Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: Korin no Ronin    10/11/2015    3 recensioni
Le ire di Arago sono quasi sempre il fattore scatenante di tutti i guai che coinvolgono i due masho, benchè nessuno di loro sia in grado di comprenderne il morivo
Non voletemene, ho riportato il brano di un'altra fic, in cui si racconta perchè il vento sia tanto deleterio per i loro nervi ( il vento e io, naturalmente ^^)
*****
-Che diamine ci fai qui?- attaccò.
-E tu?-
L’altro demone gli lanciò un’occhiata tagliente, Non gli piaceva quel tono indifferente, era persino più irritante di quando gli era ostile. Cercò delle parole adatte a provocarlo, però si accorse di non averne.
-Farò finta che tu non ci sia, quindi vedi di tacere.- bofonchiò.
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Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Anubis, Dais
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: La condanna del vento
Serie: Yoroiden Samurai Troopers
Capitoli: One shot
Rating: Arancio
Disclaimers: i personaggi non sono di mia proprietà e non ci sono fini di lucro

 
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 […] La prima volta che la furia di Arago aveva devastato quei luoghi i quattro generali si erano radunati sulla balconata più alta, spinti dalle rispettive nature di guerrieri. Senza parlarsi avevano osservato quanto si svolgeva e ne avevano tratto una conclusione comune. Erano rimasti lì qualche tempo a sfidare il vento e poi si erano ritirati nelle rispettive stanze ignorandosi in modo deliberato, per poi ritrovarsi inspiegabilmente radunati nella stanza in cui ufficiali più affiatati di loro avrebbero sicuramente passato del tempo a pianificare delle strategie di gruppo. Erano rimasti lì, immobili e seduti in cerchio per un tempo interminabile, scambiandosi occhiate astiose senza pronunciare una parola, inquieti e scossi dalla consapevolezze di avere bisogno di stare insieme. Era stato Anubis, esasperato più degli altri a mettere fine a quella situazione di stallo. Aveva afferrato la nuca di Shutendoji senza la minima grazia e prima che l'altro generale potesse sputargli in faccia qualche raffinato insulto gli aveva chiuso la bocca con la propria e lo aveva schiacciato sotto di sé. Il demone dai capelli rossi era rimasto a terra immobile, confuso, stupito dalla sua totale e incomprensibile assenza di rabbia. Anubis sembrava scosso quanto lui; non gli gravava più addosso, in un'altra occasione Shutendoji ne avrebbe approfittato per liberarsene e fargli pagare caro quell'affronto. Non lo fece. Non in quel momento in cui ogni cosa sembrava trovarsi sull'orlo della propria fine e nemmeno nell'istante successivo quando fu Naaza a mordere con garbo il labbro inferiore di Anubis. Allora si erano di nuovo arroccati ai loro posti per cercare di dare un significato a quanto era appena accaduto.
Non ne aveva e loro lo sapevano.
Era stato allora che Rajura aveva fatto scorrere per la prima volta la mano sulla spalla di Shutendoji senza incontrare la minima resistenza.
Così quella notte si erano cercati, si erano concessi  e avevano posseduto senza chiedersi ulteriormente il motivo di quell'esigenza, poiché l'unica cosa  ben chiara a tutti era che il piacere non era ciò che andavano cercando; per quello ognuno di loro aveva le proprie tecniche personali.
Il giorno dopo si erano ritrovati al cospetto del loro padrone senza degnarsi di un'occhiata e armati delle solite parole astiose e pungenti, come se nulla fosse accaduto. Avevano continuato così fino a che l'ira di Arago non aveva di nuovo rischiato di mandare in frantumi ogni cosa. […] ( da Oni Masho)
 
