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Autore: 365feelings    13/11/2015    2 recensioni
Dicembre, New York. Mentre le feste si avvicinano e i bollettini meteo non fanno altro che parlare della terribile tempesta di neve Chione, Annabeth capisce di non essere sua madre, Piper decide di mettersi in gioco, Leo trova finalmente qualcuno con cui condividere i propri sogni e Nico scopre che può essere ancora felice.
(...)nello stesso momento Will si volta e lo accoglie con uno sguardo che rischia di farlo arrossire. Non perché sia carico di malizia o sottintesi, ma proprio perché, al contrario, è limpido e caldo. Sembra dirglibuongiorno e farlo con la stessa intimità che potrebbe usare una coppia che si conosce da molto tempo.
Percy/Annabeth, Jason/Piper, Leo/Calipso, Will/Nico | accennati Talia/Reyna, Frank/Hazel, Chris/Clarisse | storia scritta per la settima edizione del Big Bang Italia
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Calipso, Jason/Piper, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: In città zero gradi
Rating: verde
Pairing: Annabeth/Percy, accennate Jason/Piper, Thalia/Reyna
Genere: romantico, sentimentale, introspettivo
Avvertimenti: modern au, what if in cui gli americani usano i gradi celsius come il resto del mondo
Note: omg, finalmente ci siamo. Per chi mi conosce e mi ha tra i contatti di fb sa che sono mesi che sto andando avanti con questa storia, quindi può ben immaginare la gioia. Sicuramente tra qualche giorno, quando rileggere non mi provocherà nausea, troverò cose che non mi piacciono e che avrei potuto scrivere meglio (sono 36816 parole), ma per il momento sono soddisfatta. Inoltre questo è il primo anno che partecipo al Big Bang Italia (qui e qui il gift di dark_loveless), la prima volta che pubblico su AO3 (qui), la prima volta che scrivo così tanto.
E ora le note vere e proprie, che vi consiglio di leggere per avere un quadro più chiaro.
  • La storia non è necessariamente ambientata nel 2015, va bene un qualsiasi anno in cui il 27 novembre cade di venerdì. Ogni capitolo è autoconclusivo ma le storyline dei personaggi sono intrecciate (quindi per avere il quadro completo di tutto occorre arrivare all'ultimo).
  • Il titolo è lo stesso del libro di Daniel Glattauer ma non ci sono altre somiglianze.
  • Non sono mai stata a New York quindi le descrizioni e le informazioni potrebbero non essere del tutto corrette. I luoghi citati, i locali e le strade, comunque, esistono veramente.
  • La Maersk è un gruppo danese che si occupa soprattutto di trasporto marittimo ed è il più grande armatore di navi mercantili al mondo; Gensler è uno studio di architetti che ha effettivamente gli uffici nel Rockfeller Center e il progetto citato esiste veramente; il New York Mercantile Exchange è il principale mercato mondiale per futures ed options su petrolio, minerali, gas naturali.
  • Drexcode è un sito che permette di noleggiare abiti firmati.
  • Frame e Architectural Record sono due riviste di architettura.
  • La scena in cui Annabeth e Percy si incontrano al party di Era è ripresa dalla scena in cui Meredith e Derek (Gray’s Anatomy) scoprono di lavorare nello stesso ospedale (ecco perché è così bella e ci sono dei dialoghi), mentre il punto in cui Annabeth parla di sua madre è ripreso da una commedia romantica di cui non ricordo il titolo.
  • Mrs. O’Leary, canonicamente parlando, dovrebbe essere un mastino, però a me piace di più come Terranova.
  • Su tumblr una volta ho trovato un headcanon bellissimo di Annabeth che ascolta audiolibri e da allora non riesco più a non inserirlo. Lo stesso per Sally scrittrice (non ricordo più se è canon o se lo ho letto in una storia di Tera).
  • Ci sono diversi riferimenti al canon verse che non elencherò, trovateli, e niente, spero di non essere andata ooc e che la storia vi piaccia. 

Ultima cosa: ringrazio il mio Team Avatar che mi ha supportata durante la stesura (Alexiel Mihawk in particolar modo) e tutti quelli che mi hanno sentita parlare di questa storia e che ne avrebbero fatto volentieri a meno.




Capitolo primo
 
(27 novembre)
La tequila brucia nella gola, ma le dà la sfrontatezza per sostenere lo sguardo dello sconosciuto con il maglione blu – affascinante e impertinente, una combinazione che stuzzica la sua curiosità.
L'uomo è arrivato dopo di lei, insieme ad una folata di vento freddo che l'ha fatta rabbrividire, e si è diretto con passo sicuro verso il bancone togliendosi il parka e salutando con confidenza il barista. Si è seduto sul lato opposto rispetto a dove si trova lei e, senza nemmeno attendere, ha fatto leva sulla superficie lucida per sporgersi e servirsi da solo. È stato in quel momento, mentre lui prendeva uno dei bicchieri appena usciti dalla lavastoviglie e lei portava alle labbra il suo mezzo vuoto, che i loro sguardi si sono incrociati.
L'uomo sembra gradire la vista o quanto meno esserne interessato, non occorre essere particolarmente perspicaci per accorgersene e in ogni caso lei è sempre stata molto brava a comprendere le persone. E per quanto la riguarda, trova che lo sconosciuto abbia degli occhi davvero belli e dei capelli tra cui vorrebbe passare le mani per verificare se sono morbidi come sembrano, per non parlare delle spalle da nuotatore.
Un altro sorso di tequila e prende la sua decisione: non è la prima notte che passa a New York, ma è la prima in cui ha un appartamento intestato a suo nome e ha intenzione di iniziare quel nuovo capitolo della sua vita in grande stile. È un giovane architetto con un nuovo lavoro che le frutterà soldi e prestigio e non intende trascorrere quella notte da sola.
L'uomo sembra aver intuito le sue intenzioni, perché nello stesso momento in cui lei lascia i soldi sul bancone lo fa anche lui e insieme raggiungono l'uscita.
Non appena l'aria fredda di quella notte di fine novembre le pizzica le guance, si chiede se stia facendo la cosa giusta, se sia saggio portarsi a casa uno sconosciuto attraente ma pur sempre uno sconosciuto.
Non ha il tempo per continuare quelle riflessioni, perché l'uomo la bacia e tutto il resto perde importanza. Dischiude le labbra, passandogli le braccia attorno al collo; finalmente può scoprire se i capelli sono morbidi come sembrano e la risposta è anche di più.
 
