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Autore: Soul of Paper    11/11/2015    6 recensioni
Cosa succede quando Camilla scopre del trasloco di Gaetano? O meglio, cosa pensa di aver scoperto e come reagirà di fronte alla prospettiva di perderlo? Questa storia nasce dal mio desiderio di vedere una Camilla che fa il primo passo, magari anche pronta a "lottare" per Gaetano e Gaetano che, di fronte a un malinteso, tira fuori un po' di orgoglio e un pizzico di strategia ;).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell’autrice: Lo so che ci ho messo molto più tempo del previsto per completare e pubblicare questo capitolo e ho lasciato i nostri intrappolati nell’ascensore per un bel po’ xD, ma una certa professoressa dalla testa molto dura, che proprio non voleva decidersi a fare la prima mossa e a confessare, ha fatto sì che questo capitolo, da breve che doveva essere, si allungasse e pure di parecchio. Inoltre, tra le vacanze romane, la delusione post fine serie che mi ha bloccato la creatività per un bel po’ di giorni e i miei impegni di lavoro, ci sono stati un bel po’ di ritardi sulla tabella di marcia. Spero almeno che il lungo capitolo compensi l’attesa. Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note di fine capitolo.


 
Capitolo 3: “Giocando col fuoco…”


 
“Camilla?!”
 
Il suo nome… non l’aveva mai sentito pronunciare in quel modo. Né da lui né da nessun altro.
 
Ma, del resto, lui era sempre riuscito a racchiudere un mondo in tre sillabe, a farle amare persino quel nome desueto e di solito associato solo a tortine alla carota e alla consorte di un erede al trono più sgraziata che la storia moderna ricordi.
 
Ogni volta che sentiva il suo nome pronunciato da lui, le sembrava quasi di venire ribattezzata, che assumesse un nuovo significato – non solo il nome ma lei stessa, la sua vita.
 
Ammirazione, a volte quasi venerazione, dolcezza, sensualità, orgoglio, frustrazione, irritazione, perfino rabbia, disperazione, ma soprattutto amore.
 
Quell’amore che ora lui dice di provare per un’altra.
 
Per una donna che non è lei, che ha un altro nome, molto probabilmente più bello, più moderno, più elegante, più musicale, più seducente, più adatto a lui, ad accompagnarsi al vicequestore Gaetano Berardi.
 
Stringe i pugni mentre nell’ascensore cala il silenzio, mentre lui continua a guardarla in quel modo… non solo con sorpresa, ma come se fosse una belva feroce o forse come se fosse pazza.
 
Probabilmente lo sono davvero, Gaetano.
 
Come se avesse paura di lei.
 
E fai bene ad avercela, non penserai di cavartela così facilmente? Di liquidarmi così? Eh no, non se ne parla proprio, te lo puoi scordare!
 
 
 
Il cuore a mille per la sorpresa, Gaetano si regge ancora con il gomito alla parete contro la quale si era quasi schiantato pochi attimi prima.
 
Un silenzio perfetto, la tensione che si taglia con un coltello e che impregna quello spazio troppo stretto in cui Camilla li ha intrappolati letteralmente con un colpo di mano. Mano ancora contratta sul tasto rosso, un’espressione in volto che non le ha mai visto prima e che… che gli fa quasi paura.
 
Non ha mai avuto paura di Camilla prima d’ora, o meglio, non ha mai avuto questo genere di paura: paura di uno scontro fisico, di un male fisico.
 
Di quello che provava e prova per Camilla, sì che aveva avuto paura, una paura folle quasi quanto quello che sente per lei. Ci aveva lottato contro per mesi, anni, provando a resistere all’inizio, a non ammettere nemmeno a se stesso che con lei era diverso. Provando poi a dimenticarla, a non vederla, a non sentirla. Arrivando addirittura a lasciarla andare, a rassegnarsi, pur vivendo di fronte a lei, pur vedendola tutti i giorni più volte al giorno.
 
Perché al male invisibile e letale, quello che ti corrode e ti uccide dentro… ci si era quasi assuefatto: il suo cuore aveva ormai più ferite e più cicatrici di un vecchio guerriero indiano. Più calli dei piedi di una ballerina classica o di un maratoneta.
 
Ma sa che non era un male che lei gli aveva mai procurato volontariamente: è lui l’idiota che si era innamorato di una donna sposata e con una figlia piccola, ormai dieci anni prima. Ed è sempre lui l’idiota che non l’aveva mai dimenticata, che non riusciva a dimenticarla e continuava a… a sperare contro ogni logica in un qualcosa per loro, anche dopo aver deposto le armi, dopo aver smesso di cercare di cambiare le cose.
 
Camilla non gli aveva mai fatto promesse e soprattutto non gli aveva mai richiesto alcuna fedeltà.
 
O forse sì, vista la sua reazione di fronte alla prospettiva di un’altra.
 
Forse lei si aspettava e si aspetta che lui fosse e sia sempre lì, fedele e devoto, a struggersi per lei, ad assecondarla in tutto, senza chiedere niente, come non aveva chiesto niente negli ultimi due anni, in cui aveva abbandonato ogni tentativo di conquistarla ed aveva accettato esattamente quello che lei poteva dargli e nulla di più.
 
Forse è anche colpa sua: in fondo è lui che l’ha abituata così.
 
No, non è vero, è ingiusto e sa di esserlo: Camilla non aveva mai reagito così alle sue… liaison, non prima della fine del matrimonio con Renzo.
 
Certo, ne era stata infastidita, molto infastidita ma… ma mai al punto da fargli una scenata di gelosia in piena regola e non invece limitarsi a qualche frecciata scoccata tra le righe.
 
Mai al punto di arrivare al sequestro di persona, in ascensore per di più.
 
Mai al punto di guardarlo così… con quello sguardo quasi inquietante nella sua intensità. Uno sguardo che riconosce benissimo ma non su di lei.
 
Lo sguardo di chi è pronto a tutto, letteralmente a tutto, a qualsiasi cosa.
 
Quello sguardo che, nel suo mestiere, significa solo una cosa: o spari subito o tra pochi secondi sarai morto, perché l’altro non avrà pietà per te e non sta bluffando.
 
Non si sarebbe mai aspettato di vederlo su di lei, sulla sua professoressa.
 
E, se non sapere cosa aspettarsi da lei, se non essere in grado di leggere le sue intenzioni, non fino in fondo, non è affatto una novità… è la prima volta che ha davvero paura.
 
Paura di aver tirato troppo la corda con questa storia della nuova vicina, paura che Camilla commetta qualche sciocchezza, o di commettere per reazione qualche sciocchezza da cui poi sarebbe impossibile tornare indietro.
 
Lei sembra pronta a colpire, la mano libera stretta a pugno lungo i fianchi, lo sguardo omicida. Sa che potrebbe colpirlo. E anche se non le farebbe mai del male, anche se si lascerebbe colpire… ad un certo punto dovrebbe bloccarla e… e non è sicuro di cosa potrebbe succedere, nel bene e nel male.
 
Non solo di riuscire a dosare le forze ma di riuscire a trattenersi dal-
 
“Non ti credo.”
 
Tre parole, pronunciate con voce di cartavetra e tono piatto, ma sempre quello sguardo pericoloso, di lucida follia e allo stesso tempo di sfida, rompono il silenzio e la sequenza dei suoi pensieri, del suo piano di battaglia che, solo ora, si rende conto di aver tratteggiato nella mente quasi si stesse preparando sul serio ad uno scontro a fuoco.
 
“Non ti credo. Ma del resto sei sempre stato un bel bugiardo, oltre che un bello stronzo,” proclama con quello stesso tono piatto che assume però una nota gelida e dura e che è peggio di uno schiaffo in pieno viso.
 
Sa di esserselo meritato, di meritarsi tutti questi appellativi: perché tra omissione e bugia… non c’è differenza di fronte alla legge. E stronzo… stronzo lo era stato davvero, anche se non del tutto volontariamente.
 
Evidentemente Camilla aveva scoperto tutto, aveva capito tutto, anche se non sa come, ma del resto… la prof. è la prof.!
 
Si deve essere sentita presa in giro ed è furiosa con lui. L’aveva già messo in conto quando aveva deciso di confessare. Ma non avrebbe mai immaginato una reazione del genere, che sarebbe arrivata a… a questo.
 
“Camilla, ascolta, io non-“
 
“Camilla niente: adesso mi ascolti tu!” sibila, dando un’altra manata al pulsante rosso che fa vibrare tutto l’ascensore e che rimbomba peggio di una fucilata, uccidendogli tutte le parole che aveva in gola e sulla punta della lingua. Quasi inconsciamente, Gaetano solleva le mani davanti al petto, i palmi in avanti, come a placarla, a cercare di assecondarla e tranquillizzarla, come aveva già fatto in mille altri casi difficili, quando bisogna impedire al sospettato di commettere qualche sciocchezza, contro di sé o contro gli altri.
 
“Sei un bugiardo e ti sei comportato da stronzo, è vero. Ma… sono stata anche io una gran bugiarda e… e pure un po’ stronza. Quindi uno a uno, palla al centro.”
 
“Cosa?” sussurra, sempre più sconcertato e spiazzato, ancora più del solito quando si tratta di lei.
 
“Sei arrabbiato con me? Volevi farmela pagare, eh?! Perché… perché non ti ho baciato… perché… perché ti ho evitato dopo quel bacio e… anche prima di quel bacio?! Perché… perché ti ho ferito? Perché ho ferito il tuo orgoglio maschile?” gli domanda, guardandolo negli occhi con quello sguardo quasi febbrile che gli provoca un colpo al cuore, mentre le ferite, le tante, troppe ferite, si riaprono e sembrano allo stesso tempo guarire di fronte a questa parziale ammissione di colpa di Camilla, che non si sarebbe mai aspettato, sapendo quanto lei sia orgogliosa, molto più di lui, “perché magari ti sei sentito umiliato? E allora volevi… volevi ferirmi, volevi umiliarmi? Beh, ci sei riuscito, complimenti! Spero sarai soddisfatto!”
 
“Camilla, io non-“ prova a protestare, sentendosi uno schifo di fronte al dolore che sente nel tono di lei, che le legge negli occhi, nell’espressione del viso e che per un attimo le fa perdere quello sguardo e quell’atteggiamento quasi inquietanti.
 
Ma è solo un attimo: Camilla lo fulmina con un’altra occhiata di ghiaccio.
 
Chiude per un secondo gli occhi, inconsciamente, aspettandosi un nuovo terremoto o forse uno schiaffo vero, di quelli che ti lasciano le dita stampate sul volto per giorni ma… ma niente.

E, quando li riapre, Camilla è più vicina. Troppo vicina.
 
Ha fatto un passo. Solo un passo. Ma l’ascensore è piccolo, è stretto e… basterebbe nemmeno un altro passo ora, solo dieci centimetri per ritrovarsela addosso.
 
Riesce a sentire il suo calore, nonostante il freddo di fine novembre, riesce a sentire sulle labbra il soffio del suo respiro che sa di-
 
“Alcol? Hai bevuto?!” esclama, ancora, se possibile, più turbato e spaventato di prima. E sentendosi, sempre se possibile, ancora peggio, ancora più uno schifo.
 
Perché, se lui, soprattutto a Praga e pure a Roma, prima di costringersi a chiedere il trasferimento, ad allontanarsi e a fermarsi prima di giungere all’autodistruzione, ci era appunto arrivato ad un soffio dal distruggersi il fegato, la vita e la carriera con qualche bicchiere di troppo per dimenticare… lei… non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe messa a bere a causa sua, e non solo un bicchiere di vermouth in amicizia.
 
Certo, il calo dei freni inibitori provocato dall’alcol spiegherebbe… tutto questo.
 
“Solo un paio di bicchieri, non divagare!” intima Camilla, minimizzando e puntandogli un dito al petto.
 
“Non divagare da cosa? Non ho aperto bocca, Camilla!” prova a farle notare, ottenendo come unico risultato quello di sentirsi pungolare all’altezza dello sterno, cercando di arretrare ma ritrovandosi, letteralmente, con le spalle al muro.
 
“Tu la bocca la apri e la usi fin troppo e non solo con me!” ribatte, sarcastica, lo sguardo che si sposta dagli occhi alle labbra di lui, rendendolo ancora più consapevole di quanto siano pericolosamente vicini.
 
“Camilla, per favore, non-“
 
“Bacia bene, è così? E magari… magari è brava non solo a baciare, non è vero?” sputa fuori, con una smorfia tra il sarcastico e il disgustato.
 
“Chi?” domanda, assolutamente e completamente confuso.
 
Ma come chi?! La tua nuova vicina!” sbotta, indignata, di nuovo con quel tono da ma mi prendi per scema?!
 
“Camilla…” sospira, comprendendo di essersi sbagliato e che Camilla non ha affatto inteso, che non sa niente ed è ancora convinta che lui abbia un’altra, “Camilla, possibile che tu non abbia ancora capito che-“
 
“No, no, io non capisco e non capirò mai! Questa… com’è che si chiama, tra l’altro? Ce l’ha un nome o non te lo ricordi nemmeno? Mi sono sempre chiesta, lo sai, se tenessi tipo un’agenda o uno schedario, giusto per non rischiare di fare confusione tra tutte le tue amiche,” ironizza, tagliente come un rasoio, la voce che assume una nota velenosa sulla parola amiche.
 
“Camilla,” risponde, semplicemente e sinceramente, guardandola negli occhi, sperando di riuscire finalmente a spiegarsi.
 
“Camilla, niente! Dimmi come si chiama! Almeno questo potrò saperlo, no?! O è una dei servizi segreti, il che giustificherebbe tutto questo mistero e come mai ancora qui non si è vista? Perché altrimenti potrei pensare che non volessi farmela incontrare… cos’è? Temevi il mio giudizio… o che ti rovinassi la piazza?” prosegue, imperterrita, il sarcasmo che trasuda da ogni singola lettera.
 
“Camilla, si chiama-”
 
“Sai che ti dico?” lo interrompe di nuovo, prima che possa ripetere quel nome che Gaetano associa indelebilmente ai momenti più belli e più bui della sua vita, al tutto e al niente, all’amore e all’odio, alla gioia e alla disperazione, al vivere invece che al sopravvivere e poi al sopravvivere invece che vivere, “non fa niente, non mi importa! Non mi importa come si chiama, se ha un nome italiano, inglese, tedesco, svedese, indiano, cinese o giapponese. Se è bionda, mora, rossa o è rasata tipo skinhead, se è brava a baciare, se è molto più disponibile di me e sembra uscita da nove settimane e mezzo. Potrai prendere in giro lei o te stesso ma non me. Tu non la ami. Tu ami me.”
 
“Che cosa?” non può fare a meno di sussurrare, preso nuovamente totalmente in contropiede.
 
“Tu. Ami. Me. Ti ho visto sai… da dietro la tenda… anche se avevo le luci spente,” svela, facendogli capire una volta di più che a Camilla non la si fa, mai. Purtroppo e per fortuna, perché altrimenti non sarebbe l’adorabile e geniale impicciona di cui si è innamorato tanti anni fa.
 