*******
 
Il vento furioso della notte precedente aveva lasciato il posto ad una quiete quasi funerea; tuttavia il castello vibrava ancora, in sintonia con la rabbia che ribolliva nel suo signore. Non era mai accaduto prima che quel mondo fosse scosso fin dalla terra, o almeno, nessuno tra loro sembrava serbarne memoria. Non era quello, però, che davvero aveva sconvolto le certezze che ognuno di loro aveva su di sé.
Shutendoji espirò con rabbia, emettendo un gemito di frustrazione. Quanto era accaduto continuava a tormentarlo, non riusciva nemmeno a capacitarsi di come potesse essere accaduto.
Si frizionò con un panno bagnato, di nuovo, in modo energico; si sarebbe scorticato, se quello fosse bastato a fargli dimenticare tutto; ma quanto aveva sentito sulla pelle si era impresso in modo indelebile nei suoi pensieri, non ci sarebbe mai stato modo di cancellarlo, e, peggio ancora, non aveva idea di quanto ci sarebbe voluto perché quelle sensazioni potessero almeno affievolirsi.
Non poteva nemmeno fare appello al suo orgoglio, o all’indignazione, perché, per quanto inconcepibile, lui per primo non aveva opposto alcuna resistenza, né si era tirato indietro. Avrebbe davvero voluto che tutto quello fosse colpa di qualche strano intruglio velenoso, almeno per preservare un po’ di stima per se stesso.
Con un gesto stizzito lanciò a terra il pezzo di stoffa e si immerse nell’acqua calda. Non era mai stato così felice di avere una stanza da bagno privata.
 
*******
 
Rajura sedeva in modo scomposto, con lo yukata che gli scendeva da una spalla, lo sguardo perso sulla città e tenendo la sua pipa sottile sospesa a mezz’aria. Aveva sperato che un bagno gli avrebbe un po’ schiarito le idee, ma la questione non sembrava essere così semplice.
Quello che era accaduto la notte precedente era stata la cosa più bizzarra che avesse vissuto fino a quel momento, tuttavia, per quanto si sentisse perplesso a riguardo, aveva deciso che non valeva la pena di farne una tragedia. Certo, restava il problema di come avesse potuto accadere, ma i risultati non avevano fatto danni, quindi tanto valeva considerare solo i lati positivi della faccenda. Sogghignò.
Era stato interessante avere una misura di quanto fuoco celasse in sé quel ragazzino presuntuoso, una bella scoperta davvero, avrebbe potuto usarla comodamente come una scusa per stuzzicarlo a dovere alla prima occasione.
Bevve un sorso di sakè.
Scoprirlo in Naaza era stato un po’ più terrorizzante, era stato quasi certo che nemmeno ne sapesse di certe cose, preso sempre com’era a trafficare tra veleni e altre cose di cui non voleva immaginare la natura. Con Anubis il problema non si era neanche posto: quel tipo di esperienze non era cosa nuova per loro, nei quartieri dei piaceri della città avevano fatto quel genere di scoperta già tempo addietro. Condividerlo con altri, però, era tutta un’altra questione. L’unica cosa che lo tranquillizzava era il fatto che a riguardo potevano ricattarsi a vicenda.
Sbuffò.
Quella situazione lo innervosiva, forse avrebbe fatto meglio a fare una capatina in città, visto che per ora il sui padrone era ancora troppo preso dalla sua furia per badare a loro.
 
