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Autore: releuse    26/02/2009    10 recensioni
C'era qualcosa che Ken Wakashimazu aveva perso. Qualcosa che gli impediva di giocare, qualcosa che il principe di vetro possedeva. "Incatenato nelle braccia e nelle gambe, avevo l’impressione di essere uno schiavo privo di qualsiasi facoltà di decisione, ormai rassegnato alla sconfitta e annichilito nell’animo, dominato da un potere troppo sacro per essere abbattuto. Atterrito dai suoi occhi decisi." Fanfiction interamente rivista, corretta e modificata. La trama di base è la stessa, ma arricchita con nuovi dialoghi, descrizioni e situazioni.
Genere: Romantico, Sportivo, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Jun Misugi/Julian Ross
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano mesi che lavoravo su questa ff, tentando di modificarla, da quando l’ho scritta 3 anni fa non ne sono mai stata troppo contenta. Troppo scarna, a tratti sterile...insomma, non ne ero proprio soddisfatta! Modifica qui, modifica lì, alla fine l’ho quasi praticamente riscritta^^”””  Devo ringraziare le ff di Melanto, Maki-chan e Eos che mi hanno riavvicinato a Capitan Tsubasa di questi tempi e mi hanno spinta a riprendere in mano questa ff. Poi CT comunque è stempre il mio primo amore yaoi *_*  ci sono affezionata^^ . Ringrazio anche Erika la webmistress, che mi ha permesso di ripubblicare la storia ...grazie di cuore!!
E grazie a ichigo per averla letta in anteprima!!Grazie oneechan!!

Questa è quindi una versione più matura, l’idea originale che avevo della ff...spero che questa soluzione vi piaccia, a poco a poco riproporrò anche gli altri capitoli riveduti e riscritti!
A voi...buona lettura^_____^


Releuse






Il cuore e il pallone
Di  Releuse

Era   l’imbrunire.
L’orizzonte si tingeva dei colori del fuoco. Il sole, ormai con i contorni definiti e ben visibili,  stava per tuffarsi nel mare e sparire lentamente, lasciando spazio alle dense nubi della notte. Avevo gli occhi stanchi e leggermente arrossati. Certo, osservare il sole che tramonta non è una cosa ottima per la vista, ma ero incantato da quella visione, talmente rapito che non percepivo altro. Mi rendevo conto che quelle immagini di nuvole incandescenti rispecchiavano alla perfezione il mio stato d’animo, l’inquietudine, l’ essere divorato da quei dubbi che da tempo perseguitavano la mia mente.

Dalla fine dell’ultimo campionato.

Quei tiri...perchè non li ho parati? Tre  tiri...dannazione!

 Ero ancora sconvolto dall’accaduto e non riuscivo a farmene una ragione. Mi sembrava di essere ancora lì, sul campo, sotto lo sguardo attonito e sgomento dei miei compagni di squadra e del capitano. Inerme, immobile al centro della porta, mi sentivo come se fossi stato legato a solide e ben ancorate catene che mi impedivano qualsiasi movimento; come se la forza di gravità si concentrasse tutta sulle caviglie, schiacciando il corpo verso il terreno. Incatenato nelle braccia e nelle gambe, avevo l’impressione di essere uno schiavo privo di qualsiasi facoltà di decisione, ormai rassegnato alla sconfitta e annichilito nell’animo, dominato da un potere troppo sacro per essere abbattuto.

Atterrito dai suoi occhi decisi.

Quell'anno la finale del campionato la disputammo contro  la Musashi, la squadra del campione di vetro Jun Misugi. Nel ripensare a quell’ultima partita sentivo il sangue turbinare nelle mie vene con rabbia per la mia incapacità. Per essere stato dilaniato da quello sguardo placido eppure bramoso di vittoria.

Lo sguardo di Jun Misugi, lo sguardo del principe che mi aveva inchiodato a terra, sancendo la sua vittoria, come se disponesse della mia vita e della mia morte, perchè sicuro di se stesso. Quegli occhi non tradivano, non mostravano alcuna situazione.

Io, invece, avevo esitato, lasciandomi così travolgere dalla sua potenza che era riuscita ad abbattere la mia resistenza. Alla fine sono capitolato sotto la sua determinazione.

