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Autore: Kara    26/02/2009    8 recensioni
La mia versione di una storia d'amore tra Teppei e Hajime raccontata attraverso ventisei drabble, tante quante sono le lettere dell'alfabeto. [Questa fic partecipa alla Alphabet!Challenge lanciata da PucchykoGirl]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Taki/Ted Carter, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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From alphabet with love 

Ai shiteru(1). Ti amo.
Hajime lo aveva sussurrato a bassa voce, riluttante, come se le parole avessero premuto a forza nella sua gola, decise a uscire contro la sua stessa volontà. Non avrebbe voluto pronunciarle ma non aveva potuto farne a meno. Rappresentavano un legame e lui odiava i legami. Voleva essere libero. 
All’epoca Teppei non aveva colto quella sua ritrosia, non aveva visto l’ombra che velava i suoi profondi occhi neri. In quel momento si era sentito l’essere più felice della Terra. L’aveva stretto forte a sé e l’aveva baciato, appassionatamente.
Se l’avesse colta, avrebbe evitato di soffrire, dopo.

Bugie, quelle che Hajime non sapeva raccontare, almeno non a Teppei.
Al riccioluto centravanti bastava una semplice occhiata per cogliere l’amato in fallo.
Hajime lo aveva capito e, dopo la prima volta, non aveva mai più provato a ingannarlo.
Sapeva che sarebbe stato inutile.
Teppei gli leggeva dentro come nemmeno sua madre era in grado di fare, e la cosa lo inquietava non poco, soprattutto perché a lei di cazzate ne aveva raccontate a bizzeffe.
Questo fatto gli creava non pochi problemi in tutte quelle piccole, insignificanti situazioni della vita quotidiana, quando un'innocente bugia poteva evitare lunghe e noiose discussioni.

Coperte, ovvero un’incazzatura continua.
Teppei odiava il freddo e aveva la mania di rubare le coperte. Spesso Hajime si svegliava in piena notte, gelato, e si ritrovava completamente scoperto mentre l’altro era avvolto da strati e strati di coltri. Per lui che amava dormire nudo era una vera e propria tortura.
Dopo un po' aveva capito quanto fosse inutile continuare a farlo presente a Teppei. L’amato si scusava e lo rassicurava che non l’avrebbe più fatto ma puntualmente il problema si ripeteva ogni santa notte che passavano insieme.
In attesa che arrivasse l’estate, aveva dovuto rassegnarsi e comprare un pigiama.

Denti sporgenti, quelli che facevano assomigliare Hajime al famoso castoro Chuck(2).
Erano il suo difetto fisico più evidente, quello per cui a scuola era stato spesso preso in giro, prima che diventasse abile a usare il pallone, prima che tutti gli “spiritosoni” venissero presi a calci, pardon, pallonate in culo.
Da allora nessuno aveva più osato dire nulla sui suoi denti.
A parte Teppei, che amava prenderlo teneramente in giro chiamandolo castorino.
Ma quando questo accadeva, Hajime non diceva nulla.
Soprattutto perché sapeva che quando Teppei lo chiamava castorino in un certo modo, si prospettava una notte di sesso selvaggio.

Erba, come quella del prato da calcio, del giardino di casa, lungo il corso del fiume che attraversa Nankatsu.
Amavano particolarmente fare l’amore sull’erba, costituiva per loro un richiamo irresistibile. Ed era bello rotolarsi sui suoi morbidi ciuffi, sentirla a contatto con la pelle nuda, mischiare le sue carezze alle loro, darsi e ricevere piacere inebriati dal suo fresco profumo.
E rialzarsi dopo l’amore, soddisfatti e appagati, ridendo, le mani tra i capelli nell’inutile tentativo di scrollarsela di dosso.
Poi... rinunciare... guardarsi... sorridere... e tornare a rotolarsi, sprofondando di nuovo in quell'accogliente materasso, pronti ad amarsi ancora, ancora e ancora.

Fare cose folli era tipico di Hajime e Teppei lo rimproverava spesso per questo.
Quella volta non lo fece.
Era il compleanno di Teppei.
Non potevano passarlo insieme a causa degli impegni di campionato.
A fine partita Teppei brindò con i compagni e andò a casa. Era triste. Non era ancora riuscito a parlare con Hajime. Il suo cellulare era irraggiungibile.
Dopo diverse ore, deluso e scazzato, andò a dormire. Aveva appena preso sonno che il campanello squillò. Mezzo addormentato andò ad aprire. I suoi occhi si spalancarono nel vedere l'amato con un mazzo di fiori in mano.
“Auguri Teppei”. 