“Ho visto come guardavi verso la mia finestra, ho visto quanto tempo sei rimasto lì fuori! Come… come mi guardavi in questi mesi, in questi ultimi anni quando pensavi che non me ne accorgessi. Come mi hai guardata quella sera prima di baciarmi e immagino anche dopo, anche se dopo… dopo non ho visto più niente, non ho capito più niente. È lo stesso sguardo che avevi dieci anni fa, quando mi hai invitata a casa tua e mi hai detto che ti eri innamorato di me e-“
 
“No, non lo è, Camilla. Non è come dieci anni fa,” afferma, deciso, deciso a confessare tutto fino in fondo. Ad ammettere quello che prova e che, se potesse per un solo istante incontrare il se stesso di dieci anni, fa gli direbbe due cose – armati di tantissima pazienza, che ne avrai bisogno! – e – ragazzo mio, pensi di essere innamorato perso? Non hai ancora visto niente!
 
Perché, al confronto di quello che prova per lei adesso, quello che provava dieci anni fa sembra una cottarella, un focherello, una cosa piccola ed insignificante. Anche se per lui era già tantissimo, più che tantissimo.
 
Ma era solo l’inizio.
 
“Camilla, quello che provo adesso non è assolutamente paragonabile a quello che… che provavo dieci anni fa, è-“
 
“Me la vuoi ancora fare pagare, è così?” lo interrompe per l’ennesima volta prima che possa completare il discorso, rendendogli sempre più difficile controllare l’istinto di tapparle la bocca – per non parlare di come vorrebbe tappargliela!
 
“No! E mi fai parlare, porca miseria?!” sbotta, trafiggendola con un’occhiata eloquente e non riuscendo più a trattenersi dall’alzare la voce e dal fare emergere quell’accento romanesco che gli scappa ancora quando è infervorato o stanco o arrabbiato o preoccupato, pure dopo tutti questi anni lontano dalla sua città natia.
 
“Ma certo, per la carità, parla! Dai, avanti, sfogati, dimmi quello che pensi, tutto quello che ti passa per la testa!” lo esorta, alzando a sua volta la voce e tornando a pungolarlo allo sterno con l’indice della mano destra, “se può farti sentire meglio, mandami pure a quel paese, dammi della stronza, ma non mi puoi dire che ami un’altra, non è possibile, non ci credo. Non puoi dire che… che non mi ami più, perché non ci credo!”
 
Gaetano è ammutolito, completamente spiazzato e disorientato da… da tutto: dalle circostanze, dalla mancanza d’aria che comincia a farsi sentire in quello spazio che si fa sempre più stretto, da Camilla che si fa sempre più vicina, inchiodandolo al muro con quel dito che sembra scottargli sulla pelle come un ferro incandescente. Quel corpo che quasi sfiora il suo, l’ampia casacca dentro cui è infagottata – niente cappotto, lo nota solo ora, ma come accidenti fa a non morire di freddo? – che gli sfiora le braccia e le mani che tiene rigide lungo il corpo, per evitare di… di cadere in tentazione e commettere qualche sciocchezza – o meglio, qualcosa che per lei sarebbe una sciocchezza – il fiato di lei sulle labbra e nelle narici, con quella nota alcolica che gli fa girare la testa, i loro visi ormai a cinque centimetri, forse meno, lei che protende il capo con quell’aria di sfida e quella fronte e quelle labbra corrucciate.
 
Dio quanto sei bella! Bella e completamente folle! Come posso non amarti? – questo solo vorrebbe dirle, perché solo questo emerge dal caos di pensieri e sentimenti confusi che ha in testa.
 
“Anzi, non credo che tu… che tu possa nemmeno dirmelo che non mi ami,” afferma, con un tono di voce indefinibile, che non le ha mai sentito usare prima, continuando a premergli sul petto ed a ridurre, se possibile, ancora di più le distanze, tanto che le loro ginocchia si toccano, visto che lui è ancora appoggiato alla parete dell’ascensore, “avanti, dai, forza, dimmelo, ma guardandomi negli occhi! Dimmi che non mi ami e faccio ripartire questo maledetto ascensore e sparirò dalla tua vita. Anzi, ti permetterò di sparire dalla mia vita e di goderti la tua grandissima storia d’amore con la tua nuova vicina!”
 
Gaetano è paralizzato, non sa cosa dire, non sa cosa fare. E non solo perché gli sembra tutto un sogno bizzarro ma perché sa benissimo che non può dire quello che Camilla gli sta chiedendo di dire. Un conto era proclamare amore per un’ipotetica altra, che poi è lei, guardandola negli occhi.
 
Quello era facile, troppo facile.
 
Ma lei ha ragione: non potrebbe mai mentirle su una cosa del genere, dirle che non la ama. Soprattutto non guardandola negli occhi.
 
E per una volta, il fatto che Camilla abbia ragione e che lo affermi con questa decisione, questa sicurezza che rasenta la strafottenza, che gli getti in faccia in questo modo quello che prova per lei… invece di renderlo orgoglioso di lei o di esasperarlo in quella maniera che gli fa solo desiderare di caricarsela in spalla e non rispondere di se stesso... lo esaspera e basta.
 
“Dimmi che non mi ami, avanti, dimmelo e facciamola finita qui!” ribadisce, di fronte al suo silenzio, picchiando i palmi delle mani sulla parete a cui è appoggiato, ai lati della sua testa, intrappolandogliela e sibilandogli sulle labbra, “come mai non parli, mm? La lingua di solito ce l’hai e la sai usare… fin troppo! Quindi, forza, dimmi che non mi ami, dimmi che ami lei e non me, dimmi che non senti più niente per me, che non… che non provi niente… che non… che non mi desideri.”
 
Un suono gutturale gli sfugge dalla gola quando sente quelle stesse mani, quelle dita lunghe ed affusolate, sfiorargli il collo, prima lievi come piuma e poi più decise, una carezza ed un graffio, le unghie sulla pelle tesa e sensibile del collo, appena sotto la linea dei capelli, una scossa ed un brivido caldo e freddo insieme che lo trapassano da parte a parte. I vestiti che sembrano farsi improvvisamente stretti ed opprimenti.
 
Mentre le dita della mano sinistra continuano a torturargli collo e capelli, quelle della mano destra si insinuano invece sempre più in basso, tracciando scie invisibili sulla clavicola e sulla pelle esposta del torace: si era slacciato i primi tre bottoni della camicia quando si era tolto la cravatta al rientro a casa.
 
“Camilla, per favore, non… non fare così, io… hai bevuto e non sai quello che stai facendo!” la prega con voce strozzata e cavernosa che non sembra nemmeno la sua, guardandola in quegli occhi nocciola che brillano di nuovo di quella luce inquietante, quello sguardo disperato pronto a qualsiasi follia.
 
L’afferra per le braccia, cercando di bloccarle, di fermare ed allontanare quelle mani troppo pericolose.
 
Prima che le sue di mani cedano all’impulso di ricambiare la cortesia, prima che il cervello prenda un aereo di sola andata per Honolulu.
 
Ma quelle dita sottili, per tutta risposta, si intrecciano sulla sua nuca, tra i suoi capelli, come solo una volta prima d’ora in uno dei giorni più belli e più terribili della sua vita.
 
Un bacio in una piazza.
 
Un miracolo ed una disgrazia.
 
Quello che sta succedendo ora.
 
Prova ancora a spingerla via, ma l’unico risultato è una fitta al collo ed uno strattone ai capelli: Camilla non molla la presa, anzi, lo stringe ancora più forte e Gaetano sa che per fargliela mollare dovrà o farsi male o farle male.
 
Maledizione! Ma a che gioco stai giocando? Sei impazzita?!
 
“Lo so benissimo cosa sto facendo. Cos’è, non ti piace vedere usate le tue tecniche da interrogatorio contro di te, commissario? Non ti piace trovarti per una volta dall’altra parte? O forse ti piace troppo?” lo provoca, massaggiandogli il cuoio capelluto in una specie di tortura a fuoco lento che sta però scatenando un incendio, i pollici che gli premono lievemente sulle carotidi in un modo che gli fa girare la testa, “lo sento sai? Sento il tuo respiro e i tuoi battiti... sento quello che vuoi davvero. Chi vuoi davvero. O vuoi dirmi che la desideri più di quanto desideri me? Che la vuoi più di quanto vuoi me?!”
 
Come faccio a desiderare un’altra più di te? Come fai a farmi impazzire solo sfiorandomi?! Vuoi farmi uscire di testa, farmi perdere il controllo? Costringermi a farti e farmi male?! Maledizione, Camilla!
 
Preso dalla disperazione prova di nuovo a spingerla via, prima di perdere la testa e fare una follia, ma Camilla non cede, anzi, si stringe ancora di più a lui per intrappolarlo: le curve morbide del suo seno compresse sul suo torace, le distanze azzerate come la salivazione, il battito a mille all’ora e il sangue che fluisce tutto in un’unica direzione.
 
“Camilla, basta, ti prego, fermati!” rantola, paonazzo, non sapendo più dove mettere o non mettere le mani, se tentare di nuovo di allontanarla o di stringerla a sua volta, in modo da bloccarle almeno le mani, in modo da bloccarla, anche se contro di sé – vuoi morire, Gaetano? – decidendo poi di fare un ultimo disperato tentativo di confessare, per uscire da questa impasse, “Camilla, possibile che non capisci che-?“
 
“No, non capisco!” lo tronca bruscamente con quello che è quasi un grido nell’orecchio, visto che sono praticamente incollati, portando indietro il capo per guardarlo negli occhi, quell’espressione di lucida follia sul volto a cui sembrano mischiarsi rabbia ed indignazione, “non capisco come puoi buttare via tutto in due settimane per… per correre dietro alla prima venuta! Per un bacio! Un bacio! Perché questo conta per te, no? Se io ti bacio o no, se io ci sto o no! Perché tu ragioni così, tutto il resto non conta, no?!”
 
Se gli avesse mollato un ceffone gli avrebbe fatto mille volte meno male e, per la prima volta nella sua vita, Gaetano si ritrova per una frazione di secondo a desiderare di darle uno schiaffo, uno schiaffo vero per farle capire quanto sia inaccettabile, assurdo ed ingiusto quello che gli sta sputando addosso. Per farle provare almeno un centesimo del dolore che gli sta provocando. Un dolore talmente forte da azzerare perfino il piacere fisico di sentirla, di sentirsi stretto tra le sue braccia.
 
Il suo sogno di sempre, un sogno che si è improvvisamente trasformato in incubo.
 
Ma, lo sa perfettamente, facendo male a lei, farebbe male prima di tutto a se stesso. E si mozzerebbe le mani, piuttosto che colpirla.
 
“È questo che vuoi, no? Solo questo!” la sente sibilare, un tocco morbido e umido appena sotto l’orecchio, una scossa che lo lascia a bocca aperta, “bene, ti accontento subito!”
 
“Ca-“
 
Il nome di lei gli si blocca in gola – altro che scossa, un terremoto lo scuote fin nelle viscere – quando si ritrova con la bocca tappata da quelle labbra che hanno popolato i suoi sogni e le sue fantasie da circa un decennio, fino ad averne mappato e memorizzato ogni piega, ogni curva.
 
Labbra che sanno di vino, di sale, di rabbia, di disperazione.
 
Così diverse dalle labbra che ricordava, dalla disperazione di quella piazza: una disperazione dolce, appassionata, soffice, carica di… amore, comunque lo si voglia definire, di passione repressa e di sollievo.
 
Ora è una disperazione densa di rancore, di sfida: la bocca di Camilla si scontra con la sua, si impadronisce della sua come se fosse una dichiarazione di guerra e... di possesso.
 
È un bacio duro, aspro, violento: le labbra che si muovono sulle sue con una forza quasi brutale.
 
Gli ci vuole tutto il suo autocontrollo per non rispondere a quel bacio, con uno sforzo quasi sovrumano riesce a serrare le labbra per bloccare l’assalto.
 
Una vittoria momentanea.
 
Un morso al labbro inferiore gli strappa un grido e poi un nuovo assalto, ancora più feroce e passionale del precedente, le mani che gli strattonano i capelli.
 
Il cervello, il buon senso, l’orgoglio, il dolore e la rabbia si smarriscono dentro ad una coltre di nebbia e di vapore acqueo.
 
Una resa ed una dichiarazione di guerra e d’amore insieme, si ritrova, senza quasi rendersene conto, a rispondere all’assalto colpo su colpo, labbra contro labbra, denti contro denti, mani contro mani, ad afferrare capelli, vestiti, aria, perdendosi in lei, in una lotta fino all’ultimo respiro.
 
E poi la sente, spalmarglisi addosso completamente, come lava incandescente che si fonde su di lui.
 
Un rantolo strozzato esalato all’unisono che è come una doccia fredda.
 
La nebbia si squarcia e torna la luce.
 
“Ca- Camil- Cami- no, no, no!” protesta, staccandosi a forza dalle sue labbra – più facile a dirsi che a farsi, visto che le mani di lei sono intrecciate nei suoi capelli – con voce roca che si alza sempre più di volume mano a mano che lei continua con l’assalto, non accennando a mollare la presa, come una leonessa con la sua preda.
 
“Basta, maledizione, basta! Fermati!!!” grida, spingendola via e vedendola barcollare all’indietro e quasi schiantarsi contro la porta dell’ascensore: nel panico e nella disperazione non è riuscito a dosare le forze quanto avrebbe voluto.
 
La cortina di ricci che le copre il viso si apre mentre Camilla si solleva piano piano, aggrappata al legno, lasciando intravedere una smorfia di dolore sul viso che lo fa sentire una merda, il peggiore degli uomini.
 
E quegli occhi scurissimi, che hanno perso quell’intensità inquietante e sembrano lucidi – in tutti i sensi – ma stanchi, terribilmente stanchi, iniettati di sangue come erano mesi che non li vedeva.
 
Di fronte a sé non c’è più un’erinni ma la donna, in tutta la sua fragilità.
 
“Ti sei fatta male?” domanda, a bassa voce, la gola di cartavetra, cercando di deglutire la saliva che non ha, combattuto tra l’istinto di avvicinarsi a lei per accertarsi che stia bene e tenerla a distanza, tenersi a distanza.
 
 
“Perché?”
 
 
È l’unica parola che le esce, anche se vorrebbe chiedere tutt’altro, dirgli tutt’altro. Non sa bene cosa, solo altro.
 
La schiena che protesta, i gomiti ancora sotto choc – ma perché fanno così male quei bastardi? Del resto IL gomito, maschile, come volevasi dimostrare – di sicuro non si è fatta bene.
 
Ma Camilla sa che è colpa sua, che non gli ha lasciato scelta.
 
Folle, era stata folle.
 