Rabbia.
Risentimento.
Vergogna di me stesso.  Questo era ciò che provavo.

Non ero riuscito a parare due dei suoi tiri e aveva giocato solo gli ultimi venti minuti a causa della malattia cardiaca, ma li seppe dominare tutti, senza lasciarsi sfuggire neppure un singolo secondo. Misugi era capace di fondere insieme la perfezione e la potenza, facendole coesistere così armoniosamente. Accecato dal nervoso e dal senso di frustrazione, non fui in grado di parare neanche il tiro di un altro semplice giocatore e così subii un ulteriore goal. Ken Wakashimazu con alle spalle tre goal...ero al limite e non riconoscevo più me stesso in campo. Leggevo lo stupore dei miei compagni, il loro sconcerto. Se non fosse stato per la rabbia e la determinazione di Kojiro, che riuscì a ribaltare il risultato, a quest'ora avremmo perso il campionato.

Possibile che fossi davvero al limite?

Alla fine della partita, al fischio dell’arbitro, mi mancò il fiato, perchè lui mi stava ancora guardando. Il Principe mi osservava. Era affaticato dal gioco che aveva messo a dura prova il suo cuore malato, ma lui sembrava non darci alcun peso.

Perchè si ostina a giocare a calcio se rischia di morire?

E nonostante si allontanasse, svanendo oltre il campo, verso gli spogliatoi, io avevo ancora l’impressione che mi guardasse, sfidasse con i suoi occhi decisi. Occhi colmi di qualcosa che io riconoscevo di non avere, occhi che mi fecero sentire completamente vuoto.

Quando, durante la partita, si stava preparando a tirare quel maledetto pallone, ho avuto come l’impressione che il suo sguardo fosse lo stesso di Hyuga... la stessa bramosia di vincere? No, non era quella la scintilla che illuminava il suo sguardo.
Era... qualcos’altro.

Mi stai sfidando, Jun Misugi?

Dalla fine di quella partita non dissi più una parola. E mi estraniai da tutto il resto. Non udivo né i rimproveri di Kojiro, né sentivo la sua stretta sul mio braccio che mi costringeva a guardarlo negli occhi. Lo avevo retto il suo sguardo, senza parlare. Non sentivo neanche Takeshi, le sue parole di conforto sempre gentili, che però in quel momento mi scivolavano addosso come l’acqua su una lastra di vetro. E da quel giorno non mi presentai più agli allenamenti. Era da un mese ormai... nulla più mi stimolava né mi faceva avere alcuna reazione.

Solo un dubbio riusciva a scuotermi: cosa aveva il suo sguardo da farmi sentire così carente e debole? Continuavo a domandarmelo da quel giorno, in maniera ossessiva, senza trovare una risposta che soddisfacesse il mio orgoglio, il mio ruolo di portiere e così lasciavo che i pensieri mi assorbissero in un turbine sconquassante.


Tornai alla realtà non appena udii i cigolii dei freni del pulmino sul quale stavo viaggiando.

Mi guardai intorno pronto ad osservare quel posto a me sconosciuto ma dalla rinomata fama: si trattava di una piccola pensione a conduzione familiare, famosa per la tranquillità in cui è immersa e per la sorgente termale che la completa. Avevo trovato biglietti e prenotazioni sul tavolo della cucina, di fianco alla colazione... “Sono da parte di tuo padre... vuole che ti rilassi per qualche giorno” Queste erano state le parole di mia madre, mentre mi rivolgeva un sorriso.

“Forse avrei dovuto ascoltarti...” Dissi a mio padre una sera, mentre l’aiutavo a pulire la palestra di casa. Sapevo che lui aveva seguito l’ultima partita, ma non mi aveva ancora detto nulla a riguardo. Non so, era come se quel silenzio simboleggiasse la sua vittoria su di me. “Avrei dovuto continuare con le arti marziali, invece del calcio...” Continuai, non sicuro delle mie parole, eppure desideroso di trovare conferma anche dalle sue. Credevo fossero quelli i suoi reali pensieri. Invece, mio padre tacque ancora per qualche minuto.