(28 novembre)
Si sveglia con un braccio intorpidito e ci mette qualche minuto per ricordare dove si trova. A quel punto si accorge che al suo fianco, nel suo letto c'è uno sconosciuto e sono entrambi nudi.
Dopo un primo momento di stordimento, ricorda anche che la notte precedente ha bevuto quanto basta per aver il coraggio di portarsi a casa l'uomo con il maglione blu. Un comportamento irrazionale e per questo non da lei, ma Piper ne sarebbe veramente orgogliosa e non c'è dubbio che ne sia decisamente valsa la pena. Forse perché è mattina o forse perché è ancora intontita, decide che continuare ad essere irrazionale per un altro po' non può farle male per cui cede al desiderio della sera prima e gli passa una mano tra i capelli. Sotto il suo tocco l'uomo mugugna qualcosa e non volendo svegliarlo decide di alzarsi.
La mente corre per un istante al suo vecchio studio di architettura e a suo padre, ma il contatto con il pavimento e la temperatura fuori dal piumone la fanno rabbrividire, ricordandole di non essere più a San Francisco e di aver appena iniziato un nuovo capitolo della sua vita.
Apre una delle valigie con cui è arrivata e la ricerca è subito fruttuosa (in fondo è stata lei ad aver sistemato i vestiti e chiunque la conosca sa che fa sempre le cose con criterio), per cui si dirige in cucina, passando prima per il bagno per rinfrescarsi. Lo specchio le rimanda l'immagine di una giovane donna un po' stropicciata, con un accenno di occhiaie e i capelli arruffati, ma nel tepore delle sua felpa Annabeth non se ne cura e procede lungo il corridoio raccogliendo i ricci in una coda.
La cucina è un trionfo di acciaio e innovazioni tecnologiche, ma è desolatamente vuota: le sue poche stoviglie, infatti, sono ancora in uno degli scatoloni e mancano gli ingredienti. Potrà aver perso la battaglia ma non di certo la guerra: se ne torna in camera intenzionata a vestirsi per raggiungere il primo Starbucks, ma una volta entrata scopre che l'affascinante sconosciuto ha approfittato della sua assenza per occupare entrambe le piazze del letto. Inoltre ora è decisamente sveglio e questo significa una sola cosa: chiarire la situazione.
«Buongiorno» la saluta «Ti dispiace se uso il bagno?»
Gli indica la porta e il secondo dopo è sparito nell'altra stanza e a lei non resta che aspettarlo per affrontare il discorso. La cosa un po' la imbarazza, ma va fatta.
«Non ho russato, vero...?» le chiede qualche minuto dopo tornando in camera e sforzandosi senza successo di ricordare il suo nome. Non ci resta troppo male, in fondo nemmeno lei ricorda il suo; sono pari. Inoltre forse non si sono nemmeno presentati quella notte, troppo occupati a baciarsi e a spogliarsi. La memoria le provoca un brivido lungo la schiena.
«Annabeth».
«Annabeth» ripete con un sorriso allungando una mano «Io sono Percy».
La stretta dell'uomo è decisa e calda, piacevole. Quando il contatto termina quasi le dispiace.
«No, non hai russato» risponde «Ma quando dormi sbavi».
La sua replica è «Oh» e in qualche modo questo la fa sorridere e la distrae dal suo proposito, perché invece di dirgli che ciò è successo quella notte è destinato a non ripetersi gli notifica che sta andando a farsi una doccia per poi uscire e cercare uno Starbucks o qualcosa del genere.
L'uomo annuisce, chinandosi su di lei, e l'unica cosa a cui Annabeth riesce a pensare è che il caffè può aspettare. Però prima, ricorda con un impeto di responsabilità, bisogna chiarire.
«A proposito di stanotte» inizia, ma Percy è ad un soffio dalle sue labbra e la interrompe.
«Sì, è stato bellissimo e sì, potremmo rifarlo di tanto in tanto».
«Non...» e ancora una volta non riesce a concludere la frase. La cosa però non le dispiace troppo e al diavolo la responsabilità. Può pensarci dopo e prolungare il divertimento di quella notte ancora per qualche ora.
«L'idea di fare la doccia mi piace molto».
Annabeth gli circonda il collo con le braccia e a quel punto anche la doccia può attendere: lo trascina con sé sul letto e lo bacia.
 
Lo stridio del campanello si insinua tra le loro risate, ricordando ad Annabeth che esiste un mondo fuori dal suo nuovo appartamento. Senza averne veramente la voglia (per un istante, infatti, è tentata di ignorare chiunque sia alla porta e restare seduta sul pavimento con Percy) si alza e va ad aprire, scoprendo che si tratta di un corriere.
Si domanda se recentemente abbia fatto qualche acquisto su Amazon, poi nota la fodera e il nome stampato sul tessuto plasticato (Drexcode) e con profondo orrore realizza di essersi completamente dimenticata del party di Era.
«Può dirmi che ore sono?» domanda al corriere, mentre firma la ricevuta.
«Le cinque e mezza» risponde il ragazzo consegnandole l'abito.
Prima di tornare in salotto prende un respiro profondo. Le cinque e mezza. Può ancora farcela, devo solo congedare Percy: con lui in casa non riuscirebbe a prepararsi. Non fatica, infatti, ad immaginare gli innumerevoli modi con cui l'uomo la rallenterebbe e si pente di averlo fatto perché sono un'alternativa molto più allettante alla serata che la aspetta.
Caccia dalla mente il pensiero delle piacevoli ore che potrebbero ancora trascorrere insieme e lo raggiunge. Farlo arrivare alla porta è un'operazione che le richiede meno tempo di quanto pensasse; Percy la ascolta, recupera scarpe e giacca e la saluta con un bacio veloce che la porta a detestare Era e i suoi party ancora di più di quanto già non faccia.
Senza la presenza dell'uomo, l'appartamento diventa improvvisamente vuoto e freddo, ma Annabeth scuote il capo, cacciando quell'impressione. Insieme hanno trascorso delle piacevolissime ore e non hanno solo fatto sesso, hanno anche parlato e riso e condiviso un certo grado di intimità completamente inaspettato e lei ha apprezzato tutto ciò, ma Percy rimane uno sconosciuto ed è il momento di chiudere quella parentesi e tornare ad essere la persona responsabile che è.
Mentre cerca lo scatolone in cui ha riposto le cose per il bagno, si accorge però di un biglietto che prima non c'era. O meglio, di uno scontrino. Prendendolo in mano scopre che si tratta del numero di telefono di Percy e per quanto lui sia un estraneo e il piano originario fosse quello di trascorrerci la notte e poi non vederlo più, decide di tenerlo.
Sorride ed entra nella sua nuova e tecnologica doccia, considerando che quel nuovo capitolo della sua vita è iniziato decisamente bene.
 
Percy le si avvicina da dietro e rivolge un cenno di saluto al suo interlocutore, quindi si china verso di lei, chiedendole a bassa voce di seguirlo.
Dovrebbe ignorarlo. Ma ignorare Percy, ha scoperto, è una cosa molto difficile da mettere in pratica. Si scusa con il direttore di Frame e segue il ragazzo in fondo alla stanza, accanto alle ampie vetrate che si affacciano sullo skyline di New York. In un'altra occasione apprezzerebbe la visuale, in quel momento però riesce solo a vedere il proprio riflesso e quello di Percy.
«Perseus Jackson» inizia con aria seria e decisa. Intende andare dritta al punto, chiarire come stanno le cose e non lasciargli il tempo di reagire: è un buon piano, peccato che l’altro la interrompa subito con molta disinvoltura.
«Perseus Jackson? Stamattina ero Percy e ora sono Perseus Jackson?»
«Perseus Jackson» riprende imperterrita «Fingeremo che non sia mai successo».
«Che cosa, il fatto che sei venuta a letto con me o che prima hai fatto finta di non conoscermi?»
Annabeth sente il sangue affluirle al volto e stringe il bicchiere che tiene in mano.
«No. Non sono più la donna del bar e tu non sei quel tipo. La cosa non è mai successa, capisci?»
«Capisco» conferma lui con un'espressione però che le fa dubitare che abbia davvero compreso. Infatti continua con tono melodrammatico: «Ti sei approfittata di me ed ora vuoi dimenticare».
«Io non mi sono affatto –» ribatte, trattenendo a stento l'incredulità.
«Ero ubriaco, vulnerabile e affascinate e tu te ne sei approfittata» la interrompe nuovamente e Annabeth inizia ad essere stanca di quelle interruzioni.
«Ero io ad essere ubriaca e tu non sei poi così affascinante» replica, sforzandosi di apparire distaccata e superiore. Cosa che le risulta un po' difficile perché il completo blu scuro che l'uomo sta indossando gli sta davvero bene, nonostante non lo avrebbe mai detto un tipo da alta sartoria. Inoltre ha ben impresso nella memoria ogni momento trascorso insieme.
«Forse non oggi» le concede «Ma ieri sera ero molto affascinante, lo sappiamo bene entrambi. Avevo il mio bellissimo maglione blu e tu te ne sei approfittata. Approfittatrice».
«Non me ne sono approfittata!» ripete e non sa nemmeno perché gli stia ancora dando corda.
«Ti va di farlo di nuovo? Stasera?» chiede Percy «Preferisci venerdì?»
«No! Tu sei il figlio di Poseidone ed io la figlia di Atena» gli dice, ricordando l’agghiacciante momento in cui sono stati presentati. Un secondo prima stava sorseggiando champagne in compagnia di Reyna, sua cara amica da alcuni anni, e quello successivo stringeva la mano all’ultima persona che si sarebbe aspettata di trovare lì.
«E allora?»
«I nostri genitori si detestano» risponde prontamente e con il tono di chi sta sottolineando un’ovvietà. In competizione dai tempi del college, la rivalità tra i due si è inasprita al punto da poter a mala pena sopportare la presenza l'uno dell'altra nel momento in cui la donna ha ottenuto la carica di amministratore delegato del New York Mercantile Exhange, carica ambita anche da Poseidone.
«Ripeto: e allora?»
«Come fai a non... Smettila di guardarmi così».
«Così come?» chiede lui fingendo di non capire. In quel preciso istante Annabeth lo prenderebbe a sberle. O lo bacerebbe. O entrambe le cose.
«Come se mi avessi visto nuda» sussurra, arrossendo.
«Ma io ti ho vista nuda» replica lui, sorridendo. Per un istante rimane abbagliata dal suo sorriso e dalla luminosità dei suoi occhi, ma torna velocemente alla realtà.
«Perseus Jackson, tutto ciò è inappropriato».
 
