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Autore: lawlietismine    18/11/2015    1 recensioni
IN PAUSA
Merthur - stessa ambientazione storica del telefilm - dark!Merlin e king!Arthur.
Morgana ha bisogno che qualcuno uccida Arthur Pendragon per lei e Merlin Emrys sembra essere l'uomo adatto a questa impresa.
Le voci che giravano accompagnando quel nome, erano abbastanza forti da tenere a distanza chiunque si trovasse perfino per caso nei dintorni del villaggio di Leeds, perché era risaputo che Emrys – oltre a essere potente – fosse spietato e maligno, legato all'Antica Religione.
Pochi lo avevano visto di persona, alcuni dicevano fosse un vecchio uomo dai lunghi capelli bianchi, un'espressione sempre seriosa e burbera in volto e un aspetto malmesso, altri invece raccontavano di aver visto un giovane ragazzo dai capelli scuri e gli occhi chiari, un ragazzo che incuteva timore solo con lo sguardo e che non si faceva scrupoli a far uccidere qualcuno dai suoi scagnozzi, un ragazzo quasi privo di umanità.
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Nessuna stagione
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Questi personaggi non mi appartengono (ç_________ç nemmeno un po'?!?!), questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (eh già, è stata scritta solo per soddisfare la mia mente malata).



Capitolo 2


 

Merlin non aveva affatto dormito quella notte, i mille pensieri che gli occupavano la testa e le varie elucubrazioni a proposito di Arthur Pendragon, Re di Camelot, lo avevano tenuto sveglio e occupato fino a quando la luce chiara del sole non aveva iniziato a vedersi nel cielo di quelle terre.
Il piano era semplice e quasi ridicolo, in effetti, una batosta per la dignità di un qualsiasi sovrano: rapito come niente sotto il naso dei suoi valorosi cavalieri durante una semplice battuta di caccia, da un essere poi che nel suo grande e maestoso regno era oltretutto ripudiato: se ne sentiva quasi divertito.
Non si fermò a fare colazione, bensì preparò le pochissime cose che aveva, pagò la locanda e poi si affrettò ad andarsene, per non perdersi l'uscita degli uomini dal castello.

Trovare l'oggetto del suo interesse non fu difficile, nei pressi delle stalle un gruppo di cavalieri, tra cui Gwaine, occupato a sgranocchiare distrattamente una mela verde, era intento a controllare che i cavalli fossero ben preparati, tra di loro – questa volta Merlin non si fece ingannare e lo individuò – c'era il Re, che accarezzava con cura il muso del suo destriero mentre allo stesso tempo parlava con uno dei suoi uomini di fiducia: Merlin osservò accuratamente ogni suo movimento, ogni suo particolare e dentro di sé sentì la voglia insistente di portare a termine la missione velocemente.
Se si fosse lasciato guidare dal momento e dal suo istinto, sarebbe balzato fuori da quel misero nascondiglio dietro le mura, avrebbe attirato l'attenzione di tutti verso di sé tornando finalmente se stesso e con tutta la soddisfazione che gli avrebbe procurato vedere la sorpresa negli occhi del Re impreparato, lo avrebbe catturato in un attimo e portato via.
Ma Merlin Emrys non era certo stupido e per quanto la sua immaginazione facesse credere il contrario, un'azione del genere non sarebbe stata la migliore delle ipotesi e non sarebbe stata neanche così facile da realizzare, non evitando di spargere il terrore e il caos a Camelot con un probabile scontro tra la sua magia e i numerosi cavalieri del Re: lui, possibilmente, voleva evitare un coinvolgimento troppo esteso, perché poi di conseguenza avrebbe dovuto mobilitarsi per placare tutti e metterli in ginocchio e non aveva assolutamente tempo da sprecare, lui.