Giudizio, quello che, a volte, Hajime non aveva. Teppei lo sapeva e l’amava lo stesso, anche se  l’avrebbe strozzato per certi suoi atteggiamenti infantili.
“Al mondo nessuno è perfetto” si diceva per consolarsi quando l’altro esagerava. “Il partner ideale non esiste”. Anche se, quando guardava Yuzo e Mamoru, che sembravano i fidanzatini di Peynet, qualche dubbio gli veniva.
Ma si sa, l’erba del vicino è sempre più verde.
Consapevole di questo, Teppei tornava a guardare il suo giardino.
E quando l’amato lo stringeva a sé e lo accarezzava, sentiva che non avrebbe voluto cambiare niente.
Lui era perfetto così com’era.   

Ho una cosina per te”.
“Cosa?”.
“Indovina?”. L'espressione furba negli occhi di Teppei incuriosì Hajime.
“Odio gli indovinelli!”.
“Con te non si può mai scherzare”. Teppei alzò lo sguardo al cielo e fece apparire da dietro la schiena un pacchettino accuratamente incartato.
Subito l'altro glielo sfilò di mano e lo scartò.
“Non ci posso credere!!”. Hajme fissò a bocca aperta il cd.
“Ti piace?” chiese l'attaccante, sorridendo.
“Come hai fatto ad averlo? Non è ancora in commercio!”.
“Ho le mie fonti” riuscì a sogghignare, prima che Hajime gli saltasse al collo per dimostrargli, a fatti, quanto gli piacesse il regalo. 

I gatti erano la passione di Teppei, li adorava, Hajime, al contrario, li detestava.
Inutile dire quale fu la sua reazione quando, recatosi a casa del fidanzato, trovò una piccola palla di pelo raggomitolata sul divano.
“Che cos'è quella roba?” chiese.
“Un gatto” rispose Teppei, prendendolo in braccio per mostrarglielo.
“Odio i gatti” replicò l'altro, corrucciato.
“Non ti darà fastidio, è così dolce!”
“Buttalo via!”
“Ma scherzi? Se non lo vuoi vicino basta dirlo, lo terrò nell'altra stanza quando ci sei tu”.
“Si certo... nell'altra stanza…” si ritrovò a pensare quella stessa notte Hajime, trovandosi il micio addormentato sulla pancia. 

Joji era il nome del bel ragazzo che serviva cocktail nel locale in cui Hajime si era recato con la sua squadra per festeggiare l'addio al celibato di un compagno.
Inizialmente non l'aveva degnato di un’occhiata, non gli interessavano gli altri uomini, aveva Teppei.
Poi, dopo un po', aveva iniziato a sentirsi irrequieto. Forse erano state le continue battute sui fili rossi del destino che univano per sempre due innamorati a innervosirlo(3). Improvvisamente, il suo amore per Teppei gli era sembrato un cappio al collo che lo stava lentamente soffocando.
La mattina dopo si era svegliato nel letto di Joji.

Kilometri che intercorrono tra le città di Tokyo e Osaka: cinquecento e rotti.
Teppei e Hajime li avevano percorsi ormai talmente tante volte, in entrambe le direzioni, da considerarli quasi come fedeli amici, di quelli che non ti abbandonano mai e ti tengono compagnia durante le lunghe ore trascorse in macchina.
Ma quando Hajime, con la coscienza sporca e la consapevolezza che presto sarebbe tutto cambiato, si era recato da Teppei, aveva avuto l’impressione che si fossero trasformati in tanti giudici, ognuno dei quali gli ripeteva a squarciagola, impietosamente, quanto coglione fosse.
Non serviva, lo sapeva già benissimo da solo.

 

Libertà. Era la cosa che Hajime amava sopra ogni altra cosa. Forse più di Teppei. Per questo lo aveva perso.
Quando la libertà aveva bussato alla sua porta, Hajime non aveva esitato ad aprire. Sapeva di rischiare grosso: quando Teppei fosse venuto a conoscenza del suo tradimento il loro mondo sarebbe crollato.

Così era puntualmente avvenuto.

