Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
Ricorda la storia  |      
Autore: _sonder    18/11/2015    4 recensioni
L'odio è l'altra faccia dell'amore; la diffidenza nasconde la paura di ricevere l'ennesima ferita.
Vinte le sue perplessità, Pai torna da Retasu, ma trova qualcun altro al suo fianco e il sale si sparge sull'illusione di conquistarla. Il cuore si smorza, cede a una fredda reclusione ed è soltanto il sole a scaldarlo: si chiama Purin.
| Partecipa al contest Cento strade, mille finali, indetto da _Freya Crescent_ sul forum di EFP. |
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Pai Ikisatashi, Purin Fon/Paddy, Retasu Midorikawa/Lory
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

✉ Note

Nick sul forum: _Sonder
Nick su EFP: _sonder
Protagonista: Pai - Purin
Pacchetto scelto: Scrigno
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Episodi: 51 - 52 (prendendo il primo alcuni eventi del secondo sono alterati)
Note Autore: Pai-Pai è da pronunciarsi Bye Bye. Taruto e Kisshu non sono "vivi"; quando Pai si accusa di averli uccisi, lo fa più come fallimento per non averli salvati dall'essere contagiati dai sentimenti umani. Taruto e Purin non hanno sviluppato un'intesa reciproca in questa what if, motivo per cui Purin non lo ricambia. Purin s'invaghisce di Pai quando sono imprigionati. La scommessa di Purin su Ichigo riguarda una sua possibile gravidanza con Masaya. Purtroppo per Purin che ama i soldi le cose non vanno come lei crede. Ryou e Retasu non sono sposati, ma hanno avuto un bimbo.
Formattazione dei dialoghi Einaudi.







Cuore d'inverno

“Un guscio d'uovo infranto: il vero amore”

Unghie rastrellano le membra nemiche: sono artigli ricurvi e marchiano la pelle con una scia rossastra; come pioggia, essa stilla lungo la schiena della scimmia.

Quando ha aperto gli occhi, Pai ha stretto a sé il corpo caldo, indebolito dai morsi del freddo. Ha esalato un respiro e il dolore si è stiracchiato come un felino lungo il dorso, vibrando un secco rifiuto alla morte. La pelle è divenuta una manica stracciata dalla violenza e i ventagli banali oggetti senza più forza. Gemendo, si è proteso a cercare riparo dalle folate, trovando rifugio in un grembo acerbo.

Il vento abbaia e si morde la coda, frustando refoli e colpendo girandole d'aria; sopra di lui, Pai scorge il manto scuro delle nubi e il rapido bagliore che minaccia un rovescio. C'è solo uno spiraglio aperto sul cielo dalle rovine del ponte in pietra: la polvere del calcestruzzo gli intacca i polmoni, li impregna sino a raschiarli al primo boccone d'aria e un colpo di tosse tuona sotto il tetto diroccato che lo imprigiona. L'addome poggia sul selciato già inumidito e la città annuncia la propria resa alla pioggia, con il suo odore penetrante d'erba, di pneumatici e ghiaia.
Uno strano tepore gli bagna la guancia; è liquido e salato e scende con scioltezza lungo la gota. Pai si ritrae, gli occhi cerchiati dal sospetto e una gamba che non vuole saperne di muoversi; nota soltanto allora l'abito di un giallo acceso e le calze abbinate. Lo pervade un brivido di disgusto e mugugna: — Togliti!

Le mani la trattengono con violenza, inavvertitamente, come se il tepore gli fosse necessario e non intendesse disfarsene. È la vista di quest'umana che lo repelle: la preoccupazione nel suo sguardo, i grandi occhi sgranati e le lacrime che piombano su di lui, fra un singhiozzo e una carezza indesiderata. Viola la carne e la punge con l'ennesimo graffio.

