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Autore: PJ_    09/11/2015    2 recensioni
Ti rendi conto, improvvisamente, che hai realmente rinunciato a quello che di più caro avevi, John, per la sua stessa felicità. Realizzi che per il suo bene saresti pronto a difenderlo da tutto, a difende Mary da tutto. A proteggerlo da qualsiasi cosa, anche da sé stesso. E se la donna che ha scelto dovesse rivelarsi una puttana, una serial killer, una spia cinese o chissà cos’altro tu la accetteresti in completo silenzio solo perché John la ama e John deve essere felice, sempre.
[Terza serie, episodio secondo] [Johnlock]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Alone and lonely

Ti hanno chiamato psicopatico un milione di volte.
Per altrettante volte hai ammiccato: sociopatico iperattivo.
Il vento ti sferza i capelli scuri, solo quelli non sono protetti dal cappotto.
Hai il passo sicuro, qualcosa di dannatamente simile ad una camminata sexy, i gesti meccanici che compi continuamente ti ritraggono vanitoso, sprezzante e sicuro di te. C’è forse descrizione più calzante di questa?
Sherlock Holmes, consulente investigativo, nato a Londra, fratello minore di Holmes Mycroft – qualcosa da aggiungere? Potenziale serial killer, assiduo consumatore di tè — Asessuale direbbe qualcuno.
Ma tu, tu cosa diresti? Il sesso, per quel che ti riguarda, è qualcosa di inutile, scambio di germi privo di valore affettivo. E poi, ad essere sinceri, l’appagamento della mente è sempre stato di gran lunga il tuo preferito.
È buio attorno a te, le luci della festa le hai lasciate indietro, nella nebbiolina rada che la sera circonda qualsiasi luogo dell’Inghilterra da tempi immemori. Non hai avuto il coraggio di parlargli, alla fine. Va bene così, pensi mentre affretti il passo lungo il sentiero che porta al più vicino villaggio. Ti stringi addosso il costoso tessuto, l’umidità ti ha preso le ossa. E l’anima probabilmente. Forse, quando ti dicono che sei un essere senza cuore, non hanno tutti i torti. Tu non provi sentimenti, non soffri, non gioisci, non piangi mai. Le lacrime che scivolano di tanto in tanto sui tuoi zigomi sono pura reazione chimica, la risposta del condotto lacrimale a stimoli fisici. Socchiudi appena gli occhi e ti bei del buio più assoluto, li riapri ed il profilo delle case ti si staglia davanti, ancora pochi passi e arriverai alla stazione dei taxi. Chiunque altro all’idea di dover tornare a Londra su un cab impallidirebbe, tu non temi di certo un conto salato. Puoi permetterti l’affitto di un appartamento in pieno centro: dalla maggior parte degli inglesi sei considerato ricco. Vero è che chiunque ti faccia i conti in tasca dietro le spalle spesso omette che al 221B abita anche John Watson. Abitava quantomeno.
Non hai mai avuto amici, il legame con tuo fratello è sempre stato difficile, un’eterna competizione fra menti superiori, un eterno rincorrersi fra geni. Eppure gli vuoi bene, eppure ci tieni. E questo, caro Sherlock, è già un errore, un passo falso: non eri tu quello esente dal provare emozioni? Dannazione, le cose sembrano farsi più complicate se analizzate a fondo, non trovi?
I sentimenti, di qualsiasi genere e forma, ti espongono a rischi e pericoli di cui non hai affatto bisogno. Sai bene quanto le apparenze, nel tuo caso, proteggano. Freddo, indisponente, maleducato. Sei difeso da un muro di cristallo, un’altissima schermata, spessa e dura, che ti protegge, riflettendoti solo la tua immagine. Ti osservi ma non sei solo. Quando è successo Mr Holmes? Quando hai fatto entrare qualcuno lì dentro, quando hai abbassato le tue barricate? John Watson ti sorride in quella sua maniera tipica, le labbra storte in un modo tutto particolare. Ci hai sempre visto tutto in quel sorriso, non hai mai avuto realmente bisogno di guardarlo negli occhi per leggerlo. Nella tua prigione di vetro pare scattare l’allarme, qualcuno ha fatto breccia in un organo inesistente, in un cuore che – sai da fonti certe -  non hai.
