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Autore: xDariaJCollins    08/11/2015    0 recensioni
Ci sono momenti in cui, molte persone, vorrebbero solamente urlare al mondo ciò che loro realmente. Ma molte volte ciò non è possibile perché ancora nel XXI secolo ci sono persone piene di pregiudizi, con una mentalità molto chiusa.
Tante persone però vorrebbero non aver paura dei tanti pregiudizi che la gente potrebbe avere nei loro confronti. Uno di queste persone è Daniel, con questo carattere così forte ma allo stesso tempo terribilmente fragile.
Stava per fare ciò che molte persone chiamano "il grande passo", aveva organizzato tutto fino all'ultimo dettaglio e quando era lì lì per portarlo a termine, un qualcuno lo blocca per paura che venga deriso da tutti quanti, mandando a quel paese tutto ciò che Daniel aveva fatto.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Io…io ho una cosa da dire a tutte voi teste di minchia!” annunciò, urlando, Dan, quel rincoglionito del mio migliore amico. Era ubriaco fradicio e continuava a trafficare con quella bottiglia di birra in mano. Tutti si voltarono verso di lui, me compreso. Aveva spento la musica, diventando oggetto di urla e lamentela da parte di tutti i presenti alla festa. “Teste di minchia, state zitti e fatemi parlare” biascicò urlando. Reggendosi dalla spalla di un ragazzo lì vicino, salì su un tavolino basso, buttando a terra la maggior parte della roba che vi era appoggiata sopra.

Dan traballava, non si reggeva in piedi e continuava ad attaccarsi, ogni 15 secondi, alla bottiglia di birra che aveva in mano. Provai a spingermi oltre quelle persone con l’intento di raggiungerlo, ma senza successo. Non volevo che lo mettessero su YouTube come l’ultima volta che si era ubriacato ad una festa simile, non volevo che si mettesse in ridicolo difronte a tutte quelle persone solo perché non reggeva l’alcol e ogni volta iniziava a dire una marea di cazzate senza un filo logico. L’ultima volta lo trovammo ad amoreggiare con un palo della luce. Fu divertente da morire dato che seriamente pensava fosse una persona, continuava a parlargli e a sussurrare cose a quel palo, urlava di essersi innamorato di lui e di non volerlo lasciare. Tutti ridevano e lo riprendevano con i cellulare. Dovevo ammetterlo: all’inizio risi anche io, ma poi capì che il mio amico si stava mettendo in ridicolo e che stava proprio male, che aveva bisogno di me.

 

“Era da tanto che…” tossì per poi bere ancora “da tanto che volevo dirlo a voi teste di cazzo, brutte fottute omofobe teste di cazzo!” gridò agitando quella maledetta bottiglia ormai quasi vuota. Furono quelle parole a farmi capire che la cosa si faceva terribilmente seria e che davvero avrebbe fatto la cazzata più grande della sua vita. Così mi impuntai, iniziando a spingermi con forza tra quelle persone, urlandogli di levarsi dalle palle. Dan continuava a parlare: “Siete delle merde. Lo sapete? Voi… voi… dovreste proprio sapere!”. Le frasi che cercava di formulare non avevano poi molto senso e la gente cominciava ad alterarsi, prendendolo come il solito ragazzino in cerca di attenzioni.

Nonostante una ginocchiata, una gomitata, qualche schiaffo dato erroneamente, lo avevo finalmente raggiunto. La prima cosa che mi venne in mente fu quella di afferrarlo per farlo scendere da quel tavolino, per toglierlo dalla visuale della gente che aveva tutti gli occhi rivolti su di lui. Lo feci. Gli afferrai il polso, strattonandolo. La sua mancanza di equilibrio mi permise una cosa veloce, infatti cadde quasi subito dal tavolino. Si voltò verso di me ancora sorridendo, ma quando mi vide cambiò subito espressione mettendo sù uno sguardo confuso. I suoi occhi erano lucidi e rossi a causa dell’alcol e di qualche canna che si era fumato quando io mi ero distratto per qualche minuto, allontanandomi da lui. Non potevo lasciarlo da solo un attimo da solo che combinava sempre e comunque cazzate. Per qualche ragione indecifrabile, tende sempre a non ascoltare ciò che gli dico, facendo sempre di testa sua e mettendosi nei guai ogni volta.

 

Gli tolsi la birra dalla mano, poggiandola non so bene dove. Iniziò a sbraitare qualcosa che sinceramente non capì. Lo afferrai per il polso, trascinandolo in qualche posto un po’ più appartato e silenzioso. Qualcuno fece ripartire la musica e gliene fui grato perché altrimenti mi sarei girato per dare un pugno al mio migliore amico che non faceva altro che lamentarsi, e lamentarsi, e lamentarsi, dicendo frasi senza un nesso logico.

