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Autore: soulmirrors    15/11/2015    6 recensioni
Louis solleva un sopracciglio, sebbene l'altro non possa vederlo, e affascinato dalla proposta del ragazzo, e pure parecchio coinvolto dal tono di voce con cui gli ha parlato fino a quel momento, annuisce accettando la sfida. E sa che anche quella sensazione è di un irrazionale allucinante ma non può fare a meno di percepire così, a pelle, che anche l'altro sia intrigato da lui. Il buio che li costringe ad una cecità forzata rende tutto più misterioso, magico, amplificato e sa che non è l'unico, tra i due, a pensarlo in quell'istante.
[Louis/Harry] [5.2k] [K]
Genere: Mistero, Song-fic, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L'odore - Subsonica





È stato un solco
tracciato all'improvviso,
senza certezze,
senza prudenza
nell'annusarci, di istinto e di stupore,
in un crescendo che ha dell'irregolare.







Louis non ha paura del buio.
Non ne ha mai avuta, neppure quando era solo un bambino. Louis non teme le tenebre, l'ignoto, tutto ciò che potrebbe nascondersi nel nero più totale ma detesta la sensazione di claustrofobia indotto da questo; specialmente quando sa di trovarsi in un posto tremendamente piccolo e, come se non bastasse, costipato di persone. Non a caso non ha neppure un buon rapporto con le discoteche ma ora, sinceramente, questo non c'entra.
Il punto è che probabilmente in quel tetris umano di corpi incastrati, euforici e deliranti, sudati, lui è l'unico che non sta divertendosi. Neanche un po'. Che poi, diciamocelo, cosa c'è da divertirsi in un contesto del genere. Davvero, non ne ha idea.
Respira dice a se stesso a denti stretti, con gli occhi rigorosamente chiusi perché in quell'istante l'unico buio che riesce ad accettare è quello nascosto dietro alle sue palpebre.
Respira, concentrati sul tuo respiro continua a ripetersi mentre le persone attorno a lui e i suoi amici si spintonano, ridono, sembrano divertirsi così tanto... Louis non ha neppure la forza né la voglia di urlare, sebbene la frustrazione sia tanta. Perché abbia deciso conoscendo i suoi limiti di seguirli in quella fottuta giostra, di quel fottuto luna park, Louis onestamente non lo sa; fatto sta che si ritrova nella Casa degli Orrori, così si chiama l'attrazione, in quella che inizialmente era una normalissima stanza, piccola, dalle pareti bianche (già questi due dettagli gli avevano procurato il panico) incastrato tra non sa quante persone, circa una quindicina.
Appena entrato tra quelle quattro mura già sapeva, viste le precedenti stanze attraversate, che sarebbe accaduto qualcosa là dentro ma, sul serio, non immaginava proprio questo. Finora nelle altre camere ci sono state apparizioni di fantasmi creati da bagliori luminosi ad effetto, di mostri, luci stroboscopiche, soffitti che si sono abbassati vertiginosamente e le solite cose da quel genere di giostra: quindi tutto avrebbe potuto immaginare meno che giunto a quasi alla fine del percorso le luci si spegnessero improvvisamente.
Tutto è diventato perdutamente buio e l'aria, ogni particella di ossigeno sono state risucchiate come da un buco nero nell'infinità dello spazio cosmico.
Nell'oscurità i suoi sensi sono esplosi, come c'era da aspettarsi. D'altronde ricorda bene quella lezione di percezione visiva, in accademia, riguardo al fatto che in assenza di un solo senso gli altri quattro si amplificano per permetterci di non soccombere alla privazione del senso mancante. Per questo ora tutti i suoni, i più piccoli rumori, soprattutto gli odori sono vividi come stoccate di pittura rossa su di un pannello nero. Louis non ci mette molto a capire di aver perso i suoi amici, in quella bolgia di corpi ciechi, proprio come lui, e non vuole pensarci ma non può impedirsi di esserne consapevole: è prossimo ad un attacco di panico con i fiocchi, lo sente nelle vene, nel formicolio incessante sotto la pelle che piano piano si cala nelle ossa fino a divenire, gradualmente, un tremore senza sosta.
Si sente patetico, incredibilmente, e vorrebbe soltanto sparire perché la sola idea di mettersi ad urlare affinché qualcuno riaccenda le luci lo fa stare più male del panico stesso. La sola idea di mostrarsi davanti agli occhi di quegli sconosciuti, spaventato, vulnerabile, lo terrorizza più di qualsiasi altra cosa.
Così si impone di respirare e di ricordare a se stesso che presto finirà, finirà tutto, apriranno la porta di questo fottutissimo buco e potrò respirare di nuovo. Un inaspettata voce metallica, amplificata da un altoparlante, tuttavia zittisce le sue speranze e fa chiudere la bocca di tutti.
Un insano silenzio cala sul buio nero come un velo freddo.