(29 novembre)
Le endorfine sono neurotrasmettitori di natura peptidica prodotti nel lobo anteriore dell'ipofisi e hanno proprietà analgesiche e fisiologiche simili a quelle della morfina e dell'oppio. Vengono rilasciate durante l'esercizio fisico e provocano una sensazione di euforia.
Non è chiaro nemmeno lei come faccia a sapere delle endorfine, deve averlo letto da qualche parte e riesumato il ricordo. Probabilmente si tratta di una reminiscenza del liceo, sì deve trattarsi di quello. Ogni tanto le capita, ha una mente curiosa e una buona memoria.
In ogni caso, endorfine. È quella l'unica cosa importante. Non l'uomo con il maglione blu. Endorfine. Non c'è spazio per Perseus Jackson.
Più però si impone di non pensare a lui, più il ricordo della sera prima e, peggio, quello della notte precedente si fanno vividi nella sua mente.
Impreca mentre rallenta, i polmoni che si espandono e si contraggono furiosamente avidi di ossigeno. Inspira a lungo e l'aria è così fredda che quasi brucia; si concentra su questo per distrarsi e ha sulle labbra il nome della sua amica quando si accorge che questa non è al suo fianco come credeva.
Si volta e non la trova, si guarda quindi perplessa attorno e dopo qualche secondo finalmente la vede spuntare dietro la curva. Piper sta procedendo lentamente (sta arrancando) e ha sul volto un'espressione buffa, a metà strada tra la determinazione e l'agonia.
Quando alla fine Annabeth viene raggiunta, il suo respiro si è quasi regolarizzato, mentre l'altra donna sembra sul punto di sputare un polmone.
Piper resta per qualche secondo con le mani appoggiate alle ginocchia, poi ne posa una all'altezza della milza e la guarda.
«Si può sapere che ti è preso?» le chiede «Ad un certo punto ti sei messa a correre come se dovessi vincere i cento metri. Ieri sera non avevi il ricevimento, a che ora sei tornata? Come fai ad avere tutte queste energie?»
«Scusa» replica, provando un altro moto di irritazione nei confronti di Percy (Perseus si corregge) che ancora monopolizza la sua attenzione – e qualcosa le suggerisce che sarà così ancora per molto tempo.
Con l'altra mano Piper fa cenno di lasciar perdere, che non importa, e si dirige verso la prima panchina.
«Racconta tutto e fai che il mio risveglio ne sia valso la pena» le dice.
Dieci minuti dopo, però, il suo commento è lo stesso di Percy: e allora?
«Tu non sei tua madre e lui non è Poseidone» continua imperterrita, scuotendo il capo in segno di disapprovazione prima di esprimere la volontà di tornare a casa.
Nel tentativo di schiarirsi la mente, Annabeth resta a correre per un'altra mezz'ora dopo che Piper se n'è andata, ma non ottiene il risultato sperato perché il pensiero di Percy (per quanto si sforzi di chiamarlo Perseus per mantenere le distanze, nella sua mente è solo e sempre Percy) continua a tormentarla.
Trascorre il resto della domenica tra gli scatoloni nel suo nuovo appartamento, ma non è serena.
 
(30 novembre)
«Questi dove li metto?» chiede Piper indicando i libri sul fondo dello scatolone che ha quasi finito di svuotare. Ora ne restano solo altri cinque.
«Qui c’è posto» le dice Reyna «Secondo e terzo scaffale. Li vuole in ordine per autore. Era per autore, vero?»
«Sì» risponde Annabeth dalla stanza per gli ospiti che ha deciso di trasformare nel suo studio «Quando finite venite ad aiutarmi?»
Dieci minuti dopo stanno tutte e tre cercando di sollevare la scrivania per posizionarla sotto la finestra da cui si scorge il Sarah Roosvelt Park, ma ogni sforzo sembra inutile.
«Ci vorrebbe un uomo, qui» commenta Piper.
«Non iniziare» la avvisa Annabeth, intuendo subito dove l’amica voglia andare a parare.
«Mi sono persa qualcosa?» chiede Reyna, spostando la lunga treccia che le è caduta sulla spalla. La scrivania nel frattempo viene faticosamente collocata al suo posto.
«Le ha persino dato il suo numero di telefono e lei non gli ha ancora scritto» le spiega Piper, iniziando a raccontarle di quanto la loro amica sia crudele nei confronti del povero Percy («Sedotto e abbandonato, capisci?») come se lei non fosse lì ad ascoltare, fino a quando Annabeth non decide che è giunto il momento di cambiare l'oggetto della conversazione.
«Parlando di cose più serie, com'è andato il tuo colloquio?»
«Benissimo» replica Piper sedendosi per terra perché parte dell'arredamento non è ancora arrivato, sedie e poltrone comprese «Cioè male, ma benissimo».
«Com’è possibile?» domanda Reyna, aggrottando un sopracciglio e appoggiandosi al bordo della scrivania.
«È andato male perché mi sono agitata e non ho fatto un buon colloquio. Ma allo stesso tempo benissimo perché l'ho rincontrato».
«Lo sconosciuto che ieri mattina ti ha presa al volo?» domanda la mora, l’ombra di un sorriso ad incresparle le labbra mentre ricorda il messaggio vocale del giorno precedente inviato dall’amica poco dopo l’accaduto.
«Sì, esatto proprio lui» continua Piper con entusiasmo «E so anche il suo nome. Si chiama Jason Grace».
Qualcosa nella mente di Annabeth scatta.
«Jason... Grace» ripete, guardando Reyna «Non è il nome del tuo ex? È lui?»
Mentre l'altra annuisce, Piper, nonostante la carnagione olivastra, sbianca e con una mano inizia a giocare con la piuma che porta intrecciata ai capelli. Entrambe le donne capiscono subito che qualcosa non va ed è così evidente che persino una persona poco attenta ai dettagli se ne sarebbe resa conto; nel loro caso, nessuna delle due lo è, anzi. Annabeth, inoltre, la conosce da più anni, la loro amicizia risale ai tempi del college quando entrambe studiavano a Los Angeles e nelle pause dallo studio raggiungevano Santa Monica Beach. Per questo motivo sa dire che Piper è solita fare così in due situazioni completamente diverse: quando ha mente occupata e quando è a disagio e insicura di sé. Nel primo caso lascia scivolare le dita sulla piuma distrattamente, nel secondo la tormenta proprio come in quel momento.
«È stato tempo fa» ricorda Reyna, che si è lasciata con l’uomo di comune accordo alcuni anni prima «Non siamo fatti l'uno per l'altra. Grande feeling lavorativo, ma dal punto di vista sentimentale un disastro» e poi aggiunge «Per cui Piper, se ti interessa fatti avanti. La cosa non mi dà per niente fastidio, anzi. Siamo rimasti buoni amici e so che non si vede con nessuna».
«Sei sicura?» domanda la donna con voce ancora incerta.
«Assolutamente» replica, guardandola dritta negli occhi per convincerla «Piuttosto, parliamo del lavoro. Adesso cosa pensi di fare?»
«Non ne ho idea. Suppongo però che mi troverò un lavoro come barista o qualcosa del genere. Non è che sia al verde, mio padre continua a trasferire soldi sul mio conto corrente, ma mi dispiace non aver ancora trovato la mia strada. Tu sei il direttore finanziario della American Airlines e Annabeth lavora allo studio Gensler. Mi sembra di star sprecando il mio tempo».
«Non è sempre facile come nel mio caso, che sapevo di voler diventare architetto già a dodici anni. Di solito è molto più complicato» la rassicura la padrona di casa «Pensa a Reyna che ha cambiato, quanti lavori hai cambiato? Due?»
«Tre. Ti dimentichi sempre dell’anno alla Circe Spa».
«Giusto, la Circe Spa» rammenta Annabeth «Hai un sacco di talenti, Piper. Con un po' di pazienza troverai anche tu la tua strada, non temere, l'importante è non arrendersi. Ti interessa ancora il giornalismo?»
 