*******
 
Mentre percorreva gli spazi aperti del palazzo, Rajura non aveva un granché a cui pensare. In verità si stava impegnando a evitarlo del tutto, non aveva voglia di guastarsi la libera uscita che aveva deciso di concedersi; purché non gli fosse capitato di trovare qualcosa di più interessante da fare, ovvio, però al momento non sembrava che ci fosse nulla di così allettante da farlo desistere dal suo proposito. Ne fu assolutamente certo finché, a metà del suo percorso, non gli parve di udire un rumore familiare: terra smossa e metallo. Si fermò per un attimo, indeciso, poi ridacchiò e tornò sui suoi passi. Lisciò la stoffa degli abiti che portava, suntuosi, giusto perché in città si ricordassero chi era e che ogni sua richiesta andava esaudita senza storie. Non c’erano rischi a muoversi senza armi, finché i cancelli del regno erano chiusi e Arago impegnato a pianificare le sue strategie.
Gettò un’occhiata pensierosa alla torre. Ancora non comprendeva cosa potesse esserci di così preoccupante in un monaco vecchio di secoli, ricomparso dal nulla non appena lo Youjakai aveva preso contatto con la dimensione umana. Rajura non riusciva davvero a capire perché il suo padrone avesse dato sfogo a una rabbia tale da minare quasi le fondamenta del suo palazzo; non serbava ricordi di altre battaglie che avrebbero potuto giustificare un simile comportamento, e non ricordava altra vita che non lo avesse visto al suo servizio.
Il rumore del terreno e delle pietre smosse lo distrassero e alla fine scrollò le spalle. Non esisteva motivo per cui dovesse preoccuparsi di una simile sciocchezza, era sufficiente che il suo signore avesse ordini da dargli e che provasse per lui maggior considerazione che per i suoi altri compagni. Soprattutto se riferito a Shutendoji. Gli dava sui nervi, con quell’aria perennemente seria e lo sguardo sempre pieno di disprezzo. Ridacchiò. La notte precedente c’era stato davvero ben altro nei suoi occhi, però, e perfino nella sua voce, non avrebbe mai immaginato che potesse essere così carezzevole; ma era meglio non indulgere in quelle considerazioni, visto che non ci sarebbe stata una seconda volta. Fortunatamente. Era stato abbastanza imbarazzante rivestirsi, dopo, come se nulla fosse accaduto.
Si sporse appena oltre il cancello che chiudeva lo spiazzo in cui di solito si esercitavano i soldati. Shuten gli dava le spalle. Si aggirava nervoso come un animale in gabbia, facendo roteare la catena mentre si muoveva. Aveva mancato dei bersagli, e quello era davvero insolito. Rajura riusciva a percepire con chiarezza tutto il suo nervosismo e rise piano. Era davvero un ragazzino a lasciarsi sconvolgere tanto da quello che era successo. In realtà era stato chiaro che non fosse per nulla a digiuno di certe esperienze però, di sicuro, condividerle con loro non era stato nelle sue intenzioni; non era stato nei piani di nessuno, ma ormai non aveva senso stare a rimuginare su una cosa già accaduta.
Un’esclamazione carica di frustrazione lo infornò che l’altro generale aveva di nuovo fallito. Shutendoji si massaggiò la fronte, mentre la catena, richiamata, oscillava lentamente pendendo dal suo braccio.  Rajura sollevò un angolo della bocca. Da quella distanza il suo compagno d’armi possedeva un certo fascino, era una realtà oggettiva che aveva già preso in considerazione tempo addietro, la prima volta che se lo erano trovato davanti nella sala delle udienze. Si ricordò d’un tratto, con una punta di sorpresa, la sensazione gradevole che gli aveva dato affondare le dita tra le ciocche rosse che ora si muovevano appena al vento. Il demone si morse il labbro inferiore. Cominciare a trovare piacevole quel genere di ricordi era davvero allarmante; poteva solo aggrapparsi al pensiero che fosse colpa dell’alcool che si era concesso in dosi generose solo poco tempo prima.
Avvertì il pericolo all’ultimo momento e si scansò prima di venire colpito.
Il generale degli Orchi lo fissava rabbioso.
-Che vuoi?- abbaiò.
Rajura sfoderò il suo solito sorriso strafottente e avanzò di qualche passo.
-Sei fuori forma, testarossa?-
-Non  ti riguarda.-
L’altro demone strattonò la catena.
-Ah davvero?- sussurrò, a pochi centimetri dal suo viso -O non è che forse sei distratto da altro, eh?-
Shuten arrossì e lo spinse in malo modo.
- Non c’è nulla da dire.- ringhiò, lapidario. -Apri ancora quella bocca e te ne pentirai.-
Il Demone delle Illusioni proruppe in una risata sguaiata.
-Non mi pare che stanotte ti sia dispiaciuto.-
Nei pochi istanti che seguirono, Rajura, infine, si rese conto dei rischi che stava correndo. Aveva tirato troppo la corda, ed era completamente disarmato. L’altro gli afferrò l’abito e lo strattonò.
-Ripetilo e ti ammazzo.-
Il demone dai capelli chiari analizzò velocemente la situazione. Se avesse reagito come al solito ne sarebbe uscito davvero malconcio, Shuten non sembrava aver intenzione di risparmiargli nulla solo perché era senza difese. Allora decise di provocarlo nel modo che più poteva mortificarlo, così chiuse le labbra sulle sue, sperando che quello che avrebbe scatenato sarebbe stato sufficiente a dargli una via di fuga. Si era spettato che il generale arretrasse disgustato e invece, qualche attimo dopo, Rajura si trovò accasciato accasciato a terra, raggomitolato su se stesso e senza fiato. Un colpo all’inguine era l’ultima cosa che si era aspettato da uno come lui, sempre fissato su cosa poteva esser lecito fare o non fare in uno scontro. Del resto, non poteva negare di essersela cercata.
Irrigidì i muscoli, per quanto il dolore glielo consentiva, per aver almeno una protezione minima dai colpi che sarebbero arrivati: era certo che l’altro non avrebbe rinunciato alla soddisfazione di colpirlo ora che era a terra.
Shuten, invece, accucciatosi al suo fianco, gli afferrò i capelli e lo costrinse a guardalo: non voleva negarsi il piacere di vedere il suo volto sofferente; non dopo averlo visto alterato dal piacere, soprattutto.
Il suo avversario gli lanciò uno sguardo carico di sfida, consapevole di essere ridicolo, vista la situazione.
-Rivanga ancora quello che è successo e ti giuro che non te la caverai con così poco. E soprattutto … fottiti.- concluse il demone fulvo, spingendoli in malo modo la testa a terra.
Shutendoji si allontanò senza dire o fare altro. Rajura riuscì a rilassare almeno le spalle e si permise di emettere un gemito. Essere fregati a quel modo da un ragazzino era davvero umiliante. Non trovando un’altra spiegazione plausibile, si ripeté, ancora una volta, che era tutta colpa del sakè che si era abbondantemente elargito. Se ne sarebbe concesso sicuramente dell’altro, per lavare quell’onta, non appena fosse riuscito a tornare nelle sue stanze.
 
