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Autore: Silver Shadow    11/11/2015    2 recensioni
Questa è una breve Sora x Kairi che si svolge nell'Isola del Destino dopo il finale di Kingdom Hearts 2. Sono così stanca di aspettare il 3, come penso anche voi che leggerete questa storia, se lo farete, che ho buttato giù io qualcosa. Spero vi piaccia!~
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Sora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts II
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Sora era appoggiato, con le mani dietro la nuca, ad un ramo dell'albero posto al limitare dell'isola, che era diventato da tempo il luogo di ritrovo dei tre amici, e fissava il tramonto e il sole che si scioglieva, rosso, nella superficie limpida del mare.
“Il rosso è il colore in grado di arrivare più lontano.”
Questa frase, come un flashback, slittò furtiva fra gli anelli di quella catena che era la sua memoria, e Sora ebbe la strana sensazione di non riuscire ad afferrarla del tutto: la ricordava, ma non la aveva mai davvero sentita pronunciare da nessuno. Il ragazzo, tuttavia, perso com'era in riflessioni di tutt'altra natura, non ci badò per più di qualche secondo, e quel “ricordo” evaporò in fretta, sopito nuovamente nella sua mente, forse condannato all'oblio.
I suoi pensieri, infatti, stavano vagando fra i mondi che aveva visitato di recente, si avviluppavano attorno ai nemici che aveva dovuto affrontare e passavano attraverso le loro armi, che era riuscito sempre a sconfiggere, non tanto grazie alla forza del Keyblade, ma grazie a quella del suo cuore.
Essere a casa gli sembrava ancora così irreale, che qualche volta doveva interrompere il filo dei suoi pensieri e guardarsi attorno; per così tanto tempo era stato costretto a saltare di mondo in mondo, a combattere Heartless, nonché numerose, misteriose figure che li controllavano e altre che usavano la potenza distruttiva del Keyblade a loro vantaggio. La battaglia di Sora non era stata solo una battaglia contro Xehanort, contro l'Organizzazione o contro Xemnas: era stata una battaglia contro il lato oscuro, una battaglia contro sé stesso, che aveva vinto perché la sua luce era stata in grado di sovrastare il buio che tentava di sopraffarlo. Aveva dimostrato forza d'animo nonché coraggio, ma c'era ancora qualcosa dentro di lui, una sensazione di incompletezza, che turbava la tanto agognata serenità. C'era ancora una battaglia che non era stato in grado di vincere, perché non aveva voluto affrontarla: il nome di quella battaglia era Kairi.
Come era possibile che fosse riuscito a sventare i piani dei più grani maestri d'oscurità, ma che ancora non fosse riuscito ad ammettere, innanzitutto a sé stesso, quello che da troppo tempo covava nel suo cuore, silenzioso e avvolgente?
Sora alzò lo sguardo e lo puntò sopra di sé: l'albero a cui si teneva appoggiato era un albero speciale. Il frutto che produceva era un frutto magico, che gli ricordava il vero motivo per cui non si era mai tirato indietro davanti a una battaglia, il vero motivo per cui aveva combattuto.
Il frutto del paopu pendeva sopra la sua testa, come un monito, come un rimprovero per il coraggio che ancora non era stato in grado di dimostrare, e questa consapevolezza travolse Sora all'improvviso: c'era stato un tempo in cui guardare il tramonto da quell'albero era stato così naturale che non avrebbe mai pensato che gli potesse essere strappato un momento tanto sacro, ma era successo, e quell'albero era stato solo un ricordo, un desiderio, per troppo tempo. Non poteva essere certo che avrebbe avuto altre occasioni, o che le avrebbe avute presto, e il timore di avere rimpianti sovrastava qualsiasi altra paura che fino ad allora lo avesse ottenebrato.
Sora capì: se c'era un momento per agire, quel momento era adesso, fintanto che quell' “adesso” fosse esistito. Abbandonò i pensieri e la razionalità e, guidato dal cuore, si arrampicò in fretta sull'albero, usando come appigli i robusti rami su cui Kairi soleva sedere, lasciando le gambe penzoloni, fino a che non raggiunse la sommità, dove cresceva il paopu. A Sora tornò in mente il disegno che si era tanto impegnato a realizzare nella grotta, e che Kairi aveva completato durante la sua assenza, e spontaneamente un sorriso gli attraversò il volto: era momento che quelle figure fossero staccate dalla roccia e diventassero personaggi reali.