Non sa cosa le sia preso, cosa sia scattato in lei ma tutta la sua giornata, a partire da quando aveva visto La Biondona – anzi, la stimatissima dottoressa Ricci – era stata un insieme di emozioni confuse e caotiche, che l’avevano travolta come un’esplosione dopo quella dichiarazione d’amore di Gaetano.

Ad una donna che non è lei. Ad un’altra.
 
Da lì era stato tutto molto confuso, non ricorda bene i dettagli, solo di essersi trascinata in auto, la telefonata disperata a Francesca, l’arrivo dell’amica, più rapida ed efficiente del 118, in taxi. Un paio di isolati fatti tra i singhiozzi e le lacrime che le allagavano il viso, con la sua auto e la guida terribile di Francesca, fino a che, all’ennesimo spegnimento di motore, Francesca si era arresa all’evidenza e aveva fermato un altro taxi.
 
Con la vista appannata, l’aveva vista lanciare un’occhiataccia al tassista, evidentemente incuriosito e turbato dal suo stato di devastazione, e poi Francesca gli aveva dato l’indirizzo della sua villetta: Camilla non voleva tornare a casa e rischiare che Livietta la scoprisse in quelle condizioni pietose.
 
Singhiozzi, lacrime, rabbia, insulti ed epiteti che avrebbero fatto arrossire un camionista indirizzati ad un certo vicequestore. E vino rosso.
 
Tanto vino rosso.
 
Una bottiglia di Barolo d’annata che avrà avuto almeno sedici gradi d’alcol e che si era quasi interamente scolata, incurante delle proteste di Francesca.
 
L’ultima volta che aveva bevuto così… in realtà non se la ricorda. Forse non ha mai bevuto così tanto, così in fretta.
 
Certo, era già andata un po’ oltre ai suoi limiti quando si erano viste al wine bar vicino all’ospedale, quando aveva scoperto del trasloco e della nuova vicina.
 
Ma era riuscita a contenersi, forse perché erano in un locale pubblico, forse perché aveva ancora qualcosa da perdere, a parte la dignità.
 
Oggi invece, aveva sentito di non avere proprio più niente da perdere ed era come se tutto il dolore represso ed in parte superato fosse tornato in superficie, se tutte le vecchie ferite si fossero riaperte e ci si fosse assommata una tonnellata di nuovo dolore, piantata dritta nel petto, fino a soffocarla.
 
La dignità… che le fregava della dignità, quando la sua vita sembrava reduce da un’esplosione atomica!
 
Terra arida, bruciata, sterile, su cui non sarebbe mai più cresciuto niente, germogliato niente.
 
Era riuscita ad allontanare perfino Gaetano – l’unico uomo che sembrava averla amata davvero in modo incondizionato, senza arrendersi per dieci anni – ed invece…
 
Tutte palle!
 
Francesca aveva provato a rassicurarla che ci doveva essere una spiegazione. Aveva ribadito che, secondo lei, non era possibile che Gaetano si fosse innamorato sul serio di un’altra in due settimane. Che magari voleva solo farla ingelosire, testare le sue reazioni, vedere se ci tenesse a lui o meno e fino a che punto. Se era disposta a combattere per lui e a non mollare, tanto quanto lui aveva sempre combattuto per lei, per loro. Le aveva detto chiaro e tondo che c’era un solo modo di risolverla questa situazione: parlargli sinceramente, raccontargli tutta la verità. E aveva continuato a ripeterle che Gaetano non avrebbe mai preferito un’altra a lei, ammesso che quest’altra esistesse.
 
Ma Camilla non si era affatto sentita meglio, non si era sentita sollevata.
 
Per innamorarsi basta un’ora – così recitava una vecchia canzone.
 
Forse è un po’ un’esagerazione ma è vero che… certe volte l’amore arriva quando meno te lo aspetti, come certi colpi di fulmine.
 
E forse stavolta aveva davvero piovuto, ma non su di lei.
 
Terra arida, bruciata, sterile, su cui non sarebbe mai più cresciuto niente, germogliato niente.
 
O forse terra allagata, allagata ed inondata e poi lasciata a marcire lentamente in un mare di fango.
 
Perché… perché, chi voleva prendere in giro? Aveva già piovuto, stava già piovendo da dieci anni, anche se si era ostinata a fingere che fosse solo un temporale estivo, di quelli che durano il tempo di un lampo.
 
Non lo era. Tutt’altro. Almeno, non per lei.
 
Per quanto riguarda lui… quel pomeriggio le era sembrato davvero di non sapere più nulla, di non aver mai capito nulla.
 
Quando era rientrata a casa, dopo essersi accertata con una telefonata che Livietta fosse uscita con i suoi amici e dopo essersi trattenuta a fatica dal ricoprire i tappetini del taxi di vomito color rubino, aveva notato immediatamente l’auto di Gaetano in cortile – era rientrato presto!
 
Si era rifugiata in casa, tenendo le luci spente, sia per il principio di cerchio alla testa, sia per non farsi vedere da lui.
 
Non voglio vederlo più neanche in fotografia! – così si era detta.
 
Si era ripromessa che non si sarebbe mai più fatta umiliare da un uomo, tantomeno da Gaetano Berardi.
 
Si sarebbe uccisa piuttosto che rendersi vulnerabile di fronte a lui. Mettersi a nudo, confessargli le sue paure e… e… quello che prova per lui.
 
Si sarebbe uccisa piuttosto che elemosinare amore ad un uomo che le aveva detto chiaro e tondo di essersi innamorato di un’altra.
 
Ma poi aveva trovato le chiamate perse sul fisso di casa.

Aveva acceso il cellulare: altre chiamate perse.
 
Otto: più di una all’ora.
 
Perché continui a cercarmi, se ami un’altra? – questo si era domandata – vuoi torturarmi, eh? Vuoi vedermi soffrire?
 
Era rimasta a spiare da dietro le tende, peggio di una stalker, ma tanto ormai… la dignità aveva intrapreso un viaggio di sola andata verso Alfa Centauri.
 
E l’aveva visto, affacciarsi a sua volta dalla finestra, più volte e poi… scendere a buttare la spazzatura alle undici di sera.
 
Una mezza risata rauca le era sfuggita dalla gola, scatenando un colpo di tosse ed un rigurgito acido al sapore di vino rosso e bile, quando l’aveva visto guardarsi intorno – non trovi la mia auto, eh, commissario? – e poi fermarsi e mirare dritto verso la finestra, verso di lei, come se potesse vederla.
 
E le era anche venuto il dubbio che lui potesse davvero vederla, considerando quanto tempo era rimasto così, quasi immobile sotto la luce del lampione. E poi se ne era andato lentamente, ma aveva continuato a cercarla con lo sguardo in quella finestra ed in ogni angolo del cortile.
 
Non saprebbe dire cosa fosse scattato in lei ma, per qualche assurda ragione, tutta questa preoccupazione di Gaetano, questi segni evidenti di… di amore, di bene, invece che renderla felice l’avevano solo fatta incazzare come mai le era successo prima.
 
Come puoi desiderare un’altra, desiderare di vivere accanto ad un’altra se ami me?! Perché vuoi farmi male? Vuoi distruggermi?! Vuoi vedermi strisciare?! Te la faccio vedere io! – con questo pensiero fisso aveva inforcato la porta e gli era arrivata alle spalle, mentre attendeva l’ascensore.
 
Aveva intrappolato la sua preda con precisione chirurgica, un solo obiettivo: ottenere una piena e totale confessione.
 
Non si sarebbe mai aspettata che… che avrebbe cercato di ottenerla in questo modo.
 
È sconvolta e quasi si vergogna di se stessa, di una se stessa di cui sembra non avere più il controllo, che non riconosce più.
 
È colpa tua! Sei tu che mi fai perdere la ragione! Perché?! Perché mi-
 
“Perché cosa, Camilla?”
 
Tre parole. Tre parole che la riportano al presente.
 
Mi leggi nel pensiero adesso? - si domanda, spaventata all’idea di aver involontariamente espresso i suoi pensieri ad alta voce.
 
Fino a che si ricorda di quel perché pronunciato neanche un minuto prima, ma che ora sembra così distante...
 
Tutto sembra così distante.
 
“Perché mi hai fermata? Lo so che lo vuoi anche tu, lo sento che lo vuoi anche tu!” pronuncia con una voce degna della più incallita delle fumatrici, per quanto è cavernosa, guardandolo in quegli occhi azzurri che sembrano più stanchi dei suoi, se è possibile.
 
C'è preoccupazione, ma anche… delusione. E… disagio e… senso di colpa?
 
“L’hai fatto per lei, è così?” domanda, assalita dal dubbio atroce di aver frainteso tutto.
 
Che Gaetano si sia preoccupato per lei solo perché le vuole bene.
 
O, peggio, per pietà.
 
Che magari sia attratto da lei, certo. E per questo ha risposto al suo bacio. In fondo gli è saltata addosso ed è un uomo, non un santo.
 
Ma forse… forse è davvero un uomo innamorato.
 
Non di lei.
 
Forse ha visto solo quello che voleva vedere, che aveva bisogno di vedere e di credere.
 
Ha trasformato una goccia di pioggia in un temporale.
 
“L’ho fatto per me. E per te, Camilla,” ribatte con un tono serissimo che azzera ogni sollievo per quelle parole.
 
“Per me? Che vuoi dire? Che il problema sono io?! Che non mi vuoi?!” domanda, incredula: potrà non amarla più, ma c’era anche lui in quel bacio, di questo ne è sicura.
 
“No, Camilla, maledizione! Certo che ti voglio, ma non così! Dopo dieci anni, dopo tutto quello che… che ho fatto per te e con te, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, penso di meritare di meglio che… che questo. Che un bacio dato per rabbia e per vincere una specie di sfida con un’altra! Non mi merito di essere… di essere usato come un giocattolo, come un trofeo, come una specie di cagnolino fedele che tieni a distanza ma che, se appena prova ad allontanarsi, allora accorci il guinzaglio!”
 
 
Silenzio
 
 
Per qualche lunghissimo ed interminabile istante c’è solo silenzio, un silenzio gelido quasi quanto le mani di entrambi, che artigliano il legno della porta e della parete posteriore dell’ascensore, come pugili attaccati alle corde di un ring.
 
Camilla ci si aggrappa con tutta la forza, per bloccare quel tremore incontrollabile ed involontario che dalle gambe la scuote fino alla punta dei capelli.

E per impedirsi di fare due passi, chiudere di nuovo le distanze e ricambiare lo schiaffo con un ceffone di quelli che fanno girare la testa dall’altra parte.
 
Perché così si sente: come se avesse ricevuto uno schiaffo, anzi, un pugno in pieno viso.
 
Un gancio destro da knock-out.
 
“Come puoi dire questo?! Ma che razza di donna pensi che sia, eh?!” grida, indignata, la voce come pneumatici che stridono sull’asfalto, non riuscendo a trattenersi dal tirare una manata alla porta dell’ascensore, ignorando il dolore al palmo della mano e l’ascensore che traballa come se ci fosse un terremoto, la rabbia e l’orgoglio che le ricordano che la miglior difesa è l’attacco, “ma quale guinzaglio! Quale cagnolino fedele?! Tu non sei un cagnolino fedele, non sai nemmeno cosa sia la fedeltà! Al massimo sei un randagio che corre dietro a qualsiasi cagna in calore che ti scodinzola davanti, ecco cosa sei!”
 
 
Silenzio
 
 
Questa volta è il turno di Gaetano di costringersi a rimanere attaccato alla parete, come Ulisse all’albero della nave, non solo per sorreggersi dopo quella pugnalata - la seconda quella sera - ma perché sa che se si avvicinasse a lei… non riuscirebbe a rispondere di sé.
 
Sono ad un passo dall’esplosione. Le dita dei piedi che fendono l’aria all’orlo del precipizio.
 
Gaetano sa che, comunque vadano le cose, non torneranno mai più quelli di prima, una volta usciti da questo ascensore.
 
Non dopo tutto quello che si stanno sputando addosso: paure, livori, rancori, risentimenti decennali.
 
“Che bella opinione che hai di me, Camilla, non c’è che dire! Che sono un latin lover, un dongiovanni, anzi, diciamo pure un puttaniere! Non posso credere che dopo dieci anni… dopo quello che abbiamo passato in questi ultimi mesi tu… tu possa pensare questo di me!!” sbotta, non provando nemmeno a contenere il dolore, la delusione lancinanti nel vedere confermate le sue peggiori paure.
 
Perché ha sempre temuto che fosse esattamente questo che lei pensava di lui e delle sue...  conquiste… ma ha sempre sperato di sbagliarsi e invece….
 
“E infatti non lo pensavo fino a due settimane fa! Peccato che dopo quello che abbiamo passato in questi ultimi mesi, sei tu che prima tenti di baciarmi a tradimento e poi, visto che non ci sono stata, in due settimane ti innamori di un’altra. O così dici! Perché poi mi cerchi, mi chiami, ti preoccupi per me invece di stare con il tuo nuovo grande amore, di cui peraltro finora non ho visto traccia! Che cosa dovrei pensare, me lo spieghi?! Che devo essere stata proprio importante se ti basta così poco per dimenticarmi? E che quindi mi hai mentito in tutti questi mesi, in questi anni quando interpretavi il ruolo dell’innamorato perso? O che per te conta di più qualche bacio, qualche notte di sesso che piantarmi in asso dall’oggi al domani? Che è solo questo che ti importa, che è solo questo che volevi da me?!”
 
“Certo che voglio baciarti, fare l’amore con te! Non posso evitare di essere attratto da te e desiderati! Ma… ma non ho mai voluto solo questo, maledizione! Se avessi voluto solo… solo una botta e via, ti garantisco che mi sarei comportato molto ma molto diversamente, non solo in questo maledetto ascensore ma… in ogni occasione che c’è stata in questi dieci anni. Ti avrei baciata di sorpresa, senza darti il tempo di ragionare, di pensare, di tirati indietro. E poco fa… ma pensi che sia stato facile tirarmi indietro, eh, Camilla? Che sia stato facile respingerti? Tu hai un’idea di quanto ti desidero? Di quanta voglia avevo e avrei di inchiodarti a quella porta e fare l’amore con te fino a non avere nemmeno la forza di respirare?”
 
 
Un sibilo, aria aspirata a fatica nei polmoni.
 
 
Camilla si porta una mano tremante alla bocca, rendendosi conto con sgomento che quel suono strangolato è uscito dalla sua gola.
 