«Si comunica a tutti i visitatori della Casa degli Orrori che c'è stato un guasto tecnico e che stiamo provvedendo a risolverlo in quanto meno tempo possibile. Ci scusiamo per il disagio».

Qualcuno di cui Louis non può vedere la faccia, per ovvie ragioni, ride di pancia come se quello che la voce ha appena comunicato fosse la cosa più divertente del secolo. Altri battono le mani, complimentandosi in maniera sarcastica dell'organizzazione del luna park, alcuni sbuffano battute di pessimo gusto e altri ancora semplicemente parlottano tra di loro ripetendo che non c'è nessun guasto è che fa tutto parte della procedura del gioco.
Bel gioco di merda, pensa Louis storcendo la bocca in una terribile smorfia, quello non è un gioco ma un attentato alla sua vita e quando il fiato gli manca irreparabilmente nella gola lui lo comprende con una tetra lucidità. Il panico è giunto, nonostante abbia fatto di tutto per tenerlo lontano, perciò senza pensarci su due volte - perché se deve morire in quel modo tanto triste allora vuole trascinarsi dietro anche Zayn che lo ha costretto a seguirlo là dentro - allunga le braccia per afferrare il suo migliore amico, in un chiaro tentativo di stringergli le mani al collo per strangolarlo.
Alla fine, perché no, è giusto che anche lui provi la sua stessa sensazione di asfissia, Louis in quel momento si sente veramente altruista.
Muove un passo, quindi, e si scontra contro la schiena di qualcuno che a sua volta urta qualcun altro che fa urlare ad un altro ancora qualcosa come «cercate di non muovervi troppo che sennò ci ammazziamo a vicenda!». E davvero, a quel tipo vorrebbe stringergli la mano, se solo riuscisse a vederlo, e congratularsi con lui per il suo essere così rassicurante. Ciò che invece fa, inavvertitamente, è avvolgere le braccia attorno ad un corpo troppo robusto per essere quello del suo migliore amico. Louis non ci mette molto per capire che quello che ha appena stretto in un goffo abbraccio non è Zayn, perché lo sconosciuto quando si sente chiamare "stronzo" sobbalza sotto al suo tocco e si volta repentinamente nella presa delle sue braccia.
È così che tutto succede.
Un odore intenso, coinvolgente, di uomo, qualcosa che ricorda fumo e bagnoschiuma alla vaniglia, gli riempie immediatamente i polmoni. Ne è talmente sopraffatto, Louis, che il panico pare, se possibile, intensificarsi ancor di più sino a convincerlo di essere ormai prossimo ad un arresto cardiaco.
Insomma, non è anatomicamente possibile che il suo cuore vada così veloce, no? Poi una voce, troppo consumata e lenta, per essere quella di Zayn, gli sfiora qualcosa all'altezza dell'ombelico creandogli un vuoto allo stomaco, come se non bastasse, giustamente.
Una sorta di violenta turbolenza, inaspettata, durante un volto troppo tranquillo in aereo.

«Niall sei tu?»

Louis sta letteralmente morendo di un irrazionale imbarazzo e per la prima volta da quando si è ritrovato incastrato in quel posto, benedice il buio per camuffare ogni colore, tipo il rosa che si è appena acceso sui suoi zigomi pronunciati.

«No» risponde in maniera secca alla domanda che gli è stata posta, e non lo sa neppure perché reagisce a quel modo, forse si sente stupido per aver abbracciato un perfetto sconosciuto mentre a tentoni cercava il suo amico, forse teme di essere scambiato per un maniaco.
Quindi Louis cerca di prendere un respiro e «Scusami» aggiunge, «credevo fossi un mio amico».
C'è un breve silenzio, infranto solo dal respiro calmo (fin troppo per i suoi gusti vista la situazione) del tizio, prima che suddetto gli posi una mano sopra alla testa, come farebbe un padre con suo figlio magari per non perderlo tra la folla. Louis riderebbe se non avesse ancora seri problemi cardiaci e respiratori, al momento, e ciò che fa, invece, è provare a districare quella sorta di abbraccio per allontanarsi, ma la presa di quella mano non glielo consente più di tanto. Così resta lì senza muoversi.