— Potevi morire, — obietta lei, le guance accese d'indignazione. Stringe i denti, senza emettere un lamento; a Pai non sfugge come le tremino le mani e quanto si sforzi di non darglielo a vedere. Patetica! Un gesto lesto gli insinua una caramella alla menta fra le labbra e per la sorpresa è costretto ad accettarla; la testa gli duole e sta calando il buio... o è la vista che lo abbandona, offuscandosi per la debolezza inferta dalle ferite.
— Così respirerai meglio, — le sente dire, con quel tono stridulo e confidenziale. Non ricorda di averle accordato il permesso di occuparsi di lui; è una fiducia che gli umani non meritano, da ladri quali sono.
La osserva stracciare un lembo della spallina ed essa si affloscia, denuda la gracilità del braccio.

Sarebbe così semplice spezzarglielo, pensa Pai, eppure si limita a scavare nella carne di lei. Appena starà meglio, si ripete, la colpirà e non cadrà più nell'errore di proteggere creature tanto subdole. Ha ucciso i propri compagni e tradito il suo signore per salvare quest'insulsa mocciosa.

La morbidezza del tessuto lo infastidisce: poggia sulla fronte e gli terge la pelle dal sangue e dal pulviscolo. La sua carnagione ha i colori violenti della battaglia e uno spruzzo di sole non può lavare via lo sporco della guerra.
Detesta le dita che lo confortano, perché non ha controllo su di esse; odia la bocca che sputa zucchero, pur di calmarlo e obbligarlo alla pace. Quest'umana, di cui ignora persino il nome, odora di biscotti come una lattante e i suoi capelli colano come l'oro del sole in un'irritante giornata di agosto. Pai la paragona alla siccità: con le labbra riarse dal gelo e le gambe di lei che gli scaldano una guancia, si sente un animale assetato, trafitto dai raggi focosi di mezzogiorno. Scaccia la mano che gli sfiora il mento ed è improvvisamente buio, quando percepisce l'ultimo grammo di energia che si spegne.

Sente un canto nel torpore che rende molli gambe e braccia: cinguetta con speranza rivolta al futuro, guarda al domani con fiducia. È una voce ingenua, di donna, ma qualcosa gli suggerisce che sia ancora immatura. Offre una melodia dolciastra, che gli bagna l'animo di memorie antiche; ricordi che sfuggono dalla presa delle dita come acqua di sorgente.
Pai ricorda le canzoni della sua gente: la bocca delle madri, piena di preghiere, con la lingua addormentata sullo stesso verso strascicato... e i seni aridi, senza latte per i neonati morenti; le guance scavate dalla magrezza della carestia e i figli più grandicelli, tristemente consapevoli degli affondi della fame. Torna bambino, adorno di lividi e contusioni per una gomitata di troppo: è un bambino che impara a conoscere il filo dell'orgoglio, che non è diverso dalla lama di un cacciatore. Scansa gli adulti e diffida dei suoi stessi simili; la scarsità di cibo rende avidi e gli occhi folli di un affamato sono pronti a strozzare chiunque lo ostacoli dall'arraffare del cibo.

Questa voce che lo culla è un insulto al suo popolo. È il suono indegno di una creatura non meritevole di salvezza. Pai spalanca le palpebre, masticando l'immagine indigesta del proprio sacrificio. La mano scrolla una spalla della ragazza, per poi costringerla al pilone del ponte.

— Taci.
Nei suoi occhi c'è spazio per l'odio e dalle iridi scure trapelano accuse alla razza umana. E il vento che fischia sembra aizzarlo, perché non percuote a sufficienza il pianeta.

Purin lo guarda senza assoggettarsi al silenzio. Si lascia sfuggire un gemito di dolore, ma sfiora il dorso. Il suo palmo è caldo, distante dal rigore delle bufere di neve. Lei non sa essere impenetrabile come una tempesta di fiocchi. Lo sfida apertamente e sulla fronte un paio di linee si accavallano; le labbra si stringono; e sulle guance affiora un broncio, che le iridi sottolineano.
— Non dovresti alzarti, Pai-Pai... sei ferito!