(4 dicembre)
Mentre srotola una planimetria, Annabeth prova a concentrarsi sull'incarico ma continua a ripensare alla domanda che Piper le ha posto qualche ora prima durante la sua pausa pranzo («Qual è il vero problema?») e alla risposta che le ha dato (cioè la solita), alla quale l'amica non crede, convinta che si tratti solo di una scusa.
Piper come sempre si è rivelata essere un'osservatrice attenta, intuendo che sotto ci sia dell'altro, e Annabeth pur negando difronte a lei, deve ammettere a se stessa che è vero. Per giorni ha continuato a ripetersi che l'unico vero motivo per cui non vuole avere niente a che fare con Percy è la rivalità tra Atena e Poseidone, il che non è falso, ma non è nemmeno il solo.
Si trova al settimo piano del GE Building, esattamente dove voleva essere, ha il lavoro dei suoi sogni, sulla scrivania il progetto dell'High Performance Research Computing Center dell'Università di Priceton e la possibilità di fare carriera. La sua vita è lontana dall'essere completa e realizzata, ma in quel momento, in quel preciso momento, è perfetta, è come avrebbe voluto che fosse – è in Avenue of the Americas. Quando la Annabeth adolescente pensava ai suoi trent'anni era così che se li immaginava e la presenza di un uomo non era preventivata allora e non lo è nemmeno adesso perché non ne ha bisogno. Non le occorre qualcuno al suo fianco in quel preciso periodo della sua vita e, soprattutto, non vuole innamorarsi, non vuole ciò che questo comporta, non vuole tornare in quello stato, appena capace di riaffiorare quanto basta per svolgere le normali attività. Il ricordo di Luke balugina per un attimo nella sua mente, ma lo caccia con decisione.
Non che sia innamorata di Percy Jackson o se ne stia innamorando, nulla del genere, nemmeno lontanamente, ma ragionando per periodi ipotetici allora potrebbe ammettere che non lo vuole vedere proprio per evitare l'eventualità che questo accada. Se non gli permette di avvicinarsi non corre alcun rischio e i piani fatti per la propria vita non vengono stravolti. Senza contare che sta parlando del figlio di Poseidone, come se potesse davvero mai esserci qualcosa tra loro due – oltre a quello che già c'è stato e a cui si impone di non pensare per non deconcentrarsi.
Percy Jackson è solo una distrazione passeggera senza alcuna importanza. È stato molto piacevole (e disastrosamente avventato) trascorrere una notte e parte del giorno successivo insieme, ma si è trattato un incontro isolato senza alcun futuro – come poteva sapere che era il figlio dell’acerrimo rivale di sua madre?
L'uomo presto perderà interesse nei suoi confronti, ne è certa, per cui non vale la pena sprecare tempo ed energie rimuginando sull'accaduto.
Osserva la planimetria, concentrandosi sul lavoro. Sua madre ne sarebbe orgogliosa.
 
(8 dicembre)
Con una pacata voce maschile negli auricolari intenta a leggerle Anna Karenina, Annabeth scende dal vagone e segue il flusso di persone che si dirige verso l'uscita senza prestare troppa attenzione all'ambiente che la circonda. Quando però raggiunge i tornelli, si accorge che accanto a lei c'è Percy e le si gela il sangue nelle vene – o forse il contrario? La speranza che lui non l'abbia notata non dura nemmeno un secondo, perché l'uomo si volta alla sua destra e la vede, aprendosi in un sorriso solare (troppo solare) che non viene ricambiato.
«Annabeth!» la saluta con aria giovale.
«Perseus» replica lei, oltrepassando i tornelli e cercando una via di fuga qualsiasi. L'audio libro, nel frattempo, continua a funzionare e Vronskij cade da cavallo durante una gara.
«Percy» la corregge «Nemmeno mia madre mi chiama Perseus».
«Come preferisci. È stato un piacere incontrarti, ora se non ti dispiace io devo andare».
«Oh sì, certo. Un piacere anche per me».
Intenzionata a mettere quanta più distanza tra se stessa e l'uomo, Annabeth si affretta ad uscire dalla metropolitana. Cammina con passo svelto, cercando inutilmente di concentrarsi sull'audiolibro che sembra aver improvvisamente perso ogni attrattiva.
Una decina di metri dopo, però, Percy è ancora dietro di lei e il sospetto che la stia seguendo le balena nelle mente offuscando ogni buon senso, tanto che ad un certo punto si ferma e si volta, cogliendolo in flagrante – o almeno così crede. L'uomo infatti dista pochi passi; lo guarda con aria accusatoria e lui deve intuire i suoi pensieri perché le si ferma accanto e si giustifica.
«Non ti sto seguendo. Abito a un isolato di distanza» e vedendola non del tutto convinta aggiunge «Se vuoi ti faccio vedere».
Arrabbiata più con se stessa per aver ceduto ad un comportamento così irrazionale che con lui per essere, beh, per essere semplicemente lui, Annabeth si sistema la borsa sulla spalla e procede per la sua strada senza più voltarsi. La sensazione che Percy, sorridendo, l'abbia seguita con lo sguardo fino a quando non ha raggiunto il suo portone non la lascia nemmeno una volta raggiunto il suo appartamento.
C'è qualcosa negli occhi verdi dell'uomo che la destabilizza e le fa desiderare cose che si era detta non volere e di cui non aver assolutamente bisogno. Per quanto si ripeta che Percy Jackson è una distrazione passeggera a cui lei può benissimo resistere, il sospetto che forse non sia così si insinua nella sua mente e inizia a tormentarla senza lasciarle più pace. Soprattutto perché da qualche nel suo appartamento c’è ancora lo scontrino su cui le ha scritto il numero.
 
