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Autore: Relie Diadamat    16/11/2015    2 recensioni
La storia parte dalla confessione di Mordred a Morgana, riguardo la vera identità di Emrys. La Sacerdotessa s'infiltra dunque a Camelot, sotto mentite spoglie, smascherando Merlin dinanzi al suo re. Arthur decide di risparmiare il suo servo, ma lo condanna all'esilio. Emrys viene poi catturato da Morgana, la quale desidera una sola cosa: portarlo dalla propria parte.
Dal testo:
«Io e te potremmo avere tutto. Un futuro, Camelot, il diritto di essere ciò che siamo. Insieme, potremmo essere invincibili, conducendo Arthur Pendragon verso la sua fine.» Il fiato di Morgana s’adagiava su ogni centimetro del volto del ragazzo, quasi come una carezza ammaliante. «Avremmo la nostra vendetta, tutto ciò che abbiamo sempre desiderato».
«Credo nella speranza, ho fiducia nelle buone intenzioni. Credo nel regno che Arthur è destinato a costruire.» Merlin ebbe come l’impressione che la sua voce non fosse mai stata tanto ferma. «Non me ne faccio nulla della vostra vendetta. Il vostro tutto equivale al niente, per me».

[Questa storia partecipa al contest "The Once and Future contest, indetto da Elisaherm e Chloe R Pendragon sul forum di efp]
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Merlino, Mordred, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Morgana
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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Nda: Salve a tutti! 
Finalmente mi sono decisa a pubblicare quest'ultimo capitolo, molto breve. E' stato scritto di fretta, quindi potreste facilmente "incontrare" degli errori, ma... spero vi piaccia lo stesso. Spero di non aver deluso nessuno.
Grazie a tutti coloro che hanno seguito la storia inserendola nelle varie categorie; grazie a chi ha letto in silenzio e grazie a hiromi_chan, ginnyred e pendragon_11 e a tutti gli altri per aver recensito. 
Buona, spero, lettura :)
 

IV.I just want you to know who I am 
 (Epilogo)
 





Arthur, irato quanto impacciato, cercava d’indossare da solo la sua armatura, finendo solo col fare un gran casino che Ginevra fu rapida a cogliere.
Si avvicinò al marito dolcemente, poggiandogli una mano sulla spalla nell’intento di calmarlo, aiutandolo con l’armatura. «Cosa hai intenzione di fare, Arthur?»
L’uomo faticò a non stringere forte le mani in due pugni pallidi, limitandosi a serrare la mascella. «Devo trovarlo, Ginevra.» disse, afferrando senza ripensamento Excalibur dalle mani della consorte. «Devo trovarlo».
«Non credo sia una buona idea, Arthur. Morgana è capace di tutto… Non sai cosa possa aver fatto a Merlin».
«Ma è Merlin!», scoppiò, dando libero sfogo a tutti i sentimenti che si era tenuto dentro in quei giorni: «E’ sempre stato qui a pulirmi gli stivali, lucidarmi l’armatura e lavarmi i vestiti! Io… Ne abbiamo passate tante insieme!» Si zittì nel vedere il viso impassibile di sua moglie, ancora contrariata.
«Questa guerra deve finire, Gwen, ed io non intendo tirarmi indietro.»
«Allora verrò con te», si premurò. «Potrei aiutare i cavalieri feriti, con Gaius».
Il Pendragon ci pensò su per un momento, per poi scuotere il capo. «No. Il nostro unico obbiettivo per il momento è Merlin. Gaius ci sarà più che sufficiente. Devi rimanere qui, Gwen, a badare al nostro popolo. Io, tornerò presto», le promise, baciandola sulle labbra.
«Arthur!» lo bloccò, prima che scomparisse. «Non tornare da solo».
Sorrise il re di Camelot, abbassando lo sguardo sull’oggetto che la donna gli stava porgendo: il fazzoletto, quello del loro primo bacio. Lo prese tra le mani stringendolo come se fosse il più prezioso tra gli smeraldi, giurandole: «Non falliremo».
 