Sali sul primo taxi che ti si accosta e noti immediatamente il sorriso compiaciuto del conducente, clienti che chiedono di essere portati in città non sono troppo frequenti. Ti getti sul sedile, occhi chiusi, vuoi una sigaretta ma ti costringi a non cercarla nemmeno, a non tastare le tasche del cappotto.
Se non sbagli (e no, non sbagli quasi mai) hai un cerotto o due sul braccio sinistro. Lo stress aumenta nel tuo organismo il bisogno di nicotina, da questo punto di vista sei un giovane uomo qualsiasi. Banale, noioso, un po’ inutile: non hai nulla di diverso da un qualsiasi altro quasi-quarantenne. Forse, come ti ha detto un sufficiente numero di ambasciatrici del gentil sesso, due occhi bellissimi. Di un azzurro pungente e profondo, limpido, terso, freddo come la morte – può essere. Non ci hai mai trovato nulla di speciale, non sei mai stato un tipo da prestare attenzione al colore degli occhi, alla forma delle labbra o al taglio di capelli, sei solo una persona pratica e razionale.
Di lui però, di John Watson, sai tutto questo. Il taglio dei capelli, sempre lo stesso, il colore che è sbiadito col passare degli anni, ogni tratto ed ogni ruga di quel suo viso stanco e affaticato dalle troppe avventure. La tua memoria prodigiosa potrebbe permetterti di disegnare un suo ritratto adesso, nel mezzo della campagna inglese, di notte, sul vetro appannato del taxi. Abbassi il viso, vorresti nasconderti a te stesso ma sei ormai abituato a lasciarti perdere. La tua faccia di cristallo, lucida e spigolosa, purtroppo si è incrinata.
Inizi a riconoscere le strade, Londra si avvicina. Il tassista deve aver riconosciuto nel tuo accento l’intercalare di un vero londinese, non ha cercato di fregarti allungando il percorso o passando da strade intasate dal traffico notturno. Inizi ad abbottonare il cappotto, hai il finestrino leggermente aperto ma l’aria fredda della capitale ti aiuta a schiarire il cervello.
Il tuo palazzo mentale, è lì che vorresti rifugiarti, è lì che vorresti rinchiuderti.
Aspetti che l’auto svolti in Baker Street, paghi il tassista e non lo degni di un saluto. Sei così irritante, ti credi tanto superiore agli altri e in verità, in verità Sherlock, non sei nulla di più di un qualsiasi uomo inglese che, solo come un cane, torna al suo appartamento dopo il matrimonio del suo migliore amico. Sei patetico mentre ti rannicchi sulla tua poltrona, ti porti le dita sotto il mento e ti rinchiudi finalmente dentro di te. Il silenzio assoluto, il cerotto in più che hai appena applicato sul braccio destro, l’infantile rassicurazione che ti danno le mura di casa ­­– riesci a correre per i corridoi della tua psiche, ti ripari dal presente, nascondendoti nelle numerose sale d’archiviazione che hai costruito. C’è lui ovunque, i suoi occhi grigioverdi, la sua parlantina impacciata, il suo strano modo di cucinare quella roba coi piselli, il suo sorriso all’altare. Ti senti perso anche dentro te stesso, pensi di essere solo e probabilmente adesso lo sei. Ma lo hai accettato, hai realizzato cosa è meglio per lui. Corri a perdifiato lungo le scale che separano i piani del tuo palazzo mentale, ti perdi un paio di volte ma riesci a ritrovare la strada giusta. Alla fine ti accasci sulla sua poltrona, nella vostra stanza. Hai stipato tutto lì, ogni vostro momento felice, ogni immagine che hai di lui, ogni ricordo. È difficile guardare tutto, lasciare che ti scorra intorno e addosso, lasciare che ti inzuppi fino al midollo. Sei incredibilmente debole adesso, come in una specie di pensatoio riversi i tuoi ultimi istanti, le diapositive di questa sera, il suo sguardo innamorato, il suo abbigliamento formale tanto simile al tuo, il suo tremore impercettibile, l’ansia e l’euforia. Ti liberi anche del tuo malessere, della disperazione che grezza ti scava il petto in profondità, rodendo tutto. Lasci andare le aspettative, le idee ridicole che ti erano frullate in capo, la gelosia cieca. Rimane solo l’ammirazione per quella donna, Mary. Dov’eri tu quando John cercava il suo appoggio ed il suo amore? Cosa stavi facendo quando le ferite di John erano troppo profonde per essere trascurate e lui le si aggrappava disperato? Ti fingevi morto, giusto.