 

Mi si avvicinò, aumentando il passo, poggiando quasi la testa sulla mia spalla. “Non vuoi sapere cosa volevo dire?” mi urlò, per farsi sentire. Cercò di divincolarsi della mia presa, ma lo afferrai più saldamente. Non sarebbe andato da nessuna parte se non dove andavo io. “Stavo dicendo una cosa! Tu… Tu… Tu sei uno stronzo schifoso!” aggiunse subito dopo, cercando di mordermi la spalla, ma mi spostai abbastanza in fretta da evitare il suo morso. Avevo un migliore amico cannibale.

 

Evitai di rispondergli, tanto non avrebbe capito neanche una vocale. Lo tirai più forte e sospirai quando vidi dei divanetti liberi, in un angolo un po’ isolato dalla massa di persone.

Odiavo quando dovevo essere io il responsabile. Non è nel mio DNA esserlo. Faccio cazzate, mi beccano gli sbirri mentre faccio solo Dio sa cosa e vengo portato in questura. Per non parlare degli incidenti stradali in motorino! Credo che neanche un criminale abbia fatto tanti incidenti quanto me, potevo prendere il premio come primo classificato! Non sono affatto responsabile e quando con lui mi ritrovavo a fare il Mammo, mi dava fastidio. Però dovevo farlo o lo avrei ritrovato nudo in cima ad una montagna mentre giocava con un orso o un non so che. Dovrebbe essere responsabile di se stesso, ma che non sia mai! Stupido Daniel!

 

“Siediti qua! Finiscila di sbraitare!” gli urlai contro, frustato dal suo atteggiamento da bambino. Era lì, a giocare con la propria maglia, guardandola curioso. Faceva tenerezza, in un certo senso, ma era proprio uscito fuori di testa. Diciamo che molto probabilmente aveva esagerato con l’alcol, ma non che lui lo reggesse molto bene. Ci aveva fatto un po’ l’abitudine, ormai, ma in ogni caso si ubriacava con poco. Il mio migliore amico era un totale idiota.

 

Mi misi difronte a lui per tenerlo sott’occhio. Non si sa mai che si allontani, andando chi sa dove e a fare chi sa chi. Era decisamente meglio stargli accanto e tenerlo a bada in caso provasse a scappare.

Nessuno dei due aveva ancora la patente, di tornare a casa a piedi proprio non se ne parlava, soprattutto con lui in quelle bellissime condizioni. Così afferrai il cellulare dalla tasca e composi il numero di mio cugino. Eravamo molto legati e, a meno che non stesse facendo sesso con qualcuno, mi avrebbe dato un passaggio fino a casa.

 

Hey piccolo Tommy! rispose allegro. Si sentì un porca puttana, ma muori! così me lo immaginai seduto a terra con il cellulare tra la spalla e l’orecchio, a giocare alla playstation. 

 

Hey Andrea. So che scasso sempre, ma ho bisogno di te. Non è che potresti venirmi a prendere nel solito locare. Ho il “problema Dan” spiegai. Ormai era accaduto così tante volte che avevamo dato un nome a quella situazione, per capirci più velocemente. Sentì immediatamente che il rumore proveniente dalla televisione veniva bloccato. Io adoravo mio cugino!

 

Okay, okay. Sto arrivando. Iniziate ad uscire fuori! e riattaccò la chiamata.

 

Mi voltai verso Dan che si era tranquillamente addormentato, come al solito. Alzai gli occhi al cielo; certe volte proprio non lo sopportavo, finiva sempre per farsi trascinare da qualche parte.

Mi piegai verso di lui per metterlo in piedi, per quanto fosse possibile. “Gesù Cristo, quanto cazzo pesi!” mi lamentai cercando di tenerlo dritto, mettendo un suo braccio attorno alla mia spalla e reggendolo con un mio braccio attorno alla sua vita. Frustato cercai di sollevarlo, per portarlo in braccio fino all’uscita, ma tentativo fallito. In teoria non è molto pesante, ma sollevare un peso ‘morto’ era tutta un’altra cosa. Gli diedi uno spintone cercando di svegliarlo, ma senza riuscita. Quando stavo per rinunciare, un tizio mi si avvicinò aiutandomi a portarlo fuori. Pensai: wow, qualcuno in discoteca che non pensa solo a scopare e ti aiuta in un momento di difficoltà? Sto sognando o cosa?!

