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Autore: Milla Chan    10/11/2015    4 recensioni
Non si era mai sentito così coinvolto in qualcosa con una persona, e non si era mai sentito così preso da quella persona stessa.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You're not gonna destroy anything

 

Non era la prima volta che lo invitava a casa sua.
Lo scopo era quasi sempre un po’ di allenamento extra, solo raramente si mentivano a vicenda proponendo di fare assieme i compiti. Non che non ci avessero provato, anzi. Il problema era che dopo cinque minuti -cronometrati- la concentrazione colava a picco e i palloni disegnati ai margini dei quaderni erano troppo allettanti per entrambi. La collaborazione scolastica dunque si trasformava presto in collaborazione sportiva, e se la prima risultava fallimentare su ogni fronte, tutto il contrario si poteva dire dell’altra. Ma questo è uno scenario già noto.
Un giorno, chiusi in fretta e furia i libri e preso il pallone, avevano scoperto che fuori aveva iniziato a piovere. Poterono forse due gocce d’acqua fermare delle bestioline come loro? Ovviamente no, anzi, c’era qualcosa di eccitante nel giocare sotto l’acqua, coi cappucci della giacca cerata che scivolavano giù dalla testa ogni tre minuti. Quando il primo starnuto di Kageyama arrivò alle orecchie di sua madre, però, nulla servì ad impedire a entrambi di essere trascinati di nuovo in casa. Tra quattro mura non si può fare molto, con un pallone da pallavolo. Si erano dunque ritrovati in camera di Kageyama a parlare, di qualsiasi cosa. Principalmente pallavolo, ovviamente. Quando la pioggia aveva smesso, Hinata era tornato a casa in bici.
C’erano stati altri giorni come quello. Non perché piovesse sempre, ma perché avevano scoperto che riuscivano a divertirsi anche senza giocare senza sosta. Avevano guardato delle partite in televisione, o in streaming, avevano commentato tutto con un linguaggio molto probabilmente comprensibile solo a loro due. Una volta avevano anche provato a giocare, almeno finché non ruppero la lampada sul comodino. Avevano passato semplicemente del tempo insieme ed era stato piacevole, nonostante i continui battibecchi. A un certo punto avevano addirittura smesso di parlare e avevano imparato a godersi il silenzio, il bianco del soffitto e la loro vicinanza, e sembrava incredibile come, in quel silenzio, non ci fosse stato imbarazzo, ma solo tranquillità.

-Continuano a essere diciotto centimetri!- esclamò Shouyou, agitando il righello di plastica in aria. La differenza di altezza tra lui e Tobio era rimasta invariata, nonostante la convinzione del più basso di essersi alzato grazie alla magia dell’adolescenza.
L’altro ragazzo lo guardò con il naso appena arricciato e non seppe dire se tutto quell’entusiasmo fosse sintomo di stupore o cos’altro. -Ti sei misurato anche settimana scorsa, non puoi essere cresciuto in così poco tempo.- commentò, finalmente libero di tornare sul proprio letto. -Non che tu abbia molte possibilità di crescere ancora, comunque.- borbottò a voce più bassa, volontariamente provocatorio, allungandosi a prendere il pallone sul pavimento della sua stanza.
Shouyou spalancò gli occhi e la bocca, fissandolo come se fosse in torto marcio. -Non è vero che ho già smesso di crescere, ho quindici anni!- gli fece notare lasciando andare il righello e afferrandogli il pallone dalle mani, con l’intenzione di concentrare l’attenzione su di sé. Quel metodo funzionava piuttosto bene. -Solo che mi sembrava di essere cresciuto da settimana scorsa, ecco tutto!-
-L’hai detto anche la settimana prima.- puntualizzò con un piccolo cruccio, indispettito per il furto e riprendendosi ciò che gli spettava con un gesto poco delicato prima di sdraiarsi sul materasso. -E quella prima ancora.-
-Non c’è niente di male nel provare a misurarsi!-
Shouyou saltellò più volte con un’espressione irritata e buffissima finché, non ricevendo risposta, si lanciò ad angelo sul più alto, che protestò con un lamento soffocato.
-Io sarò più basso, ma tu sei più piccolo di tutta la squadra!- disse mostrandogli la lingua in un gesto infantile. Kageyama gli riservò un’espressione ancora più irritata, prendendogli i capelli color rame con una mano e pressandogli il viso contro la sua pancia per zittirlo.
-Questo non c’entra assolutamente niente, stupido.-
Quel commento arrivò solo dopo qualche secondo di silenzio, durante i quali Shouyou rimase con il volto affondato nella sua felpa e si sistemò meglio sul letto, alla ricerca della posizione perfetta, che a quanto pare risultò essere quella che prevedeva di aggrapparsi a lui come un koala e usarlo contemporaneamente da materasso. Forse Tobio pronunciò quelle parole per spezzare l’imbarazzo che gli provocava quella bestiolina senza concezione degli spazi personali.