Le gambe di gelatina, un fuoco che le brucia nel petto e sulle guance. Non sa se sia più forte l’istinto assurdo di sbloccare quel dannato ascensore - lei e le sue grandi idee! - e fuggire a gambe levate o… di fare tre passi, solo tre passi, e-
 
“Fare l’amore, Camilla, l’amore! Perché questo sarebbe per me: amore, non sesso. E anche se evidentemente pensi che io sia il peggiore degli uomini, il più squallido degli uomini, quello che voglio con te e da te non è una squallida storia di sesso, uno sfogo momentaneo… un… un capriccio… un momento di follia provocato da un paio di bicchieri di troppo. Non voglio diventare un errore, un rimorso. Non voglio trovarmi a… a leggere il pentimento nei tuoi occhi, a sentire quelle orribili frasi di circostanza che si dicono il mattino dopo… o due giorni dopo… o una settimana dopo… o un mese dopo. Non voglio essere un ripiego o una rivincita verso Renzo o verso un’altra donna. Perché tu… tu non sai quello che vuoi, Camilla, e da qui non si torna indietro. E piuttosto che distruggerci, io...”
 
Il nodo in gola le si stringe ancora di più, ma per tutt’altri motivi, quando sente la voce di lui spezzarsi, quando vede quegli occhi stanchi e pieni di… di dolore.
 
Sembra così sincero, così maledettamente sincero, quando parla di amore quando parla di… di loro, di un noi.
 
Ma sembrava maledettamente sincero anche quando proclamava amore per un’altra, giusto poche ore prima.
 
Camilla non capisce più niente. Non capisce più se credere e a cosa credere.
 
Del resto aveva già preso talmente tante cantonate in quello che lei si era ostinata a definire amore che… fidarsi del suo istinto quando si tratta di sentimenti è come… è come andare nel bosco di notte con solo un pacco di fiammiferi in mano.
 
Mezzo vuoto per giunta.
 
“Piuttosto che distruggerci, preferisci buttarci via per correre dietro ad un’altra? Ma tu pensi che da qui… si torni indietro, eh? Che dopo il tuo trasloco tutto sarà come prima?! Che… che… maledizione, Gaetano!” grida, non riuscendo più a trattenersi dal tirare un’altra manata alla porta, ignorando il dolore al polso e ai gomiti, per poi sibilare, guardandolo dritto in quegli occhi che la osservano di nuovo con quel timore, come se fosse una povera pazza, “ma cos’è tutta questa fretta, eh, me lo spieghi?! Mi hai corteggiata per dieci anni - a riprese alterne, certo, e non sei stato certo un santo nel frattempo, ma pur sempre per dieci anni! - e adesso… adesso che sono… che sono una donna libera, tu nel giro di due settimane rinunci e sparisci dalla mia vita! Per un bacio, uno stramaledettissimo bacio! Piantandomi in asso oltretutto proprio nel momento in cui… in cui ho più bisogno di te!”
 
“Hai… hai bisogno di me?” le domanda in quello che è poco più di un sussurro roco, sembrando non solo toccato, scosso, ma anche davvero sorpreso.
 
Molto sorpreso.
 
Troppo sorpreso.
 
“Che c’hai da stupirti?! Certo che ho bisogno di te, Gaetano, dannazione, come fai a non capirlo?!” sbotta, sentendo di nuovo quell’assurda ed inspiegabile rabbia, quell’indignazione montare di fronte a… a quello sguardo meravigliato, come se… come se lui non sapesse tutto quello che lei ha passato e che sta passando.
 
Come se non sapesse che, senza di lui, probabilmente sarebbe impazzita mesi fa e starebbe ancora rintanata dietro un paio di occhiali da sole.
 
O chiusa in casa con un vecchio maglione e le uova al tegamino, preda dell’ansia e degli attacchi di panico.
 
“Forse  ti sei scordato il piccolo dettaglio che ho scoperto nemmeno tre mesi fa che l’uomo con cui ho passato vent’anni della mia vita mi ha tradita per l’ennesima volta, senza nemmeno degnarsi di prendere delle stramaledettissime precauzioni e che aspetta un figlio dalla sua ex, che proprio io come una scema l’ho incoraggiato a far ritornare nella sua vita?! Perché non riesci a capire che la mia vita è ancora in un frullatore? Che mi sento come se avessi tutti i nervi scoperti e che… non ce la faccio a buttarmi adesso in una nuova storia, Gaetano, non ce la faccio!” esclama, spingendosi via dal legno, raggiungendolo in due falcate, occhi negli occhi, la voce ridotta a poco più di un soffio strozzato, “e non è una questione di cosa voglio o non voglio, di sapere chi voglio o non voglio, ma di cosa riesco e non riesco a fare. E non ci riesco, non sono pronta e… e forse non lo sarò ancora per un po’. Ma questo non significa che non ho bisogno di te! Perché ho bisogno di te come mai prima d’ora! E se non riesci a capire nemmeno questo-”
 
“Camilla, ascoltami-“
 
“No, adesso mi ascolti tu! Se ti ho respinto è proprio perché… perché non voglio prenderti in giro, lo capisci?! Perché per me tu sei importante, maledizione! E non… non potevo permettermi di sbagliare con te… non volevo farti soffrire e… ho paura… ho paura di soffrire e di stare ancora più male di quanto già mi sento. Sto appena appena mettendo insieme i cocci della mia vita… e… e tu adesso mi vuoi dare il colpo di grazia, eh?! Io non ce la faccio più, Gaetano, non ne posso più! Non ne posso più di stare male e non posso perdere anche te, dannazione, non ce la faccio, lo capisci almeno questo?!” grida, roca, ferale, piantandogli l’indice nello sterno, le parole che sgorgano senza che possa controllarle e controllarsi, la rabbia e la disperazione più forti anche dell’orgoglio, della paura di mostrarsi vulnerabile.
 
Perché è vulnerabile, nuda, fuori controllo, e non c’entra niente la sbronza: sente di non avere più in mano le redini della sua vita e non lo sopporta.
 
Gaetano era… era il suo unico punto fermo, l’unico ancora rimasto in una vita travolta da uno tsunami.
 
E la paura, anzi il terrore di perderlo, di perdere l’ultimo caposaldo, l’ultima traccia di… di normalità, di bene, di… di leggerezza e di serenità che le è rimasta nella vita - a parte la sua adorata Livietta, che ha ancora tanto, troppo bisogno di lei, ma a cui non può appoggiarsi, a cui non può chiedere di sostenerla - supera ed annulla ogni altra paura, l’orgoglio, quelle corazze che non servono a niente se non ad aggiungere altro  peso al fardello che la schiaccia, senza permetterle di respirare.
 
“E tu pensi che io voglia farti stare male?! Vederti stare male mi fa stare male, anzi mi distrugge, Camilla! Possibile che tu non lo capisca?” le domanda afferrandole le spalle e con uno sguardo che le fa saltare almeno un battito, il cuore che accelera non solo per il calore di quelle mani, di quelle dita che sente anche attraverso i vestiti, ma per… per quello che sente nel tono di voce rotto con cui lui sta pronunciando quelle parole, “non capisci che farei qualsiasi cosa per te, per… per vederti felice? Che ci sono per qualunque cosa tu possa avere bisogno? Te l’ho anche detto, anzi, te l’ho perfino scritto mesi fa e… e lo pensavo sul serio, lo penso ancora e lo penserò sempre! Ci sarò sempre, Camilla, sempre, fino a quando avrai bisogno di me… anche se… se non ci dovesse essere mai niente tra noi.”
 
“Gae-tano…” prova a sussurrare, la voce che si spezza a tradimento come le era già successo mesi fa… quando aveva ricevuto quel messaggio sul cellulare, anzi, no, peggio, gli occhi che le bruciano tanto quanto il cuore.
 
Sta per cedere all’impulso di abbracciarlo, di lasciarsi andare a quell’abbraccio che le è disperatamente mancato in questi mesi, da quando la sua vita è stata distrutta e rivoltata come un calzino - al diavolo tutto, tutti e… e tutte! - quando sente una mano lasciarle la spalla e sfiorarle il mento, costringendola a sollevarlo ed a guardarlo negli occhi - o almeno a provarci, in mezzo alle lacrime che sta cercando di trattenere e che le appannano la vista.
 
“Proprio per questo… mi fa male, Camilla, mi fa… mi fa molto male, non hai idea quanto, che… che tu sia arrivata a… a questo!” proclama, lasciandole il mento per indicarle la pulsantiera dell’ascensore, il dispiacere e la delusione che riemergono prepotenti nel tono di voce, “che tu sia arrivata a pensare di… di dover arrivare a tanto di… di doverti… di dovermi saltare addosso… quasi come se questo fosse il prezzo da pagare per avere il mio… il mio aiuto e il mio sostegno! Per non perdermi! Perché questo mi fa capire che… che non hai capito niente di me e di quello che provo per te, Camilla. Nonostante i tuoi proclami di poco fa. Tu non credi davvero che io ti possa amare. O forse che io sia capace di amare in generale.”
 
“Io non capisco la tua definizione di amore, Gaetano… non… non la capisco più da due settimane a questa parte, almeno. Mi hai detto che ti sei innamorato di un’altra, ma poi… ma poi ora… mi parli come… come se mi amassi, come se mi amassi in un modo che… che…” sospira, la voce che non vuole più saperne di uscire, un dolore sordo in gola e nel petto, il dito ancora puntato contro lo sterno di Gaetano che si piega, la mano che quasi inconsciamente gli si comprime all’altezza del cuore, cogliendo ogni battito, ogni respiro accelerato, facendosene forza, “è vero, io… io dei tuoi proclami d’amore mi sono sempre fidata poco o forse non ho mai voluto fidarmi perché… perché avevi sempre questa sfilza di donne intorno a te e… ne hai pure mollata una all’altare! E il tuo matrimonio con Eva quanto sarà durato? Da Natale a Pasqua?! Tante volte ho pensato di essere una specie di sfida per te… un trofeo da conquistare, la turris eburnea. Ma da quando ci siamo ritrovati a Torino e… soprattutto da quando… da quando hai smesso di corteggiarmi, paradossalmente, da quando… da quando hai iniziato a starmi vicino senza chiedermi niente - e mai come in questi ultimi mesi - io… io ci ho davvero creduto che tu mi amassi, Gaetano. Che tu mi amassi veramente, in un modo che… che mi ha sempre fatto bene e male perché… perché sapevo di non meritarlo. Perché… mi sentivo così in colpa nei tuoi confronti! E una parte di me credeva che… che davvero ci saresti sempre stato, che… che ora che sono una donna libera… avessimo una specie di patto noi due. Che tu avresti continuato a… a rispettare il mio dolore a… a lasciarmi il tempo per cercare di riprendermi, a starmi vicino, a sostenermi e poi… chissà… un giorno... magari…. E invece… e invece mi sono sentita tradita, presa in giro, nel modo peggiore… con te che… che di colpo ti trovi un’altra e… e mi dai questa specie di ultimatum!”
 
“Io non ti ho mai dato nessun ultimatum, Camilla! Come puoi dirmi questo?! Come puoi parlarmi come… come se fossi una specie di ricattatore? Ti ho solo dato un bacio, porca miseria! A cui tu hai reagito nemmeno ti fossi saltato addosso, peggio di te poco fa!” sbotta, lasciandole bruscamente anche l’altra spalla, quasi come se scottasse, ed appoggiandosi al muro, cercando quasi di allontanarsi da lei, dal suo tocco.
 
“Forse non me l’avrai dato esplicitamente! Non mi avrai detto chiaramente: ‘o ti dai una mossa e… e ci stai o chi si è visto si è visto!’ ma il messaggio mi è arrivato lo stesso, forte e chiaro! Che ora avevi la nuova vicina disponibile di giorno e di notte, no?!” sputa fuori, tagliente come un rasoio, picchiandogli la mano sul petto, anche se, con i muscoli che si ritrova, è più il male che fa a se stessa di quella che fa a lui.
 
“Camilla….” sospira di nuovo, bloccandole il polso e la mano con la sua in una presa salda e troppo intima che Camilla tenta invano di sciogliere, “non hai proprio capito niente! Hai fatto tutto tu! E io… io forse avrò sbagliato ma volevo… volevo solo capire cos’ero per te… se… se per te ero solo un amico, una spalla su cui piangere o… o se potevamo diventare qualcos’altro. Ma a me… a me sarebbero state bene entrambe le cose, Camilla, come… come ho sempre accettato i tuoi no, le tue scelte. Certo, mi avrebbe fatto male, mi fa e mi farà male ma… a me basta sapere la verità. Non voglio costringerti a stare con me se tu non provi quello che provo io, maledizione! Perché io da te voglio tutto, Camilla, tutto! Non qualche bacio e qualche notte di sesso, ma tutto, il pacchetto completo, una storia vera! E se invece quello che sono per te e quello di cui tu hai bisogno e che hai paura di perdere è… è l’amico, il confidente, la spalla su cui piangere e sfogarti, non lo perderai, non mi perderai, Camilla, te lo ripeto, anche se non ci sarà mai niente tra noi, anche se-”
 
“Anche se tu ti trasferisci? A chissà quanti chilometri di distanza da qui? Per stare con un’altra?!” esclama in un’altra specie di mezzo grido mozzato, riuscendo finalmente ad estricare le sue dita da quelle di Gaetano, per puntargliele stavolta a due centimetri dal viso ed esplodere e tracimare come un fiume in piena che rompe argini, barriere ed ogni residuo pudore, se ancora ne ha, “ma che bel sostegno, che bell’appoggio, che sollievo, eh, Gaetano?! Io che vengo da te, magari nei ritagli di tempo mentre lei non c’è, o, peggio, quando lei c’è! Perché quello di cui ho bisogno adesso per stare meglio è proprio vederti amoreggiare con un’altra, no?! O magari vorresti che tornassimo ai tempi di Roberta? Con io che mi sfogo su Renzo e il suo tradimento e la gravidanza di Carmen e tu che mi racconti i tuoi drammi amorosi con la tua nuova vicina? O, peggio, che mi sbatti in faccia il vostro idillio amoroso! Lo vuoi capire che non me ne faccio niente dell’amico, del confidente, della spalla su cui piangere se… se questo vuol dire vederti con un’altra?! Che non ce la faccio a vederti con un’altra, non lo sopporto, non ci riesco, non ora! E non puoi chiedermi questo! Non puoi chiedermi di restare nella tua vita a guardarti mentre la vivi con un’altra, mentre ami un’altra, io-”
 
La gola le si chiude in una specie di miagolio che risuona nel piccolo ascensore peggio di un boato, circondato solo dal silenzio e da quegli occhi azzurri che la guardano da sotto due palpebre appesantite dalla stanchezza ma che… che dicono tutto anche senza parlare.
 
Come sempre accade da quando lo conosce, basta loro uno sguardo per capirsi, per esprimere tutto quello che non direbbero mai ad alta voce.
 
Quanto si sente idiota… e patetica… ed egoista.
 
“Lo so… lo so che tu l’hai fatto per… per tanti anni. E anche io ce l’ho fatta in passato… con Roberta appunto… ma… ma… adesso non… non ne ho la forza. Non riuscirei a fingere che vada tutto bene a… ad essere felice per voi, anche se… questo mi rende un’egoista, un’ipocrita ma… non ci riesco…” ammette dopo attimi interminabili di silenzio, con poco più di un filo di voce, gli occhi precipitati sul pavimento per il rimorso e l’imbarazzo.
 