Interrompe il contatto, scottato dall'interesse di lei, dal chiarore della sua presenza. S'inginocchia e arretra inorridito nel piccolo rifugio di detriti. È soffocante averla accanto; un rivolo di sangue sgorga dalle labbra di Pai, mentre tossisce.

Il pezzo di stoffa s'imbratta e trova la propria oscurità: gli basta questo per comprendere che umani e alieni non troveranno mai un punto di unione. Gli uni oscureranno gli altri sino alla distruzione... è tanto semplice, perché è una legge di natura.


Acqua, vorrebbe soltanto un sorso, una lacrima per bagnare le labbra. È un contrappasso buffo per un essere che non ha mai pregato.
La scimmia è rannicchiata contro un muro, in silenzio. La detesta: i suoi occhi si sono abituati a vederla al risveglio e la cercano per capire quanto tempo sia trascorso. Non è granché affidabile come orologio, arrancando da un angolo all'altro, imita una lancetta impazzita.

Il sangue si è rappreso e nessuno è riuscito a rimuovere i calcinacci per salvarli. Se solo avesse ancora un po' della propria forza...
La nuca è poggiata sulle ginocchia di lei: il respiro gli solletica il volto e non riesce a scacciarla come si farebbe con una mosca. Quest'impotenza lo acceca di una furia sterile, che gli resta in gola.


Non aveva dimenticato il cielo plumbeo e la pioggia che aveva lavato la Terra. Una luce si era posata attorno alle sue ferite; tiepida e avvolgente, lo aveva rivestito con il suo bagliore e nutrito. Come avesse potuto guarire e saziarsi di quei colori candidi, non sapeva ancora spiegarselo. Lui, che era nato su un suolo inospitale e viveva di vecchie glorie e di promesse, credeva nel verde intenso degli occhi di Retasu e da lei bramava tornare.

Il tempo trascorso aveva acuito i suoi desideri, esasperandoli, e l'autocontrollo lo aveva abbandonato tutte le volte in cui volgeva impaziente lo sguardo verso il pianeta della fanciulla. Stava ritto, le braccia conserte, a osservare quella sfera remota e a scoprirsi diviso, come se in lui convivessero due spiriti distinti.

Gli anziani narravano di semi che germogliavano nel cuore dei giovani: il passato, dalle forti radici, e il futuro, dalle gemme curiose di aprire la bocca. Un altro si annidava sul fondo: il presente con il suo fusto diviso in più rami... e ognuno reggeva una possibilità. Pai guardò l'orizzonte, chiedendo a se stesso il motivo dei suoi tentennamenti: spoglio, oramai era un unico ramo che fremeva e oscillava alla brezza.

Gli anni erano fuggiti e avevano allungato i suoi capelli, segnato gli occhi di malinconia e di un'inquietudine atipica per la sua freddezza. Kisshu e Taruto non avevano riaperto le palpebre ed egli serbava il peso della propria scelta. Si era negato l'opportunità d'incontrare Retasu, spinto dal desiderio di espiare le proprie colpe e aiutare la sua gente. Le comunità vivevano un'esistenza modesta e meno dura rispetto al passato, ma Pai non ne aveva tratto beneficio. Svanì nella notte, ingoiato da un fascio di nubi, strette fra loro, tanto da confondersi l'una con l'altra in un unico sbuffo di fumo.

Della Terra rammentava la bellezza che avrebbe voluto annientare; le cime dei monti su cui si spiegava un velo di bianco e i contorni indefiniti della bruma. Ricordava con astio le mani che lo avevano salutato, le mosse della ragazzina e il piede che sgambettava durante il suo viaggio di ritorno. Nello sguardo dell'umana c'era stato un tremolio di stelle, che brillavano per dirgli: — Arrivederci, torna a trovarci presto! Non dimenticarti di noi.