«Non preoccuparti, oddio, perdonami» sente dire con tono realmente dispiaciuto dal tipo, prima che una fitta allo stinco lo faccia sussultare. Lo sconosciuto mentre faceva per rispondergli gli ha pure inavvertitamente mollato un calcio. Louis impreca sommessamente per via del dolore, massaggiandosi la parte lesa con l'altra caviglia proprio quando l'altro riprende a parlare.
«Comunque, stai bene?»
Lo sconosciuto glielo domanda con un tono, almeno per come lo percepisce Louis, davvero apprensivo e no, non sto per un cazzo bene vorrebbe dirgli ma si morde la lingua e cerca di non rispondere in maniera troppo velenosa, anche perché non è certamente colpa dell'altro ragazzo se si sente male. «Potrei stare meglio, decisamente» dice lui, la voce si incrina appena per via del fiato corto, il tremore a scuoterlo piano.
Sta ancora provando a regolarizzare il respiro, quindi non gliene si può fare una colpa. «È stato stupido da parte mia entrare qui dentro, dovevo aspettarmi una cosa del genere».

Il ragazzo (Louis sa che potrebbe essere anche un uomo, vista la sua voce, ma gli piace immaginare non sia troppo vecchio) fa scontrare i loro petti in quel incastro di braccia e «Hai paura del buio?» domanda.
Louis alza gli occhi al cielo, sotto le palpebre ancora calate e «Non è il buio il problema, non quanto sapere di essere in una stanza senza via d'uscita e piena di gente» comunica, esasperato come non mai.

«Allora sei claustrofobico?» insiste l'altro.

Non sa perché gli stia ancora dando corda ma parlare con quel tipo lo distrae dal male di vivere che ha addosso, quindi perché no.
Tra l'altro l'odore che sta respirando pare la migliore delle cure, al momento.
«Non immagini» prende un respiro profondo, l'aria inesistente nei suoi polmoni, «non puoi immaginare quanto, credimi».




Forse l'attesa
ci ha visto troppo soli,
forse nel mondo
non sapevamo stare,
così distanti
ad aspettarci ancora.





A quel punto succede una cosa, un'altra delle tante, che fa sussultare Louis sul posto. Il tipo gli posa entrambe le mani - enormi, per quello che percepisce dal tocco ampio delle dita - sulle spalle e alla cieca prova ad avvicinare la bocca al suo orecchio. Il punto però è che essendoci il buio totale, nel muoversi, il tipo fa collidere goffamente le loro fronti in uno scontro alquanto doloroso. Una imprecazione dovuta al dolore si libera dalle labbra di entrambi subito accompagnate dalla risata di quel tizio, un suono sommesso, strascicato, caldo e denso come una colata di lava vulcanica su della neve fresca. Louis non sa minimamente chi ha davanti, potrebbe essere un mostro, letteralmente, un serial killer o uno psicopatico maniaco eppure non può impedire al suo corpo di rabbrividire a quel suono tanto coinvolgente.
Gli pare, per alcuni attimi, di smarrire se stesso nel suono di quella risata, di perdere ogni certezza nella trama fitta tessuta da quell'odore che non smette di attrarlo. Il ragazzo poi riesce nel suo intento e dopo aver raggiunto il padiglione del suo orecchio vi poggia su delicatamente le labbra, facendolo rabbrividire visibilmente.

«Dicono che un rimedio efficace per contrastare l'ansia indotta dalla paura degli spazi chiusi sia abbracciare se stessi, stringersi nelle proprie braccia».

Le persone lì intorno a loro continuano a parlottare ad alta voce, il che rende tutto confusionario e Louis fa quasi fatica ad afferrare le parole dello sconosciuto. Così volta appena il capo e gli dice: «Credo di non aver capito...»
In realtà qualcosa l'ha afferrata ma non è riuscito a cogliere il punto. Il ragazzo non demorde, avvicina di nuovo la bocca al suo orecchio e stavolta gli parla alzando appena la voce per farsi udire al di sopra del vociare frenetico. Il buio pesto, intorno a loro, non smette di avvolgerli come un pantano di petrolio.

«Per annichilire il panico indotto dalla claustrofobia bisogna far credere al cervello di non essere imprigionati e un modo per riuscirci è cingere se stessi con le proprie braccia, in modo tale che il cervello creda che la vera trappola siamo noi stessi».




In un incerto compromesso
tra la mia anima e il suo riflesso.