“Sire, c'è qualcosa che non va?” il richiamo di uno dei Cavalieri lo fece tornare concentrato e notò che erano tutti pronti a partire: il Re, però, sembrava distratto, come se qualcosa lo stesse tormentando, e proprio come se si fosse accorto di essere osservato, il suo sguardo si spostò improvvisamente repentino nel punto in cui Merlin era celato: lo stregone si tirò indietro velocemente, giusto in tempo per non essere visto e mentre stava con la schiena saldamente alle mura, i sensi in allerta, aspettò che l'altro tornasse ai suoi doveri.
“Sire?” sentì di nuovo, stavolta da una voce leggermente familiare, quella di Gwaine, che parve senza novità fra l'incuriosito e il sarcastico, come se stesse dubitando della sanità mentale del suo sovrano: seguì un attimo di silenzio, in cui Emrys riuscì a percepire dei passi avvicinarsi, poi si interruppero.
“Pensavo...” parlò Arthur Pendragon, lasciando la frase incompleta “niente, siamo pronti a partire” e detto ciò, tutto riprese, lui tornò indietro e come i cavalieri montò a cavallo, insieme lasciarono il castello, seguiti presto – inconsapevolmente – da Merlin.

Era il più forte a sopravvivere, era il più forte quello che riusciva a salvarsi e a vedere l'alba di un nuovo giorno, non il debole, no, non c'era spazio nel mondo per costui: prima o poi il destino si sarebbe compiuto e ogni cosa avrebbe trovato il suo scopo, i deboli sarebbero caduti sotto la potenza dei forti.
Un ciclo continuo, una corsa ininterrotta, un percorso segnato.
Merlin Emrys lo appurava ogni giorno, tutte le volte in cui le sentinelle, sotto suo diretto ordine, scoccavano i loro dardi, e ne era prova il sangue indistinguibile che macchiava le sue terre, o ogni volta in cui gli venivano poste richieste che miravano a un'infima soddisfazione personale: i deboli erano proprio quelli che si mostravano al suo cospetto, sentendosi grandi e pronti a ottenere tramite lui qualcosa di grosso.
Ma il potere è niente se colui che lo detiene non è potente a sua volta.

Merlin era potente e aveva il potere, Merlin era uno dei forti.

Lo sapeva, non aveva bisogno di sentirselo ripetere dalle persone che volevano catturare la sua attenzione, vincere la sua grazia: lo sapeva, lui, che avrebbe potuto spezzare chiunque, avrebbe potuto divorare il più debole, toglierli la sua inutile vita con niente, perché lui era quello forte, lo era sempre stato.

Anche i forti, però, hanno un prezzo da pagare.

“Gwaine!” Arthur Pendragon e i suoi cavalieri stavano giungendo in terre sempre più distanti dal castello, dietro di loro un'ombra impercettibile che li seguiva senza essere notata, persa anch'essa nei suoi pensieri come il sovrano del regno in cui si trovava.
“Leon?” il cavaliere guardò con aria confusa il collega che lo aveva richiamato, quello gli stava facendo con discrezione cenno per fargli intendere che doveva guardare il re: quando le fece, si accorse che quest'ultimo – in mezzo a loro sul suo bel cavallo – guardava di fronte a sé con sguardo perso, come se, fino a quel momento, non avesse ascoltato neanche una delle conversazioni che avevano accompagnato quel viaggio.
Gwaine tornò a guardare Leon, scrollando subito le spalle in risposta a quella silenziosa domanda, poi dal nulla fu il re stesso a spiegare, parlando all'improvviso e facendo prendere così un colpo in un falso allarme a coloro che lo circondavano.
“Ho una strana sensazione, non so se sia un buono o un brutto presentimento” ammise, senza smettere di guardare altrove sovrappensiero: gli altri si scambiarono tutti un'occhiata incerti, ma prima ancora di poter rispondere – con sarcasmo per smorzare la situazione o con una domanda per capire meglio la situazione, cosa magari lo turbasse veramente – Arthur, quasi sentendosi richiamato a gran voce, fermò senza preavviso il cavallo e spostò con una calma preoccupante lo sguardo alle sue spalle.