Invece, Pai aveva accantonato i capelli biondi che sfumavano sul volto, sino a incorniciarlo; i sorrisi disarmanti e sfacciati che lo avevano interrotto dall'arrecarle altre parole taglienti; l'invadenza di quell'allegria troppo affettata per essere del tutto sincera...
Del calore delle sue dita non aveva perso il ricordo e non tollerava essersi percepito vulnerabile in quell'abbraccio e lei, in tutta la sua irruenza condensata in un corpo esile, che lo aveva domato con una singola frase di protesta.
Quel giorno, in cui credeva che avrebbe perso la vita, si era ritrovato in una camera da letto dalle tinte vivaci con alcuni piccoli osservatori: teste tonde tutte attorno al giaciglio; tutte intente a bisbigliare fra loro, finché non lo avevano guardato, allarmandosi che fosse sveglio.

Pai si era sollevato d'un balzo: la ferita sul fianco non c'era più e al posto del sangue, fra i denti, fiorivano domande.

— Dove sono?
Silenzio: era calata una quiete improvvisa, la stessa che muta gli insetti dopo un violento nubifragio. Il suono di una gola che si schiariva irruppe fra le pareti di legno: — Mia sorella Purin ha detto che devi rimanere a letto e che non puoi andartene.

Pai mosse gli occhi e li indirizzò al bambino paffuto che aveva parlato. Con un dito avrebbe potuto spingerlo a terra e vederlo rotolare, ma apprezzò il suo orgoglio e si limitò a indurire lo sguardo.

— Chi sarebbe tua sorella? — domandò, cercando una traccia famigliare nel volto dell'umano.
Il marmocchio afferrò una fotografia e pose un dito sotto il mento.
— Eccola!

— Capisco, — e strinse i denti, desideroso di tornare a casa e lasciarsi alle spalle tutto. Il fallimento gli bruciava, come la debolezza e il supporto del nemico, che sembrava averlo perdonato. Però, la vicinanza insistente di quella mocciosa gli era sembrata una punizione, a cui preferiva la distesa sibilante dei ghiacci, la solitudine del suo pianeta.

Quei bambini paffuti dovevano essere cresciuti, considerò; e le loro altezze, segnate sullo stipite della porta, si erano probabilmente rincorse per provare chi fra loro fosse il più sano e forte. Chinando il capo, Pai coprì le lunghe orecchie con alcuni ciuffi più folti.
Nella sua patria, le misure di un bambino gli assegnavano la capsula in cui veniva deposto il suo cadavere. Le uniche eccezioni erano quelle attribuite a esemplari dall'alto quoziente intellettivo o dalle migliori attitudini al combattimento. Rimase inerte, perdendosi nel connubio di luci delle nebulose, piccole tele disperse da un artista.


Poggiò i piedi a terra, adattandosi a una gravità che gli era estranea da anni. Il profumo di noodles e i vapori del cibo invadevano la strada, spandendo nell'aria il tintinnio di bacchette e il risucchio di tante bocche affamate di chiacchiere e prelibatezze. Ciò rispolverava la sua opinione negativa sugli esseri umani, sui loro sprechi, sull'egoismo che li spingeva a consumare risorse e ad adagiarsi sul lavoro di un altro simile. Non erano in grado di procacciarsi pasti da soli né di badare a se stessi.

Tra le fronde vedeva ondeggiare la chioma di Retasu e i raggi donarle pagliuzze dorate con cui ornarli. Stette in silenzio ad ammirare lo spettacolo che gli veniva offerto, sommerso da emozioni contrastanti. Tornare era stato come tradire i suoi principi, allontanandosi alla stregua di un'ombra. Sentiva la sua presenza, prepotente quanto un'esplosione di fiori e un'ondata d'acqua salmastra; il corpo tradiva l'aspettativa sottesa a un possibile incontro.
Cacciò le mani in tasca, piantando i piedi a ciascuna falcata, per non svelare l'impulsività dei suoi gesti. Ed ecco, udiva in lontananza la risata di Retasu frantumarsi fra altre voci più solide e, chiudendo le palpebre, riuscì a ritrarne il viso arrossato, lo sguardo che tratteneva in sé i germogli della giovinezza.