Fino a qualche settimana prima l’avrebbe allontanato con un verso infastidito, ma ormai la sensazione che provava non era più di forte disagio e confusione. Era più un indistinto aggrovigliarsi dentro il petto e nello stomaco e, da un certo punto di vista, aveva paura di ciò che stava succedendo: non sapeva il motivo per cui Shouyou si comportasse così, non sapeva se lo facesse di proposito, e, soprattutto, non sapeva che cosa lui stesso provasse. Era normale? Non aveva mai avuto un’amicizia del genere con nessuno. Non aveva mai avuto una vera e propria amicizia, a dirla tutta, e quando si era reso conto che Shouyou, nonostante tutte le discussioni e le tensioni, era stato il suo primo amico, si era sentito come se fosse stato avvolto da una coperta.
Per l’altro ragazzino, la situazione non era molto diversa. Il suo carattere solare e entusiasta non lo aveva mai ostacolato nel fare amicizia più di quanto lo avesse aiutato, ma il rapporto che aveva con Tobio era speciale, diverso. Era ammirazione e rivalità reciproca, e aveva scoperto che sotto quelle facce ostili e i musi lunghi, grazie ai quali era in grado di farsi odiare da mezza popolazione mondiale, si nascondeva un normalissimo quindicenne infantile, appassionato ed emotivo proprio come lui, solo più alto di quasi venti centimetri.
Per Shouyou era istintivo attaccarsi a lui, toccarlo anche solo per un attimo. Non lo faceva per malizia, o per farlo innervosire, né tantomeno perché si divertisse a fargli provare quella sensazione di imbarazzo -figuriamoci, neanche se n’era accorto. Aveva iniziato premendogli la punta dell’indice sulla schiena, fissandogli le dita e giocandoci con le proprie nei modi più stupidi e casuali, come un bambino che si annoia: allontanarle appena, unirle, piegarle, il tutto solo con la punta delle dita, con un contatto minimo. Le prime volte che era successo, Kageyama lo aveva guardato di traverso e si era allontanato, o aveva ritratto la mano, dicendogli che era più appiccicoso della colla e doveva lasciarlo in pace. Ma Hinata è testardo, tanto quanto lui, e nessuna lamentela gli aveva impedito di riprovarci, la volta successiva. Un giorno Hinata, lì a casa sua, stufo di studiare, aveva allungato il collo verso di lui per vedere in che punto fosse arrivato e aveva appoggiato la guancia contro il suo braccio. Era stata la prima volta che Kageyama non lo mandò via, decidendo invece di ignorarlo. Era stato un passo avanti enorme, per Hinata. Non aveva mai sentito il suo profumo così intensamente, e da quel momento non era passato giorno in cui non avesse sperato di sentirlo di nuovo.
Era felice di poterlo inspirare a pieni polmoni, in quel momento, con il volto ancora affondato tra le pieghe della sua felpa. I suoi vestiti, la sua casa, il suo letto, tutto attorno profumava di Tobio ed era rinfrescante e accogliente, gli piaceva, ma non poteva dire di essere completamente a suo agio. Era sconcertante e frustrante, ma non sapeva spiegarselo con precisione. Più stava con Tobio, sia dentro casa che fuori, a scuola, durante gli allenamenti, più si obbligava a darsi schiaffetti sulle guance per rimanere concentrato, perché si rendeva conto di starsi distraendo più del solito, perché lo guardava e avrebbe voluto che anche lui lo guardasse. Gli piaceva camminargli accanto, prenderlo in giro e dargli fastidio quando uscivano dalla palestra. Come sempre, dopotutto: gli era sempre piaciuto, era bello stare vicino ad un amico, eppure c’era qualcosa che non tornava. Era una sensazione viscerale e nuova e se da una parte lo terrorizzava, dall’altra lo incuriosiva e lo faceva sentire ancora più vivo.

Kageyama si stupiva di come Hinata avesse imparato a rimanere fermo per più di due minuti. Sentiva il suo peso addosso, il suo respiro che cercava di sincronizzarsi col proprio, benché più veloce. Era tranquillizzante. Non si era mai sentito così coinvolto in qualcosa con una persona, e non si era mai sentito così preso da quella persona stessa.
Mai avrebbe immaginato che un giorno avrebbe comprato due merendine invece di una sola con lo scopo di regalarne una ad un ragazzino, così, senza pensarci troppo, solo perché gli andava di farlo, anche se con una smorfia irritata che si sarebbe accentuata quando quel ragazzino avrebbe sottolineato con un velo di paura quanto fosse inusuale quello slancio di gentilezza da parte sua. Eppure l’aveva fatto.