Dentro di sé non si sorprese quando intravide una figura, la sua mano si spostò sicura sulla sua spada per abitudine, pronto a estrarla, ma si bloccò presto nel rendersi conto, stavolta sì sorpreso, della presenza di una giovane ragazza non sconosciuta, e l'indecisione lo colse: quella, ferma dietro di loro con le braccia incrociate al petto e uno sguardo ferino dritto nel suo, sembrava certa che si sarebbe accorto di lei e pareva attenderlo senza buone intenzioni, disinteressata fin troppo della presenza degli altri.
Alla fine il suono della lama estratta, in risposta a un mezzo sorriso accennato dalla ambigua portata amichevole da parte di lei, mise in allerta i suoi cavalieri e presto si sprigionò la tensione.

Merlin sentiva il potere scorrergli nelle vene impaziente, sotto l'attenzione di quegli occhi voleva quasi dar spettacolo della sua forza, lasciar perdere ogni stupido piano e scatenare l'oro nelle iridi blu, allargare le braccia e far ruggire il vento intorno a loro, obbligare quegli uomini armati a restare fermi, impotenti, mentre lui completava la sua missione, dissetandosi con quello sguardo sconvolto per l'impossibilità di agire, per essere stato colto senza difese, fisso su di sé.
Lo guardò quasi con follia per la violenza interiore che doveva farsi per placare il suo istinto, un ghigno malizioso e inaffidabile a delineargli le labbra, e quando sentì quel Gwaine interrompere quello scambio, percepì anche di conseguenza la voglia di scaraventarlo via con un solo gesto, furibondo, scocciato fino al limite.
“Merleen?” domandò evidentemente confuso, attirando su di sé l'attenzione di tutti: nel momento in cui il Re distolse lo sguardo per rivolgerlo al suo amico, Emrys avanzò di un passo, spostando il suo su colui che aveva parlato, in esso pura e inspiegabile rabbia.
“Cosa... Che sta succedendo?” aggiunse senza capire, indietreggiando impercettibilmente con le spalle nel vedersi rivolta quell'espressione intimidatoria: quando Merlin si mosse ancora, le braccia stese lungo i fianchi, serio, pian piano i suoi lineamenti iniziarono a cambiare, le vesti maschili tornarono a cadergli nella giusta misura sul fisico meno esile di prima, i capelli si ritirarono, ma lo sguardo – di nuovo sul Re, di nuovo sotto la sua completa attenzione – restò lo stesso.
“Ma che diamine...” Leon e un altro si mossero prima di tutti gli altri, scendendo da cavallo rapidi, spada alla mano pronti ad attaccare, forse in attesa di un ordine che però non arrivò come invece pensavano.
Arthur Pendragon fissava il ragazzo di fronte a sé con sgomento, come se avesse capito, un debole che realizza di trovarsi in trappola, di non aver possibilità. Dalle labbra di Arthur uscì un sussurro fragile, tremante per la rabbia che sentiva ribollirgli dentro per l'impotenza e per l'ospite inaspettato, preoccupato per i suoi cavalieri fidati, per i suoi amici, più che per sé, scioccato perché non si spiegava, se aveva ragione davvero, perché quello fosse lì da lui, perché uno così si fosse scomodato direttamente per lui.