 

“Sei il suo ragazzo?” mi chiese, una volta usciti dal locale, mentre si accendeva una sigaretta. Spalancai gli occhi girandomi di scatto verso quel ragazzo sconosciuto.

 

“Cosa?! No! No, assolutamente, non sono il suo ragazzo. Lui… non è gay e tantomeno lo sono io.” difesi entrambi mentre cercavo di reggerlo meglio, avvolgendo per bene il braccio di Dan attorno al mio collo e aumentando la presa attorno alla sua vita. Era in dormiveglia, per quando riuscivo a capire, ma non credo che riuscisse a capire ciò che ci stavamo dicendo io e quel tizio dato che era più nel mondo degli unicorni volanti che tra noi esseri umani che abitiamo nel mondo reale.

 

“Ah sì? E quel quasi Coming Out che tu hai prontamente bloccato? Ho capito, sai? Non sono scemo e credo che neanche gli altri lo siano. Era palese ciò che stesse facendo.” quasi sussurrò, come per non farsi sentire. Io serrai la mascella, mordendomi la lingua per evitare di rispondere in maniera non troppo garbata. Non sopportavo quando la gente non si faceva i cazzi propri e si impicciava nelle cose degli altri. Avrei tanto voluto rispondere, ma evitai o avrei seriamente iniziato a litigare con quel tizio. Sembrava così gentile ad avermi aiutato con Danny, ma avevo cambiato opinione dopo. Non mi andavano proprio bene le persone impiccione che cercano anche di fare gli psicologi del momento.

Ringraziai il cielo quando vidi l’auto di mio cugino svoltare l’angolo e fermarsi proprio difronte a noi. Scese dall’auto, aprendo poi lo sportello dei sedili posteriori. Venne verso di me per aiutarmi e mettere il mio amico in macchina.

 

“Guarda tu se devo fare il papino con il migliore amico di mio cugino..” ridacchiò Andrea, mettendo Dan sul sedile. Fece un leggero verso di sforzo e sorrisi pensando che non fossi l’unico a sentirlo pesante. Io andai dall’altra parte, sedendomi accanto a quella testa di cazzo. “Se vomita come l’altra volta pulisci tu eh!” esclamò frustato. 

Chiamavo sempre lui e sinceramente mi dispiaceva un botto, ma era l’unico che non avrebbe detto nulla a nessuno. Se i nostri genitori avessero scoperto che Danny si combinava in quel modo in discoteca, succederebbe un casino assurdo. Rimaneva sempre a dormire da me quando si ubriacava. I miei avevano bisogno di andare a dormire abbastanza presto; lavorando in ospedale dovevano essere sul posto di lavoro già di mattino presto. Alcune volte avevano il turno di notte e tornavano all’orario in cui io e lui ci ritiravamo dalla discoteca o da qualche festa, ma in quei giorni evitavamo di andarci, oppure ci andavamo ma senza fare molte cazzate.

 

“Andri scusa se ogni volta ti disturbo…” sospira poggiando la testa sul finestrino freddo e un po’ umido. Dan si rannicchiò poggiando la testa sulle mie gambe e d’istinto gli accarezzai i capelli. Adoravo i suoi capelli, insomma erano sempre morbidi, era inevitabile adorarli.

 

Andrea guardò nello specchietto retrovisore e mi sorrise. “Tranquillo Tommy! Quando ero più piccolo chiamavo tuo fratello, e quando lui aveva la tua età chiamava il mio, di fratello. È tipo una tradizione, secondo me. Sapevo che prima o poi sarebbe successo anche a me e forse succederà anche te, chi lo sa!” ridacchiò, posando lo sguardo sulla strada. 

Io risi, era davvero buffa come cosa. Mio fratello non me lo aveva mai detto, forse perché molto probabilmente non ci aveva mai pensato o perché non pensava fosse importante. Era così: ti diceva le cose solo se pensava fossero importanti. Avevo un fratello con un pensiero davvero, davvero strano.

 

Poco dopo arrivammo difronte casa mia. Fino a qualche anno prima vivevamo in un appartamento in centro città, ma già da diversi anni avevamo cominciato a costruire quella casa più in periferia. L’adoravo! Non era troppo grande, anche perché una casa troppo grande non ci serviva proprio. C’era tutto ciò che adoravo e non avevamo speso neanche molto a costruirla, rispetto a quello che ci aspettavamo. Avevo tutto ciò che desideravo lì dentro, era come se mio padre mi avesse strappato tutte le idee dalla testa e le avesse usate per progettarla. Purtroppo sapevo che finita la scuola superiore sarei andato all’università, avrei preso una casa vicino ad essa, ma sapevo che tornare a casa sarebbe stato ancora più bello se avessi quella casa.

