo a guardarsi, somigliava a petali, i seni dolci e floridi, ogni cosa in lei si muoveva armoniosa, in una danza segreta. Le labbra carnose, color carminio, si dischiusero con lascivia, mentre gli occhi, quegli smeraldi incastonati nel volto marmoreo, esercitavano una tale attrazione da renderli ipnotici come il canto delle sirene.
L'artefice della visione continuava ad agitarsi tra le lenzuola, e gli arti si muovevano come se tutto il suo corpo avesse ospitato una divinità. Credeva di aver conosciuto l'estasi quella stessa sera nella realizzazione dei suoi obiettivi, di fronte al lusso della sua dimora e al suo successo, ma si sbagliava: l'estasi era quella che lo avvolgeva ora.
Le labbra sottili si aprirono lentamente, e dalla sua bocca uscì un suono, un farfuglio... 
«Elizabeth...»
   
 
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