Per Merlin fu inebriante sentirsi chiamare piano – perché lo sentì, nel profondo – con quel caos di emozioni contrastanti nel tono, fu una scarica lungo la spina dorsale, la spinta giusta per avanzare ancora, insensibile di fronte ai richiami dei soldati che gli minacciavano contro chissà che cosa, troppo occupato a pensare al suo unico obiettivo, colui che lo stava guardando con una tempesta dentro, in cerca di un piano di salvataggio veloce che, però, sapevano bene entrambi che non sarebbe servito assolutamente a nulla.
“Chi diamine sei?” parlò uno di loro, puntandogli la lama alla gola. Merlin, troppo distratto ma allo stesso tempo completamente vigile, non ci aveva fatto minimamente caso al suo avanzamento minaccioso, non osservò neanche colui che lo sovrastava in altezza, semplicemente si lasciò andare: l'attimo dopo che ebbe poggiato le dita magre sull'arma che gli premeva sulla pelle, gli occhi si fecero dorati e tutto il resto ovattato.
Il Re seguì a terra i suoi cavalieri per cercare di attaccare, scendendo da cavallo, mentre quello di loro che aveva azzardato troppo lasciava cadere la spada per indietreggiare barcollando, la mano al collo e il respiro mozzato, soffocante.
Merlin, spazientito, mise fine alla questione proprio mentre tutti gli altri gli si avventarono contro: poche parole uscirono fluide dalle sue labbra in una lingua sconosciuta ai presenti, poi con un gesto li scaraventò tutti lontano, tutti tranne uno: in lontananza uno sbatter d'ali possente annunciò l'arrivo veloce di Kilgarrah.
“Sire!” gemette Gwaine, pura colpa nel tono e nello sguardo perso che si spostava dal suo Re a colui che ora gli era impossibile riconoscere come la donna con cui aveva passato parte della notte e che gli sorrise maligno, in un falso e ironico dispiacere, prima che sia lui che il sovrano svanissero insieme al possente drago.


Quando i cavalieri furono in grado di alzarsi di nuovo, oramai erano soli, con più nessuna traccia del loro re.


Merlin giunse al suo castello con irrefrenabile impazienza: quando Kilgarrah si posò a terra, lo stregone balzò elegantemente giù, neanche guardò la ragazza che gli si era avvicinata nel vederli arrivare e dopo averle indicato con un gesto disinteressato il corpo privo di coscienza sul drago, così che se ne prendesse cura lei, se ne rientrò a passo svelto fra le sicure mura della sua possente proprietà, che per troppo tempo non aveva visto.
I corridoi erano deserti come al solito, niente fuori posto e niente di strano, se gli fosse interessato avrebbe captato vagamente la presenza di qualche suo sottoposto che quasi pareva seguire il suo rientro da lontano, celato nell'ombra per passare inosservato ed evitare reazioni indesiderate, ma lui non ci fece caso e poco dopo si chiuse finalmente nelle sue stanze.
Merlin non aspettò molto, Freya – non se ne sorprese affatto, tanto era scontato che dovesse essere così – aveva fatto sì che l'acqua per il bagno fosse già lì al suo rientro, conscia del fatto che il suo padrone ne avrebbe usufruito molto volentieri, e a lui bastò un guizzo dorato, mentre lentamente si avvicinava e al tempo stesso si sfilava le vesti, per farla salire alla temperatura giusta, poi vi entrò e si lasciò cullare dalla sensazione di pace e familiarità che lo colpì.
Era strano per lui comportarsi così, perdere il controllo di sé per così poco e sentire la rabbia – o qualsiasi altra cosa avesse provato in quel momento particolare – pervaderlo. Lui era Merlin Emrys, calmo, saggio e talmente conscio della sua superiorità da avere quasi una pazienza velata di pena nei confronti degli altri, tale da non farlo reagire se non nella sua mente, dove giudicava, o a parole, lasciandosi a un incompreso sarcasmo che pugnalava senza essere riconosciuto, data l'altrui stupidità.

La missione era stata portata a termine con successo: come Morgana Pedragon aveva miseramente richiesto, Camelot non aveva più un sovrano sul trono, ma non sarebbe stato di certo lui ad avvertirla. Ora che il suo compito era stato svolto, la situazione non lo riguardava più e sarebbero stati unicamente affari della donna.
Neanche la sorte del Re sarebbe stata un'informazione a lei accessibile, perché Emrys per ora non aveva, o non credeva almeno di avere, alcuna intenzione di ucciderlo realmente. Per qualche motivo lo avrebbe tenuto – forse per suo diletto personale, forse come un premio o semplice prigionia, magari per sicurezza e tornaconto – nel castello, piegato al suo volere, ai suoi ordini e alla sua mercé.

