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Autore: Barbara Baumgarten    14/11/2015    1 recensioni
In un universo Cyberpunk, Ruby lotta per sopravvivere. L'umanità è stata costretta a vivere nei Quartieri: zone isolate sparse nel sottosuolo della Terra. La criminalità organizzata è gestita da Fobetore, capo del Quartiere 1, e si svolge per lo più in Icelus, una realtà virtuale. Ma un giorno, quella vita sempre uguale, verrà stravolta e Ruby si troverà a dover fare i conti con se stessa.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia bagnava incessantemente il terreno fangoso della Superficie, così che gli stivali affondavano per diversi centimetri nello strato di melma, facendola ansimare per lo sforzo. Doveva muoversi in fretta, lo sapeva, perché non le avrebbe giovato respirare quell’aria inquinata. Tuttavia, più cercava di aumentare il passo, più veniva rallentata. Maledizione! Imprecò fra sé, mentre faticava a mantenere il ritmo e l’equilibrio. Si fermò ed estrasse da una delle tasche del suo soprabito il GeoLoc. Lo accese e digitò il codice. In pochi istanti, una luce bluastra segnalò l’avvio dello strumento, mentre una voce metallica le dava il benvenuto.

“Ben tornata, Ruby” disse la voce “Come posso aiutarti?”

La ragazza fece il verso alla voce femminile proveniente dal GeoLoc: la odiava. Era proprio necessaria l’interazione vocale con i congegni? Non era possibile trattare i computer per quello che erano? Vale a dire, strumenti?

“Localizzare laboratorio Y30SE” disse freddamente, scandendo ogni lettera.

“Elaborazione in corso… Attendere, prego” rispose il GeoLoc. Trascorsero circa trenta secondi, poi la luce blu del congegno diventò rossa e lampeggiante. La ragazza cominciò, a ruotare su se stessa cercando di captare il segnale, fino a quando la luce non lampeggiò con più forza.

“Distanza obiettivo: 250 m” disse il GeoLoc, confermandole la corretta posizione. Era decisamente lontano. Rimise in tasca l’aggeggio e s’incamminò, riprendendo a maledire il clima, la Terra e se stessa. Non sarebbe dovuta andare da sola, Nick glielo aveva ripetuto più volte, ma cosa avrebbe dovuto fare? Insegnare a qualcun altro i passaggi che avrebbe dovuto seguire, una volta giunto al computer del laboratorio? No, grazie. Nessuno avrebbe potuto hackerare il sistema meglio di lei. Vide una luce a circa mezzo chilometro. Un Viper pensò. Non ci voleva. I Viper erano dei droni vigilanti, costruiti dalla BioCave con lo scopo di creare delle vere proprie pattuglie intelligenti. I Viper rispondevano agli stimoli acustici e termici, e conoscevano solo due verbi: localizzare e annientare. Dopo la grande guerra, avvenuta nel 2036, tutti i progetti della BioCave vennero rubati e i suoi congegni, utilizzati dai Clan. Sicuramente, si trattava di un Viper dei Ribelli e ciò avrebbe reso l’operazione più complicata del previsto se lei non fosse stata, per così dire, speciale. I Ribelli avevano modificato le impostazioni dei Viper configurandoli con i chip dei Clan, in questo modo avrebbero avuto obiettivi sicuri, soprattutto in caso di scontro aperto. Chiuse gli occhi e si concentrò. Attorno a lei venne a crearsi una bolla trasparente che si allargava sempre più, fino a raggiungere il drone. Una volta avuto il contatto, aprì gli occhi e continuò a marciare verso il laboratorio, sicura che il Viper non l’avrebbe raggiunta. Detestava usare la sua capacità perché non solo la stancava ma le lasciava anche una forte emicrania.

Giunse, finalmente, all’ingresso del laboratorio e cercò nella tasca il tesserino magnetico di riconoscimento, strisciandolo poi sul piccolo monitor che chiedeva l’autorizzazione. Un bip e una luce verde confermarono il successo del primo step di accesso. In seguito, avvicinò l’occhio destro al monitor che cominciò a scannerizzare la retina. Era un metodo di riconoscimento piuttosto obsoleto, ormai. Lei, come molti altri, si era fatta impiantare un occhio speciale che riusciva a bypassare il firewall del sistema di riconoscimento. Non era mai stata particolarmente entusiasta nell’alterare il suo corpo con le Componenti sintetiche, ma quello era prezzo da pagare per salvare il mondo. Altro bip e la porta si aprì.

“Benvenuto dottor Burn” disse una voce robotica. Lei passò a fianco al sistema vocale, ignorando il benvenuto elettronico. Finalmente, era all’asciutto. Le ci vollero un paio di minuti per orientarsi nel laboratorio e, sebbene avesse studiato nei minimi dettagli la pianta dell’edificio, dovette riordinare le idee. Abbassò le lenti a visione notturna e s’incamminò verso la stanza computer. Non aveva fretta, di certo non moriva dalla voglia di tornare all’aperto, sotto la pioggia, per cui fece con calma. Raggiunta la sala, ripeté la sequenza che aveva usato all’ingresso e aprì la porta. Davanti a lei, c’era il paradiso di ogni hacker: un sistema tutto da violare. Si sedette, sciolse i muscoli del collo e scroccò le dita. Ci siamo. Le sue mani presero a muoversi velocemente sulla tastiera, digitando codici su codici. Ad ogni tentativo, appariva la famigliare scritta ACCESSO NEGATO. Sorrise. Riprese con più vigore. Dopo qualche minuto, finalmente, l’accesso le venne garantito. Cercò le informazioni per le quali era andata fin lì.

digitò sulla schermata. Una serie di files comparirono a monitor. Estrasse l’hard disk dalla tasca e lo collegò al sistema. Copiò tutti i dati, poi cancellò ogni traccia della violazione, ripulendo la cronologia.

Tornò all’ingresso del laboratorio soddisfatta di sé e si rituffò nella melma da dove era venuta.

   
 
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