Mio cugino mi aiutò a portare Dan fino alla mia camera, controllando che i miei stessero ancora dormendo. Una volta messo Daniel nel mio letto scesi di sotto per salutare Andrea che se ne stava andando.

Andai in cucina per preparare della camomilla calda. Non avevo bevuto molto, ma mi scoppiava la testa, forse a causa della musica terribilmente alta. Non fraintendetemi, queste feste le adoro, mi ci diverto un casino, ma è il dopo quello che odio! Quella sera era stata un subbuglio di cose: salvare Dan da una probabile sputtanata su qualche social network, quel tizio che si era impicciato degli affari miei dopo avermi aiutato con quel rincoglionito, le persone che mi avevano tirato gomitate su tutto il corpo mentre cercavo di raggiungere il mio migliore amico… Dio mio!

Conoscendolo, Danny avrebbe vomitato entro i 15 minuti seguenti. Non capiva mai quale fosse il suo limite, continuava a bere e poi vomitava tutto ciò che aveva in corpo. Ogni volta sempre la stessa storia. Ero sicuro che qualche volta lo avrei ritrovato in ospedale. Io provavo a fermarlo, a farlo ragionare come una persona normale dovrebbe fare, ma non mi dava proprio ascolto. Ma nonostante ciò gli voglio un bene dell’anima, come non volergliene? Okay, molte volte fa la testa di cazzo (forse perché lo è) e vuole essere sempre al centro dell’attenzione, ma comunque era fantastico in ogni sua imperfezione caratteriale e non potrei fare a meno di lui nella mia vita. Non siamo amici da sempre come molti altri migliori amici, anzi all’inizio non ci sopportavamo proprio. Ma a 12 anni abbiamo iniziato a parlare come persone civili senza finire a litigare come cani, iniziando piano piano a stringere un legame sempre più insolubile e indistruttibile. Non riuscirei davvero a fare nulla senza lui al mio fianco che mi sorregge in ogni cosa, soprattutto in quelle più difficili. Ci sorreggiamo a vicenda, sempre. Se uno dei due deve vomitare, l’altro gli tiene la fronte nonostante ad entrambi faccia altamente schifo guardare l’altro vomitare, ma lo facciamo senza pensarci neanche un secondo. Poi non manca mai quella camomilla al limone sul comodino, con accanto una bottiglia d’acqua grande quanto il mio braccio. Era ormai un rituale automatico che entrambi facevamo.

 

 

 

Salì le scale, entrando nella mia stanza con le due tazze fumanti in mano. Sapevo a memoria i suoi ritmi e, come infatti, entrando trovai il letto vuoto e sentì i soliti rumori provenienti dal bagno. Scossi la testa con un mezzo sorriso sulle labbra e poggiai ciò che avevo in mano sul comodino accanto al letto. Mi diressi dentro il bagno dove quel coglione era in ginocchio con la testa dentro la tazza. Gli misi una mano sulla fronte, reggendogli la testa mentre rigettava anche l’anima.

 

“Quando ti dico di bere di meno dovresti ascoltarmi, sai? Guarda come ti riduci ogni volta…” dissi piano, passandogli della carta per pulirsi la bocca. Mi guardò male e prese il pezzo di carta. Era ancora ubriaco, ma meglio di quando eravamo in discoteca stava sicuramente.

Allungò una mano verso di me, io l’afferrai tirandolo in piedi e traballando andò verso il lavabo per darsi una sciacquata. Una cosa positiva era che non si fosse messo a ridere come qualche volta prima; quando è ubriaco ride di continuo, anche se una persona starnutisce! Avevamo rischiato di far svegliare i miei genitori e poi chi glielo spiegava perché quel coglione del mio amico ritardato stesse ridendo e traballava come se avesse girato su se stesso per trenta minuti di seguito?

 

 

***

 

Presi un sorso di camomilla e mi sedetti accanto a Dan sul letto. Doveva farsi passare ancora del tutto la sbornia e con una bella e dolce dormita sarebbe stato ancora meglio, come tutte le altre mille volte.

 

“Sei una testa di cazzo.” disse ad un certo punto, fissando il liquido giallo all’interno della tazza.

 

“Questo già lo so, grazie. Ma questa volta come mai?” chiesi voltandomi verso di lui mentre bevevo ancora quella bevanda così rilassante e calda, da riscaldare tutto il corpo e far rilassare ogni singolo muscolo.