Alla sua mente tornò inaspettato lo sguardo che gli era stato rivolto quando il re di Camelot, una volta che lui aveva ripreso le sue sembianze maschili, lo aveva apparentemente riconosciuto, forse per intuito; ripensò a quella rabbia, quella sorpresa, la preoccupazione, la confusione e a quell'accenno impercettibile e allo stesso tempo inebriante di paura che avevano saziato i sensi del giovane stregone, alimentando il suo desiderio di rendersi ancora più in evidenza, di dimostrare apertamente a quegli occhi quanto fosse invincibile e potente.
Come un gioco, un'eccitante sfida.

Merlin in quel confronto di sguardi si era sentito coinvolto, si era sentito vivo.

Restò immerso nell'acqua per più tempo del solito, poi una volta uscito non si fece comunque vedere in giro, rimase nelle sue stanze, consapevole che nessuno si sarebbe azzardato a disturbarlo per nessun motivo.
Lanciò uno sguardo a quel libro che era rimasto sul suo comodino per tutto il tempo da quando era partito e si ritrovò a non aver alcuna voglia di leggere, anzi, la stanchezza lo colse con sorpresa e alla fine si lasciò cadere sul letto e si concesse un po' di necessario riposo: appena toccate le lenzuola, si addormentò.

La sera stava già iniziando a calare quando si svegliò, fuori dalla finestra la luce del sole si stava pian piano facendo da parte, riflettendosi rossastra sulle acque del lago che circondava il castello, e il tramonto portò i pensieri di Merlin altrove, in antri più profondi di quanto avrebbe ammesso.
Quando finalmente si alzò, una semplice maglietta leggera indosso e dei pantaloni un po' consumati ma comodi, decise che era ora di fare una veloce visita al suo prigioniero, per vedere come stava reagendo di fronte a quella nuova realtà.
Si cambiò senza un perché, indossando qualcosa di più raffinato e pesante, più per il giudizio del nuovo arrivato che per quello dei suoi sottoposti, poi uscì e si affrettò a raggiungere Freya, per farsi condurre da lui: la ragazza, però, non riuscì a trovarla e dovette ordinare a un altro di svolgere quel compito.
Scoprì presto che la donna non lo aveva avvicinato per prima perché era ancora da Arthur Pendragon, vergognosamente costretto in una stanza senza alcun conforto materiale, né alimenti, né possibilità di starsene seduto su qualcosa di comodo, come un animale in una scabrosa gabbia, pronto al macello.
L'espressione che lo stregone assunse, fu tale da far gelare il sangue nelle vene alla ragazza, Freya, che esitando calò il capo in segno di sottomissione e rispetto e indietreggiò, desolata: il suo padrone non aveva mai tenuto prigionieri, ma sapeva che non avrebbe accettato di veder così il nuovo arrivato.
“Non ha voluto saperne, signore” quasi bisbigliò, tremante, percependo ancora su di sé la furia crescente in Emrys “ho provato a parlargli, ma–” il rumore della porta che veniva aperta la interruppe: lui era entrato, lasciandola sola e ignorata.

Arthur Pendragon se ne stava seduto in un angolo della stanza semibuia, i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani: nel sentire la sua presenza, alzò leggermente gli occhi per guardarlo con diffidenza e quasi disgusto, un sentimento nuovo fra quelli che gli aveva rivolto al loro incontro di quel giorno, un sentimento che lo infastidì e lo fece sentire in dovere di difendersi.