(11 dicembre)
«Cosa ci fai tu qui?» gli chiede, allibita. Che Reyna fosse a conoscenza della sua presenza e abbia complottato con Piper per farli incontrare? No, poco probabile, la donna è bloccata a letto con l'influenza e non poteva sapere che lui ci sarebbe stato. Semplicemente, Perseus Jackson è diventato una persecuzione. Prima la metropolitana, poi la piscina (perché non poteva non incontrarlo mezzo nudo in piscina – con tutte le piscine che ci sono a Manhattan) e ora la galleria d’arte.
«Sono stato invitato» replica lui senza perdere il sorriso, nuovamente impeccabile in completo da sera nero che non avrebbe mai detto che un uomo come lui avrebbe indossato – e invece «Conosco Nico Di Angelo e Rachel, l’artista, è una mia amica».
«Ovviamente» ribatte lei, prima di lasciarlo per recuperare uno flûte da uno dei camerieri. Quella che sarebbe dovuta essere una piacevole serata, si è trasformata nel giro di pochi minuti in una vera e propria agonia, perché ormai lo conosce abbastanza da sapere che finché lei resterà lì non la lascerà in pace e le sue previsioni, come al solito, risultano esatte.
È già passata un'ora da quando lei e Reyna sono arrivate, sessanta minuti in cui ha continuato ad avvertire una fastidiosa sensazione alla base della nuca, come un prurito, e Percy Jackson ne è la causa. Per tutto il tempo, infatti, non ha fatto altro che sentire il suo sguardo su di sé – e combattere contro l'impulso di girarsi. Impulso che in quel preciso momento, mentre Reyna sta salutando Nico Di Angelo, ha la meglio.
Quando si volta, però, di lui non c'è traccia. Dovrebbe esserne sollevata, invece scopre di essere contrariata se non addirittura delusa. Allunga la mano verso il vassoio di uno dei camerieri per prendere un altro flûte e lo svuota immediatamente del suo contenuto, restituendolo con malcelata stizza: le sue stesse reazioni alla presenza (o in questo caso all'assenza) di Percy la irritano perché contraddicono le sue intenzioni. Non vuole avere più nulla a che fare con l'uomo, eppure non riesce a fare a meno di lui: ha trovato estremamente fastidioso essere osservata per tutta la serata ma allo stesso tempo anche lusinghiero, tanto da non poter sopportare di non essere più al centro delle sue attenzioni, tanto da iniziare cercarlo tra gli invitati. Annabeth non accetta una simile insubordinazione del proprio corpo (del proprio cuore, direbbe Piper) nei confronti della sua stessa volontà, tuttavia non può fare a meno di spostarsi nelle altre sale e di scorrere con lo sguardo tra le persone presenti. Avvista Persefone Di Angelo in compagnia di quella che intuisce essere sua madre e persino quello che, secondo le descrizioni di Piper, dovrebbe essere Jason Grace e che ricorda aver già incrociato al party di Era; per alcuni interminabili minuti si trova perfino incastrata con un giornalista di Architectural Record, incontro che in un’altra occasione avrebbe sicuramente trovato interessante, ma che in quel momento è solo noioso.
Quando finalmente lo trova, Percy è in compagnia di una giovane donna dalla ribelle chioma rossa (Rachel Elizabeth Dare) con la quale sembra davvero in intimità e che deve avergli raccontato qualcosa di divertente, perché lui sta ridendo ed è una di quelle sue risate che raggiungono lo sguardo e sono contagiose. Le ricorda bene nonostante abbia trascorso con lui solo mezza giornata – è un notte, ma non conta, era impegnati a fare altro come la mattina successiva. Inoltre nota con fastidio che sono vicini, troppo vicini. Le ha detto che è un'amica, ma Annabeth prova l'irrazionale impulso di separarli e la cosa la turba profondamente.
Prima che Percy si accorga di essere osservato e la scopra in flagrante, Annabeth decide di andarsene non solo dalla sala ma dall'intera galleria. Riconosce che si tratta di una reazione un po' esagerata dal momento che sono giorni che ripete di non voler avere nulla a che fare con lui, tuttavia si sforza di non pensarci troppo. Reprime la riflessione in un angolo della sua mente e a Reyna dice di avere mal di testa e non sentirsi troppo bene. L'amica si offre di accompagnarla a casa, ma Annabeth non vuole rovinarle la serata per cui recuperato il cappotto chiama un taxi.
Lo attende all'esterno, incurante dell'aria gelida e della neve che inizia fioccare leggera, e quando la macchina accosta davanti a lei una decina di minuti dopo il freddo che avrebbe dovuto aiutarla a schiarirsi le idee, che avrebbe dovuto permetterle di studiare con obiettività l'intera situazione e di prendere le distanze non ha fatto il suo lavoro. Tra sé e sé impreca.
Da quando ha conosciuto Percy, non riesce più ad essere obiettiva e razionale come un tempo e questo la fa arrabbiare e la spaventa al tempo stesso. Sua madre le ha sempre detto che la mente non deve essere vittima del cuore, mai, in nessun momento. Quando accade, non ne viene mai nulla di buono. Per anni ha ascoltato i suoi rari consigli e seguito il suo esempio, per anni.
Chissà cosa direbbe se scoprisse che ho fallito, pensa con un sospiro: mentre il taxi la riporta a casa, Annabeth finalmente ammette a se stessa che Percy Jackson le piace, ma non si sente meglio. Tutto quello non era previsto e non sopporta non seguire i piani.
 