“La tua scelta l’hai già fatta, Ken...” Disse infine, guardandomi deciso negli occhi, per poi voltarsi e continuare il suo lavoro senza esitazione.
****


Intorno alla pensione c’era un immenso bosco verde, alberi maestosi che davano l’impressione di essere molto antichi, probabilmente millenari. Ero un po’ perplesso, decisamente non era il mio tipo d’ambiente ideale nella vita di tutti i giorni. Però, forse, era realmente quello che mi ci voleva. Dovevo riflettere sul perchè.

Perchè non volevo più giocare a calcio?

Un istante dopo notai la costruzione alla mia destra: era una pensione in legno, in perfetto stile giapponese, con grandi finestre e una vegetazione estremamente curata intorno. Dal primo sguardo mi trasmise una sensazione di calore, forse dovuta alla luce rossastra e arancione che l’abbracciava, riflettendosi sul legno lucido. Era il sole che ormai svaniva all’orizzonte.

Improvvisamente mi sentii più leggero e forse per un attimo un poco più sereno.

Quando il pulmino si fermò, tirai un sospiro di sollievo. Ero abbastanza nauseato dal viaggio: tutte quelle curve per salire mi avevano dato il voltastomaco e la mia testa aveva cominciato a pulsare. Ringraziai l’autista e, preso il mio zaino, mi diressi all’entrata ancora un po’ stordito.

Non appena varcai la soglia, mi venne incontro un signore anziano, minuto e in abiti tradizionali.

“Il signor Ken Wakashimazu?” Mi domandò con sincera gentilezza, rivolgendomi un sorriso accogliente e disteso.
“Si, sono io” Risposi un poco imbarazzato, non ero abituato a quel genere di cose. Di solito le vacanze le passavo al mare o in montagna, in mezzo al caos turistico, per cui la tranquillità di quel luogo mi metteva un poco a disagio.
“Sono il signor Matsumoto, la stavo aspettando. Prego, le mostro la sua stanza, così potrà rilassarsi e cominciare a familiarizzare con la nostra struttura." Sorrise ancora l’uomo, forse comprendendo il mio stato d’animo.

Mentre salivo le scale continuavo a guardarmi intorno. C’era un profumo di cera d’api, di quella usata per lucidare il legno, che ad un certo punto mi sembrò eccessivamente pungente, mentre il corridoio era ornato da piccoli bonsai ben curati.  Ogni cosa era posta in perfetto ordine, come se fosse stata lì da decenni, senza mai mutare. I brusii leggeri, provenienti da un paio di donne in kimono che scendevano le scale, venivano inglobati nel silenzio che sembrava essersi fissato nell’aria

Poco dopo arrivammo davanti alla porta della camera.

“Questa è la sua stanza, prego si rilassi pure. La cena sarà servita dalle 20 fino alle 22” Mi informò il signor Matsumoto, sempre con grande gentilezza. “E se desidera può scendere alla sorgente termale dietro la struttura per farsi un bel bagno e alleviare la stanchezza del viaggio, vedrà le farà bene... per qualsiasi cosa io sono al piano di sotto” Con un inchino l’uomo si allontanò verso le scale.

Diversamente dal primo impatto avuto nell’ingresso, quando entrai nella stanza una sensazione di benessere mi pervase improvvisamente, trasmettendomi subito un senso di calore e accoglienza. Non troppo grande e anch’essa tipicamente in legno, alle pareti della camera erano appesi dei disegni tradizionali giapponesi che raffiguravano donne in kimono fra alberi di ciliegio e pavoni di mille colori. Sorrisi fra me, pensando che sembrava una camera viva, profumata di vissuto.
Notai che il futon era già stato preparato e quindi mi ci sdraiai sopra immediatamente desideroso di rilassarmi, il viaggio mi aveva davvero stancato.  Inoltre ribadii fra me che avevo fatto bene ad andare in un posto come quello. Avevo bisogno di evadere, di riflettere con calma su quello che mi stava succedendo.