Sinceramente non ha idea di che cosa voglia dire quel tipo, sa solo che parla davvero un sacco e lo fa in una maniera mai ascoltata prima. Quella voce ha un qualcosa di mai sperimentato, un sapore mai provato, un odore sconosciuto che non ha mai avuto modo di annusare e che, sa, gli piace da morire. Perciò Louis annuisce, intontito e piacevolmente distratto dal panico e «Non ci posso credere» afferma, la voce che inizia a colorarsi di sarcasmo. «Tra tanta gente qui dentro ho avuto il culo di incappare proprio in uno psicologo». E forse è il tono utilizzato per affermare tale cosa, fatto sta che lo sconosciuto ride di nuovo ma stavolta in maniera aperta, di gusto. Louis non può guardarlo in viso ma è sicuro e potrebbe scommetterci la mano destra che stia strizzando gli occhi perché il suono di quella risata ha come epicentro lo stomaco e irradia scosse in tutto il corpo. Si ritrova a sorridere abbagliato da quel riflesso, quindi, ancora ad occhi chiusi (che tanto aprirli sarebbe solo uno spreco di energia) nell'attimo in cui l'altro dissipa le sue risa per rispondere: «Non proprio ma diciamo che sto studiando per poter essere una cosa del genere, un giorno». Louis scuote la testa ed è davvero, davvero, sopraffatto per averci preso sul serio sparando la prima stronzata dettata dal suo, a volte, insano sarcasmo. Annuisce a se stesso e «Quindi in poche parole cosa mi consigli di fare?» domanda.
«Semplice» afferma sicuro di sé il tizio, «fai credere al tuo cervello di essere già in trappola, tra le mie braccia». E così dicendo, senza dargli neppure il tempo di elaborare l'informazione, Louis si ritrova racchiuso nell'abbraccio di uno sconosciuto che lo fa sentire, contro ogni fottuta razionalità, al sicuro.
Si ritrova così con gli occhi spalancati nel nero per la sorpresa, le braccia ad avvolgere quella schiena immensa, il mento incastrato nella spalla del tipo e una cascata di capelli a premergli contro una guancia. Passano pochi secondi e dopo aver corso all'impazzata, il suo cuore riprende a battere ad un ritmo umano, adattandosi a quello del ragazzo che si muove in quel petto stretto contro al suo. E forse agli occhi del mondo può sembrare una sciocchezza, affrettato, da romanzi rosa o da commedie romantiche ma Louis in quel preciso - sublime - istante della sua vita comprende di avere trovato finalmente la sua darsena. Lo capisce dal fatto che la mente si svuota, il panico si annienta, il tempo diventa un dato irrilevante così come la consapevolezza di avere a disposizione, della persona che sta abbracciando, solo il suo suono e l'odore.




Probabilmente
lasciandomi cadere
a peso morto
al tuo cospetto
avrei sicuramente
permesso la visuale
sulle mie alienazioni,
sui miei tormenti,
sui miei frammenti.





«Mi piace il profumo del tuo shampoo» gli dice d'un tratto il tipo, così, dal nulla. Louis sussulta leggermente a quella inaspettata confessione e non sa che cosa dire, la spontaneità con cui l'altro gli ha appena parlato lo ha spiazzato. Annuisce soltanto, quindi, ancora col mento piantato nella sua spalla e poiché quando è in imbarazzo lascia che il sarcasmo abbia il sopravvento, dice: «Anche provarci con qualcuno è un metodo per sconfiggere l'ansia da claustrofobia?» Segue un breve silenzio tra di loro, le mani del ragazzo gli si chiudono attorno alle scapole e le dita premono, l'abbraccio pare farsi più intenso, la trappola più allettante che mai. Louis percepisce gli anelli che il ragazzo indossa alle dita premergli nella carne, si sente braccato, in tutti i sensi, e per la prima volta il panico si annulla davvero.
«Potrebbe essere» risponde lo sconosciuto. «L'importante, alla fine, è che tu riesca a distrarti». Be', il suo ragionamento non fa una piega, pensa lui per poi annuire più a se stesso che all'altro. Gli pare pure che il tizio abbia preso ad ondeggiare piano sul posto, impercettibilmente, come se stesse seguendo la melodia di note che sono solo dentro alla sua testa.
«Quanto credi ci metteranno a sistemare questo guasto?» domanda Louis.
«Non ne ho idea ma non penso ci sia realmente un guasto, ho come l'impressione che l'abbiano fatto apposta». Quindi anche quel tipo, pensa mordendosi un labbro, è uno di quelli convinti che sia tutto stato studiato a tavolino. Il ragazzo, mentre Louis inspira ed espira profondamente per tenere sotto controllo il respiro, inizia ad intonare a labbra strette una canzone dal suono sconosciuto ma coinvolgente. È come se tutto, di quello sconosciuto, fosse stato creato in funzione di quel preciso momento della sua vita, come se il destino di Louis avesse abbozzato all'ultimo istante una modifica nel suo disegno intricato infilandoci la figura di quel ragazzo.
Louis sospira ai troppi pensieri, alle sue tante strane idee e «Quindi anche tu hai perso la tua compagnia?» domanda dopo che l'altro lascia sfumare la melodia cedendo il posto ad un calmo silenzio.