Era sola nel parco: una gonna le copriva le caviglie e i capelli erano acconciati in una treccia, che calava sul petto. Fissava il tramonto, gli occhi rivolti in alto, a viaggiare sulla cresta spumosa delle nuvole.
Pai si avvicinò unendo la propria ombra a quella di lei: sul terreno era apparso un mostro di pece.

Retasu trattenne un sospiro di sorpresa, una mano portata alle labbra e l'altra stretta sullo scialle. Era una donna e il sibilo del vento lo sussurrò più volte all'orecchio di Pai.
La scrutò senza emettere fiato; poi, si chinò verso il profilo di una guancia e raccolse un ciuffo, che continuava a solleticarle lo zigomo. Lo portò lentamente al naso, arricciandolo sull'indice.
— Retasu...

Era la prima volta che pronunciava il nome di un essere umano e la sua bocca lo accompagnò nell'aria, come porgendole un dono che nessun'altra avrebbe meritato. Gli occhi le si velarono e Pai non seppe decifrarne l'espressione.

Udì distintamente la fragranza che l'olfatto gli schiaffeggiò contro: il profumo di un uomo, una presenza che non era così sbiadita come aveva creduto. Pai spalancò le palpebre e ascoltò la voce chiamare Retasu con un misto di ansia e territorialità. Lo stesso istinto possessivo che lo aveva immobilizzato, stava animando la mano che gli teneva il braccio.

Spostò lo sguardo da Retasu all'intruso e un vagito scoppiò fra gli alberi e le sponde del lago artificiale. Al petto di Ryou era aggrappato un esserino di pochi anni. Si squadrarono a vicenda, come se nessuno dei due avesse previsto l'altro, finché le attenzioni non furono rivolte al bambino.
— Akira, non piangere.
Retasu sfilò con gentilezza la ciocca fra le dita di Pai. Sfuggì alla sua stazza delicatamente, come sfiorisce un petalo dalla sua corolla. Gli sorrise, non senza un velo di preoccupazione, prima di prendere il figlio e portarselo al seno.

Pai curvò il dito e chiuse in un pugno la mano. Fissò Ryou, lo sguardo carico di antagonismo, beffato da chi aveva potuto approfittare della vicinanza di Retasu, per reclamarla al proprio fianco. Puntava gli occhi in quelli dell'altro: un'altra prova della bravura degli umani nel portargli via ciò che gli era più caro.

Ammetterlo a se stesso gli diede la possibilità di comprendere: amava quella donna, che non sarebbe stata sua... e non lo era mai stata. Gli bastò osservare la pienezza nello sguardo di Retasu, che stringeva il figlio con l'amore di tanti madri del suo mondo; e le occhiate sfuggenti e complici che riservava all'intruso...
C'era chimica in quelle scosse, in quei cenni d'intesa. E Pai sapeva spiegarne gli effetti, le reazioni, ma non i segreti. Non avrebbe capito perché lui stesso non potesse funzionare al fianco di lei... e provò invidia, sentì la morsa della gelosia offuscargli i sensi, al tragico pensiero di non essere un umano. Di non essere Ryou.


Il pianto del bambino fendeva coltellate nel paesaggio: toccava il cielo e i ciuffi d'erba, la superficie dell'acqua e i nidi degli uccelli. Pai allontanò il viso e storse la bocca in una smorfia. Sentì piombare il silenzio sulle spalle e la rivalità crescere fra lui e l'altro, rendendo sottile la presenza di Retasu, come se si fosse trattato di un sogno.

Dei piccoli passetti in punta di piedi si acquattarono dietro di lui e una gomitata in piena schiena lo costrinse a sbilanciarsi e afferrare il colpevole... la colpevole.

— Purin! — esclamò Retasu, fra le risa di Akira e lo sguardo esausto di Ryou. Quest’ultimo godeva dell'apparizione improvvisa di Purin, ma restò serio, tranne per un breve lampo di vittoria che gli balenò negli occhi.