Pensai a Hyuga, che la sera prima di partire era passato a casa mia per convincermi ancora una volta a riprendere gli allenamenti e che, quando gli avevo detto del viaggio, aveva fatto una sfuriata accusandomi di perdere tempo e di trascurare l’allenamento. Ma sapevo che non era esattamente quello ciò che pensava realmente, ero conscio di quel personale modo di dimostrare la sua preoccupazione e la sua presenza. Ma quella volta non avrei mai potuto appoggiarmi a lui, non potevo più promettergli niente. Non avrei più potuto sopportare gli sguardi delusi dei miei compagni, né soprattutto il suo.

Avevo bisogno di capire... se valeva ancora la pena giocare a calcio....

Mi addormentai così, assorto in quei mille pensieri, con lo zaino ancora su una spalla e la maglietta appiccicosa di sudore.


....vedo solo il pallone e la rete, intorno è tutto buio. Io proteggo la mia porta e sono in attesa di qualcosa. Continuo a guardarmi intorno, ma è sempre l’oscurità a regnare. Poi, all’improvviso, un sibilo cattura la mia attenzione... un pallone calciato con potenza si materializza a poca distanza da me. Perché rimango immobile senza tentare di pararlo? Sembro pietrificato, non riesco a muovere un muscolo. Intanto il pallone entra in porta e svanisce alle mie spalle... è goal? Sono smarrito e non capisco cosa sia successo, intanto avverto dei passi avanzare... non è nessuno, non è nulla... sono ancora una volta i suoi occhi...

Aprii gli occhi di colpo, sollevandomi di scatto. Ebbi il capogiro per quel movimento brusco e per un attimo provai un senso di smarrimento non riconoscendo la stanza. Lentamente mi guardai intorno e a poco a poco misi a fuoco, realizzando dove mi trovassi. Inspirando profondamente, mi gettai ancora una volta sul futon,  fissando il soffitto; ero particolarmente turbato da quel sogno, un incubo ormai diventato routine nelle notti dell’ultimo mese. Sospirai un po’ rassegnato, rivolgendo lo sguardo all’orologio da polso: erano quasi le nove e avevo dormito per soli dieci minuti... eppure mi erano sembrate ore interminabili.

Raccolsi le forze e alla fine riuscii ad alzarmi. Accidenti, avevo le gambe davvero pesanti! Con movimenti quasi meccanici frugai nel mio borsone con l’intenzione di andare a fare un bagno rilassante alla sorgente termale; forse così avrei riacquistato un po’ di forze e tempra. Presi un asciugamano e uscii dalla stanza per dirigermi nel retro della pensione.

In mezzo al più completo silenzio e ad una rigogliosa vegetazione c’era una bella struttura in legno con  il tetto sferico coperto da vetrate smerigliate, un vero spettacolo per la vista. L’aria fresca cominciava a farsi sentire, quindi mi decisi ad entrare. Appena varcai la soglia, notai  subito la differenza di temperatura data dal calore e dall’umidità della fonte e i brividi di freddo che poco prima mi avevano colto sparirono dopo pochi istanti. Mi spogliai e raggiunsi l’acqua termale. Il tepore che emanava abbracciò graduale il mio corpo, mentre lentamente entravo in acqua, quasi a voler assaporare quella sensazione su ogni centimetro della mia pelle. Mi guardai intorno incuriosito: la sorgente era molto accogliente, le piante e le rocce che emergevano in diversi punti la rendevano particolarmente naturale e il silenzio che albergava contribuiva alla sensazione di pace che mi stava rasserenando. Ero contento di avere la sorgente termale tutta per me... almeno per quella sera volevo stare da solo e non mi solleticava l’idea di dover scambiare parole formali con altri visitatori.

M’immersi così fino al collo, abbandonandomi totalmente fra quelle acque, scacciando qualsiasi pensiero, cercando di svuotare la mia mente. Le acque mi cullavano, dolci e materne, aiutandomi a rilassare i muscoli ed il respiro. Eppure ancora una volta le immagini riuscirono a dominare la mia testa.

Questa volta un vecchio ricordo, il tiro di Hyuga e la sua sfida. A quei tempi volevo dimostrare di poterlo parare, volevo superare Genzo Wakabayashi...

Io ero un portiere, avevo tanto desiderato esserlo, avevo combattuto contro mio padre per  inseguire questo sogno. Eppure.. .era quello che volevo ancora?