«Sono l'unico che si diverte in posti come questo» inizia a spiegare l'altro, «diciamo che li ho costretti a seguirmi qui dentro e così per ripicca si sono allontanati da me, poi mi sono ritrovato da solo». Il ragazzo conclude con una breve risata che gli scuote le spalle e che, per riflesso, fa sorridere anche lui. Lo sconosciuto gli pone la stessa domanda e quando Louis fa per rispondere, quello con una mano prende a carezzare distrattamente la sua nuca, le dita tra le ciocche di capelli. Per questo motivo, mentre sta per concludere il suo breve racconto, Louis sgrana di nuovo gli occhi nell'oscurità che li circonda e pensa che sebbene sia tutto irrazionale lui non può fare a meno di sentirsi a suo agio, in quell'abbraccio, come se ci fosse nato in quell'incastro di arti, suoni ed odori a sentire su di lui le mani di una persona che non ha mai neppure visto, conosciuto prima. Pensa a come sia un paradosso, il fatto che si siano trovati entrambi nel buio, ad occhi chiusi, come feti gemelli, spiriti affini a galleggiare nel grembo dell'universo.
Louis si domanda anche che cosa sarebbe successo se non si fosse imbattuto nell'altro, se non avesse avuto a disposizione quella piacevole distrazione e se il suo respiro avesse mai ritrovato un ritmo normale.
E come se gli avesse letto nel pensiero, il ragazzo ridisegna con le dita il solco tra le sue scapole, facendolo tremolare appena, e chiede: «Come va?»
Glielo domanda senza muoversi di un millimetro, l'abbraccio ancora vivo e il suono della sua voce è carico di gentilezza e premura.
Louis annuisce e «Ora meglio, decisamente» comunica. «Grazie...» lascia che la voce si spenga appena quando si rende conto di non conoscere neppure il nome di quello sconosciuto che sta abbracciandolo e aiutandolo in maniera tanto spassionata quando potrebbe benissimo ignorarlo. Deve essere sincero, ha dovuto impedirsi più volte di buttare via altre battute sarcastiche sul fatto che magari l'altro ci stia provando (è così da stupidi pensarlo vista la realtà cieca che li vede protagonisti) e si ritrova a reprime quell'impulso anche in quel momento, quando domanda con una certa frenesia: «Comunque mi chiamo Louis, tu?» Non sa niente di lui, il nulla assoluto, ma dal modo in cui quel ragazzo lo abbraccia, accarezza, il modo in cui lo conforta gli suggerisce che potrebbe davvero provare le stesse irrazionali emozioni nei suoi riguardi.
Lo sconosciuto, tuttavia, anziché rispondere annuisce e sembra annusare di nuovo l'odore dei suoi capelli, un respiro profondo col naso affondato tra le ciocche sopra alla sua testa. Quella idea gli fa mordicchiare un labbro, domandandosi mentalmente che cosa l'altro stia pensando di lui, del suo odore, della sensazione dei suo corpo tra le braccia e premuto contro di lui. Poi lo sente pronunciare il suo nome, invece di comunicargli il proprio, e un moto di insofferenza lo scuote appena.

«Allora, posso sapere come ti chiami?» incalza Louis, senza neanche preoccuparsi di celare l'impazienza nel tono di voce. Deve essere proprio quello a far concepire all'altro l'idea che gli propone in risposta, con voce tremendamente divertita e un pizzico maliziosa.

«Ti propongo una specie di sfida, ci stai?» gli dice il tizio, le dita affondate con una sorta di possessione nella pelle delle spalle (Louis è sicuro che l'indomani ritroverà dei segni in quello stesso punto del corpo, come una specie di piacevole promemoria di quanto accaduto). Non ha idea di che cosa voglia proporgli, ha un po' timore di scoprirlo perché già il fatto che l'altro studi psicologia la dice lunga sul suo conto, a parer suo. Magari è uno di quelli che si divertono con i giochetti mentali, che provano sadico piacere a destabilizzare il prossimo o a psicanalizzarlo a tradimento.
Tuttavia Louis annuisce e lo sprona a parlare.

«Prima che ritorni la luce mi allontanerò da te» inizia a spiegare, allentando già la presa delle braccia e distaccando appena i loro petti. «Se riuscirai a riconoscermi nel gruppo di persone presenti in questo giro, prima di arrivare all'uscita della casa, ti prometto che te lo dirò».




Quanti graffi da accarezzare
per tutti i cieli che possiamo tracciare,
tutte le reti del tuo odore
dentro gli oceani che dobbiamo affrontare.