“Camilla, guardami,” lo sente sussurrare, sollevandole il mento con una pressione leggera, costringendola di nuovo ad incontrare quell’azzurro nel quale tante volte si è persa… e forse si è pure ritrovata, “proprio perché so benissimo come ci si sente… non te lo chiederei mai.”
 
Un istante di sollievo e poi un altro pugno, un destro diretto al plesso solare, che le toglie il fiato, quando realizza le implicazioni di quella frase.
 
“Mi stai dicendo addio?” riesce ad articolare con un filo di voce, lo stomaco completamente sottosopra e le lacrime che minacciano ad ogni secondo di strabordare.
 
Non deve piangere. Non davanti a lui.
 
E non può neanche abbassare lo sguardo, visto che lui continua a tenerle il viso puntato direttamente nei suoi occhi.
 
“No, Camilla, affatto. Quello che sto cercando di dirti è che-”
 
“Mi stai dicendo che rinunci a lei? Che… che scegli me?” non può trattenersi dall’interromperlo, la voce uno strano misto tra uno squittio ed un rantolo, la speranza che si fa largo nel cuore e nello sguardo mentre cerca di leggerlo, di decifrare quella strana espressione - dì di sì, per favore Gaetano, dimmi di sì!
 
“Camilla, io per te rinuncerei… rinuncerei quasi a tutto,” proclama, serio, e Camilla finalmente riesce a capire, con un altro tuffo al cuore, cosa c’è di strano in quegli occhi azzurri - senso di colpa! Perché ti senti in colpa, Gaetano?! - prima che lui aggiunga con un sospiro, “ma in questo caso non-”
 
“Gaetano, per favore!” lo interrompe, non riuscendo più a nascondere la disperazione, due lacrime che infine sfuggono alle sue ciglia e le scorrono a tradimento sulle guance, “lo so che non posso chiederti niente, che anche se non ti ho mai chiesto niente, hai fatto già fin troppo per me e non hai idea di quanto… di quanto questo significhi per me. Ma… ma te lo chiedo lo stesso: per favore, aspettami ancora un po’, Gaetano! Non so dirti quanto ma…  ti chiedo di aspettare che… che io sia di nuovo… non dico la Camilla che ero prima perché… non so se quella Camilla esiste ancora ma… ma che sia di nuovo io… che capisca chi sono adesso, a cinquant’anni dopo quest’ennesima mazzata sui denti. E se poi la nuova Camilla non ti dovesse piacere… ovviamente… ovviamente sei libero di… di… cioè lo sei anche adesso ma…”
 
“Camilla…” lo sente mormorare con un tono stranamente dolce, interrompendola prima che si incarti ancora di più in quella specie di groviglio di parole e sentimenti che non riesce ancora del tutto a sbrogliare, i pollici che dal mento le vagano sulle guance, bruciando più delle lacrime che si portano via, “io sono disposto ad aspettarti anche per tutta la vita. Ma a patto che… che ci sia qualcosa da aspettare. Che non sono una specie di stalker patetico che… che continua ad inseguire una donna che non vuole essere inseguita.”
 
“Ma certo che sì! Cioè ma certo che no, che non sei uno stalker! E certo che c’è… che c’è qualcosa da aspettare, Gaetano! Tu mi hai detto che vuoi tutto e… e anche io voglio tutto e… vorrei poterti dare tutto, lo vorrei così tanto, Gaetano, credimi. Ma… ma non posso dare a qualcuno quando… quando non ho le energie nemmeno per me stessa. Quando sono ancora così…. piena di rabbia e di rancore, non solo verso Renzo o Carmen ma… ma verso me stessa. Lo capisci?”
 
“Sì… ti capisco fin troppo bene,” annuisce con un altro sospiro, gli occhi che si velano di malinconia come… come se per un attimo si perdessero in ricordi distanti e per nulla piacevoli.
 
D’istinto, senza quasi pensarci, allunga la mano destra fino a sfiorargli la guancia. Un gesto intimo, forse troppo intimo ma che le era sempre venuto spontaneo e quasi naturale con lui anche se… anche se se lo era concessa solo in poche, pochissime occasioni, quando aveva le difese completamente abbassate, proprio come ora.
 
Anzi, no, mai quanto ora.
 
Come ogni altra volta, lo sente quasi rintanarsi, rifugiarsi nella sua mano, come… come un bimbo.
 
Sembra quasi assurdo per un uomo grande e grosso come lui ma… ma questo lato dolce, infantile e vulnerabile di Gaetano che ogni tanto emerge, forse solo con lei, è uno dei motivi per cui si è… per cui prova quello che prova per lui.
 
Qualcosa che l’ha sempre attratta tanto quanto spaventata.
 
“Gaetano, io non voglio che tu sia… sia l’uomo giusto al momento sbagliato. Perché io… io non posso e non voglio sbagliare con te… non voglio rovinare quello che so che potremmo, che possiamo essere. Voglio… voglio darci una possibilità vera. Perché… se ho capito qualcosa in questi dieci anni è che… è che io…” la voce le si spezza, quasi si rifiutasse di uscire, di emettere quelle sillabe, di rendersi di nuovo così tanto vulnerabile con qualcuno.
 
Conta di più lui o il tuo orgoglio? Hai più paura di perderlo per sempre ora o di rischiare magari di perderlo un giorno? - la sua coscienza le sussurra con la voce inconfondibile di Francesca.
 
“Tu…?” la esorta Gaetano, sollevando a sua volta la mano sinistra, appoggiandola dolcemente sul dorso della sua, il pollice che le traccia piccoli cerchi sul palmo, un brivido che le corre lungo la schiena.
 
“Io… io…” sussurra, le dita che si intrecciano con le sue, gli stringe la mano in maniera quasi convulsa prima di buttar fuori, in un unico fiato, “non riesco a stare bene se tu non fai parte della mia vita, Gaetano.”
 
Stupore, un sorriso, uno di quei sorrisi luminosissimi e aperti che gli corrugano gli occhi e che non gli vedeva sul viso da… non si ricorda nemmeno più lei quanto.
 
E poi le labbra e gli occhi che si socchiudono e mani, braccia che la stringono all’improvviso, senza lasciarle neanche il tempo di rendersene conto, in quell’abbraccio di cui aveva e ha così disperatamente bisogno.
 
Camilla si ritrova completamente avvolta da lui, dal suo calore, in una stretta decisa ma straordinariamente dolce e… serena.
 
Non può e non vuole nemmeno opporre resistenza: si lascia andare, lascia andare tutte le paure, tutte le barriere, tutte le remore, sciogliendosi tra le sue braccia, appoggiandosi sul suo petto, rifugiandosi nell’incavo del suo collo.
 
Le braccia intorno alla sua schiena si tendono, cingendola ancora più saldamente a lui. Camilla, d’istinto, gli allaccia le mani intorno al collo, abbracciandolo più forte che può.
 
Si sente in pace, in una pace perfetta che non ricorda nemmeno di aver mai provato prima.
 
C’è solo calore, luce, tranquillità.
 
Almeno per qualche lunghissimo istante.
 
Un suono strozzato squarcia improvvisamente il silenzio totale nel quale erano immersi.
 
Camilla impiega alcuni secondi per realizzare che il suono è un singhiozzo e che proviene dalla sua stessa gola.
 
“Camilla…”
 
Il suo nome pronunciato con preoccupazione, le mani di Gaetano che le accarezzano la schiena e i capelli, quasi come a cullarla, Camilla si ritrova per la seconda volta quel giorno con il viso allagato, scossa da singulti e da un pianto incontrollato ed inarrestabile.
 
E Camilla si arrende: si arrende alle lacrime, si arrende alla sua fragilità, si lascia travolgere, rimanendo aggrappata a lui come ad un salvagente, lasciandosi trascinare dalla corrente.
 
Non saprebbe dire quanto tempo sia trascorso prima che il fiume di lacrime piano piano si riduca e si secchi, pizzicandole le guance, prima di smettere di tremare peggio di una foglia al vento, prima che i respiri si calmino, prima di ritornare in sé.
 
E prima di avvertire il freddo e il bagnato, sollevare lievemente il viso e rendersi conto con imbarazzo di aver completamente inzuppato la camicia di Gaetano e di avergli praticamente lavato il petto.
 
“Oddio, scusami, io-” pronuncia, guardandolo per la prima volta negli occhi e bloccandosi di fronte a quello sguardo, a quegli occhi lucidi, che sembrano anch’essi in procinto di tracimare da un secondo all’altro.
 
“Non scusarti,” mormora Gaetano, il tono arrochito e basso, spostando la mano che ancora le accarezzava i capelli per sfiorarle una guancia, “non per questo almeno. Si vede che… che ne avevi bisogno. E forse ne avevo bisogno anche io.”
 
Camilla si limita ad annuire, un nodo in gola, rendendosi conto che sì, ne aveva davvero avuto bisogno, un bisogno disperato, sia del pianto sia… sia dell’abbraccio di Gaetano.
 
Un sorriso che a tradimento le increspa le labbra salate e mezze martoriate, non solo da quel bacio violento e furioso per cui, sì, dovrebbe davvero scusarsi con lui - per non parlare delle cose che gli ha sputato addosso dopo quel bacio - ma dai maltrattamenti che aveva inflitto loro durante tutta la giornata, soprattutto durante quel pianto disperato in macchina.
 
Ed è assurda la differenza tra quel pianto e questo pianto: il primo le aveva lasciato addosso rabbia, disperazione, rancore, il desiderio di… di fare male a qualcuno, di fargli male e di fare male anche a se stessa fino a non sentire più nulla, nulla che la rendesse ancora vulnerabile, dipendente da qualcuno. Fino a riprendersi il controllo, fino ad avere lei il coltello dalla parte del manico.
 
Mentre ora… ora sente addosso solo… solo pace. Quella dolenza piacevole ai muscoli quando si rilassano dopo tanta, troppa tensione. Una tensione che, se ne rende conto solo ora, non l’ha abbandonata da… da quella sera con Renzo seduto sul divano, il cappotto ancora indosso e… e i deliri su camere d’albergo a Venezia e grappe aromatiche.
 
Non c’è più rabbia, né rancore, non solo nei confronti di Gaetano e della… della nuova vicina ma… non sente più quella specie di groviglio nello stomaco, quel serpente strisciante a cui si era ormai assuefatta negli ultimi mesi.
 
Come se, lasciandosi andare, avesse lasciato andare anche tutto quello che la stava avvelenando dentro.
 
Sente la mente sgombra e piena di… di tranquillità, di una serenità che non avrebbe mai più pensato possibile, che potesse di nuovo appartenere a lei. Si era quasi scordata di cosa si provasse, di come ci si sentisse.
 
Quella sensazione di… di forza che deriva solo dall’essersi mostrati fragili, indifesi, come il cane che espone la gola e la pancia.
 
Dal dare fiducia, fiducia totale a qualcuno, vincendo le paure, il terrore di essere di nuovo feriti a morte. E sentirsi anzi protetti, rispettati, capiti… amati, non c’è altro modo di definire quello che ha provato e che prova tra le braccia di Gaetano e quello che legge ora nel suo sguardo.
 
Quella confessione a cui tanto anelava è finalmente lì, davanti ai suoi occhi, nel modo in cui ancora la stringe e le accarezza il viso: come se fosse il bene più fragile e prezioso, anzi, inestimabile che ha al mondo.
 
E le sembra così stupido ed assurdo aver provato ad estorcergliela in quel modo di cui ora si vergogna profondamente anche se… anche se non si scorderà mai fin che vive quello che ha provato in quel bacio.
 
“Va un po’ meglio?” le domanda, una nota di preoccupazione ancora evidente nel tono di voce, guardandola negli occhi come a voler cogliere ogni menzogna od omissione.
 
“Dipende…” abbozza Camilla, soffocando quel sì che minaccia di sfuggirle dalle labbra.
 
“Da cosa?” chiede, confuso e forse anche un po’ turbato, allentando la presa su di lei, la mano che le lascia la guancia per appoggiarsi sulla spalla.
 
“Mi aspetterai o no? Ho bisogno di sentirtelo dire,” ammette, ricambiando l’occhiata, pronta ad analizzare ogni movimento, ogni sillaba, ogni esitazione.
 
Per tutta risposta, lo vede sospirare, scuotere il capo e lasciarsi sfuggire un mezzo sorriso, tornando a stringerla più forte.
 
“Camilla, ascoltami, anche io… anche io se c’è qualcosa che ho capito in questi dieci anni è che… senza di te non ci so stare, e pensavo tu lo sapessi o che dovessi ormai averlo capito,” confessa, di nuovo con quel tono serio, anzi, serissimo, “e per questo, te l’ho già detto, ti aspetterei anche per una vita intera. E, in ogni caso, anche se non ci fosse nulla da aspettare io… io non sopporto di vederti stare male, voglio che tu sia felice, Camilla, e quindi ci sarò fino a che avrai bisogno di me… fino a che rimetti insieme i cocci della tua vita e… ritrovi questa nuova Camilla. Che, tra parentesi, sono sicuro che mi piacerà quanto la precedente perché… tu sei sempre tu, nel profondo. Forse ora sei un po’ acciaccata ed ammaccata ed indurita, più fatalista e cinica e con meno energie… hai questa… rabbia dentro che… che non ti è mai appartenuta ma… ma ti conosco da anni e lo so chi sei, lo sento, l’ho sentito poco fa, Camilla. Tu non puoi vivere con una corazza addosso per sempre, non puoi lasciarti guidare per sempre dalla rabbia, o dal dolore o dal rancore, perché… nonostante tutto, nonostante i tuoi difetti e le tue contraddizioni, sei una persona… buona, positiva, che ama gli altri e ama la vita e sei forte, più forte anche di quello che ti è successo. E non ti lascerai ingabbiare da niente e da nessuno. Neanche da te stessa.”
 
“Gae-tano, io-” sussurra, profondamente toccata da quelle parole, dalla stima, dalla fiducia che risuonano in ogni sillaba.
 
“Aspetta,” la blocca prima che possa cedere di nuovo all’impulso di abbracciarlo, prendendole il viso tra le mani e trafiggendola con un altro sguardo eloquente e serissimo, “c’è una cosa però, una sola, che ti chiedo. Di essere sincera con me, Camilla. Se… se quando ti sarai ripresa dovessi capire che… che questa nuova vita non la vuoi vivere accanto a me… che… che quello che provi per me non è… non è amore, almeno non quel tipo di amore, io… io voglio che tu me lo dica. Ci starò male, certo e forse… forse dovrò allontanarmi da te per qualche tempo, in modo da… da darti la possibilità di rifarti una vita come meriti senza doverti preoccupare per me e… e in modo da abituarmi all’idea di… di vederti con un altro. Ma preferisco saperlo e mettermi il cuore in pace.”
 