Mai avrebbe immaginato di arrivare addirittura a sognarlo. Un sogno imbarazzante, in cui c’erano proprio lui e Hinata, sulla strada verso casa, e per qualche motivo arcano avevano deciso che quando si sarebbero dovuti separare, si sarebbero salutati con un bacio. Arrivati al bivio, Hinata si era alzato sulle punte e gli aveva avvolto le braccia attorno al collo. Si era svegliato subito dopo, pensando che aveva decisamente mangiato troppo.
E mai si sarebbe immaginato che avrebbe trovato rilassante avere un ragazzino sdraiato sopra di lui, e che, anzi, sentisse l’impellente bisogno di toccarlo. Passargli una mano tra i capelli, solo per sapere che sensazione avrebbe provato. Sfiorargli le palpebre chiuse, le labbra che sembravano tanto morbide. Rabbrividì dopo averlo pensato e diventò rigido come un blocco di pietra. Che pensieri erano!
Alla fine, finì col dargli due vigorose pacche sulle spalle, in un modo così meccanico da essere comico. Shouyou  tossì violentemente e sollevò di scatto la testa.
-Cos’ho fatto!?- chiese con un’espressione terrorizzata.
-Che!?- ribatté l’altro, arricciando il naso e morendo di vergogna.
-Non me l’aspettavo!-
Tobio lo guardò confuso e socchiuse gli occhi. -Scusa tanto allora, vedrò di non fare più gesti gentili!- rispose acido.
-E meno male che era gentile.- borbottò Shouyou mentre puntava le ginocchia sul materasso e si tirava a sedere, ma zittendosi immediatamente quando fu fulminato dalla sua espressione. Tobio ridusse la bocca a una linea sottile e alternò lo sguardo tra i suoi occhi e il punto in cui il piccoletto aveva deciso di sedersi senza troppi problemi. Una parte di Tobio avrebbe voluto spingerlo via.
Era una posizione piuttosto imbarazzante. Quando Shouyou se ne accorse la sua faccia divenne di un rosso intenso e cercò goffamente di spostarsi da sopra di lui.
-N-Non…!- balbettò sull’orlo del panico. Non pensava di dargli fastidio, non ci aveva fatto caso, si era seduto sul suo bacino senza pensare e…!
Kageyama con le sue facce poco rassicuranti, ma era ben attento ad evitare di guardarlo negli occhi.
Hinata emise un acuto versetto strozzato e rischiò di ribaltarsi un paio di volte nel scendere dal letto. Non poteva vedere la bocca serrata e tremolante di Tobio, né le sue sopracciglia corrucciate mentre si metteva seduto e incrociava le gambe sul letto.
-Ho un problema con te.- disse serissimo, forse fin troppo, decidendo di guardare con interesse il pallone che giaceva ancora sul pavimento. Si sentiva come se si fosse appena buttato da una scogliera. Come aveva potuto pensare di dire una cosa del genere? Come avrebbe continuato, adesso? Non erano neanche le parole adatte! Niente da fare, si era messo nei pasticci da solo.
Shouyou infatti non intese quella frase nel modo corretto. Assunse un’espressione diffidente mentre si raddrizzava e incrociava le braccia al petto. -E sarebbe?- chiese subito dopo.
Dio, se lo irritava quel piccoletto. Come se dire chiaramente ciò che pensava non fosse già abbastanza difficile. No, anzi, ma quale “dire chiaramente”! Non aveva mai avuto intenzione di farlo e non l’avrebbe mai fatto! Anche perché da dire c’era ben poco. Nulla, per l’esattezza. Non avrebbe dovuto dire nulla!
A Shouyou sembrò vedere la guerra che si stava svolgendo nel cervello del ragazzo e non seppe cosa fare. Si sforzò di interpretare il suo comportamento, cercando disperatamente di non illudersi, non darsi false speranze, non fare qualcosa che avrebbe rovinato in modo irrimediabile non solo la sua amicizia più importante, ma anche l’intera squadra. Il suo volto si rilassò e alzò le sopracciglia, con una nota sofferente tra i lineamenti dolci.
-Anche io ho un problema.-
Il suo tono così limpido e sincero fece alzare la testa a Tobio e, come Shouyou comparve alla sua vista quel volto stupito e quegli occhi blu spalancati, sentì il petto riempirsi di una sensazione calda e la gola chiudersi.