 

“Perché sì.” bevve anche lui “do-dovevi starti fermo!” biascicò le parole. Non capì cosa stava dicendo e molto probabilmente niente lui si capiva da solo, così gli presi la tazza dalle mani, poggiandola sul comodino accanto al letto. “Non sai cosa stai dicendo. Mettiti a dormire” mi alzai dal letto per prendergli qualcosa per la notte, ma mi bloccò afferrandomi il braccio.

 

Mi voltai verso di lui. I suoi occhi erano lucidi, ma non come prima, non perché era ubriaco, ma erano lucidi e rossi, pieni di lacrime che stavano per uscire. Il suo labbro tremò e nella mia mente pensavo no, no, non farlo, non piangere.

“Dovevi fottutamente lasciarmi dire ciò che stavo dicendo a quei figli di puttana” la sua voce tremò e si morse con forza il labbro, non togliendo gli occhi dai miei. Le lacrime iniziarono ad uscire. Il mio cuore si spezzò completamente e deglutì a fatica. Non sopportavo vederlo in quelle fottutissime condizioni, non volevo vederlo piangere per quelle cose, non volevo vederlo piangere per nessuna cosa. Ma io non potevo lasciarglielo fare quando era ubriaco. Se doveva farlo doveva essere lucido senza rischiare di svegliarsi il giorno dopo senza sapere cosa aveva fatto.

L’unica cosa che potevo fare era abbracciarlo e stare zitto, facendolo sfogare. Lo feci nell’istante in cui lo pensai; lo strinsi forte. La mia mano fra i suoi capelli, la mia testa sulla sua spalla, con un braccio a tenerlo stretto a me, come a proteggerlo da tutto. Mi strinse anche lui a sua volta, liberandosi e scoppiando a piangere totalmente. Potevo sentire il suo corpo tremare, i suoi singhiozzoni quasi contro il mio orecchio e la maglietta che cominciava ad essere umida per le sue lacrime. Ma non mi importò nulla. Mi sentivo terribilmente in colpa, ma non potevo lasciarglielo dire, no, non nelle condizioni.

“Non dovevi fermarmi!” disse singhiozzando e mi sentì ancora più male nonostante sapessi di aver fatto la cosa più giusta.

 

Così come eravamo messi ci sdraiammo e mi strinse più forte, non smettendo di piangere. “Non dovevi… non dovevi…” continuava a dire. Potevo percepire le sue labbra che tremavano contro la mia spalla. Gli baciai la fronte chiudendo gli occhi, cercando di non piangere a mia volta. Non potevo vederlo in quel modo. Lui faceva parte di me, non doveva piangere, non doveva stare male e io non potevo lasciare che stesse in quelle condizioni. Ma in quel momento mi sentì così impotente, senza forze, non sapevo cosa fare nonostante lo avessi consolato tantissime volte. Tra i due lui era quello forte, quello che sapeva sempre cosa dire, non io. E quando succedeva che ero io quello a consolare l’altro, mi sentivo impotente e inutile.

Gli accarezzai i capelli cercando comunque di calmarlo, misi una gamba in mezzo alle sue, cercando di farlo stare bene, cercando di farlo sentire protetto anche se ero stato io a farlo piangere, a farlo stare male. Singhiozzò ancora, ma più piano. Pensai che forse ciò che stavo facendo sembrava funzionare. Smise lentamente di tremare, ma continuava a piangere senza sosta.

 

“Ssh, ce la farai” sussurrai contro il suo orecchio “Ce la faremo Dan, te lo prometto” dissi infine, e come un disco lui ripeté: “Non dovevi fermarmi, non dovevi…” e il mio cuore si spezzò nuovamente, io proprio non ce la facevo a sentirlo stare male in quel modo, non ci riuscivo proprio!

 

“Io… io…” cercò di dire qualcosa ma non terminò nulla perché si calmò totalmente, addormentandosi piano tra le mie braccia, non lasciando la presa sul mio corpo. Si mosse quasi impercettibile e capì che aveva meglio incrociato le nostre gambe. Inevitabilmente mi scappò un sorriso. Con chiunque altro l’avrei allontanato, ma lui no, con lui non l’avrei mai fatto. Lui era la mia personcina speciale, non l’avrei mai potuto allontanare.

Gli baciai di nuovo la fronte, guardando un attimo nel vuoto, col il battito leggermente accelerato. Poi chiusi gli occhi, rilassandomi, addormentandomi stringendo il corpo del mio migliore amico, la persona a cui più tenevo e che più mi avevo sostenuto.

   
 
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