Louis solleva un sopracciglio, sebbene l'altro non possa vederlo, e affascinato dalla proposta del ragazzo, e pure parecchio coinvolto dal tono di voce con cui gli ha parlato fino a quel momento, annuisce accettando la sfida. E sa che anche quella sensazione è di un irrazionale allucinante ma non può fare a meno di percepire così, a pelle, che anche l'altro sia intrigato da lui. Il buio che li costringe ad una cecità forzata rende tutto più misterioso, magico, amplificato e sa che non è l'unico, tra i due, a pensarlo in quell'istante. La prima cosa che Louis fa, per puro istinto, è avvolgere le mani attorno al volto dello sconosciuto, i pollici a premere sugli zigomi, affondano poi nelle guance. Il ragazzo lo lascia fare, non si ritrae, perché sa che quello è l'unico modo per lui di abbozzare un'idea del suo volto. Piega il capo di lato, Louis, e infila le mani tra i capelli del tipo, scoprendoli come già aveva intuito durante il loro abbraccio, lunghi e apparentemente ondulati come se si chiudessero a boccoli verso le punte. Trascina le mani in basso, sulle spalle, scoprendole più ampie di quanto immaginava e comprende che è realmente più alto di lui, di almeno una spanna e mezza. Riporta le dita su quel volto e traccia con un dito la curva del naso, con i pollici ridisegna l'arco sopracciliare, memorizzando così anche la distanza tra gli occhi, la rotondità di entrambi gli orecchi. Louis è fisionomista, ritrae volti, lavora la creta e l'argilla, studia scultura e restauro da tre anni ed è per questo che sotto alle sue palpebre appare immediatamente un viso che spera possa avvicinarsi il più possibile alla realtà. Sospira e annuisce a se stesso mentre sposta le dita lungo la pelle di quel volto che non ha smesso un solo istante di toccare. Sospira di nuovo e trattiene il fiato quando con un pollice traccia anche la pienezza di quella bocca che fino a poco prima gli ha parlato; non può vederne il colore ma quella rotondità sfacciata gli suggerisce che sia di un intenso cremisi, dello stesso colore del sangue arterioso. Si lecca le labbra mentre percepisce vividamente quelle dello sconosciuto sollevarsi agli angoli in un sorriso che, sul serio, muore dalla voglia di poter osservare alla luce, scoprire in una volta sola tutti i colori che gli appartengono: un'esplosione inaspettata di fuochi d'artificio incastrata nel cuore buio della notte. Sente il respiro del ragazzo, quando alza appena il volto, infrangersi sulle sue guance e Louis comprende di dover mettercela tutta, di dover disegnare nell'oscurità della sua mente quel corpo così da poterlo ritrovare anche nella luce. Ed è come scoprirsi e conoscersi in una maniera primordiale, un ritorno alle origine di ogni senso meno che della vista. Le mani di Louis scivolano sulle braccia definite dello sconosciuto, ne tastano la muscolatura, ridisegnano le vene che corrono lungo gli avambracci, stringono la larghezza dei fianchi. Il ragazzo sembra fremere appena quando lui schiaccia la punta del naso contro al tessuto della maglietta all'altezza dello sterno per annusarne l'odore, di nuovo, memorizzandone ogni molecola così che possa ritrovarle tutte le volte che lo vorrà.

D'improvviso, poi, la voce metallica che ha parlato poco prima ritorna di nuovo e stavolta per comunicare a tutti che in pochi minuti ritornerà la luce e che potranno uscire da lì per riprendere il percorso nell'attrazione in cui si trovano bloccati. Mentre alcuni esultano alla notizia e altri sembrano essere d'accordo sul fatto che tutto faccia parte del copione di quel genere di giostra, il tipo si abbassa appena e «Ci restano pochi minuti, credi di essere pronto?» gli chiede. La sua voce appare provata, consumata come se avesse urlato per ore. Louis non sa se è per la consapevolezza che presto dovranno staccarsi o per le sue mani che non hanno smesso un solo attimo di toccare ogni punto del suo corpo con un pizzico di sfacciataggine perché «Non mi piace perdere» gli dice, mentre con le dita scopre che l'altro indossa una camicia sbottonata sotto cui ha una t-shirt. Il capellone, così lo ha ribattezzato nella sua mente, ride ancora una volta e lo fa piano, il petto che si solleva ad intervalli irregolari e che fa tremolare le sue mani che lo stanno ancora toccando. Louis pensa, in un lampo di lucidità fittizia, che se le luci ritornassero in quel preciso istante chi è lì attorno a loro potrebbe persino pensare che di quel buio ne hanno approfittato. Quel pensiero lo fa sorridere inconsciamente, si assesta pure una manata sulla fronte rassegnandosi al suo modo assurdo di pensare, in certe circostanze.