“Te lo prometto, se anche tu prometti lo stesso. Non voglio… non voglio un uomo che mi sta accanto solo per pietà, non… non lo sopporterei e soprattutto non voglio bugie se dovessi… se dovessi accorgerti che non puoi più aspettarmi o se dovessi desiderare o avere qualche altra nuova vicina. Ne ho già sopportate fin troppe di bugie, anche se non da te.”
 
Lo vede annuire, sembrando davvero sincero. Sta per stringerlo di nuovo a sé, per suggellare la promessa, quando nota un velo passargli sul viso, un’ombra… come… come…  senso di colpa? Ancora?
 
“Che c’è?” gli domanda, in apprensione, temendo che la risposta non le piacerà.
 
“A proposito della… della nuova vicina e di… di bugie… cioè... in realtà si tratta più di un’omissione, involontaria credimi, anche se poi forse ci ho un po’ marciato su... io-”
 
“Mi hai mentito quando mi hai detto di amarla, è così?” lo interrompe, troncando quella specie di balbettare imbarazzato - dimmi di sì, dimmi che è così e che non c’è altro su cui hai mentito, dimmi che non la ami!
 
“Camilla… non è questo…” sospira, facendole finire il cuore dritto nello stomaco e facendole temere il peggio; le dita che ancora le trattengono le guance si flettono in una presa quasi spasmodica, impedendole di guardare altro che non sia l’azzurro delle sue iridi, per poi confessare, con un tono quasi esasperato, “possibile che tu non abbia ancora capito che…?”
 
“Che?” lo incita, il cuore che le rimbomba nel petto.
 
“Che sei tu, Camilla, sei sempre stata tu!” ammette, accarezzandole le guance con i pollici e guardandola in un modo strano… carico di apprensione, come se temesse un’esplosione.
 
E Camilla sente davvero un’esplosione: un’esplosione di sollievo come fuochi d’artificio nello stomaco e nel cuore. Allora…
 
“Allora… non ci sei andato a letto?” la domanda le sfugge prima che possa contenersi. Trattiene il fiato per un paio di secondi, giusto il tempo per vederlo spalancare gli occhi e scoppiare in una risata.
 
“Perché ridi?” gli domanda, basita e confusa, osservandolo scuotere il capo e lanciarle uno di quei suoi sorrisi esasperati.
 
“Perché non cambi mai, Camilla… e comunque-”
 
“E comunque non divagare: ci sei andato a letto sì o no?” ribadisce, decisa ad ottenere una piena confessione.
 
“No, non ci sono andato a letto,” afferma, deciso e sincero, lo vede che è sincero, anche se continua a sorriderle in quel modo che lei non riesce a decifrare.
 
“Per volontà tua o sua?” si ritrova a chiedere, anche se lo sa che è patetico e forse non ne ha il diritto, ma ha bisogno di sapere tutto di questa... storia e della nuova vicina prima di lasciarsele alle spalle.
 
“Mia… anche se… anche se non sono sicuro che nemmeno lei lo volesse davvero,” pronuncia sempre con quello sguardo enigmatico, ma Camilla è troppo sollevata per curarsene davvero.
 
Almeno per due secondi, fino all’arrivo dell’ennesima paranoia.
 
C’è un’ultima cosa che gli deve chiedere, che deve sapere con certezza.
 
“E… e non traslochi più, vero?” domanda con un filo di voce, odiando il tono quasi implorante con cui ha pronunciato quelle parole, ma non riuscendo di nuovo a farne a meno.
 
“No, in realtà... trasloco lo stesso, ma vedi-”
 
“Cosa?!” esclama, con una forza tale che Gaetano fa un sobbalzo e molla la presa sul suo viso, guardandola quasi spaventato.
 
Per Camilla è come una coltellata, neanche in pieno petto, ma nella schiena, a tradimento.
 
“Camilla,” pronuncia con quel maledetto tono conciliante che in questo momento gli infilerebbe… lo sa solo lei dove, “non posso non traslocare: ormai ho disdetto con il vecchio padrone di casa, ho firmato un nuovo contratto di affitto, e poi in realtà-”
 
“E quindi io dovrei stare a guardare mentre tu ti trasferisci accanto a quella?!” sibila, alzando le braccia, cercando di allontanarsi di due passi da lui ma venendo bloccata per le spalle in una presa che non riesce a scrollare.
 
“Camilla, per favore, guardami: ti fidi di me?” le domanda, dritto in faccia, di nuovo quel tono talmente serio e… e qualcosa nello sguardo che la porta a calmarsi.
 
“Mi stai dicendo che… che non ci sarà più niente tra di voi?” deduce, pregando stavolta di non sbagliarsi e ritornando a tormentarsi il labbro.
 
“Ti sto dicendo che c’è una sola donna con cui voglio stare, che voglio abbracciare, baciare, con cui voglio fare l’amore. E… da quanto ho visto e sentito stasera... sono ancora più convinto che valga l’attesa!” proclama, deciso, per poi lasciarsi sfuggire un altro sorriso e mormorare, “sempre se sopravvivo, è chiaro.”
 
“Stupido!” esclama, assestandogli un colpo sul fianco ma non potendo evitare un sorriso compiaciuto, “e comunque-”
 
“E comunque adesso sono io che ho bisogno di sentirtelo dire: Camilla, ti fidi di me o no?” la interrompe, con quello sguardo che le causa un rimescolamento allo stomaco, quello sguardo di fronte al quale si sente nuda, completamente nuda.
 
Eppure… eppure, per qualche strana ragione, non le fa più paura.
 
“Sì… me ne pentirò forse, ma sì,” pronuncia infine quelle parole che mai avrebbe più pensato di pronunciare di fronte ad un uomo: un altro atto di fede, un altro salto nel buio.
 
Ma lui… lui non è Renzo e… e ne vale la pena.
 
Del resto, lui si è sempre fidato di lei, anche troppo, si sta ancora fidando di lei, forse come mai prima: anche lui sta facendo un enorme salto nel vuoto e… e ora tocca a lei ricambiare.
 
E viene ricompensata dal sorriso più bello e luminoso che gli abbia mai visto.
 
“Però, Gaetano, anche se non… se non succederà più niente con quella, io… io ho davvero bisogno di te, di averti… di averti vicino,” ammette, alzando le mani fino a posarle su quelle di lui che ancora la tengono saldamente per le spalle, continuando a provocarle un mezzo incendio, “e… se tu traslochi ci vedremo per forza meno, molto meno e-”
 
“Camilla, te lo ripeto, ti fidi di me?”
 
“Sì, ma-”
 
“E allora ti garantisco e ti prometto che ti starò più vicino che mai, in tutti i sensi,” proclama con tono solenne, facendole l’occhiolino, “anzi, temo che non ne potrai più di vedermi.”
 
“Mai!” esclama, sorridendo come un’ebete e cedendo all’impulso di buttargli di nuovo le braccia al collo e stringerlo a sé, con tutta la forza che ha.
 
“Camilla…” lo sente sussurrare, mentre ricambia con una tale intensità che si ritrova sollevata da terra di qualche centimetro, a ridere come una ragazzina.
 
Era da tanto, troppo tempo che non si sentiva così… così leggera, come se si fosse tolta un enorme peso dallo stomaco e dal cuore come se… come se finalmente, almeno in quel momento e in quell’ascensore, ci fossero solo serenità e pace.
 
Una serenità ed una pace che, ne è sicura, le daranno la forza necessaria per affrontare anche il mondo fuori da quell’ascensore.
 
“Che ne dici se adesso sblocchiamo quest’ascensore e… e cerchiamo di andare a riposarci un po’?” le mormora all’orecchio, sembrando, per l’ennesima volta leggerle nel pensiero.
 
“Gaetano…” sospira, allentando leggermente la presa per guardarlo negli occhi: la verità è che una parte di lei non vorrebbe muoversi da lì almeno… almeno fino all’indomani mattina, quando quel pettegolo del portiere sicuramente si sarebbe accorto dell’ascensore fermo tra due piani.
 
“Camilla, io starei qui con te anche tutta la notte, ma non credo sia prudente: gli ascensori sono luoghi pericolosi, professoressa!” commenta con un altro occhiolino e faccia da schiaffi.
 
“Scemo!” esclama, dandogli un altro buffetto, stavolta alla nuca; un sorriso che si tramuta in un sogghigno mano a mano che un’idea, sussurratale dalla sua coscienza con la voce maliziosa di Francesca, la tenta sempre di più, spingendola a mormorare, con voce roca, “anche se… in effetti hai ragione: sono luoghi molto pericolosi.”
 
Con un movimento rapido e fluido, si riappropria di quelle labbra increspate da un mezzo sorriso, soffocando l’esclamazione di sorpresa - la prima sillaba del suo stesso nome - con un bacio profondo ma morbido, dolce, languido, tenero: tutto l’opposto dell’assalto feroce di poco prima.
 
Se quella era stata una dichiarazione di guerra e di possesso, un marcare il territorio, questa è una resa e... una dichiarazione d’amore.
 
Camilla si blocca per qualche istante, il cuore in gola, e poi si ritrova a sorridergli sulle labbra, mentre prende pienamente consapevolezza di quanto ha appena ammesso a se stessa.
 
E che la cosa non la fa andare in panico, anzi, quel senso di leggerezza, di pace, di benessere, nel vero senso della parola, diventa sempre più intenso e totalizzante.
 
Certo, da qui ad ammetterlo ad alta voce ci vorrà del tempo ma… ma è un inizio.
 
Un nuovo inizio per lei e per loro.
 
Lo sente ricambiare il sorriso, labbra su labbra, posarle un bacio lieve come le ali di una farfalla ed iniziare a staccarsi.
 
Gli tuffa le mani nei capelli per tenerlo a sé e per sé ancora per qualche attimo, qualche attimo in cui cerca di trasmettergli tutto quello che non può ancora dirgli e in cui si perde nella sua bocca e tra le sue braccia.
 
E poi si stacca, bruscamente, quasi a forza, prima di smarrire del tutto la bussola e il controllo e fare qualcosa che desidera come non ha mai desiderato niente in vita sua, ma per cui non è ancora arrivato il momento.
 
Per qualche attimo ci sono solo silenzio e respiri affannosi, mentre si studiano: occhi appannati dal desiderio, pupille dilatate, i capelli arruffati e le labbra umide e gonfie di baci.
 
“Che… che significa?” boccheggia Gaetano, appoggiato alla parete dell’ascensore, l’aspetto completamente sconvolto, mentre le stringe ancora le spalle in una presa spasmodica.
 
“Significa… grazie ed aspettami, perché... questo è solo un piccolo anticipo di quello che ti aspetta,” sussurra, leccandosi le labbra, un angolo della bocca sollevato in un sorriso trattenuto, “a patto che te lo meriti, ovvio!”
 
“Camilla…” sospira, scuotendo il capo, con quell’espressione divertita ed esasperata che ha sempre adorato provocargli.
 
Soddisfatta di sé, scioglie le mani da quei capelli che, le tocca ammetterlo, potrebbe passare delle ore ad accarezzare, e fa un passo indietro per allontanarsi.
 
O almeno ci prova.
 
In un lampo, si ritrova agguantata per le spalle e messa letteralmente con le spalle al muro, il corpo di Gaetano una trappola che le fa girare la testa, trascinata in un bacio talmente passionale, urgente ed implacabile da levarle il fiato, i polmoni che bruciano tanto quanto ogni centimetro che lui tocca e sfiora, una voglia matta ed incontenibile di… di più, di più, di tutto.
 
Gli si aggrappa al collo, infilandogli le mani nella camicia, il cervello disconnesso, pronta a fare una follia che sembra sempre meno una follia, visto che non ricorda più tutte le buone ragioni che pensava di avere per considerarla tale.
 
E di colpo... freddo, freddo e vuoto, le gambe che non la reggono: se non scivola a terra è solo perché riesce ad attaccarsi alla parete dietro alla sua schiena.
 
Rantolando, cerca l’azzurro che ora le sembra il blu di un mare in tempesta, un sorrisetto sul volto che sa solo lei come vorrebbe levargli, se avesse ancora il controllo dei suoi arti.
 
“Questo invece significa grazie e… non farmi aspettare troppo, perché questo è solo un piccolo assaggio di quello che fai aspettare, professoressa,” pronuncia, nel medesimo tono roco e suggestivo che lei stessa aveva usato poco prima.
 
“Ah, e Camilla…” aggiunge, arretrando di un altro passo fino alla pulsantiera e sbloccando finalmente l’ascensore, che ricomincia la sua lenta risalita, “nel frattempo… cerca di non giocare troppo col fuoco, che ci si brucia: non sono fatto di ferro.”
 
Odia lasciargli l’ultima parola ma… ma le tocca ammettere che ha ragione e poi... non ha il fiato nemmeno per provare ad obiettare.
 
E se volessi bruciarmi? - è questo l’unico pensiero: il cuore come una grancassa nel petto, si limita a rimanere immobile, cercando di riprendersi, fino a che l’ascensore, con il solito cicalino, arriva al piano.
 
“Non… non scendi?” riesce ad articolare, stupita e non saprebbe dire se più turbata o più intrigata, quando Gaetano rimane altrettanto immobile, di fronte alle porte spalancate - che cos’hai in mente adesso, commissario?
 
Gaetano, per tutta risposta, allunga di nuovo la mano per premere il pulsante del piano terra ed, abbandonando i modi da Casanova, pronuncia con uno di quei suoi sorrisi dolci e teneri, il tono premuroso da perfetto gentleman, “è notte fonda ormai, ed è meglio che tu non scenda in cortile da sola: ti accompagno fino alla porta di casa.”
 
“E niente bacio della buonanotte?” mormora tra sé e sé, con un mezzo sorriso, ricordando benissimo la battuta che Francesca le fece, ormai diversi mesi prima, e la sua reazione spropositata e, col senno di poi, davvero trasparente.
 
“Cosa?” le domanda, con aria interrogativa, mentre si sfila il cappotto e glielo drappeggia sulle spalle: un gesto che, nonostante tutto quello che è appena successo, le provoca una fiammata alle guance - un vero cavaliere, quando vuole!
 
“Niente… pensavo che… non so se la scorta mi rassicuri o mi inquieti ancora di più del buio del cortile,” improvvisa, non riuscendo proprio a frenarsi dal dare un tono suggestivo alle ultime tre parole.
 
“Sei tu che mi hai detto che… mi volevi vicino a te, no?” ribatte, senza perdere un colpo, aiutandola ad infilarsi meglio il cappotto in un modo che, guarda caso, lo porta ad accarezzarle le braccia e le spalle.
 
“Sei tremendo, lo sai?!” sospira, scuotendo il capo, un sorriso che minaccia da un momento all’altro di tradirla, lasciando volutamente che i loro corpi si sfiorino mentre guadagna l’uscita dell’ascensore.
 
L’aria gelida della notte torinese, rispetto all’ascensore ormai saturo di calore ed umidità, le schiaffeggia il viso, provocandole un brivido lungo la schiena.
 
“Ho avuto un’ottima insegnante!” ironizza, seguendola sul pianerottolo.
 