A Teppei era bastato uno sguardo per capire e il pavimento gli si era spalancato sotto i piedi, inghiottendolo.

L’aveva fissato a lungo, con una strana espressione vuota che aveva spaventato Hajime.

Gli aveva voltato le spalle.

E se n’era andato.

Senza una parola.

 

Mamoru l’aveva preso per il bavero della giacca e sbattuto contro il muro quando era venuto a conoscenza dell’intera storia. E l’aveva saputo non da Teppei, che non aveva parlato con nessuno di quanto successo, ma dallo stesso Hajime che, bisognoso di scaricarsi la coscienza, gli aveva rivelato la sua colpa.
Mamoru l’aveva ascoltato in silenzio, arricciando il naso nel sentire le sue pietose argomentazioni.

“Libertà? Ma quale libertà?” aveva chiesto in tono duro. “Di saltare da un letto all’altro? Da un uomo all’altro? E’ questo il tuo concetto di libertà? Amore in cambio… di cosa? Vedi di crescere Hajime!”

Nostalgia di Teppei, delle sue labbra, della sua pelle, del suo profumo.
Vederlo ovunque, continuamente. Sui volti della gente che camminava per la strada, tra i tifosi che ogni settimana riempivano lo stadio, in salotto davanti alla tv, indaffarato a preparare il sushi, intento a lavarsi i denti.
Qualunque cosa, anche la più stupida, gli ricordava Teppei. Non voleva ammetterlo ma sentiva, ogni giorno di più, la sua mancanza.
Tentò di scacciare il suo spettro nell'unico modo che conosceva, uscendo e vedendo altri uomini, passando dall'uno all'altro come un folle, alla disperata ricerca di un modo per strapparselo dal cuore.

Ostinato, egoista e immaturo. Ecco cos'era. Quella constatazione gli piombò addosso in una fredda mattina, l'ennesima in cui si era risvegliato in un letto sconosciuto.
Aveva provato in tutti i modi a dimenticare l'unica persona che avesse mai amato e che, nonostante tutto, continuava ad amare.
Non aveva mai capito quanto, per lui, fosse importante Teppei, finché non l'aveva perso.
E ora che non aveva più alcun vincolo a tenerlo legato, ora che era libero di fare tutto ciò che voleva, ora che aveva la sua tanto agognata libertà, al cui altare aveva immolato anche l'amore... non sapeva cosa farsene.

Perdono. Non voleva altro. Il perdono e, forse, la possibilità di ricominciare da capo.
Solo… non sapeva come dirlo a Teppei.
Non era mai stato molto bravo con le parole e benché fosse seriamente pentito di quello che aveva fatto - e avesse finalmente capito che amore e libertà non sono due concetti antitetici ma che, anzi, l'amore è libertà e la libertà è amore - non riusciva a trovare il coraggio di parlargli.
Sapeva di averlo ferito profondamente, che non sarebbero bastate tutte le scuse del mondo per cancellare la sua colpa, nonostante ciò non era disposto ad arrendersi.

Quasi cinque mesi, tanto era il tempo trascorso da quando si erano lasciati.
Teppei sbatté le palpebre un paio di volte, sorpreso e incredulo, quando si ritrovò davanti Hajime, che aveva atteso il suo ritorno a casa seduto pazientemente davanti alla porta.
Fece una smorfia e cercò di passare oltre, ignorandolo.
“Aspetta Teppei. Io... devo parlarti...”
Si girò per lanciargli un'occhiata gelida.
“Non voglio ascoltarti”
“Ma io devo...”
“Smettila!”
Teppei lo tirò bruscamente in piedi e gli mollò un pugno.
“Io mi fidavo di te e tu mi hai tradito! Non c'è altro da dire. Vattene, non voglio più vederti!”.

 

Risate, come quelle a cui Teppei si abbandonava spesso. Rideva sempre, con gli occhi, con le labbra, con il cuore.

Sapeva ridere in un’infinita varietà di modi. Dalla risatina assonnata che si lasciava sfuggire la mattina quando Hajime lo svegliava stringendosi a lui, pronto a riprendere da dove avevano smesso la sera precedente, alla risata dolce e amorevole che accompagnava il lento scuotere della testa quando l’altro faceva qualcosa di buffo e inaspettatamente tenero.

Ed erano le sue risate quelle che ad Hajime mancavano di più da quando si erano separati.

Quel vuoto che gli riempiva le orecchie era terribile.