Mi resi conto che erano troppi i pensieri che mi perseguitavano e per colpa loro stavo perdendo di vista molte cose. Per un po’ dovevo cercare di non pensare al calcio, a Kojiro, a Takeshi... solo così forse sarei riuscito a metter ordine nella mia testa.

Cercai nuovamente di rilassarmi, nuotando all’indietro, lasciandomi accarezzare dall'acqua tiepida.

Sussultai, quando qualcosa sfiorò la mia spalla, facendomi rabbrividire. Pensai di essere finito sopra una pietra, quindi mi voltai tranquillo.

 “Ah!” Un doppio grido di spavento sibilò nell’aria, avevo urtato le spalle di un’altra persona che ora mi guardava sorpresa. Non lo riconobbi subito.

Ricordo solo il torso nudo, le spalle rilassate, i capelli bagnati che morbidi cadevano sul viso e il collo dai quali le gocce d’acqua scivolavano, andando a disperdersi su tutto il suo corpo vigoroso...


“Wa…Wakashimazu?”

Ci misi qualche istante per capire che qualcuno aveva pronunciato il mio nome con stupore e sgranai gli occhi non appena riconobbi la figura davanti a me.

“Misugi? Jun Misugi?” Sicuramente nel trovarmi di fronte il capitano della Musashi non nascosi la sorpresa nelle parole e nell’espressione, , la stessa sorpresa che aleggiava allora nelle sue iridi scure.

Quegli stessi occhi che sul campo mi avevano messo in difficoltà e che erano diventati il tormento delle mie giornate. E delle mie notti.

Che cosa ci faceva Jun Misugi in quel posto? Non riuscivo a crederci… mi sembrava qualcosa di veramente assurdo. Ero andato lì con l’intenzione di distrarmi e non pensare al calcio ed invece avevo sotto i miei occhi la causa scatenante di quella situazione. Il principe di vetro era davvero davanti a me.

Il destino mi aveva proprio preso di mira.

Dovevo avere un’espressione eccessivamente sconvolta dato che il capitano della Musashi aggrottò la fronte, come per interrogarsi della mia reazione.

“Hey, Wakashimazu! Non sono un fantasma, non fare quella faccia…” Scherzò, sfoggiando un sorriso gentile. “Incredibile trovarti in un posto simile, non è da te!”

La sua battuta non mi piacque per niente, anche perchè, probabilmente sbagliando, ci lessi dell’ironia.

“Ah, certo, invece questi posti sono degni di te!” Risposi seccato. Misugi mi guardò un attimo come perplesso, finché scoppiò a ridere di gusto.

“Hai ragione, è vero! Ah, ah, ah! Questo è un po’ un posto ‘da nonni’!”
 
Non riuscivo a comprendere il mio stato d’animo. Qualcosa comprimeva il mio stomaco, era come se un chiodo continuasse ad avvitarsi dentro di esso. Ero irritato, sì, ero irritato dalla sua presenza. Dal sorriso dietro al quale si trincerava il baronetto del calcio. La tranquillità e fermezza con cui affrontava ogni situazione, senza mai scomporsi. Odiavo quella sua calma interiore che associava sempre ad una buona dose di razionalità.

Misugi si stropicciò un poco gli occhi e sorrise di nuovo.

“Io vengo qua dall’infanzia. Prima ci venivo con i miei genitori, ora ci torno da solo, quando ho bisogno di rilassarmi. Per riposarmi dopo il campionato… e lei, signor Wakashimazu, perché si trova in questo posto da nonni?”

Cominciava a seccarmi la sua ironia. Ma cosa voleva da me? Lui e la sua faccia di bronzo! Lo odiai in quel momento, perchè mi sembrava tutto così falso, la sua gentilezza, i suoi sorrisi, la sua stessa presenza. Come poteva una persona con tale sguardo di sfida sul campo, con quel sorriso da principe trionfante, mostrarsi così tranquillo? Credevo che Misugi mi stesse in verità deridendo, nascondendosi dietro il suo sorriso gentile. Avevo il sangue che ribolliva nelle vene, strinsi i pugni e sbuffai, scocciato.