“No, no, non essere modesto: te la cavavi già egregiamente quando ti ho conosciuto! Anzi, al limite sei tu che mi hai traviata!” lo rimbecca, voltandosi verso di lui per puntargli un dito accusatorio in viso, la lotta contro il sorriso ormai persa.
 
“Adesso sei tu che ti sottovaluti, professoressa,” controbatte, afferrando dito e mano, ricambiando con un sorriso che illumina il buio del cortile.
 
“Che mani gelide che c’hai!” esclama Camilla, percependo nettamente un tremito nelle dita di lui, “starai surgelando con solo quella giacca addosso, vieni qui!”
 
“Come?”
 
“Vieni qui!” ribadisce, passandogli un braccio dietro la schiena ed abbracciandolo di lato, stringendolo a sé per scaldarlo - e scaldarsi - incurante del suo sguardo sorpreso, cominciando quasi a trascinarlo verso l’altro ascensore.
 
“A qualcuna piace proprio giocare con il fuoco, vedo...” le sussurra all’orecchio, strappandole un altro sorriso.
 
“Con questo gelo il fuoco è allettante e poi… non lo sa che gli incendiari tendono a ripetersi, commissario?”
 
“Non avrei potuto dirlo meglio, professoressa!”
 

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“Alfredo?!”
 
Si sveglia di soprassalto, guardandosi intorno e udendo un guaito sommesso.
 
“Potty…” sospira, accarezzando il cagnolino che probabilmente stava stritolando nel sonno.
 
Si mette a sedere sul divano: aveva fatto un sogno a dir poco bizzarro in cui lei era Violetta Valery e Gaetano era Alfredo Germont.
 
Lui le confessava di amarla e lei… lei infine c’era riuscita a dirgli quel benedetto ti amo, anche se solo in sogno, ormai sfinita dalla tisi.
 
Un mezzo sorriso le si allarga sul volto al ricordo dell’espressione di lui, quando lei aveva infine ceduto e confessato, sebbene quell’espressione sia solo frutto della sua immaginazione.
 
Non può fare a meno di chiedersi come sarebbe nella realtà ma… ma non è ancora pronta ad un tale salto nel vuoto: ne aveva già fatti parecchi in questi ultimi giorni.
 
Anche se, piano piano…
 
Sì, piano! Vedi almeno di non aspettare di essere quasi sul letto di morte, Camilla! - arriva puntuale la voce di Francesca a punzecchiarla.
 
No, non avrebbe fatto la fine di Violetta e poi… e poi, da quando si erano finalmente chiariti una settimana prima, l’atmosfera tra loro era radicalmente mutata.
 
Il mezzo sorriso diventa un sorriso pieno ed inarrestabile al ricordo di quella notte lunghissima ed indimenticabile: alla fine erano rimasti per ore di fronte alla porta di casa sua così, mezzi abbracciati, a parlare, a scherzare, a provocarsi, senza riuscire a fermarsi.
 
Avrebbero probabilmente fatto l’alba, non fosse stato per Potti che, udendo le loro voci, aveva iniziato ad abbaiare come un ossesso dall’altro lato della porta.
 
Si erano dovuti salutare in tutta fretta, prima che risvegliasse tutto il vicinato.
 
“Sei sempre stato saggio tu: abbiamo quasi rischiato di farci beccare da tua sorella,” commenta, accarezzandogli la testa, mentre Potti la studia  con un’espressione straordinariamente umana che sembra volerle dire: lo so!
 
Livietta era infatti rientrata dalla discoteca quando lei aveva a malapena finito di cambiarsi. Si era perfino scusata per averla fatta preoccupare così tanto da averla tenuta sveglia fino a quell’ora.
 
Camilla si era quasi sentita in colpa, quasi, non fosse altro che era troppo felice perché qualcosa potesse turbare quel momento.
 
Felice… un aggettivo che, fino a pochi mesi prima, aveva creduto non potesse mai più definirla, appartenerle, appartenere alla sua vita, e invece….
 
Da quella notte lei e Gaetano avevano ripreso a vedersi più regolarmente e frequentemente, anche se lui doveva occuparsi del trasloco sempre più imminente.
 
Camilla aveva accettato e ricambiato parecchi inviti a cena - per la gioia di Tommy - volendo sfruttare al massimo gli ultimi giorni da vicini di casa.
 
Avevano anche ripreso la consuetudine dei loro vermouth al bar prima di cena.
 
Per certi versi, le sembra quasi di essere tornata ai primi tempi della loro conoscenza, quando, potendo ancora fare finta di ignorare quello che provava per Gaetano e, soprattutto, quello che Gaetano provava per lei, si sentiva più libera di scherzare, di... flirtare e di avvicinarsi a lui, anche fisicamente.
 
Ma ora questa tranquillità, questo sentirsi a proprio agio, non derivano dall’inconsapevolezza - reale o di comodo - ma, anzi, dall’aver finalmente iniziato a giocare a carte scoperte. Dopo tutto quello che si erano detti, dopo quei baci e quegli abbracci in ascensore, le distanze tra loro si erano ulteriormente ridotte, il limite del non consentito si era spinto molto più in là.
 
Quando passeggiavano insieme, di solito all’andata o al ritorno dal bar, si ritrovavano sempre più spesso a farlo a braccetto, per ripararsi dal freddo e dalla pioggia, ovviamente - ma chi ci crede!
 
Il giorno prima, al bar, con la scusa delle mani gelide - si erano seduti ad un tavolinetto all’aperto - gira e rigira, avevano finito per tenersi per mano.
 
Ma non come due adolescenti, anzi, proprio tutto il contrario: Gaetano aveva iniziato a giocare con le sue dita e ad accarezzargliele, per poi dedicarsi al palmo e al dorso, in un modo che probabilmente sarebbe considerato illegale in qualche decina di stati.
 
E lei… lei poteva a quel punto essere da meno? Chiaramente no!
 
Se fossero tornati nella stessa auto, avrebbero probabilmente rischiato di oltrepassare il limite ma… ma stranamente il pensiero del limite e di quello che c’è oltre al limite, tutto quello che c’è oltre al limite, il fatto che da lì non si potrà più tornare indietro... non la spaventano più come prima.
 
Anzi, c’è una specie di strana attesa carica di elettricità, ma non spiacevole, tutt’altro. Come la vigilia di natale, quando da bambina aspettava l’arrivo dei regali: immaginarsi quel momento, il momento di scartarli e di scoprire cosa c’era dentro a quei pacchi colorati, era eccitante quasi tanto quanto giocare con i doni appena ricevuti.
 
Ed ora è la stessa cosa: sa che lei e Gaetano stanno arrivando lentamente ma inesorabilmente e vuole godersi ogni momento del viaggio.
 
Ma la cosa più strana ed inattesa, addirittura impensabile fino a poco tempo prima è che… nemmeno Renzo, Carmen e… il figlio di Renzo e Carmen stiano riuscendo a rovinarle questo momento. Già che riesca a definire il bimbo in arrivo come il figlio di Renzo e Carmen è qualcosa di monumentale, ma… la verità è che si è riscoperta molto meno risentita, arrabbiata e gelosa.
 
Anche quando, quel pomeriggio, era andata ad ordinare la torta per i diciott’anni di Livietta - se ne era perfino miracolosamente ricordata per tempo, grazie all’imbeccata di un certo poliziotto che era inaspettatamente diventato un papà ed un uomo molto più organizzato di lei - e la pasticcera le aveva appioppato la loro torta al cioccolato, che un Renzo imbarazzato le aveva prontamente tolto dalle mani, dovendo ammettere di averla comprata per placare le voglie di Carmen, lei… lei non aveva sentito quello che si aspettava di sentire e che probabilmente avrebbe sentito fino a poco tempo addietro.
 
Le era anzi quasi scappato da ridere di fronte all’espressione di Renzo, che sembrava temere un’esplosione, e di fronte alla sua evidente stanchezza - a malapena teneva gli occhi aperti, a parte i tic che peggioravano a vista d’occhio - immaginando che l’attendessero mesi da galoppino, per stare dietro alle voglie di Carmen.
 
E quando, fuori dal negozio, aveva incrociato proprio la futura madre, che l’aveva squadrata con apprensione malcelata, l’aveva semplicemente salutata e se ne era andata, come se nulla fosse, sentendo chiaramente i loro sguardi, sicuramente sorpresi, bruciarle nella nuca.
 
Sebbene questa gravidanza e il modo in cui questo bimbo era stato concepito non fossero propriamente nulla - e non lo sarebbero stati ancora per un po’, realisticamente - la verità è che si era per la prima volta ritrovata a pensare che davvero non li invidiava, Renzo e Carmen, affatto.
 
Certo, c’era stato un periodo in cui anche lei avrebbe voluto un altro figlio da Renzo, magari il famoso maschio, ma era stato tanti, tanti anni prima, prima ancora di conoscere un certo commissario. E meno male che non si era fatta trascinare dalla nostalgia della maternità che le aveva suscitato Tommy quando era piombato nella sua vita. C’era una parte di lei che aveva frenato, che le aveva sussurrato che non era più il tempo per un altro figlio.
 
Nonostante le sue cecità autoindotte su Renzo, l’istinto anche questa volta l’aveva salvata: l’idea di cosa sarebbe successo con tutta la storia della grappa aromatica e della gravidanza di Carmen se, oltre a Livietta, ci fosse stato un altro figlio o un’altra figlia ancora così piccola a cui pensare… la sola idea la fa rabbrividire.
 
E finalmente aveva visto Renzo e Carmen per quello che erano: un quasi sessantenne in procinto di separarsi che, mentre aspetta un figlio dalla sua ex fidanzata ed attuale collega, cerca ancora di riconquistare la sua ex moglie e… la ex fidanzata di un uomo che l’aveva mollata dall’oggi al domani per rimettersi con la sua ex moglie e che poi l’aveva messa incinta dopo una notte di ubriachezza e bagordi. E che, ciliegina sulla torta,  ancora cercava di riconquistare la sua ex moglie.
 
Ma che c’era da invidiare?
 
La sua preoccupazione più grossa adesso in realtà è Livietta, che è sempre più strana: o esce a tutte le ore o rimane chiusa in camera a chattare con George. Mangia poco e male e ha sbalzi di umore peggio di quando aveva sedici anni: certi giorni sembra una bimba capricciosa di cinque anni, altri giorni la sorprende con uscite riflessive, pensose, malinconiche e spesso ciniche, degne di una cinquantenne come lei.
 
Spera che l’arrivo del suo amato per festeggiare il suo compleanno la settimana prossima risollevi un po’ il morale alla figlia, perché altrimenti saranno guai. E forse è ora di pensare un po’ meno al suo dolore e al suo trauma e più a quello subito da Livietta, ora che comincia ad avere le energie e quel minimo di stabilità emotiva e psicologica necessarie per farlo.
 
Infatti, il riuscire a vedere tutto con un po’ più di distacco e un po’ più di razionalità, le ore di… serenità trascorse con Gaetano avevano avuto i loro effetti: niente più attacchi di panico.
 
Era orgogliosa di se stessa, anche se continuava con gli esercizi che le aveva amichevolmente prescritto Francesca.
 
E aveva fatto bene… perché il suo subconscio aveva ancora parecchie cose da disseppellire… a giudicare dal sogno assurdo che aveva appena fatto.
 
La Traviata di Verdi... un sogno degno di una prof. di lettere o di musica, anche se... sognarsi nei panni di una cortigiana… praticamente una escort, se Violetta fosse nata i giorni nostri….
 
Ma il cuore del sogno era un altro, ed era proprio… il cuore. Violetta aveva abdicato all’amore, non credeva di potersi innamorare e invece le era successo. Troppo tardi ma le era successo.
 
Certo che sto proprio messa male! Mi sembra quasi di sentirne ancora la musica! - sospira, scuotendo il capo, ridestandosi bruscamente dai suoi pensieri quando realizza che non è un’autosuggestione e non sono nemmeno i postumi del sogno: la musica c’è sul serio!
 
E pure alta: troppo alta.
 
Libiamo Ne’ lieti Calici, sparata a tutto volume, roba che manco in discoteca - questo almeno spiega l’origine del sogno, e anche per stavolta il TSO me lo sono scampata!
 
Un nodo improvviso in gola al ricordo di una settantenne dura d’orecchi, invaghita del suo insegnante di pianoforte, che li assordava con la musica classica a tutte le ore. Forse… forse col senno di poi non avrebbe dovuto implicitamente consigliarle di troncare quella passione sul nascere: la vita è così breve!
 
Sciolto il nodo in gola - ormai ci riesce con una sorprendente rapidità - subentra un fastidio sempre crescente: questi devono essere i nuovi vicini, che ancora non ha avuto modo di incrociare. In realtà si rende conto solo ora che l’appartamento accanto al suo è stato affittato: aveva altro per la testa e… un altro trasloco a cui pensare.
 
Certo che cominciamo bene! - sbuffa, alzandosi in piedi, dopo aver posato Potti a terra - e pensare che il vicino di prima si lamentava del nostro di rumore! Questi come minimo li avrebbe ammazzati!
 
O sarà un contrappasso?
 
Con passo deciso e marziale, esce dall’appartamento ed allunga la mano per scampanellare ai vicini - sperando che sentano, con sto casino!
 
Devono avere l’udito buono, visto che, tempo due secondi, sente la chiave girarsi nella toppa e vede la porta aprirsi lentamente.
 
“Scusi, guardi, non credo che la musica-” la frase le si congela in gola, mentre gli occhi le si spalancano.
 
Per un secondo si convince di stare allucinando - forse ho davvero bisogno di quel TSO dopo tutto!
 
Altri due secondi, il tempo di rendersi conto che lui è davvero lì: reale e presente tanto quanto lei e tanto quanto la musica assordante.
 
“Ma che ci fai tu qui?” gli chiede, confusa e sconcertata, fissando quegli occhi azzurri che brillano divertiti, sebbene vi colga una traccia di apprensione.
 
“Te l’avevo detto che avrei traslocato…” proclama, abbarbicato alla porta con posa e sguardo da micione, per poi pronunciare, con un sorrisetto che definire da schiaffi ed allusivo sarebbe riduttivo, “e ho traslocato qui….”
 
Te possino! Mi ha fregata! Mi ha completamente e totalmente fregata, sto… sto...
 
 
Silenzio
 
 
Rimangono a studiarsi in perfetto e totale silenzio, incerti su chi farà la prima mossa.
 
Gaetano, quando il silenzio comincia a protrarsi a lungo, troppo a lungo, inizia inevitabilmente a preoccuparsi: anche se si sforza di mantenere quell’aria di studiata nonchalance, la verità è che l’aggrapparsi alla porta ha una triplice funzione.
 
Non solo per provocarla un po’ e prenderla in contropiede, ma anche e soprattutto per nascondere il tremore alle mani e... per farsi pure un po’ scudo con la porta.
 
Camilla, quando vuole, può essere pericolosa, molto pericolosa, in tutti i sensi.
 