(13 dicembre)
«Non so cosa tu stia aspettando» le dice Piper dall'altra parte del telefono la mattina seguente «È chiaro che lui è interessato a te e che tu sei, non negarlo, interessata a lui. Se stai per dirmi che i vostri genitori si detestano, sappi che questa scusa non è valida e che non ti credo».
«E tu, con Jason, cosa stai aspettando?» le domanda dispettosa.
«Non è la stessa cosa. Jason è concentrato sul lavoro, ha un sacco di responsabilità e...»
«E?» la incalza.
«E non è di me e Jason che si sta parlando, ma di te e Percy. Non glissare e scrivigli. Digli che vuoi uscire con lui» ribatte l'amica «Se non lo fai tu, lo faccio io per te».
Annabeth non è per nulla convinta, ma la voce di Piper è decisa nonostante abbia ancora la febbre e alla fine, dopo aver esitato ancora un po', cerca lo scontrino su cui lui aveva scritto il suo numero e segue il consiglio dell’amica. Sei libero oggi pomeriggio? digita e invia senza pensarci un secondo di più. Percy le risponde affermativamente una ventina di minuti dopo, aggiungendo che passerà lui a prenderla alle quattro. Per un po' Annabeth fissa lo schermo del telefono, disorientata: non credeva che avrebbe davvero accettato, in fondo sono settimane che cerca di evitarlo, un'altra persona avrebbe rinunciato molto tempo prima – ma lui non è un’altra persona, è Perseus Jackson, trent’anni di scompigliati capelli corvini e modi fin troppo disinvolti.
Trascorre le ore che la separano dall'incontro controllando i termini di un contratto di appalto, ma fatica a concentrarsi e deve rileggere più volte i paragrafi prima che acquistino un senso. Non sa cosa aspettarsi da quel pomeriggio che trascorreranno insieme ed è più nervosa di quanto le piaccia ammettere. Quando finalmente arriva il momento di uscire di casa, Annabeth prende un respiro profondo e apre il portone di ingresso, scoprendo che Percy è già lì ad attenderla.
«Sapevo che avresti accettato» commenta l'uomo e lei lo guarda inarcando un sopracciglio «Ci sono voluti solo sedici giorni, ma ho avuto ragione» continua «Sono curioso però. Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Mi sono lasciata convincere dalla mia amica Piper».
«Mi sta già simpatica».
Suo malgrado, Annabeth sorride e sente la tensione scivolare lentamente via mentre percorrono Nortfolk Street fino a raggiungere Doughnut Plant («Qui fanno alcune delle migliori ciambelle che io abbia mai mangiato. Non puoi vivere nel Lower East Side e non averne provata nemmeno una»).
Temeva ci sarebbero stati silenzi imbarazzati, invece entrambi sembrano a proprio agio con la presenza dell'altro – come se fossero nati per stare insieme, ma cancella subito il pensiero. Ridono, scherzano e Annabeth si trova inevitabilmente difronte alla realtà, la stessa che ha cercato di negare: tra loro c'è chimica, c'è stata sin dal primo momento e c'è ancora nonostante nelle settimane precedenti abbia più volte cercato di allontanare l'uomo. Deve ammetterlo, le era mancato tutto quello. Lui, loro, il modo in cui riescono a portare avanti la conversazione anche se apparentemente non sembrano avere nulla in comune. La irrita e allo stesso tempo la affascina il modo che Percy ha di vedere e affrontare il mondo, ma soprattutto è terrificante come l’uomo le stia piano piano entrando sotto pelle dopo solo qualche chiacchiera. Sta accadendo esattamente ciò che temeva eppure non sta facendo nulla per impedirlo; come se davvero potesse – ora lo ha capito.
Sono le sette di sera e, dopo aver attraversato il Sarah Roosevelt Park e aver fatto un giro tra le strade di Little Italy, Percy la porta da Beauty & Essex, un ristorante in Essex Street letteralmente dietro casa sua. Sono seduti ad uno dei tavolini del locale con due calici di vino quando finiscono per parlare dei loro genitori.
Percy le racconta di come sua madre lo abbia cresciuto da solo, dei doppi turni di lavoro, delle gite a Montauk (le uniche vacanze che abbia mai fatto), della sua istruzione nelle scuole pubbliche. Poseidone è arrivato tardi nella sua vita, quando aveva vent’anni, ed è stato strano. Per tutto quel tempo aveva fatto a meno di una figura paterna e non se l'era cavata poi così male. Poi lui gli ha offerto un posto alla Maersk e si è detto perché no? Per un periodo quindi ci ha provato: ha seguito dei corsi e poi ha indossato giacca e cravatta, interessandosi ai trasporti marittimi. È stato anche alcuni mesi in Danimarca, il paese d'origine della compagnia prima che suo padre acquistasse le quote di maggioranza e ne diventasse di fatto il proprietario; la sede storica rimane però a Copenaghen. Annabeth cerca di immaginarlo dietro ad una scrivania, ma fa fatica e Percy infatti le dice che quella vita non fa per lui. Poseidone lo ha accettato, aprendogli un conto in banca forse per rimediare agli anni perduti e chiedendogli solo di farsi vivo ogni tanto, come al party di Era. La prima cosa che ha fatto con i soldi di suo è stato saldare i debiti di sua madre e comprarle una casa nel Queens.
Annabeth non è solita parlare della propria famiglia, è un argomento che la spinge sulla difensiva e questa volta non è differente dalle altre, tuttavia qualcosa nel profilo dell'uomo accanto a lei le suggerisce che aprirsi non può farle male. Per qualche istante è in conflitto con se stessa, i muscoli delle spalle tesi e una vaga sensazione di ansia ad opprimerle il petto. Dal momento però in cui decide di raccontargli di suo padre e della sua nuova famiglia, sente la tensione sciogliersi. Ogni parola è un peso in meno e alla fine deve ammettere di sentirsi più leggera, un po' a disagio per aver svelato così tante cose su di sé ma meglio.
«E tua madre?» le chiede Percy dopo aver ascoltato con aria attenta e seria.
Sua madre. In confronto, parlare di Frederick Chase è stato semplice. Atena è la donna più intelligente e in gamba che lei abbia mai conosciuto, il suo modello, la sua rivale. In molti le hanno detto di essere la sua degna erede e di assomigliarle moltissimo non solo nella mente ma anche nell'aspetto. La rispetta, la stima, a suo modo le vuole bene e sa che anche Atena è affezionata a lei nonostante abbia rinunciato alla sua custodia quando era piccola, tuttavia non è semplice essere sua figlia. Essere in costante competizione è, alla lunga, sfiancante, per questo si è allontanata e ha scelto di eccellere in un ambito che sua madre non ha ancora preso in considerazione: l'architettura. Voleva qualcosa di tutto suo e ce l'ha fatta, ma il confronto con la donna che l'ha messa al mondo è sempre in agguato, è in ogni piccola cosa, in ogni singola scelta.
«Mia madre» rivela alla fine «Rappresenta quella voce nella mia testa che mi dice di fare sempre meglio. Di non accontentarmi di un bel voto se ne posso prenderne uno di più alto».
«Aspetta» la interrompe Percy «Hai preso un voto basso?»
 