Allungando il braccio, attento a tenere l'equilibrio sull'ultimo, fragile ramo, afferrò prontamente due paopu, con la mente talmente annebbiata dalle emozioni che qualche minuto dopo non ricordava neppure quando e come fosse sceso dall'albero per poi correre, col cuore a mille, verso la spiaggia.

Proprio come pensava, Kairi era lì: la sua esile e snella figura si stagliava contro il tramonto, e sembrava assorbire i raggi del sole e sostituirsi al suo splendore, ma forse era solo una sensazione di Sora.
Tentando di nascondere i paopu dietro la schiena, forzandosi a un'andatura più calma e assumendo l'espressione più neutra e tranquilla che poteva, si avvicinò, più agitato che durante qualsiasi battaglia, al suo ultimo traguardo.
- Kairi?
Pronunciò, con voce leggermente spezzata, di cui si vergognò moltissimo: il suo colorito, difatti, assunse improvvisamente una tonalità violacea.
La ragazza si voltò, e non appena riconobbe Sora gli sorrise, piegando la testa di lato, e gli camminò incontro. Il ragazzo fu improvvisamente poco sicuro di riuscire ad articolare il discorso, ma non si tirò indietro.
- Sora! Cosa fai qui?
Gli domandò, notando lo spiccato rossore che colorava le sue guance. Sora abbassò lo sguardo, incapace di reggere il confronto con gli occhi di Kairi, di un azzurro puro e intenso, e dimenticò temporaneamente cosa doveva dire, cosa ci faceva lì, e infine come si chiamava. Quando si ricompose, notò lo sguardo preoccupato della fanciulla, che intuiva la difficoltà dall'amico ma non voleva peggiorare la situazione infilando il coltello nella piaga. In qualche modo, l'apprensione di Kairi per la sua condizione e l'assoluto rispetto per la sua difficoltà motivarono Sora al punto che riuscì a riprendere le funzioni dei suoi arti, schiarirsi la voce e pronunciare un discorso quasi lineare, grattandosi la nuca, imbarazzato.
- Ecco.. Aehm.. Sono qui perché.. Ho qualcosa per te.
Confessò alla fine, suscitando lo stupore di Kairi, che apparve piacevolmente spiazzata da questa dichiarazione.
- Davvero? Per me? E cos'è?
Domandò nuovamente, contenendo l'euforia. I suoi occhi luccicavano, illuminati dagli ultimi fili di luce del tramonto, e Sora deglutì nervosamente, prendendo coraggio. Non pronunciò neppure una sillaba, perché il suo regalo avrebbe parlato da sé: tese le braccia di fronte a Kairi, mostrandole i due paopu che teneva in mano, sperando che capisse il loro significato. La guardò, perché non riuscì a resistere alla curiosità della sua reazione, solo dopo qualche secondo.
Il silenzio di Kairi era un silenzio espressivo: esprimeva sorpresa, confusione, felicità, emozione. Era come se Sora riuscisse a sentire il suo cuore battere forte quanto il proprio, e in quel momento la connessione che si era creata fra di loro risultò palese a entrambi.
La ragazza inchiodò lo sguardo in quello di Sora, e si espresse al meglio delle sue possibilità prendendo delicatamente uno dei due frutti dalle mani di lui e stringendolo al petto: quel gesto gli dimostrò non solo che Kairi aveva capito, ma che quello strano sentimento che aveva sempre spinto Sora a inseguirla si era radicato allo stesso modo, profondo e travolgente, nell'animo della fanciulla.
Questa consapevolezza mandò in tilt il cuore del ragazzo, che sembrava in procinto di esplodere, ma la gioia stessa era tanta che riuscì a tenerlo insieme, e addirittura riuscì a fargli compiere un altro passo. Sora avvicinò alle labbra il suo frutto, invitando così Kairi a fare lo stesso, e in quel momento il loro sguardo significava una sola cosa: insieme.
I due erano così vicini che le loro mani, o almeno quelle libere dal paopu, si sfioravano, e il ragazzo, assumendo nuovamente una colorazione rosea, intrecciò le dita a quelle di Kairi, la cui reazione involontaria fu quella di arrossire a sua volta, nonché quella di stringere la sua mano, come si fa con qualcuno che non si ha intenzione di lasciare.
Senza spostare lo sguardo dall'altro, i due ragazzi, il tramonto sullo sfondo, il battito impazzito, addentarono il frutto che li avrebbe legati, senza bisogno di parole accessorie, senza teatrali dichiarazioni, ma nel modo migliore in cui lo si poteva fare: semplicemente.
E, soprattutto, per sempre.

  
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