“Mi hai fregata, mi tocca ammetterlo: spero sarai soddisfatto!” pronuncia, tagliente nel tono e nello sguardo anche se… c’è una punta di tradimento e di vulnerabilità in quegli occhi, come se l’avesse ferita profondamente.
 
Sei un idiota, Gaetano! - si maledice da solo, andando quasi in panico quando la vede voltarsi, senza dire un’altra parola.
 
“No!” esclama, prendendole una spalla per bloccarla, ma lei lo scrolla via, “aspetta, lasciami spiegare!”
 
“Spiegare che cosa? A me sembra tutto chiarissimo: sono io la nuova vicina! Non c’è mai stata un’altra!” sibila, sarcastica, fulminandolo con lo sguardo, “e quindi mi hai ingannata, ti sei preso gioco di me!”
 
“No, Camilla, no! Sì, è vero, non c’è mai stata un’altra ma… quello che voglio dire, che ho bisogno di spiegarti è che… non ho mai voluto ingannarti o prenderti in giro. Hai fatto tutto tu, Camilla, almeno all’inizio: tu mi hai chiesto se mi stessi trasferendo per via di una donna e… e ti ho risposto di sì, perché era ed è la verità e… e tu hai pensato ad un’altra. Io ho provato subito a chiarire con la battuta dell’ascensore, credevo che avresti capito che mi riferivo a te ma… ma tu hai frainteso tutto. E ho provato a telefonarti, ma non rispondevi mai, sei sparita e… e poi mi sei piombata in questura. E lì… e lì… d’accordo, lo riconosco, quando ho visto la tua reazione, la tua scenata di gelosia, un po’ ci ho marciato su…” ammette, di fronte all’occhiata eloquente di lei, un sopracciglio alzato e le braccia incrociate, mentre ascolta le sue spiegazioni senza muovere un muscolo, “ma poi quando… quando ti ho vista stare male mi sono sentito un idiota e ho provato a… a confessare tutto, ma è arrivato Torre con il questore e tu sei scappata via, senza darmi la possibilità di farlo. Ti ho telefonato non so quante volte quel giorno, lo sai anche tu, per chiarire l’equivoco, ma di nuovo non mi hai risposto e poi… mi sono ritrovato intrappolato nell’ascensore.”
 
La vede sospirare, chiudere gli occhi per un secondo e poi riaprirli, un’espressione indecifrabile sul volto, anche se nota una punta di imbarazzo, probabilmente al ricordo di come l’aveva intrappolato in ascensore.
 
“All’inizio ho pensato che tu avessi capito tutto e che per quello eri così arrabbiata e mi davi del bugiardo. E, quando invece mi sono reso conto che non sapevi ancora niente ed eri ancora convinta che esistesse un’altra, di nuovo ho provato a dirtelo, a dirti… a dirti come si chiamava e si chiama la mia nuova vicina-”
 
Camilla…” sussurra lei, pronunciando il suo stesso nome ma come… come un ricordo: sta sicuramente passando in rassegna ogni parola che si erano detti, che lui le aveva detto. Può quasi vedere gli ingranaggi di quella mente brillante girare vorticosamente.
 
Prega che gli creda… che gli creda e che capisca e lo perdoni.
 
“Ma tu continuavi ad interrompermi, a non lasciarmi finire neanche una frase e poi… e poi mi hai… mi hai baciato, anzi mi sei praticamente saltata addosso in quel modo così… violento… e c’è stata tutta quella discussione e… e a quel punto avevo bisogno di capire io, Camilla, di capire perché ti stavi comportando in quel modo e se… se davvero pensavi quello di me. Se pensavi tutte le cose che mi stavi sputando addosso…” spiega, notando come lo sguardo di Camilla diventi, almeno per qualche secondo, decisamente colpevole, “e poi quando ci siamo un attimo chiariti ho… ho provato a spiegarti che la nuova vicina eri tu, che sei-”
 
Sei sempre stata tu…” mormora Camilla, scuotendo il capo e toccandosi la fronte, “che idiota!”
 
Gaetano non saprebbe onestamente dire se l’idiota sia riferito a lui o a se stessa.
 
“E visto che continuavi a non capire, a fraintendere - mi sembrava quasi di essere tornato a dieci anni fa in quel loft - lo so che probabilmente ho sbagliato ma… ho deciso di… di mostrarti la verità, come avevo già pensato di fare quel pomeriggio, dopo che ti sei fatta negare al telefono. Di farti scoprire chi era il tuo nuovo vicino e quindi la mia nuova vicina.”
 
“Peccato che sia passata più di una settimana nel frattempo, in cui hai avuto tutto il tempo e mille modi per dirmelo e anche per… mostrarmelo, se avessi davvero voluto farlo,” gli fa notare, il tono della voce che sembra solo impercettibilmente ammorbidito.
 
“Lo so, hai ragione, ma… da un lato volevo… volevo farti questa sorpresa e… ho fatto l’impossibile per completare il trasloco a tempo di record - pensavo di finirlo il mese prossimo - e-”
 
“Ma avresti potuto farmelo scoprire anche senza completare il trasloco,” obietta, squadrandolo in un modo che lo fa improvvisamente sentire come lo studentello che si presenta davanti alla professoressa, dicendole che il cane gli ha mangiato il compito.
 
“Sì, è vero, ma stavo cercando di dirti che… in effetti avevo pensato di fartelo scoprire già il giorno dopo… dopo tutto quello che è successo in ascensore ma… ammetto che mi è mancato un po’ il coraggio e… e sono stato felice di avere un alibi per rimandare di qualche giorno la rivelazione. Temevo la tua reazione, soprattutto… soprattutto dopo che ci eravamo chiariti e che finalmente stava andando tutto così bene. Ma, quando ti lasciavo la sera, mi sentivo sempre più in colpa a tenermi questo segreto, soprattutto perché le cose non solo stavano andando bene, ma andavano sempre meglio, più di quanto avrei mai osato sperare. E, proprio per questo, ho fatto il possibile e anche l’impossibile per finire questo trasloco in fretta e non avere più scuse. Ma quello che ti ho detto, tutto quello che ti ho detto, è la verità, Camilla. Quello che penso di te, quello che provo per te, quello che voglio per te e per noi due, tutto. E, in ogni caso, non avrei mai permesso che… che le cose tra noi due andassero oltre senza… senza che sapessi tutta la verità.”
 
Camilla rimane ferma, impassibile a guardarlo con quell’espressione indefinibile ed illeggibile e Gaetano comincia seriamente a preoccuparsi. E anche ad essere assalito dai dubbi.
 
“Camilla… che io traslochi altrove o qui, che io abbia avuto un’altra o meno, non dovrebbe cambiare quello che è successo tra noi in questi ultimi giorni. Di sicuro non cambia quello che provo e… e non dovrebbe cambiare quello che tu provi per me. Quello che pensi di noi due e… insomma, lo capisco che tu sia arrabbiata, ma… dovresti anche essere sollevata all’idea che non ci sia stata un’altra, che… che ero e sono disposto ad aspettarti, anche prima che tu me lo chiedessi e che… che non ho mai nemmeno lontanamente pensato di allontanarmi da te e di lasciarti da sola, anzi: farei di tutto per starti vicino!” proclama, indicando l’appartamento alle sue spalle, “dimmi qualcosa, almeno! Nel bene o nel male, ma parlami!”
 
“Vuoi la verità?” enuncia, scuotendo il capo, con un tono strano che Gaetano non le ha mai sentito usare prima, “la verità è che… in questo momento non so se buttarti le braccia al collo per abbracciarti e per baciarti o per strozzarti. E fino a che non lo decido e… e non sbollisco un po’… forse è meglio per tutti e due se ci prendiamo un timeout.”
 
Occhi negli occhi per un paio di istanti e poi Camilla cerca di nuovo di voltarsi.
 
Il cuore in gola, l’istinto prende il sopravvento: Gaetano le afferra delicatamente il braccio sinistro, portandola a voltarsi verso di lui e trattenendola per un momento, anche quando cerca di liberarsi.
 
“E se volessi correre questo rischio?” pronuncia, tutto d’un fiato, lasciandola andare, ma rimanendo a pochi centimetri da lei, le braccia lungo i fianchi, attendendo il verdetto del boia.
 
Occhi castani che si chiudono a fessura come le labbra, la mascella serrata, Camilla sembra studiarlo per qualche istante infinito.
 
Sempre l’istinto, l’istinto acquisito da anni in polizia, registra all’istante un movimento alla sua sinistra, il braccio e la mano che con velocità e con violenza fendono l’aria.
 
Gli occhi che si chiudono, preparandosi al ceffone che sa di essersi meritato.
 
Uno, due, tre secondi e...
 
Niente?
 
Stupito, li riapre lentamente, incontrando quelli di Camilla che brillano divertiti, a giudicare anche dal sorrisetto soddisfatto che le increspa il viso.
 
E poi le sente: cinque dita che gli si posano delicatamente sulla guancia, sopra la barba, tracciandogli lo zigomo.
 
“Oggi è il tuo giorno fortunato, commissario: diciamo che… ti concedo delle attenuanti, per buona condotta, ma ti avverto che dovrai farti perdonare!” intima con tono tra il serio e il faceto, con quel sorriso quasi felino che gli fa venire una voglia matta di baciarla.
 
“Agli ordini, professoressa!” proclama, mettendosi ironicamente sull’attenti, per poi aggiungere, ricambiando il mezzo sorriso, “avanti, dimmi cosa posso fare per farmi perdonare: puoi chiedermi tutto quello che vuoi.”
 
“Qualsiasi cosa?” chiede conferma, un’ombra di malizia nel tono e nel sorriso.
 
“Qualsiasi cosa,” garantisce, una mano sul cuore.
 
“Tommy non è in casa? O lo fai dormire con i tappi?” gli domanda all’improvviso, indicando la porta aperta alle sue spalle e la musica assordante.
 
“Stanotte dorme da un amichetto… festa di compleanno con cinema e pigiama party,” chiarisce, sempre più intrigato e con la netta sensazione che questa punizione gli piacerà.
 
“Anche Livietta è uscita con i suoi amici… ultimamente fa degli orari impossibili…” commenta Camilla, con una nonchalance evidentemente finta, per poi avvicinare lentamente ma inesorabilmente i loro visi, e sussurrare, in modo suggestivo, “quindi… visto che tu sei solo in casa… e io sono sola in casa… pensavo che magari…”
 
“Sì?” esala, mentre Camilla si fa sempre più vicina, troppo vicina.
 
“Che magari potresti venire a casa mia e…”
 
“E?” le respira, ormai ad un centimetro dalle labbra, la salivazione azzerata, i battiti a mille.
 
“Ed aiutarmi a smontare i mobili dell’ex studio di Renzo,” proclama ad alta voce, ritraendo bruscamente il viso, un sorriso a dir poco soddisfatto che le si riflette negli occhi, “sai, ho sempre sognato di avere una sala lettura in casa, fatta come dico io e... nella quale poter correggere i compiti o rilassarmi un po’. E ho deciso che è arrivato il momento di concedermela. Ah, e naturalmente domani, visto che è sabato, sei reclutato ufficialmente per venire con me a comprare i mobili e poi aiutarmi a montarli.”
 
“Naturalmente…” commenta, scuotendo il capo, ancora mezzo scombussolato ma decisamente divertito: gliel’ha fatta un’altra volta!
 
Come sempre.
 
Ed è anche per questo che è completamente, totalmente ed irrimediabilmente pazzo di lei.
 

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“Finalmente! Guarda che ci aspetta un lungo lavo - ro.”
 
La parola le si strozza in gola quando lo vede: jeans attillati e una maglietta bianca che lasciano ben poco spazio all’immaginazione, una cassetta degli attrezzi in mano.
 
Sembra uscito da uno spot della coca cola.
 
Deglutisce visibilmente, mentre lui le struscia contro - di proposito ne è sicura - cercando di oltrepassarla.
 
Rimangono per qualche istante bloccati così, l’uno di fronte all’altra, nella cornice della porta.
 
“Non chiedo di meglio...” le soffia sulle labbra, mozzandole il fiato: sono ad un millimetro.
 
Un solo millimetro.
 
Camilla solleva il viso e… un mugolio le sfugge dalla bocca quando incontra solo l’aria, visto che qualcuno ha ritratto il capo all’ultimo secondo e ora la osserva con aria sorniona.
 
Una scossa elettrica quando, languidamente, infine la supera e varca la soglia.
 
“Nemmeno io…” le parole le sfuggono dalla bocca, mentre lo vede incamminarsi verso lo studio.
 
Uno stridio di attrezzi, metallo contro metallo, la gomma delle suole contro il pavimento: Gaetano si è bloccato bruscamente - mi ha sentita!

Azzurro incontra nocciola, in un lungo, lunghissimo sguardo: uno sguardo che è una promessa.
 
A giocare col fuoco ci si brucia.
 
Ma Camilla non ha più paura di scottarsi.
  



Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questo capitolo e forse di questa storia che spero non abbia deluso la lunga attesa. Camilla, dopo il momento di rabbia e disperazione iniziale, ha dovuto ammettere un po’ di cose, a Gaetano e a se stessa, hanno parlato e si sono chiariti prima di fare l’amore e, si spera, questo dovrebbe evitare “cuccioli adottati”. Tra parentesi, giuro che la battuta di Gaetano sul “cagnolino” è stata scritta prima dell’ultima puntata della serie xD. Sono ahimé stata profetica. Ho inoltre cercato di riportare Gaetano a com’era nelle prime cinque serie e fino a metà di questa serie: innamorato, certo, dolce e premuroso, ma comunque con una sua dignità personale e non “zerbino” e a cui non va bene “qualunque cosa” pur di non perdere Camilla o avere una chance con lei.
Sto valutando se scrivere un capitolo di epilogo, ma ci devo pensare ancora un po’, anche per studiarne bene la trama. Voi lo vorreste? Nel frattempo ritornerò a scrivere la mia lunga storia “Ribaltando Ogni Certezza”. Per chi di voi non la conoscesse, è una sesta serie alternativa, con tanti capitoli, praticamente Camilla decide di lasciare Renzo, perché il dubbio su un possibile tradimento con Carmen a Parigi, la porta a realizzare di essere innamorata di Gaetano e che il suo matrimonio è finito. Da lì si sviluppa una storia in cui la neonata coppia Camilla  e Gaetano cerca di affrontare insieme le difficoltà di un rapporto agli inizi (figli, ex gelosi e rancorosi, prove di convivenza...) e di costruire insieme una famiglia vera, piano piano. C’è anche una trama gialla, già conclusa, ambientata a Roma e sto per scrivere la seconda trama gialla. Se vi va di dare un’occhiata, la trovate qui, sia il primo capitolo che i successivi:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2242104

Vi ringrazio tantissimo per avere letto questa storia, e un ringraziamento particolare a chi mi ha lasciato un commento, un parere ed un incoraggiamento. Grazie!

 

   
 
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