E adesso l’uomo che ti ha salvato dai tuoi più profondi turbamenti sta trascorrendo la sua prima notte di nozze con la sua novella sposa.
E tu, come un cane bastonato, cerchi protezione nel tuo cervello, rifuggendo la realtà come un bambino rifugge il buio. Forse è l’amore il vero mostro, il vero cattivo della fiaba, forse tuo fratello aveva ragione: i sentimenti sono in grado solamente di ostacolarti. Ti ci vorrebbe qualcosa da mangiare, al ricevimento non hai toccato nulla, neppure il dolce che avevi consigliato tu stesso. Ripieghi su qualcosa di liquido, forse è meglio bere.
Hai preso con John la tua prima sbornia, per il suo addio al celibato. Dio, non sei stato nemmeno capace di bere un po’ di sano alcool senza tutte quelle cazzate che fanno tanto Sherlock Holmes il genio della chimica, non potevi solamente bere, no, dovevi metterti in mostra anche col tuo migliore amico. Vorresti davvero che lui fosse lì con te, adesso. Vorresti percepire il suo sguardo spazientito, il suo fare annoiato mentre ti osserva rinchiuso in quel fottuto Palazzo Mentale. Ti guardi attorno, ti sei chiuso la porta di te stesso alle spalle, a mente lucida, ti ritrovi ancora al 221B di Baker Street. Ma non c’è alcool, non ce n’è mai stato nella vostra (tua) cucina, in fin dei conti sei sempre stato astemio. Ti mordi un labbro, guardati, sembri un adolescente col cuore infranto, mancano solamente una tazza di tè e delle Jaffa Cake. Sei patetico e ti senti tale. Ma Sherlock Holmes non si mette le dita in bocca, non le bagna di saliva per poi strusciarle su dei pantaloni da quasi £1200. A Sherlock Holmes non si arrossano le guance mentre pensa che, se fosse stato un uomo normale, un uomo sano, con veri principi morali e veri vizi, avrebbe potuto essere al posto di Mary su quell’altare. Dio no, tutto questo al primo consulente investigativo del mondo non capita mai. Ti stringi nelle spalle, hai sempre avuto idee molto chiare su quello che doveva essere il tuo ruolo nel mondo: risolvere crimini, fare in modo che soffrisse il minor numero di clienti possibile, che chiunque si ritenesse soddisfatti del tuo operato. E sì, adesso tratti John Watson come un mero cliente. Ma va bene così, davvero. Tu solo sai cos’è meglio per te, cos’è meglio per gli altri, sei una specie di divinità onnipotente, decidi per tutti e ti aspetti che a tutti vada bene. Ruoti il capo con grazia e fai scrocchiare le ossa del collo. Poi torni in posizione composta e ti siedi di nuovo sulla tua poltrona, ti regali ancora ai tuoi turbinii mentali.
Hai deciso che il tuo bene, il tuo piacere devono essere secondi ai suoi. Senti dentro al petto una sorta di dolore, un avviso a chiare lettere, la voce del tuo Mycroft immaginario inveisce contro di te: sei decisamente coinvolto.