 
 
 
 
Gaius aveva convinto Arthur ed i cavalieri che la morte di Percival non fosse stata opera di Merlin, bensì di Morgana che, con la sua perfidia e la sua magia, lo aveva soggiogato.
Dapprima nessuno sembrava voler credere a quella teoria, ma poi avevano preso la loro decisione: se quella di Morgana era una provocazione per versare altro sangue, loro non l’avrebbero accolta; Arthur si sarebbe recato al cospetto della sorellastra offrendole ritorno a Camelot, dove l’uso della magia era stato riammesso.
Così, armati per precauzione, il re ed i suoi più fedeli cavalieri erano partiti verso le terre nemiche.
 
 
*
 
 
Quello di cui Camelot era all’oscuro, erano le numerose persone corrotte a corte. Una serva, nonché nuova amante di Gwaine, era riuscita ad intrufolarsi nel castello, entrando nelle grazie del cavaliere. Fu proprio lei ad informare Lady Morgana dell’imminente visita.
«Lo anticiperemo sulla tabella di marcia», ordinò melliflua la strega, «accerchiandolo su tutti i fronti».
Mordred, schierato insieme ad altri stregoni e combattenti, annuiva consenziente, pregustando già il sapore della sua vendetta: Kara avrebbe avuto giustizia; tutte le persone cadute per mano di Arthur Pendragon avrebbero avuto giustizia.
Solo una persona, tra tutti, non aveva mosso le sue labbra dalla solita linea retta. Solo un mago, con gli occhi turchesi, era rimasto impassibile a quelle parole.
Il viso della Sacerdotessa si crucciò sospettoso. «Che hai?», gli chiese indagatoria. «Perché non acclami la futura morte del re?»
In quel momento, anche gli altri presenti prestarono attenzione allo stregone. Emrys neanche li osservava; sembravano tutte nuvole nere, segregati in stupide mura grigie che sbraitavano e scalciavano per ribellarsi e tingere di rosso un cielo azzurro.
«Esigo una risposta quando ti pongo una domanda, Emrys», sibilò la donna nel suo abito nero, con le sue labbra rosee e carnose ed il suo seno semiscoperto.
«Ha ristabilito la magia a Camelot», scrollò le spalle. «Che motivo c’è di attaccarlo ancora?»
La risata di scherno della strega riecheggiò tra le pareti di pietra di quel posto gelido, riempiendo in un attimo l’intera sala. «Tu ancora credi alle parole di Arthur, povero sciocco?»
«Io l’ho sentito parlare!» sostenne il mago, sentendo su di sé gli sguardi pungenti dei presenti, primo tra tutti quello di Mordred. «C’era anche lui, può confermarlo!», ammise indicando il druido.
Morgana si voltò scettica verso il moro, un sopracciglio all’insù, finché questi non negò: «Io non ho udito nulla».
«Mente!», si difese Emrys, capendo che la situazione rischiava di scivolargli dalle mani. Qualcuno si era voltato bofonchiando parole come “inganno” e “traditore”.
«Basta!», urlò la corvina, zittendo l’intera sala. Col viso arrabbiato scrutò per bene ogni volto, assicurandosi di essere stata abbastanza convincente, mentre in un angolo un uomo strangolato dalla magia impulsiva della Sacerdotessa s’accasciava al suolo.
Merlin sentì il cuore battergli forte nel petto. Morgana si era voltata verso di lui con gli occhi severi e rimproveranti, ma bastò sentire la sua mano sul proprio addome per perdere il lume della ragione. Come una delle più letali maledizioni, le loro notti d’amore tornarono a galla, costringendo il corvino verso quella donna, verso il suo mondo, verso quel bacio del peccato.
Così vicino al suo volto, Merlin poté vedere chiaramente le sue labbra invitanti richiamarlo, ad un soffio dalla sue.  «Da che parte vuoi stare, Merlin?»
Si muovevano in modo così lento… così preciso, così irreale. Quelle labbra erano tutto, una firma e una condanna; il Paradiso e l’Infermo.
«Con te…» ammise, lasciando parlare per una volta il suo cuore. Era questo che voleva: non stare dalla parte di Arthur, non stare dalla parte della strega malvagia, non stare dalla parte del Destino. Voleva stare con lei. Non gl’importava quale strada avesse dovuto attraversare o cosa avesse dovuto affrontare, lui sarebbe sempre rimasto con lei.
 
