Sette giorni, ti ci son voluti, per costringerti a una decisione; ma, come sventura comanda, l'epifania sembra
raggiungerti sempre troppo tardi.
Nessuno staziona di guardia alle prigioni: Asgard – la tua giustizia – non ha più accolto galeotti da sfamare,
perciò le sentinelle sono state tutte congedate. Te le immagini comunque, elmo calcato in capo e picca in pugno,
che s'abbassano al tuo passaggio, onorando col silenzio il peso del tuo cordoglio. Vorresti rider loro in faccia
per questo equivoco e, per un lampo di secondo, percepisci un ghigno galleggiare sulle labbra – ma quando il
balenio sbiadisce e smette di accecarti la testa, i tuoi occhi tornano partecipi del presente e della delusione
oltre la soglia della cella.
Neanche ti basta saldare la presa su Gungnir, o affondare le unghie nel palmo libero fin quasi a lacerarti la
pelle sulle nocche, per infonderti il coraggio di fare un passo avanti e accogliere la sconfitta.
Gli arabeschi di sangue, i mirtilli spappolati, i moncherini di legno, i libri fatti a brandelli: tutto, han già
portato via. Cancellato, purificato>. Fra quelle quattro pareti di luce artificiale, sembra solo vibrare
l'eco
delle tue vecchie urla – ma forse neanche quella, forse è solo una cicatrice del tuo udito.
È un non-ricordo, però, ciò che ti ha guidato fino a qui. Lo chiami non-ricordo perché non sai come definirlo
altrimenti, perché sai di non avergli concesso, nell'indifferenza di quei giorni, il riguardo e il cuore
necessari a metterlo sotto chiave e farlo memoria come tutte le altre tue esperienze. Nemmeno riesci ad
associarlo a uno stato d'animo particolare. Il tempo di una lettura distratta e d'infilarlo di nuovo fra le
pagine del libro in cui l'avevi rinvenuto, e quello ti è evaso di mente come uccellin di bosco. Cos'hai sperato,
che attendesse il tuo ritorno nella sua tana sull'albero? Avresti dovuto precedere il disboscamento.
Mille volte potresti riproporti la stessa giustificazione. Che non potevi sapere, che davi l'immortalità di tua
madre per scontata, ch'eri talmente incazzato che, a esser vipera, avresti fatto piovere veleno. Apologia di
deficienza: di tutti i posti che hai esplorato nel tuo vissuto secolare, hai eretto, in quella stanza, il
palcoscenico su cui esibire il tuo lato da coglione!
Mille volte potresti ripercorrere quegli istanti con gli occhi della mente, a sfinimento, ma se il seme non ha
mai affondato radici, poco o niente potrai estirpare – solo i capelli, e di quelli te ne sei già strappati
tanti.
Come unici dettagli che rispondono all'appello, un rettangolo di pergamena e tre parole vergate in nero,
inclinate verso destra.
Non dimenticarlo mai.
Poi ti dici, da anima nera quale sei, che hai comunque esaudito la sua volontà. Come posso, madre,
dimenticare
ciò che non ho mai ricordato?
Al che vorresti solcarti lo scalpo a unghiate per quello che hai pensato e controllare a pugni se là sotto suona
davvero tutto a vuoto – a quanto sembra, alla tua natura manca sì la soddisfazione, ma anche la decenza.
~fin~
Angolino d’autrice:
Continuano le storie della serie Loki - masochist version.
Per chi è riuscito a leggere fin qui senza morire di tedio sulla tastiera, un grosso grazie e anche un "spero vi sia
piaciuta"!
(Nota per chi sta seguendo la raccolta demenziale di siliconate: aspettatevi un aggiornamento prima del
finesettimana. In questi giorni mi sento prolifica.)