Il fatto è, e lo sai perfettamente, che se tu fossi stato una persona qualunque, con un qualunque quoziente intellettivo ed un qualunque lavoro avresti fatto un atto di coraggio, ti saresti esposto. Gli atti di coraggio, sembrano dire i notiziari, sono il tuo forte: salvi persone, insegui assassini, consegni i criminali a Scotland Yard. Eppure non riesci a confessarti col tuo migliore amico, non sai dirgli quello che vorresti, non trovi le parole ed affoghi in un mare di coriandoli colorati, fra le note di un walzer che hai composto tu stesso. La vita vera, caro Sherlock, è questa. Ed è difficile.
Nessuno te l’ha mai presentata, nessuno è mai riuscito a spiegarti come funziona, come si evitano gli ostacoli e come si giunge indenni al traguardo. I tuoi genitori ci hanno provato, su questo non ci sono dubbi ma… fin da piccolo vivevi altrove, in un mondo preziosamente custodito dentro la tua testa. Anche il tuo fratellone ha tentato di aiutarti, a suo modo. Non ci è riuscito nessuno e hai dovuto attendere lo scontro con un medico militare di ritorno da una missione in Afghanistan. Il suo passo claudico, un disturbo psicosomatico che hai riconosciuto immediatamente. La postura dritta, il taglio di capelli, le mani forti – lo hai analizzato con meno di uno sguardo. Non credi nell’amore a prima vista, non credi nell’amore in generale, ma quel breve scambio di battute con John Watson lo ricordi perfettamente. Sei di nuovo lì, chino sul tuo vetrino, hai bisogno di un cellulare ma Mike lo ha lasciato nel cappotto, il suo amico (il tuo futuro migliore amico) ti porge il suo. Sei affascinato dall’aurea di bonarietà che emana, dalla calma con cui ti porge il telefonino senza nemmeno conoscerti. Ti metti in mostra, è così che fai con chiunque, gli racconti tutto di lui e poco, quasi nulla, di te. Lo sorprendi con un semplice “Afghanistan o Iraq?” e poi lasci che i suoi occhi si allarghino in un misto di estasi e sorpresa mentre continui in un tipico sproloquio alla Sherlock Holmes. Se tu fossi capace di sentire adesso vorresti piangere, un ricordo tanto felice potrebbe strapparti il petto, farti svenire, ma semplicemente ti lascia atono, il capo posato sulle ginocchia.
Il vostro primo incontro, quando ancora vi davate del lei. Adesso invece, come un cretino, hai gli occhi gonfi e la pelle asciutta, una piccola tempesta infuria dentro la tua cassa toracica. Hai intenzione di arrenderti senza combattere, vero? Che bastardo che sei, Sherlock Holmes. In quanti te l’hanno già detto e chi è stato l’ultimo? Lo sai bene, la scena nel vagone della metropolitana la senti ancora addosso: la paura, la tensione, l’ansia, l’eccitazione di riuscire a superarti ancora una volta. Hai disinnescato una bomba e ti sei mostrato ancora una volta più debole di quanto pensassi. Cedi ai sentimenti di John Watson come una qualsiasi ragazzina a quelli del fidanzato, lo salvi da morte certa e condanni te stesso a vederlo felice con qualcuno che non sei tu. E sì, il fatto che la bomba avrebbe potuto distruggere il parlamento inglese è del tutto irrilevante.
Ti rendi conto, improvvisamente, che hai realmente rinunciato a quello che di più caro avevi, John, per la sua stessa felicità. Realizzi che per il suo bene saresti pronto a difenderlo da tutto, a difende Mary da tutto. A proteggerlo da qualsiasi cosa, anche da sé stesso. E se la donna che ha scelto dovesse rivelarsi una puttana, una serial killer, una spia cinese o chissà cos’altro tu la accetteresti in completo silenzio solo perché John la ama e John deve essere felice, sempre. Saresti disposto a farti uccidere, stavolta sul serio, per amore di un uomo che non ricambierà mai i sentimenti che, di tanto in tanto, scaldano i tuoi occhi glaciali. Saresti disposto ad uccidere per salvarlo, per salvare quello a cui lui tiene.
Forse non sei ancora pronto per ammettere che sei innamorato di John Watson, ma hai ancora tanto tempo per realizzarlo. E per soffrire. 
  
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