 
 
 
Il momento era giunto.
Mordred impugnava la spada forgiata dal fuoco di Aithusa, acquattato insieme agli altri tra gli alberi fitti della foresta.
Morgana, al fianco di Merlin, lo guardava di sottecchi. Per un momento aveva avuto paura di essere tradita ancora, di essere abbandonata da quell’uomo per l’ennesima volta, ma poi lui aveva deciso di stare al suo fianco.
L’ultimo ricordo che Morgana ebbe di quel giorno, fu l’ultimo della sua vita.
 






L’Inferno scese sulla terra nell’esatto momento in cui, l’urlo di Morgana diede inizio alla battaglia. Un cavaliere era stato ferito mortalmente, Leon, dopo che quest’ultimo ne avesse uccisi cinque della schiera nemica.
Gli uomini della strega erano molti, decisamente più di quelli del re di Camelot.
Da una parte e dall’altra, i cavalieri caddero come fiocchi di neve nel gelido inverno, sciogliendosi al suolo, trovando la loro fine.
Tuttavia, il mondo di Arthur parve rallentare nel ritrovarsi dinanzi agli occhi l’unica persona che cercava: Merlin.
Il mago era impassibile, pietrificato al suolo. Non sembrava neanche lui.
Il biondo si avvicinò piano, sussurrando flebilmente il suo nome. Erano cresciuti insieme, avevano vissuto l’uno al fianco dell’altro. Nessuno dei due si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi a quel punto di non ritorno.
Lo sguardo di Merlin, quello azzurro e sbarazzino di tutti i giorni a Camelot, non era più lo stesso. Era più cupo, più scuro… Meno suo.
Arthur si fermò ad un passo da lui, infilzando la spada nel terreno.


«Merlin! Sei vivo! Temevo di averti perso!»
 

 
Colpiscilo. Uccidilo.
Merlin era immobile, non sapeva più né muoversi né parlare.
Finiscilo, coraggio!
Sapeva starsene solo zitto, con i piedi di cemento.
Fu Arthur a sciogliere il ghiaccio che si era posato sul suo cuore, circondandolo con le sue braccia. Lo tenne stretto forte, con gli occhi chiusi, cuore contro cuore.
E lì, il corvino ricordò ogni cosa. Ricordò del loro primo incontro, dell’arroganza firmata Arthur Pendragon che altro non era se non una semplice maschera, una maschera che celava l’uomo che bevve un calice avvelenato per salvare un suo servo; l’uomo che aveva lottato per Ealdor, l’uomo che gli aveva insegnato il coraggio e la nobiltà d’animo, lo stesso che era corso indietro temendo di averlo perso. Merlin, semplicemente, si ricordò del suo migliore amico.
La parte più importante di lui. Ciò che era realmente.
Merlin si lasciò andare, cingendo la schiena del re con le proprie braccia.
L’ultima cosa che ricordò, fu la lama di una spada nel suo corpo.
Mordred stava per colpire Arthur alle spalle. Merlin aveva aperto le palpebre giusto in tempo per accorgersene, e sciogliere l’amico dal proprio abbraccio, spingendolo lontano.
Il dolore, quello della ferita, fu poco meno insopportabile della consapevolezza di aver ucciso anche Morgana con sé. Cadde a terra, vedendo solo ombre. Ombra, era il corpo di Mordred caduto riverso a terra senza vita, ombra era il volto spezzato di Arthur che gli urlava di restare vivo.
«Mi dispiace», disse. «Io l’amavo», sussurrò.
Arthur inghiottì il dolore, prendendo il volto di Merlin tra le dita. Lui non poteva andarsene via, non poteva morire.
«Ho sentito il vostro discorso l’altra volta… Mi è piaciuto molto. Mi stupisco quando riuscite a dire cose intelligenti.» La voce di Merlin si spegneva ad ogni parola. «Siete il più grande re che questa terra abbia mai visto, Arthur ed io… Vi ringrazio.»
Chiuse gli occhi, per l’ultima volta. Arthur cercò di risvegliarlo ma non ci fu verso.
Eppure, l’ultima cosa alla quale Emrys, il più potente stregone di tutti i tempi pensò, fu il viso pallido di una donna crudele, un tempo così vicina al Paradiso, più di quanto lui non lo fosse mai stato.
Era colpa sua se era diventata ciò che era e di questo, non si sarebbe mai perdonato. Magari, nella nuova vita, avrebbero trovato un altro modo per stare insieme. Senza che il mondo li vedesse.
 
   
 
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