Purin, rovinata sulle gambe di Pai, tirò fuori la punta della lingua e portò le braccia al collo dell'alieno.
— Pai-Pai! Ti sono mancata, vero?

Il diretto interessato ingoiò a vuoto e con una manata in faccia la obbligò a indietreggiare.
— Come siamo timidi! E io che volevo darti il bentornato, uffa!
Purin si sollevò sulle gambe: indossava un paio di shorts bianchi, un basco del medesimo colore e un poncho che la rendeva simile a un'arancia. Congiunse le mani con un sonoro clap e rivolse un occhiolino complice a Pai.

— Forza, dobbiamo festeggiare!

Pai si sentì mancare e, diffidente, si rimise in piedi. Non indugiò nello sguardo di Retasu, perché gli bruciavano le presenze dell'intruso e della scimmia. Purin... era questo il suo nome: buffo e odioso come il carattere di quella stupida creatura.
Senza dire nulla, si allontanò. Sentiva su di sé gli occhi di Ryou e il divieto, l'impossibilità di riscattare ciò che aveva finalmente compreso dentro di sé.

— Pai-Pai, aspettami!
Non si era reso conto di aver accelerato il passo. Purin, dietro di lui, ansimava e correva pur avendo il fiato corto. Era ancora minuta e arrivava a malapena all'altezza del suo petto, eppure non era riuscita a ridimensionare la personalità caotica.
— Aspettami! Tanto ti raggiungo!
Non si voltò indietro a cercarla. Le parole arrancavano e lo minacciavano fra una supplica e una frase di sfida; il suono dei passi, scanditi da un ritmo irregolare, creava un crepitio vivace sulla ghiaia. Per un attimo, dimenticò Retasu, il rivale e il bambino... e pensò a quanta soddisfazione gli desse l'idea di ignorare Purin.


— È stato uno shock per tutte noi... io avevo scommesso su Ichigo. E ho perso tutta la mia paghetta!

Pai sedeva a occhi chiusi su una panchina. Dall'altra estremità del parco, il lago sembrava una distesa immensa, orlata dai salici piangenti, che immergevano le dita nell'acqua.

Purin proseguiva a parlare, la sagoma abbracciata dagli ultimi raggi di sole. Volteggiava, assaporando il lieve sentore dei fiori; più spesso sostava con gli occhi su Pai e placava il proprio entusiasmo con repentini cambi di rotta della conversazione.

— Sai, — disse, abbassando la voce e crollando a sedere al suo fianco, — ti ho pensato quand'è successo... ma non c'era modo per contattarti.

Pai schiuse una palpebra e la scorse con la coda dell'occhio. Purin teneva i pugni serrati sulle cosce.
— Guarda che non ti ho perdonato. Te ne sei andato senza salutare! E non eri nemmeno guarito del tutto...
Sfoggiò un'espressione accigliata e aprì una ad una le dita: — Tanto per cominciare, hai spaventato la m-i-a famiglia; poi, hai distrutto tutti i mezzi di sicurezza con cui volevo impedirti di fuggire... e avevo impiegato settimane a prepararli! Terzo: sei letteralmente scomparso nel nulla. Pai-Pai, Purin e grazie di nulla! Non lo sai che non si lasciano da sole le donne? Ehi, ma mi ascolti?
Lo tirò per un orecchio al suono di: — Pronto! Terra chiama Pai-Pai...
Pai, invece, fissava il cielo e la sua ferita aperta, sanguinante al calare del sole nell'acqua.

Purin smise di scuoterlo ed esitò, prima di tenergli la mano in silenzio. Durò poco.
— Da quando sei andato via, ho comprato e conservato tanti di quei pacchetti alla menta... e ogni caramella si è indurita. Il tempo cambia davvero tante cose... Pai, quelle caramelle ormai non sono più buone, ma...
— Non ho bisogno della tua pietà.
Purin sobbalzò e avvertì una stretta al cuore. Non era ciò che voleva dirgli né sentire, dopo aver trascorso mesi e mesi a porsi domande e a darsi risposte che spedivano le sue emozioni a scontrarsi.