(15 dicembre)
Mentre esce dall'ufficio e prende l'ascensore Annabeth si sente emozionata all'idea di rivedere Percy e scuote il capo, disapprovando il suo stesso comportamento. Ma non può fare altro, perché ormai il cuore ha preso il sopravvento sul buon senso, per cui non le resta che lasciarsi andare e vedere dove quella storia la porterà.
L'uomo la aspetta davanti la grande pista di pattinaggio e non appena la individua tra le persone che entrano ed escono dal grattacielo sul suo volto compare un sorriso luminoso che questa volta viene ricambiato. Al suo fianco, si accorge, c’è un grande e peloso Terranova nero che attira le attenzioni di alcuni bambini.
«Annabeth, ti presento Mrs. O’Leary» le dice e il cane inizia ad annusarla, lasciandosi poi accarezzare e iniziando a scodinzolare.
«Ti dispiace se passiamo un secondo da mia madre?» le chiede mentre si stanno allontanando dal complesso del Rockfeller Center «Devo lasciarle Mrs. O’Leary perché al New York Aquarium sono a corto di personale e mi hanno chiesto se posso iniziare già domani. Mrs. O’Leary non gradisce restare da sola tutto il giorno. Mia madre ora non è in casa, ma aspetta il cane».
Annabeth, che all'inizio della frase si è irrigidita temendo che Percy le stesse proponendo di conoscere Sally Jackson, si rilassa e annuisce, seguendolo fino a quando non arrivano nel Queens. Non era ciò che si aspettava di fare quel pomeriggio: hanno dovuto prendere l’autobus, cambiare la metropolitana due volte e ad un certo punto l'uomo ha avuto una discussione con un poliziotto. Annabeth ha così avuto modo di scoprire che il figlio di Poseidone è insofferente alle regole e all'autorità, cosa che in realtà non la stupisce. Vederlo interagire con quell'agente è stato come assistere in slow motion ad un incidente stradale e per evitare problemi è dovuta intervenire lei; sul momento non è stata un’esperienza divertente, ma ripensandoci non può fare a meno di ridere.
L’abitazione della signora Jackson in Blofis è una monofamiliare che si sviluppa su due piani, con un portico, un garage e un piccolo giardino circondato da una staccionata bianca. Assomiglia a un po’ tutte le altre case che ha visto affacciarsi sulla quella strada e nel complesso il quartiere sembra un posto tranquillo in cui vivere. Non appena il cancello viene aperto, Mrs. O’Leary si precipita sul prato imbiancato e fino a quel momento senza impronte.
«Ti aspetto qui» dice a Percy, infilando le mani nelle tasche del cappotto, ma lui insiste e poco dopo è all’interno, seguita dal cane che scodinzola felice riconoscendo l’ambiente familiare. L’ingresso coincide con il salotto e l’ambiente è caotico, ma è un caotico positivo. Ci sono tre librerie senza più spazio sugli scaffali, libri e riviste impilate su ogni superficie e alle pareti ci sono foto e quadri.
Raggiunge l’uomo in cucina, una bellissima cucina con un frigorifero enorme, e nonostante sia un po’ a disagio non può fare a meno di trovare confortevole la quella casa.
«Biscotti blu!» esclama Percy distraendosi dall'obiettivo della visita e precipitandosi sul piatto appoggiato sul tavolo, ignorando completamente il post it indirizzato a lui che gli vieta di toccare i dolci. Annabeth lo guarda perplessa, poi si accorge che i biscotti sono veramente blu e non sa bene che cosa pensare. Mentre allunga la mano per prenderne un altro, l'uomo le spiega che quella è una tradizione sua e di sua madre. All'inizio era l'originale modo di Sally Jackson di celebrare le occasioni speciali, il suo modo di dire che tutto è possibile: Percy riesce ad essere promosso all'anno successivo, i waffle possono essere blu. Con il tempo, poi, è diventata un'abitudine tanto che ancora adesso gli prepara cibo blu.
Mentre lui le racconta tutto questo, la porta di ingresso si apre e la padrona di casa li raggiunge in cucina, brontolando perché le zampe del cane non sono state pulite bene. Ha con sé diverse borse della spesa e sul tessuto del cappotto sono rimasti alcuni fiocchi di neve che iniziano velocemente a sciogliersi. Mrs. O’Leary sembra estasiata.
Annabeth si sente un po' morire perché quello è il tipo di situazione che avrebbe voluto evitare, ma la donna non sembra fare molto caso alla sua presenza. O meglio, non fa al caso al fatto che non si siano mai viste prima e si comporta con naturalezza; questo in qualche modo la aiuta a non sentirsi troppo a disagio.
«Percy, avevo anche lasciato un post it!» esclama con esasperazione, scuotendo il capo. I lunghi capelli castani ondeggiano sulle sue spalle e Annabeth nota che è davvero una bella donna.
«È stata lei» ribatte il figlio, indicandola, ma Sally non lo prende nemmeno in considerazione e si avvicina per controllare i biscotti.
«Beh, almeno si sono raffreddati» commenta e poi si rivolge a lei «Assaggiane pure uno. Tu puoi».
Annabeth in un'altra occasione probabilmente avrebbe rifiutato, desiderosa di andarsene al più presto, ma non capita tutti i giorni di poter mangiare dei biscotti blu e alla fine vince la curiosità.
«Volete un tè?» domanda poi la donna togliendosi il cappotto, ma Percy per fortuna scuote il capo.
«No, siamo passati solo per lasciarti Mrs. O’Leary».
«Scusa» le dice mentre escono e dal tono sembra sincero «Non era previsto che tornasse».
Lei annuisce freddamente, ma poi decide di non lasciare che l'episodio influisca sulla loro uscita.
«Può essere che io abbia già visto tua madre? In libreria magari, sugli scaffali?»
«Sì» replica Percy, l'espressione nuovamente serena mentre raggiungono la fermata della metropolitana più vicina «Ha scritto una saga per ragazzi. La conosci?»
«Non esattamente. I miei fratellastri amavano i suoi libri. Un Natale ho regalato loro l'ultimo volume».
«Erano le storie che mi raccontava da piccolo» le rivela con aria nostalgica, sistemandosi meglio la sciarpa. La temperatura deve essersi abbassata ulteriormente, perché fa ancora più freddo, inoltre ha iniziato a soffiare un fastidioso e gelido vento che si insinua sotto i giubbotti.
«Davvero?»
«Me le raccontava per farmi addormentare e più crescevo, più si arricchivano di dettagli. Alla fine si sono trasformate in una saga» le spiega «Diventare una scrittrice è sempre stato il suo sogno».
«E il tuo?» chiede seguendolo tra i corridoi della metropolitana ed evitando all’ultimo secondo di scontrarsi con una coppia di turisti «Tu sai qual è il mio, costruire qualcosa destinato a durare nel tempo. Il tuo sogno invece qual è?»
«Non saprei».
L’uomo si stringe nelle spalle, prendendo posto sulla banchina affollata. Il treno arriverà tra cinque minuti e attorno a loro le persone chiacchierano e ridono e dall’altra parte dei binari proviene la musica di un suonatore di strada.
«Non ci credo. Avrai un'ambizione. Pensa a quando andavi a scuola cosa e a cosa avresti voluto fare da grande».
«Il biologo marino» replica questa volta senza esitazioni, lo sguardo velato di malinconia e un accenno di sorriso ad increspargli appena le labbra. Non è la risposta che si aspettava (pensava a qualcosa di più rocambolesco), ma ammette che è in linea con la sua passione per l'oceano.
«Potresti tornare all'università» gli suggerisce mentre il treno si ferma con uno stridio acuto.        
«Ho trent'anni, credo sia troppo tardi» ribatte lui, facendo passare le persone che scendono e poi salendo sul mezzo.
«Non è mai troppo tardi per imparare cose nuove» risponde.
Le porte del vagone si chiudono e il treno riparte sfrecciando nella galleria.
 
(17 dicembre)
Non appena esce dall'edificio viene investita da una folata di vento polare carico di neve e considera che forse le previsioni meteo non mentivano quando quella mattina dicevano che entro sera New York sarebbe stata colpita da una bufera di neve che avrebbe messo in ginocchio la città.
La piazza antistante il complesso Rockfeller, di solito sempre gremita di persone anche nei giorni precedenti nonostante la temperatura mai superiore allo zero, è ora quasi deserta, per cui non faticata ad accorgersi che davanti la pista da pattinaggio c'è Percy. L'uomo guarda nella sua direzione e sembra che stia attendendo proprio lei, apparentemente incurante del freddo.
«Cosa ci fai qui?» gli chiede dopo averlo raggiunto, rabbrividendo e stringendosi nel pesante giubbotto. La neve nel frattempo continua a cadere al suolo e lo fa vorticando furiosamente nell’aria. Il New York Aquarium deve aver chiuso e mandato a casa i dipendenti.
«Passavo di qui» replica lui vagamente, ma è ovvio che non sia così e Annabeth non ha bisogno di indagare ulteriormente per capire che è lì perché intende rimediare per l'altro giorno – incontrare Sally Jackson non era nei programmi di nessuno dei due. La cosa la mette di buon umore.
«Torni a casa? Ti dispiace se ti accompagno?» le chiede e al suo cenno di assenso aggiunge con sorriso «E se mi siedo accanto a te in metropolitana?»
«È un mezzo di trasporto pubblico» replica, incamminandosi con Percy verso la fermata fortunatamente poco distante. Le raffiche di vento, infatti, sono così forti che procedere lungo la strada è faticoso.
Nonostante il maltempo che imperversa su New York in quelle settimane e la tempesta di neve che si è scatenata quel pomeriggio, la metropolitana è affollata: oltre agli abitanti rimasti in città, ci sono anche molti turisti che non si sono lasciati scoraggiare dalle previsioni atmosferiche. Molti sembrano provenire dall'altra parte del mondo e Annabeth sente di capirli, nemmeno lei rinuncerebbe a vedere le bellezze architettoniche, sebbene sospetti che molti di loro siano a New York principalmente per Time Square e per la Statua della Libertà.
Sono da qualche parte tra Chelsea e l'East Village, hanno appena miracolosamente trovato due posti vicini e Percy le sta raccontando alcuni aneddoti dei tempi non troppo lontani in cui consegnava pizze a domicilio, quando le luci sfarfallano all’improvviso e il vagone rallenta fino a fermarsi nel buio della galleria. Mentre le luci di emergenza si attivano, un coro di voci sbuffa e si lamenta. Poi, quasi nello stesso momento, i passeggeri prendono in mano i loro telefoni: un alone di luce azzurrina investe i loro volti sempre più corrucciati e seccati e nonostante l'assenza di campo continuano a cercare di comunicare con l'esterno.
Percy all’improvviso si appiattisce contro il sedile, infossando la testa nella sciarpa, e Annabeth lo guarda con aria interrogativa. L'uomo allora le indica con lo sguardo una donna in piedi in fondo il vagone.
«Eravamo al liceo insieme» le spiega «Per sbaglio ho dato fuoco ai suoi pon pon da cheerleader e da allora mi odia».
«Dovevi essere un ragazzo terribile» replica Annabeth, senza riuscire a reprimere un sorriso divertito. Percy allora inizia a raccontarle aneddoti sulla sua adolescenza, come l'incidente con il cannone a Saratoga o la volta in cui ha allagato i bagni, ed entrambi scivolano in una bolla di intimità, dimenticandosi completamente di essere bloccati a diversi metri dalla superficie.
 