Sakura(4), la fioritura dei ciliegi.
Il periodo più bello dell'anno secondo Teppei, che l’accoglieva con gioia. Aveva una vera e propria predilezione per quegli alberi dai meravigliosi fiori rosa. Quando aveva un problema, gli bastava passeggiare in un boschetto di ciliegi per sentirsi subito rinfrancato.
Questa volta, però, nemmeno gli amati alberi potevano alleviare la sua pena.
Non riuscivano a lenire il dolore del suo cuore spezzato.
Soffriva come non aveva mai sofferto in vita sua.
Soffriva per un rapporto distrutto, per un amore perso, per una fiducia calpestata.
Più di tutto, soffriva perché sentiva profondamente la mancanza di Hajime.

Teppei aveva scacciato in malo modo Hajime la volta che aveva provato a parlargli di persona, troncava la comunicazione quando sentiva la sua voce al telefono e aveva respinto al mittente tutte le mail che gli aveva spedito.
Sembrava fermamente deciso a tagliarlo fuori dalla sua vita ma l’altro non era disposto a permetterglielo.
Se, come si dice, la sofferenza aiuta a crescere, Hajime aveva fatto passi da gigante in quella direzione.
Yuzo era rimasto sorpreso dal suo cambiamento e stentava a riconoscere, in quel ragazzo serio e disciplinato, il giovane irresponsabile che era stato fino a pochi mesi prima.

Una volta ancora l'uno di fronte all'altro.
“Perché ti ostini a non capire che non voglio più vederti?” non c'era astio nella voce di Teppei, solo tanta stanchezza.
“Sì che l'ho capito” rispose Hajime con espressione triste. “Vorrei solo che ascoltassi quello che ho da dirti. Poi me ne andrò e non ti cercherò più”.
“Ho altra scelta?” chiese Teppei, senza togliergli gli occhi di dosso. Era dimagrito, notò.
Aveva provato in tutti i modi a dimenticarlo ma non c'era riuscito.
Avrebbe dovuto odiarlo per quello che gli aveva fatto ma non poteva.
Oltre l’amarezza, oltre il dolore, c’era l’amore.

Voglio te!”.
L'intensità dei sentimenti contenuti in quelle due parole fece sobbalzare entrambi.
Hajime fu il primo a sorprendersi, non era certo quello il discorso che si era preparato durante il lungo viaggio verso Osaka.
Non voleva giustificarsi, aveva sbagliato ed era giusto che si assumesse la responsabilità delle sue azioni, anche se questo significava dover rinunciare per sempre a Teppei.
Allo stesso tempo, però, sentiva di dovergli una spiegazione per il suo comportamento e delle scuse.
Quello che era appena uscito dalla sua bocca non era nulla di tutto questo e poteva solo complicare le cose.
Confuso, fissò l’altro.

Wata...(5)”. Teppei scosse la testa. “Io...” riprovò.
Poi tacque.
Il silenzio si protrasse a lungo.
Nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare.
Farlo avrebbe significato mettere fine a quell'incontro.
Ne erano entrambi consapevoli.
Hajime avrebbe dato le sue spiegazioni e se ne sarebbe andato, Teppei le avrebbe ascoltate ma non l'avrebbe trattenuto.
Non gli era possibile.
Aveva sempre attribuito un'enorme importanza alla fiducia, per lui era il fondamento di ogni rapporto, distruggere la fiducia equivaleva a distruggere il rapporto.
Eppure... contrariamente a ogni logica, a ogni ragionamento, non voleva che Hajime se ne andasse, non voleva vivere senza di lui.

X come una bella croce sopra. Il destino verso cui si avviava la loro relazione.
Hajime chinò la testa e accettò il verdetto. Contrasse la mascella, sentendo le lacrime spuntare tra le ciglia. Sorrise amaramente.
Dopotutto cosa si aspettava?
Chi rompe paga e i cocci sono suoi. Così dice il proverbio.
Però... Dio che male fa raccogliere i cocci di un cuore a pezzi!
“Non sono riuscito a dirti quello che volevo ma non ha più importanza” mormorò, ingoiando a fatica il groppo che sentiva in gola. “Non voglio abusare oltre della tua pazienza, ti ho già fatto soffrire abbastanza”.