Tobio si alzò dal letto, come in una specie di trance. Non capì bene la dinamica della scena, ma prima che potesse rendersene conto Shouyou aveva allungato le braccia verso di lui e si era alzato sulle punte dei piedi. Pensò di star rivivendo il suo sogno, e non riuscì a reagire. Ma questa volta non si svegliò.
Shouyou gli afferrò la maglietta, lo tirò verso il basso e premette le labbra contro le sue. Fu questione di decimi di secondo. Tobio strabuzzò gli occhi. Quell’altro, invece, li strizzava forte.
Il più basso allontanò con uno schiocco e tornò alla sua altezza. Tobio era sicuro di poter sentire il suo cuore anche da lì.
Il silenzio era opprimente, ma nessuno dei due voleva saperne di abbassare lo sguardo.
Ecco, Tobio pensò che era davvero successo. Cosa gli era passato per la testa? Era davvero il caso? In quel momento, poi? Era così arrabbiato, ma anche così disorientato e… felice? Sentiva la bocca dello stomaco aggrovigliarsi. Shouyou gli sembrava così bello. Ma era anche talmente impulsivo, talmente stupido e imbarazzante che neanche trovava le parole per esprimersi.
A poco a poco, Shouyou fu preso dal panico e da un incontenibile tremore accompagnato da un preoccupante rossore. Si coprì il volto con le mani e indietreggiò con un lungo lamento simile a un urlo, fino a sbattere la testa contro la porta chiusa e finendo col rannicchiarvisi davanti.
-Ho rovinato tutto!- esclamò disperato mentre si avvolgeva le ginocchia con le braccia.
Kageyama lo guardò confuso e spaesato. -Eh?-
-Adesso la squadra si scioglierà per colpa mia!- continuò sollevando il volto con gli occhi incredibilmente lucidi. -Oppure non mi faranno più giocare! E non faranno più giocare neanche te!-
Il ragazzo rimasto in piedi aprì e richiuse la bocca più volte, avvicinandosi con cautela. Si inginocchiò davanti a lui e cercò le parole giuste per chiedere cosa diavolo stesse macchinando quella testa rossa.
-Ma sei scemo?-
No, aveva di nuovo sbagliato parole.
-Scusami, Tobio!- gridò in risposta, con una smorfia, tirando su col naso.
Rimase smarrito nel sentirsi chiamare per nome. -Shouyou.- disse lapidario, ma con un tono più premuroso del solito. Gli appoggiò le mani sulle spalle, vagamente inquieto mentre anche lui lo chiamava col suo nome. -Nessuno smetterà di giocare a pallavolo, si può sapere che ti prende?-
Hinata si morse le labbra e affondò il volto tra le ginocchia, apparentemente sul punto di esplodere.
-…Ti ho baciato e adesso è un casino!- trovò poi il coraggio di sputare fuori. Fu talmente improvviso, dopo quei pochi secondi di calma, da far sussultare Kageyama. -Non mi alzerai più nessun pallone, vero?-
-Non… Certo, potresti pensare alle cose prima di farle, ma quello che stai dicendo non ha assolutamente sen…!-
-Ma io ci ho pensato, ci ho pensato tantissimo, solo che… Non pensavo che l’avrei fatto davvero, non lo so cosa è stato, è successo e basta, non sono stato io a deciderlo, non smettere di essere il mio alzatore!- lo interruppe senza ascoltarlo, disperato mentre batteva di nuovo la testa contro la porta dietro di sé, questa volta volontariamente.
Fece appena in tempo a finire la frase e le sue guance furono afferrate dalle mani di Tobio e si trovò intrappolato in un altro bacio. Il suo cuore batté a ritmo irregolare, di nuovo, sconvolto nel sentire un contatto del genere con le labbra di Tobio. Durò più a lungo del primo. Si sentì sciogliere tra le sue braccia e quando aprì gli occhi le dita di Tobio lo stringevano ancora. Vide le sue guance velate di rosso e non poté fare a meno di sorridere, perché lo trovava bellissimo, perché era incredibilmente felice, nonostante un primo momento di confusione.
Pensava davvero che non lo avrebbe accettato, che avesse distrutto con un gesto stupido tutto ciò che aveva sognato e stava realizzando con impegno e passione.  Pensava davvero che avrebbe rovinato la sua amicizia più importante. Ma Tobio non solo lo aveva accettato, ma lo aveva seguito. Una dimostrazione silenziosa di un concetto che, lo sapeva, non avrebbe mai potuto esprimere a parole. Tobio non poteva averlo fatto senza motivo, non ne sarebbe mai stato capace, e quella era una dichiarazione più che sufficiente.
Si guardarono negli occhi col cuore che esplodeva e un sorriso stupido e imbarazzato che difficilmente sarebbe sparito presto.
Avrebbero potuto parlare un altro giorno.



 
   
 
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