(22 dicembre)
Oltre i vetri l'Hudson riflette placidamente le luci della città, mentre la neve fiocca leggera e si perde nella notte che avanza e che preme contro le ampie finestre di quel lussuoso appartamento in West Street.
La vista dal soggiorno di Reyna è sempre molto bella, ma la sua attenzione viene dirottata su Piper che la raggiunge con due bicchieri, uno per sé e uno per lei. Non la vede da qualche giorno, complici gli impegni lavorativi, la presenza di un uomo nella sua vita e il maltempo, e già le sembra che qualcosa in lei sia cambiato, come se fosse improvvisamente più sicura e consapevole di se stessa. La padrona di casa la segue e accomodandosi su una delle poltrone propone un brindisi.
«A Piper, che finalmente ha trovato un lavoro che le piace e che non deve cercarsi un nuovo coinquilino».
«Dov'era finito?»
«Bloccato da qualche parte nel Queens, ad Arverne. La bufera ha isolato la casa in cui ha trovato riparo, l'iPhone era scarico e quando hanno ripristinato la linea fissa si è dimenticato di avvisarmi. Credo siano stati i quattro peggiori giorni della mia vita» replica la donna, ma prima bere aggiunge «Un brindisi anche ad Annabeth che ha finalmente deciso di dare una possibilità a Percy Jackson».
Mentre il livello di Martini nei loro bicchieri si abbassa e le chiacchiere si mescolano alle risate, Piper si rivolge alla padrona di casa e le chiede da quanto tempo conosce la sorella di Jason, scoprendo così che lei e Talia Grace si frequentano già da un anno e mezzo.
«Qui allora ci vuole un brindisi anche a Reyna» afferma Annabeth e poi aggiunge «Contavi di dircelo prima o poi?»
La donna svuota il suo bicchiere e poi si alza per andare a riempirlo, la lunga treccia scura che ondeggia sulla schiena.
«Sì, no, non lo so?» replica dalla cucina, tornando poco dopo con la bottiglia «Non è una cosa seria».
«Ma va avanti da un anno e mezzo» fa notare Piper facendosi versare dell'altro Martini.
«Sei consapevole che ora dovrai raccontarci tutto?» le domanda Annabeth «E che una bottiglia non ci basterà?»
 
(24 dicembre)
È comodamente seduta sul suo nuovo divano, sotto una spessa coperta di pile, e sta riguardando Vacanze romane quando il telefono suona.
«Puoi venire in Vesey Street all'incrocio con la North End Avenue a Battery Park City?»
«Percy, è la vigilia di Natale, sono le dieci e mezza e fuori si gela» risponde mentre Anna e Joe percorrono le strade assolate di Roma in Vespa.
«È importante, ti prego».
«Spera che lo sia» replica, mentre mette in pausa il film.
«Lo sarà» ribatte l'uomo prima di chiudere la chiamata e il tono serio con cui lo dice non lascia spazio a dubbi.
Annabeth indossa la giacca e gli scarponi e avvolge intorno al collo una spessa sciarpa di lana, quindi esce e cerca un taxi che poco dopo la porta nel luogo indicato da Percy. Prima di scendere l'autista le augura buon Natale e lei ricambia, rabbrividendo per l'aria fredda che la investe aprendo lo sportello.
Stringendosi nella giacca si guarda attorno e cerca di capire il senso della loro presenza in quel quartiere la notte della vigilia. Alle sue spalle c'è il Financial District con Wall Street, la sede della Federal Reserve e l'attico di Jason; davanti c'è un grattacielo fronteggiato da un giardino e oltre l'edificio una banchina lambita dalle acque scure dell'Hudson.
Si concentra sulla strada e pensa a tutto ciò che sa su Vesey Street, che non è molto ma è comunque qualcosa. Dubita che Percy le abbia chiesto di incontrarla lì per il cinema o per l'American Express Tower a pochi metri di distanza, esempio di architettura postmoderna e uno degli edifici attualmente più alti della città. Focalizza quindi la sua attenzione sul grattacielo davanti al quale l'uomo la sta aspettando con le mani nelle tasche del parka blu e non riconosce l'opera di nessun architetto famoso, tuttavia qualcosa inizia a muoversi nella sua memoria fino a quando non ricorda che da qualche parte a Battery Park City (molto presumibilmente dove si trovano loro in quel momento) c'è la sede del New York Mercantile Exchange.
Percy nel frattempo non ha fatto altro che guardarla come se al mondo non esistesse altro che lei e la cosa l'ha un po' destabilizzata. Il brivido che le attraversa la schiena mentre gli si avvicina non ha nulla a che fare con il freddo e ripensa a quella notte, di alcune settimane fa, in cui ha baciato uno sconosciuto, lo ha portato nel suo nuovo appartamento ancora mezzo vuoto e lo ha fatto entrare nel suo letto senza sapere che in realtà lo stava facendo entrare nella sua vita e nel suo cuore.
«Riconosci il posto?» le chiede cingendole i fianchi «Qui è dove la rivalità dei nostri genitori ha avuto inizio. E sempre qui è dove ora ha fine» continua attirandola improvvisamente a sé per un bacio impetuoso a cui lei non si sottrae, circondandogli il collo con le braccia. Ora è finalmente in grado di ammettere che tutto quello le era mancato e che forse non era previsto dai suoi piani per il futuro, ma non importa perché la rende felice.
Quando un fiocco di neve si insinua tra le loro labbra, sciogliendosi, entrambi sembrano ricordarsi che i loro polmoni hanno bisogno di ossigeno. Il bacio termina controvoglia, perché nessuno dei due ha voglia di porvi fine, e li lascia ansimanti fronte contro fronte, con i respiri che si condensano nell'aria gelida.
Prima di andarsene rimangono così per un tempo indefinito, incuranti della temperatura che da alcuni giorni è sì salita di qualche grado, ma è rimasta sempre molto bassa e mai sopra lo zero; Annabeth è talmente accaldata che quasi non sente più il freddo e sospetta che per Percy valga la stessa cosa.
«Domani vieni a pranzo da mia madre?» le chiede lui non appena il respiro si è regolarizzato.
«Non ti sembra di star correndo un po' troppo?» domanda, mordendosi un labbro per non sorridere. Percy scuote il capo, stringendosi a lei mentre si incamminano.
«Hai già conosciuto Sally e so per certo che le sei piaciuta. Qualcosa mi suggerisce che anche lei sia piaciuta a te. E poi ci saranno anche il mio migliore Grover e la sua ragazza, Juniper, e mio fratello. Ci sarà anche Tyson e gli ho parlato così tanto di te che già ti adora. Non puoi mancare».
«Hai parlato di me a tuo fratello?»
«Ho parlato di te a tutta la famiglia» replica, ridendo.




 
   
 
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