Yuzo aveva ragione” fu il pensiero di Teppei.
Hajime era cambiato.
Lo stupiva che avesse accettato la sua decisione senza rimostranze. Fino a qualche mese prima avrebbe puntato i piedi come un bambino viziato e avrebbe fatto di tutto per ottenere quello che voleva, cioè lui.
Quella scoperta fu la spinta decisiva.
Lo amava ancora, gli era mancato terribilmente, senza di lui stava male.
Perché non provarci di nuovo?
“Aspetta!” .
Senza un esitazione, senza un ripensamento, lo strinse contro il suo corpo e lo baciò a lungo. Con amore, con passione, con desiderio.
Tra le sue braccia, Hajime pianse.

Zitto...” mormorò dolcemente Teppei, posandogli un dito sulle labbra, quando Hajime, tra le lacrime, aprì la bocca per scusarsi e spiegare.
Non voleva parlare del passato, non voleva ripensare al profondo dolore che aveva scandito ogni minuto di quei lunghissimi e maledetti mesi che avevano passato l’uno lontano dall’altro.
Avrebbero discusso in seguito e chiarito ogni punto ma non era quello il momento giusto.
Il loro amore era passato attraverso numerose prove, tante quante sono le lettere dell’alfabeto, ed era miracolosamente sopravvissuto.
Era tempo di ricominciare da capo.
“Ai shiteru” sussurrò Hajime.
Questa volta non c’erano ombre nei suoi occhi.

  

(1) Ai shiteru in giapponese significa ti amo, almeno secondo i vari siti internet LOL.

(2) Il riferimento è al protagonista di “Don Chuck monogatari” in Italia conosciuto come “Don Chuck castoro”.

(3) Il riferimento è al dio mitologico Gekka-o, che era solito legare i piedi degli innamorati con dei fili di seta rossa.

(4) Sakura è il nome giapponese dato ai ciliegi ornamentali il “prunus serrulata” e ai suoi fiori.

(5) Watashi, la prima persona singolare in giapponese. Ora… so che per i pronomi ci sono varie forme, alcune delle quali più adatte ai maschi ma, c’è un ma, io il giapponese non lo conosco e questa informazione l’ho trovata navigando su internet, se ho sbagliato chiedo venia. Inoltre invoco la licenza poetica, arrivati a quel punto della storia oltre a chiedere un wafer (abbiate pietà, sono a dieta LOL) non mi veniva in mente altro. LOLbis

 

  Fine...

 

...e palla al centro.

Dunque... mamma mia che faticata! Non solo scrivere ventisei drabble da cento parole l'una ma farlo cercando di narrare una storia completa. E la cosa non è affatto facile, soprattutto quando, giunta alla fine e quindi al momento clou, ti ritrovi a combattere con le lettere più bastarde dell'alfabeto. Senza contare, poi, se i personaggi decidono di fregarsene di quel minimo di programmazione che hai fatto per la prima volta in vita tua e di reagire in modo completamente diverso da quel che pensavi. In poche parole un massacro. Ovviamente il mio. Loro sono beati e tranquilli adesso. 
Dico solo che sono rimasta un'ora ferma alla lettera W. Io fissavo Teppei, lui fissava il muro, io che aspettavo, penna in mano che dicesse qualcosa, lui che nemmeno sapeva perchè stava al mondo, la mia espressione che ad un certo punto era diventata simile a quella dei Fantastici Quattro di Melanto, lui che continuava a vagheggiare. Insomma... due cretini fatti e finiti. 
Comunque, alla fine, è andata. L'intervento è riuscito e il paziente (io) è morto. LOL

Credits:

I personaggi di Capitan Tsubasa sono di Yoichi Takahashi che ne detiene tutti i diritti.

Ringraziamenti:

A Eos75 che s'è sorbita me e i due dementi (ma proprio lettera per lettera LOL), che ha avuto la pazienza di betare (solo per questo dovrebbe essere fatta Santa) e per avermi suggerito la lettera X, prima che arrivassi al punto di scrivere che la X indicava il punto in cui scavare per trovare le tombe dei suddetti dementi. E la mia.

A Melanto che ha avuto il coraggio di definire carini 'sti due.

A Pucchyko che s'è inventata questa nuova forma di tortura e che, sono sicura, riceverà presto la Guantanamo's member card.

Alla mia amica Monja che, bontà sua, apprezza le mie castronerie.

A tutti voi che avete avuto la pazienza di arrivare a leggere fin qua. 

 

  
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