Ma voglio che tu
tu piano piano scivoli dentro me,
ma voglio che tu
nell'insinuarti sia incantevole.





«Ci sono» afferma lui d'un tratto, allontanando definitivamente le mani dal corpo dello sconosciuto. Questo sospira, in quel nero ancora assoluto e «Bene» mormora, nella voce un chiaro sorriso che Louis davvero non fa fatica a percepire. «Dimostrami quanto ti piace vincere». Si tratta di un battito di ciglia, sente le dita del ragazzo sfiorargli impercettibilmente, a tentoni, una guancia poi la mascella ricoperta da un sottile strato di barba, prima che la sensazione di abbandono si incolli al tessuto della maglia come un soffio freddo. Passano ancora pochi altri minuti in cui Louis prova a regolarizzare di nuovo il respiro, ora che è di nuovo solo.

Ed è soltanto in quel momento che si rende conto quanto la presenza di quello sconosciuto sia stata fondamentale, per lui. Ha scampato un attacco di panico, ha gestito la sua ansia grazie alla distrazione fornitagli da quel ragazzo di cui ora ha solo una bozza disegnata sotto alle palpebre e l'odore impigliato nelle reti della sua anima. Il cuore riprende a battere nuovamente con forse troppa esaltazione e spera sul serio la luce ritorni in fretta, che quelle dannate porte si riaprano concedendogli la libertà. Non fa neanche in tempo a pensarci che la luce gli inonda le pupille, improvvisamente, facendogli desiderare sul serio di morire perché è terribile l'intrusione luminosa dopo un tempo tanto lungo passato nella più completa oscurità. Un coro di disappunto si solleva come uno stormo di uccelli infastiditi da un improvviso sparo: ci sono risa, esultanze e soprattutto parecchie imprecazioni. C'è chi riabbraccia il proprio amico d'avventura, chi allunga il collo per cercare chi ha perduto nel frastuono collettivo provocato dal buio inaspettato e poi c'è lui, con ancora le mani premute sugli occhi perché si è appena reso conto di una cosa che un po' lo spaventa. Louis capisce che nell'attimo in cui i suoi occhi osserveranno di nuovo la luce, ciò che nell'oscurità ha disegnato accuratamente svanirà spazzato via da pochi battiti di ciglia. Tuttavia si scopre costretto a riabbracciare la realtà quando un braccio di Zayn gli scivola con forza attorno alle spalle, attirandolo a sé e trascinandolo bruscamente con i piedi per terra.
Il percorso in quel finto edificio abbandonato riprende così come è iniziato. Si imbattono nei soliti attori che sbucano dalle ombre di un angolo, che urlano loro contro, inciampano in grovigli di corde o in finti cadaveri in putrefazione e i più suscettibili urlano di spavento anche per i più stupidi motivi.
È sempre tutto troppo buio, comunque, e anche se non completamente come è successo in quella camera la luminosità non è mai abbastanza per permettere a Louis di guardarsi intorno alla ricerca dello sconosciuto, quel ragazzo che lo ha sfidato a riconoscerlo nella luce. Quando sono tutti già fuori dall'edificio e all'aria aperta, ancora nel cortile che è l'ultima tappa di quel tour degli orrori, Louis inizia a percepire la consapevolezza della sconfitta fargli bruciare lo stomaco e guardarsi attorno è inutile perché, sebbene siano solo in quindici lì dentro, gli pare impossibile riconoscere colui che sta cercando. Zayn glielo chiede pure il perché stia scandagliando ogni angolo, gli domanda se ha perso qualcosa e si offre addirittura di dargli una mano; ciò lo fa ridere istericamente perché no, non può aiutarlo in alcun modo. Louis inizia persino a ponderare l'idea di essersi immaginato tutto, tra l'altro potrebbe sul serio essere stato il panico a fargli concepire la convinzione di essere stato tra le braccia di un ragazzo che, come se non bastasse, si è interessato a lui e al suo malessere.