*******
 
La stabilità dello Youjakai venne di nuovo messa alla prova.
Il castello tremò di nuovo dalle sue fondamenta, così come la città ai suoi piedi, mentre gli spettri vorticavano come foglie attorno alla torre. I soldati continuarono a presidiare i cancelli, i cittadini si rinchiusero nelle loro dimore. Nessuno di loro si preoccupò della terra né delle acque del lago gonfiate dalle raffiche del vento. Tutti gli abitanti del regno sembravano accettare quella situazione con sottomissione completa, poiché il volere o l’umore loro padrone veniva prima di ogni altra cosa.
 
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Shuten gemette, frustato e rabbioso. Stava veramente rischiando di spellarsi, questa volta. Accettare che fosse accaduto, di nuovo, era pressoché impossibile. Non esisteva neppure un solo, misero, motivo per cui avesse mai pensato, o desiderato, di toccare o lasciarsi carezzare a quel modo. Mai, da nessuno in quel luogo. La cosa peggiore era aver provato piacere nel farlo. Gettò a terra il panno bagnato. E l’appagamento dei sensi era stato quasi irrilevante, come se fosse solo una questione secondaria. Perciò se non era nemmeno quello il motivo, non capiva per quale dannata ragione si fossero cercati ancora a quel modo. Gli sembrava di esser sul punto di perdere la ragione. Si immerse nell’acqua e riversò indietro la testa con un sospiro esasperato. Quello che stava accadendo a quel mondo era completamente al di là della sua capacità di comprensione.
 