“Anche a me hanno consigliato questo posto per rilassarmi…” Sibilai fra i denti, tentando di mantenere la calma. Mi rendevo conto di stare esagerando, ma la sua presenza mi aveva mandato in confusione.

Misugi sbattè le ciglia, sorpreso.

“Dai, anche tu hai il permesso di rilassarti di tanto in tanto? Pensavo che Hyuga vi mettesse più in riga” Continuava a scherzare, forse avvertendo la tensione che nell’aria albergava. Per questo credo che pronunciò quelle parole, pochi secondi dopo, probabilmente nel tentativo di alleggerire la situazione.

“Bè, dai... allora vedi di non rilassarti troppo, portiere! Fra un paio di mesi abbiamo l’amichevole con la Francia e dovrai essere in forma...

...perchè non lo sei... da ciò che hai dimostrato nell’ultima partita...

Non l’ascoltavo più. Avevo come l’impressione di riuscire a sentire i suoi veri pensieri, udivo i suoi giudizi, le sue sentenze, sapevo che mi stava giudicando, sapevo che stava cercando di umiliarmi.

In quel momento ne ero davvero convinto.

La vista si annebbiò rendendo tutto buio, la mia pelle s’irrigidiva, le parole cercavano di uscire, mentre i nervi si sgretolavano dentro le cellule del mio corpo.

“Senti, adesso mi hai scocciato, principino...” Sputai con astio, alzando la voce “ ...l’avermi fatto due goal non ti da l’autorizzazione a dirmi cosa devo o non devo fare, decido da solo se e quando allenarmi. Forse qui quello che deve tenersi in forma, invece di stare qui a cazzeggiare, è qualcun'altro che può solo giocare venti minuti a partita, dato che non se ne può permettere altri!”


Volevo aggiungere altro, vomitare tutta la mia rabbia, ma bastò lo sguardo di Misugi a tagliare le ulteriori parole dalla mia gola. Non c’erano né risentimento né rabbia nei suoi occhi, eppure quello sguardo duro e severo bastò a farmi tacere, atterrendomi. Non avevo mai visto quell’espressione sul volto di Jun Misugi.

Mi sentii mortificato, stavo davvero cadendo in basso. Strinsi i pugni nell’acqua, sentendola scivolare fra le mie dita. Me ne resi conto solo in quel momento. Ero geloso, invidioso della determinazione che Misugi dimostrava in ogni partita, eppure allo stesso tempo ne ero attratto e incuriosito. Odiavo e ammiravo la sua dedizione, la motivazione con cui ogni volta si metteva in gioco, lottando contro la sua malattia. Eppure non mi era chiaro il perchè, ancora una volta.

 “Maledizione, scusami Misugi…non so cosa mi sia preso, mi dispiace” Non ebbi neppure il coraggio di guardarlo negli occhi, stavo diventando così vigliacco?

Misugi fece un respiro profondo e un attimo dopo la sua mano si poggiava sulla mia spalla, facendomi rabbrividire per la scossa che si era propagata in tutto il mio corpo, spingendomi a credere che le sue dita mi stessero accarezzando.

“Hey, Wakashimazu… io non mi riferivo alla partita.”
“Lo so. Scusa”
“Senti” Misugi assunse un tono serio ma comprensivo “lo so che non ho alcun diritto di intromettermi negli affari tuoi, però... non eri tu durante quella partita...”

Mi venne da sorridere nel sentire simili parole e in quel momento mi resi conto di quanto fossero sincere.

“Lo so, Misugi...” Sospirai, rilassando le braccia ed alzando finalmente lo sguardo verso di lui. “Infatti non so ancora se giocherò la partita con la Francia...” Ammisi mesto, liberandomi, con quella confessione, del peso che riempiva il mio stomaco.
“Che? Che cosa stai dicendo?” Misugi aveva uno sguardo sconvolto, incredulo.

Non seppi davvero cosa rispondere.  

D’improvviso mi afferrò violentemente per le spalle e, mentre mi costringeva a guardarlo negli occhi, l’acqua che aveva agitato col suo movimento brusco schizzò sopra il mio corpo, come per scuotermi insieme a lui.

“Hey, Wakashimazu! Che diavolo succede, me lo vuoi dire?”