Potrebbe essere stato un angelo si ritrova a pensare prima di rendersi contro che lui manco crede nel Paradiso e in tutte quelle cose. Poi è un attimo, istantaneo quanto l'apparizione del sole nel cielo, allo sparire di una nuvola. La sente chiara, e incredibilmente vicina, una voce urlare: «Niall per favore smettila!»
E a parlare è stata una ragazza dai lunghi capelli color cioccolato che ora sta ridendo mentre un ragazzo biondo le solletica i fianchi e lei se ne sta piegata in due per le risa. Il cuore di Louis pare impazzire e comportarsi proprio come se fosse in preda al panico più spietato solo che, questa volta, è una sensazione di euforia pura. Si sente onnipotente per alcuni attimi e assapora già sulla lingua il sapore di un nome che ancora non conosce. E quando si stacca dai suoi amici, per avvicinarsi di più verso il ragazzo dalla chioma bionda, che ora abbraccia l'altra ragazza, Louis pensa di non avere più alcun dubbio. Non si è mai sentito tanto sicuro in vita sua come in quel preciso momento ed è la sensazione più bella di sempre. Sa di non stare sbagliando quando la sua memoria aiutata dal tatto, amplificato dall'oscurità totale, inizia ad incastrare tutti i tasselli che lui ha costruito quando a disposizione aveva solo l'immaginazione. Accanto ad un tipo dai capelli rossi e corti, non troppo alto, se ne sta uno che indossa una camicia aperta, di cui ora vede sia i colori che la fantasia a quadri, una t-shirt nera al di sotto, capelli lunghi e mossi, labbra grosse strette attorno al filtro di una sigaretta e spalle larghe. Lo osserva e nota anche che ha una mano nella tasca posteriore dei jeans stretti, il capo piegato e sul viso un sorriso mite mentre si osserva distrattamente attorno come se anche lui cercasse qualcuno. Come se aspettasse qualcuno. Louis allora si avvicina abbastanza da richiamare la sua attenzione e il ragazzo che sta fumando volta il capo proprio nella sua direzione: lo vede, lo guarda per una manciata di secondi prima di voltare altrove i suoi grandi occhi verdi. A quel punto Louis si sente tremendamente frustrato e si morde un labbro, si dà pure dello stupido per aver creduto di averlo davvero riconosciuto, trovato.
Tuttavia gli basta un respiro, compiere un solo passo all'indietro per capire di essersi sbagliato perché quel ragazzo volta di nuovo il capo verso di lui, in uno scatto repentino, un movimento frenetico quanto incredulo e questa volta incastra lo sguardo dritto dentro al suo. Non è solo un'occhiata distratta, ora, ma una vera e attenta osservazione, una illuminazione, una comprensione che come una mano stringe il cuore di Louis bloccandoglielo nelle ossa toraciche. Il ragazzo assottiglia lo sguardo e allontana il filtro dalla bocca cosicché quando soffia via il fumo, fissandolo con minuzia, lo fa piegando le labbra cremisi (come lui le ha abbozzate nella sua mente) in un sorriso storto da perderci la testa. E lo sa, Louis sa che agli occhi del mondo può sembrare una sciocchezza, affrettato, da romanzi rosa o da commedie romantiche ma in quell'attimo tutto intorno a loro sparisce, di nuovo, e stavolta il buio non c'entra niente perché ad annullare tutto il resto è il reciproco riconoscersi.
E ritrovarsi.





Ma voglio...








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Ho scritto e pubblicato con il cellulare quindi perdonaaaaatemi eventuali strafalcioni dettati dalla dislessia! Detto questo... Buona domenica a tutti, io sono K e questa che avete letto è una flash (okay, è più lunga di una flash ma rispetto alle cose che di solito scrivo per me questa è davvero una cosetta) che ho scritto di getto, ascoltando i Subsonica.
Qualcuno di voi che li ascolta, dal titolo, avrà sicuramente riconosciuto da subito la canzone galeotta. Innanzitutto vi ringrazio per aver letto ♥ e spero mi lascerete un segno del vostro passaggio! Qui in una recensione o su twitter @bluesidhe o su ask psychromatic.
Ora senza tediarvi troppo ci tengo a dire come è nata questa cosa. L'odore dei Subsonica per me è la canzone.
Ascoltandola ho sempre immaginato questo "conoscersi" al buio, scoprirsi, toccarsi, sentirsi, senza mai concedere alla vista (che è il senso delle apparenze e della superficialità) di prendere il sopravvento sulle emozioni e le sensazioni.

Ricapitolando, ho immaginato un modo alternativo di fare incontrare e conoscere Louis e Harry e vorrei che si fosse capita la mia intenzione di trasmettere un messaggio preciso: secondo me, e molti altri che credono in loro etc etc, Harry e Louis sono destinati a incontrarsi e conoscersi sempre, in ogni universo alternativo, in ogni vita possibile e immaginabile.
Quindi questo "scontrarsi/incontrarsi" al buio è come una sorta di allegoria per celare il disagio prepotente che mi è esploso dentro ascoltando quella canzone per davvero la trilionesima volta nella mia vita.
Detto questo, spero vi sia piaciuto leggere e vi lascio ♥
alla prossima,
K
   
 
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