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Quando il vento calò di intensità e la stabilità del castello parve ripristinata Shuten uscì dalle proprie stanze. Camminò lungo i corridoi silenziosi e bui nella speranza di sfogare un po’ di nervosismo, portando con sé anche una bottiglietta di sakè nel caso in cui aggirarsi a quel modo non fosse stato sufficiente a calmarlo almeno un po’. Alla fine si rifugiò in una stanza isolata, ignorata da tutti, che dava sul lago. Non era la prima volta che vi si ritirava, era certo che almeno lì nessuno sarebbe andato a cercarlo. Era il posto ideale per ritrovare un po’ di calma, con il rumore delle onde e le luci della città che si riflettevano sull’acqua.
Si sedette con la schiena ben dritta e respirò a fondo. Il vento soffiava quel tanto che bastava a creare uno sciabordio dolce e costante. Finalmente il generale cominciò a sentirsi più tranquillo. Chiuse gli occhi e si concentrò sui testi che aveva letto così spesso, tanto da conoscerli a memoria; ogni tanto fuori dalla sua stanza trovava dei testi nuovi, poggiati su un elegante tavolinetto laccato. Sembrava che Arago apprezzasse questa sua inclinazione per la lettura, del resto era innegabile che non mancava di accontentare i capricci dei suoi generali quando ciò non era di impedimento ai loro doveri. Respirò a fondo e cominciò a recitare tra sé e sé le sue poesie preferite. Quando terminò si concesse di rilassare un poco le spalle e di riempire un ochoko. Il silenzio era confortante, e il calore che gli scaldava la gola era così piacevole da fargli dimenticare tutto il nervosismo di poco prima. Si concesse ancora un sorso di sakè, assaporandolo pienamente e gli parve, alla fine, di aver riacquistato il controllo di sé e una certa serenità.
Poi udì un rumore familiare, che gli fece perdere ogni traccia del buonumore appena riconquistato. Raccolse la bottiglia e si spostò contro la parete in cui si apriva la porta.
Rajura stava camminando lungo il corridoio, poco distante, strascicando i piedi e canticchiando una canzone di taverna con voce incerta. Shuten conosceva la passione per l’alcool dell’altro generale, ma non lo aveva mai visto davvero ubriaco; perdere il controllo a quel modo era comunque un rischio e lui non era così sprovveduto da scoprire il fianco davanti ai suoi presunti compagni.
Il Demone delle Illusioni concluse la sua canzone con una risata sguaiata e qualche parola incomprensibile, poi si fermò davanti alla stanza, attratto apparentemente solo dallo spazio che gli si era aperto davanti. Barcollando, si fermò davanti al panorama notturno. L’altro generale, appiattito alle sue spalle, si mosse in perfetto silenzio, guadagnando l’uscita senza nessuna difficoltà, poi si fermò al di là dei fusame e sbirciò all’interno. Non che gli importasse un granché di che fine potesse fare un ubriaco davanti ad un lago, ma se fosse affogato ci sarebbero stati troppi problemi da affrontare. Il demone dai capelli chiari  in qualche modo riuscì a sedersi e si versò ancora da bere. Biascicò qualcosa verso l’oscurità, in un dialetto che Shutendoji non riuscì a comprendere: a corte non si usava il linguaggio della gente comune. Gli anche parve di afferrare una considerazione non proprio elegante accanto al suo nome e si ritrovò a sogghignare soddisfatto. La lezione che gli aveva dato doveva bruciargli per davvero, se riusciva ricordarsene anche in quello stato.
Ad un tratto Rajura si sdraiò, nel modo più scomposto che gli riuscì e decise che era il caso di dormire un po’. Non aveva più la forza di alzarsi e almeno nelle sue convinzioni, in quel luogo nessuno lo avrebbe trovato e visto in quello stato disdicevole. Si vergognava abbastanza di essersi ridotto a quel modo ma il pensiero che tutto si fosse ripetuto ancora una volta era inaccettabile. Almeno quanto il fatto di aver ceduto senza remore anche alle lusinghe di un ragazzino tronfio e insopportabile. Si premette le mani sugli occhi, quasi volesse scacciare le immagini che si stavano affollando nella sua mente. Aveva provato piacere a cedere con lui, di nuovo. Non riusciva ad immaginare qualcosa di più umiliante; perfino la magra figura al campo di addestramento sembrava impallidire al confronto. Doveva esserci qualche incanto portato dal vento, non poteva essere altrimenti; se Naaza non fosse stato coinvolto avrebbe pensato a qualche suo intruglio, ma a giudicare dalla sua faccia le cose non stavano esattamente a quel modo. Sbuffò. L’alcool sembrava non fare altro che rinfocolare certi ricordi, invece di renderli più vaghi. Forse non aveva bevuto abbastanza, o forse aveva bisogno di qualcosa di più forte, però, arrivato al punto in cui era, dubitava che potesse servire a qualcosa. Non era così sciocco da non capire che il problema stava nella sua testa. Sospirò pesantemente. Quella situazione era davvero insostenibile; da che erano venuti a contatto col mondo degli umani ogni cosa sembrava volgere al peggio, dalle ire del padrone alla comparsa di quei ragazzini che avevano cominciato a giocare alla guerra con loro. Sospirò. Avrebbe anche potuto sopportare cose simili, ma essere preda di quel desiderio che lo spingeva tra le braccia di Shuten era davvero troppo; la sua unica certezza era che quella brama lo coglieva solo quando il suo signore era in preda alla rabbia, e questo riusciva a dargli in qualche modo una misura di quello che davvero lo spingeva verso l’altro generale. Imprecò a bassa voce e si trovò a sperare che Arago non trovasse un ulteriore motivo per cui infuriarsi.
 