Calò il silenzio, non ci fu risposta per lunghi attimi. Nel mio campo visivo vi erano solo la vena pulsante sul collo di Misugi e i tendini delle sue braccia in tensione. La mia mente, invece, vagava altrove.

“E tu, invece...” Cominciai sussurrando “Mi vuoi dire perchè ti ostini a giocare a calcio, nonostante rischi di morire?”

“Co... come?” Il capitano della Musashi si sorprese, sicuramente non si aspettava una domanda del genere. La sua espressione divenne indecifrabile.

Improvvisamente Misugi allentò la presa sulle mie spalle, facendo scivolare le mani sulle mie braccia bagnate.

“Senti...” Cominciò con sorriso “A te diverte giocare a calcio?” Il tono era quello di qualcuno che stava facendo la domanda più banale possibile, eppure riuscì ugualmente a spiazzarmi. Improvvisamente la mia testa cominciò a vagare nel passato, riesumando i ricordi delle mie prime esperienze con un pallone da calcio, i giochi con i bambini del vicinato, le partite a scuola, l’entusiasmo dei compagni che mi sapeva coinvolgere.

“Io...una volta, credo, mi divertiva...” Ammisi, amareggiato. Ci riflettevo solo allora, negli ultimi tempi giocare a calcio era diventato quasi un obbligo, mentre prima era vero... mi divertiva. Stavo per dire qualcos’altro, non so bene cosa, forse volevo solo trovare una giustificazione, ma Jun Misugi mi precedette con un tono di voce squillante che mi stupii non poco.


“Vabbè, senti, non pensarci ora!” Esclamò risoluto. “Sei venuto qui per distrarti ed è quello che faremo!”

Lo guardai un po’ confuso.
 
“Fa...faremo?” Cominciavo a preoccuparmi.

“Esatto, Wakashimazu! Stasera andremo alla festa del paese che c’è qui vicino, una di quelle feste tradizionali con tanto di bancarelle e giochi!” Misugi sembrava davvero entusiasta e poi da come stringeva i pugni e mi guardava... ne era veramente convinto!

Io continuavo a non capirlo, decisamente. Un attimo prima eravamo seri, parlando di cose serie  e ora non capivo come avesse fatto a cambiare argomento e atteggiamento in una frazione di secondo, né che diavolo gli passasse per la testa.

“Ma, io... non mi piacciono le feste tradizionali...” Provai a dire, ma il ragazzo non volle sentire ragioni!
“Non fare il difficile, ci sarà da divertirsi!” Misugi mi diede le spalle e cominciò ad avviarsi verso la riva, seguito meccanicamente dal sottoscritto che se era completamente ammutolito.

Eravamo vicini al bordo della sorgente termale, quando Jun si voltò all’indietro, verso di me, domandandomi: “Non volevi distrarti?”
“Uh? Sì... certo...” Risposi, ancora una volta non comprendendo le sue intenzioni.


Lui intanto abbandonò l’acqua. Il suo corpo piegato sulle ginocchia si alzò in piedi, di fronte a me, dandomi ancora le spalle. In un attimo persi le parole. Fui ammaliato dal suo corpo nudo su cui il mio sguardo, inconsciamente, si posò avido, pronto ad afferrare la visione di quelle spalle muscolose, della schiena longilinea, dei fianchi sodi ed incredibilmente seducenti. Mentre Jun si portava le mani ai capelli, afferrandoli per strizzarli, io mi persi a contemplare la tensione dei muscoli, finché nella mia testa si materializzò un pensiero fugace.

Jun era l’icona di una bellezza assoluta. Era perfetto. E bellissimo.
 
.
Misugi si legò l’asciugamano alla vita, voltandosi ancora verso di me. Mi guardò intensamente negli occhi, prima di tendermi la mano. Nell’istante in cui pregavo che non si fosse accorto del mio turbamento, la sua voce echeggiò nell’aria.

“Forza, campione! Ci aspetta una serata piena!”

Non so se fu la stretta decisa e sicura, o il suo sorriso accattivante, o le sensazioni provate nell’esaminare il suo corpo... so solo che alla fine, in quella manciata di istanti, tendendogli a mia volta la mano, decisi di affidarmi a lui.


Fine I capitolo

  
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