Quella stanza spoglia del castello era umida, bassa e quasi sotterranea, non era neanche arredata e Merlin non l'aveva mai considerata, per questo motivo sentì anche il bisogno di prendersela malamente con l'altra per averlo condotto proprio lì quando era privo di sensi, e per quanto se ne dicesse di lui, non avrebbe mai costretto il ragazzo a quelle condizioni, non ne aveva affatto l'intenzione.
“Seguimi” ordinò serio, dandogli le spalle – se fosse stato intelligente come lui pensava, infatti, non avrebbe neanche lontanamente pensato di attaccarlo all'improvviso – e distogliendo alla fine lo sguardo dal suo, così pieno di giudizio “ti porterò in una stanza più agevole, ti farò preparare un bagno caldo e ti farò portare del cibo” aggiunse distaccato, aprendo la porta di fronte a sé e fermandosi poi un attimo, in attesa di sentirlo fare come gli era stato detto.
Quando non lo percepì, si voltò indietro: Arthur non si era mosso e lo stava guardando sempre allo stesso modo, alimentando il suo fastidio.
Non si ripeté, Merlin, non lo aveva mai fatto e non avrebbe iniziato adesso. Se il sovrano di Camelot non voleva accogliere la sua gentilezza, Emrys non avrebbe insistito, non gli avrebbe dato una tale soddisfazione: se Arthur Pendragon preferiva restarsene lì come una bestia, lo avrebbe lasciato lì con quel suo disgusto e disprezzo insulsi che non facevano altro che irritarlo, come un pizzicore insistente e indesiderato.
Restarono così per un tempo impercettibile, fermi, a guardarsi come se stessero conversando animatamente in quel modo, poi Merlin tornò a dargli le spalle e alla fine uscì, lasciandolo solo, ma trascinandosi dietro una sensazione sgradita e amara.

“Portagli qualcosa” fu tutto ciò che disse a Freya, ancora immobile dove l'aveva lasciata, prima di risalire a passo svelto le scale e andarsene senza voltarsi più indietro, un principio di mal di testa crescente e un senso di rabbia dentro.

Avrebbe cancellato lui stesso dal re di Camelot quello sguardo sprezzante, oppure si sarebbe accertato di dargli un motivo valido per rivolgerglielo.  

 



 

Spazio della psicopatica: 
I'm back e non ci speravo nemmeno, come al solito (succede con tutte le long, damn) mi era preso il blocco! Anzi, mi erano venute idee per altre long merthur ^^"  
Come avevo detto la scorsa volta, questo capitolo era già in fase di scrittura quando ho pubblicato l'altro, ma l'ho finito giusto ora dopo averlo ripreso qualche giorno fa: avrei voluto lavorarci tutto il tempo, ma alla fine, come ho già detto, mi sono bloccata. Sorry. 
Btw, come al solito ci tengo tanto a ringraziare tutti quelli che hanno messo la storia fra le preferite-ricordate-seguite e maar_jkr97 e lululove2 per aver recensito,
mi rendete tanto felice (!)
Fem!Merlin ha già visto la sua fine ahah è stato breve eh! Ma... who knows! Mai dire mai. 
Non so come commentare questo capitolo sinceramente, ho cercato di descrivere un po' cosa passa per la mente del nostro caro Merlin e anche dare un'idea di ciò che pensa per quanto riguarda Arthur: il loro sarà un rapporto(una convivenza?Mm) piuttosto complicato, che cambierà con il tempo e che incontrerà ostacoli di diverso genere... Già dal prossimo comunque sarà finalmente una situazione in cui ci saranno molte occasioni per i due di scontrarsi, ora che comunque sono giunti a destinazione (aka il castello inaccessibile). 
Per il prossimo capitolo mi impegnerò di più! Soprattutto visto che la maggior parte dei compiti e delle interrogazioni sono già passate (?)
Adesso me ne vado, mi aspetta di nuovo la
Divina Commedia, damn, e anche matematicatiodio. 
Se mi sono dimenticata di spiegare qualcosa, come sempre, fatemelo sapere ^^" e spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Lasciate un pensiero se avete tempo: mi farebbe davvero molto piacere!
Alla prossima, 

Lawlietismine

p.s vi lascio una OS merthur che ho pubblicato tempo fa e a cui tengo: Into the Forest of Fireflies' Light.


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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede) 
(© elyxyz)

  
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