*******
 
Shuten respirò a fondo, godendosi il silenzio della notte. Le poche luci della città si riflettevano su un lago piatto come uno specchio. Il generale amava quella tranquillità, anche sapeva di avere bisogno di lotte e battaglie per riuscire a tenere a freno il brusio dei suoi pensieri. C’era qualcosa di indefinito che continuava ad agitarlo e, benché non sapesse riconoscerlo, era certo che gli avrebbe portato solo dei guai, come se non avesse già avuto abbastanza cose a cui badare. Si versò un po’ di sakè e lo assaporò osservando l’acqua. Chiuse gli occhi, godendosi il leggerissimo sciabordio dell’acqua sotto la finestra. Una notte in cui poteva soddisfare il proprio desiderio di solitudine era pressoché perfetta. Sarebbe stato ottimale portare con sé qualcosa da leggere, ma temeva che una fiamma avrebbe attirato troppo l’attenzione e lui non voleva guai.
Immerso nel silenzio, con le mani scaldate dalla coppetta in ceramica il Generale degli Orchi riuscì finalmente a sentirsi in pace. Si godette quella sensazione fino in fondo, gli sembravano passati anni da che era riuscito a raggiungerla. Appoggiò l’ochoko vuoto e decise di aver bevuto abbastanza. Non aveva nulla di cui render conto a nessuno, visto che era da solo.
Distratto com’era si accorse troppo tardi di chi lo osservava, irritato, dalla soglia.
Shuten gli gettò un’occhiata carica di indifferenza, senza muoversi. Rajura borbottò qualcosa e andò a sedersi di fronte a lui, scomposto come sempre. In realtà sapeva benissimo come comportarsi adeguatamente, ma in sua presenza aveva deciso di prendere quella linea di comportamento.
-Che diamine ci fai qui?- attaccò.
-E tu?-
L’altro demone gli lanciò un’occhiata tagliente, Non gli piaceva quel tono indifferente, era persino più irritante di quando gli era ostile. Cercò delle parole adatte a provocarlo, però si accorse di non averne.
-Farò finta che tu non ci sia, quindi vedi di tacere.- bofonchiò.
Shuten trovò le sue parole incredibilmente ridicole, ma nemmeno lui aveva voglia, né desiderio, di cominciare a discutere. Era un’abitudine così consolidata da essere quasi noiosa.
Si limitò a versarsi dell’altro sakè e a berlo in silenzio, con lo sguardo ostinatamente fisso sull’acqua.
Rajura piegò le labbra in una smorfia. Non gli piaceva l’idea di condividere quello spazio con altri, eppure non aveva nemmeno intenzione di starci da solo, almeno per quella volta; inoltre quel ragazzino irrispettoso era così immobile che, se fosse stato dipinto, sarebbe stato difficile cogliere la differenza.
-Di’, testarossa, da quant’è che vieni qui?- chiese d’un tratto.
L’altro arrossì, inaspettatamente.
Il Demone delle Illusioni rise sommessamente e gli lanciò appena un’occhiata, con le labbra già poggiate sull’ochoko.
-Sei proprio un ragazzino.-
Shuten gli afferrò il polso, e lo strinse con forza.
-Non mi piace quello che succede. A te sì, forse?- ringhiò.
-No, perciò considero solo i lati postivi; tanto basta.-
Il giovane distolse gli occhi e lo lasciò. L’altro ridacchiò ancora.
-Ti stai davvero arrovellando per una cosa del genere? Visto che non abbiamo ricavato danni saresti saggio a lasciar perdere.-
-Come fai a dire una cosa simile?-
Rajura svuotò la sua coppetta e decise di sedersi in modo un po’ più dignitoso. Si versò da bere e riempì anche l’ochoko dell’altro.
-Perché, non è vero? - si bagnò appena le labbra - L’amor proprio, anche se è ferito, non impedisce di andare in guerra. Alla fine, quello che conta è rimanere in grado di ubbidire al padrone.-
Shutendoji emise un suono di assenso.
- Fattene una ragione, e smettila di perderti dietro a cose inutili. Sono quasi più inconcludenti di tutta quella roba che leggi.-
Il Generale degli Orchi non provò nemmeno ribattere. In un altro momento non avrebbe esitato ad attaccare briga con lui per quella provocazione, tuttavia, in quel momento, non ne aveva il minimo desiderio. Forse pensava davvero troppo, o forse il sakè, oltre a scaldargli la gola, gli aveva anche annebbiato i pensieri più del dovuto.
Rajura si concesse un sorso generoso di liquore. Cominciava a sentirsi a disagio a stare lì con lui senza menare le mani.
-Non è facile come dirlo.- constatò Shuten.
Il demone dai capelli chiari scrollò le spalle.
-Cosa sei, una sposina fresca di nozze? Non capisco proprio perché continui ad agitarti tanto per una cosa del genere.-
-Forse perché non è qualcosa che vorrei fare con voi?- sputò fuori, rabbioso, l’altro.
Shuten si era sporto leggermente verso di lui, lo sguardo già tagliente. Rajura non riconobbe una vera ostilità, solo una considerevole quota di imbarazzo; una cosa così insolita da fargli decidere che valeva la pena incentivarla. Anche a costo di pagarla con un altro colpo basso.
-Non è così male, in fondo.-
Il Demone delle Illusioni ascoltò le sue stesse quelle parole con una certa sorpresa, era stato certo di esser sul punto di dire qualcosa di completamente diverso. L’altro generale gli lasciò un’occhiata perplessa. Cominciava ad esse sicuro che il suo compagno d’armi avesse già bevuto parecchio, prima di arrivare lì, non c’erano altri motivi che potessero spiegare quel modo di fare.
-Come?- azzardò.
Rajura allungò la mano verso di lui e la poggiò sulla sua spalla.
Shuten conosceva quel tocco lieve; nella sua mente si vedeva già in piedi a prendere l’altro a male parole, ma il suo corpo, invece, non si mosse. Con i muscoli privi di ogni tensione e una strana sensazione che non riuscì identificare, semplicemente rimase immobile.
- La vita di un soldato è già abbastanza difficile. E’ davvero un male così grande essere preda di qualunque cosa porti con sé il vento?-
Shutendoji inclinò appena di lato la testa, pensieroso, distratto dal tono amabile della sua voce, e lasciò che l’altro avvicinasse il viso al suo.
 -Ma lo è quello che stai facendo ora.- disse, quando ormai era così vicino da potergli contare le ciglia.
-Un po’ di piacere non ha mai fatto danno a nessuno. E forse stavolta non mi colpirai, dico bene?-
-Può darsi.-
Rajura avvertì un bizzarro senso di agitazione a sentire la sa voce così bassa; anche se l’aveva già udita c’era qualcosa di diverso stavolta, di indefinibile e accattivante al contempo.
Shuten si sporse appena e poggiò le labbra sulle sue. Un pensiero ramingo gli suggerì che era tutta colpa dell’alcool e della sua confusione, se ora si trovava così, senza la condanna del vento a concedersi un gesto tanto intimo con un suo rivale. Le azioni convulse causate dalle notti di tempesta non avevano alcun valore. Quando si ritrasse, però, fu Rajura ad imitarlo, con lo stesso tocco leggero e le dita appena un po’ più strette sulla sua spalla.
-Non ho bevuto abbastanza per dimenticarmi di questo.- mormorò, poi.
-Nemmeno io.-
Il giovane fulvo si azzardò a stringergli il braccio.
-Non ce ne sarà bisogno se terremo la bocca chiusa.- sussurrò.
Rajura aveva già pronte delle parole provocatorie ma decise di tenerle per sé, sarebbe stato sciocco rinunciare ai piaceri di quella situazione così bizzarra. Con cautela fece scivolare la mano sulla nuca dell’altro e poi, senza remore, lasciò morire ogni suo pensiero.
 
*******
 
Shuten si stese sul tatami della sua stanza con un sospiro profondo, appoggiando la testa su un braccio. Si sentiva meno toccato da quello che era successo poco prima nella veranda sul lago che da tutto il resto, anche se era cosciente del fatto che dovesse essere l’esatto contrario. Rajura era rimasto là, probabilmente con l’intenzione di dar fondo a tutto l’alcool che era rimasto. Non si sentiva di dargli torto, in verità. Lui aveva preferito ritirarsi appena avevano ripreso un minimo di controllo su se stessi. Quello che era successo era grave, molto più delle notti di vento. Il piacere fisico si otteneva facilmente, senza nemmeno troppo impegno, ma quello che era successo andava molto oltre, benché non ci fosse stato altro che quello sfiorarsi insistente delle labbra. Sospirò piano. Non capiva, e non sapeva se augurarsi che quelle contingenze che li avevano portati nella stessa stanza si ripetessero. Chiuse gli occhi qualche istante, poi, con un gesto insolitamente pigro, allungò una mano per prendere uno dei rotoli impilati accanto a lui. Il suo “insulso passatempo” era l’unica cosa che avrebbe potuto ridargli un briciolo della tranquillità che aveva perduto tanto facilmente. Carezzò la preziosa carta seta dipinta, si tirò a sedere e cominciò a leggere. 
  
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