Alzò lo sguardo e studiò il cielo che Pai osservava con tanta ostinazione.
— Torniamo domani. Stesso posto, stessa ora.
— Perché dovrei? — le chiese.
— Per mostrarti qualcosa che non hai mai visto davvero. È un segreto, dovrai sudare per conquistartelo!
Sorrise, quando Pai abbandonò il panorama e le rivolse un'occhiata curiosa.


Purin gli aveva trovato una dimora e un'occupazione temporanea al café. Si occupava degli infusi, lavorando con quella natura magica e affascinante che Retasu gli aveva insegnato ad apprezzare nella sua struggente fragilità. La morte delle foglie creava un piacere raro per il palato degli uomini e adesso comprendeva perché poeti e guerrieri dedicassero tanti onori alla cerimonia del tè.

Ancora provava una morsa al torace a osservare l'umano che gli aveva portato via Retasu, ma le sue giornate trascorrevano in un susseguirsi di pasticci causati da un uragano biondo. Si ostinava a fissare Purin con diffidenza e a soppesare ogni mossa falsa in un solo modo: uno schiocco di lingua e occhi assottigliati in fessure che la incenerivano.
— Avresti un futuro come assassina, — notò un giorno, alzando le spalle.
— È la prima volta che mi rivolgi la parola di tua spontanea volontà. In una frase con soggetto, verbo e predicato, intendo. E che non sia un ordine! Sono talmente felice che potrei dimenticare questa brutta accusa.
— Non farci l'abitudine. Me ne andrò presto. Nulla mi trattiene qui.
Lo travolse l'impulso di starnutire: abbassò lo sguardo su una nuvola di polvere che gli fluttuava fuori dalla bocca, giù dalle spalle... Purin teneva ancora il sacco di farina fra le dita e qualche lacrima le tracciava gli angoli delle palpebre. Incassò la testa nelle spalle, mantenendo la mascella serrata e le guance gonfie.
— Immagino che saresti felice, sì.
Pai non trovò nulla da replicare: la felicità gli sembrava una vertigine dal costo troppo alto. Raggiunse lo zigomo di Purin con il dorso della mano, pulito su un angolo lindo del grembiule, e asciugò la pelle. Lei tremò e nascose gli occhi sotto la frangia, per poi indirizzarli su Pai, come una bimba smarrita. Poneva una domanda, ma l'alieno non ne capì la natura. Ritirò le dita e le rimirò, chiedendosi invano quale segreto avesse sfiorato.


Nei sogni, Pai incontrava sua madre. La immaginava china sui fratelli, a vegliare il loro sonno; dalle loro bocche screpolate fiorivano larve e doni della morte. Balzava sudato sulla stuoia e guardava dritto di fronte a sé; non era a casa e non c'erano più cadaveri al suo fianco. Giacevano tutti sotto una lastra di ghiaccio e una coltre di neve.
Da un fiume candido che proteggeva i suoi morti aveva rivolto le iridi alle selve, alle radure che si aprivano, invitandolo a conoscere la vita nel suo rigoglio. Colpì un ginocchio e rovesciò i libri di fiabe che Purin gli aveva donato. Credere a un lieto fine era stato un errore.
— Mia madre scorre in me, — gli disse Purin. Non le aveva riferito i suoi incubi, ma le occhiaie dovevano aver parlato per lui. No, non tornava: Purin non sapeva nulla della sua famiglia.
— Mia madre è morta diverso tempo fa. Di lei ho solo pochi ricordi materiali... però, lei scorre dentro di me. E nei miei fratelli. Te li ricordi? Ora sono cresciuti, sai? Per loro sei il fantasma della camera maledetta.
— Li hai cresciuti da sola?
La ragazza lo affiancò con una scivolata, gli piroettò accanto e si strusciò sul suo braccio rigido.
Sembrava entusiasta e l'alieno non capiva proprio cosa l'avesse scatenata.
— Sì! Ora sono molto più alti... e facciamo spettacoli acrobatici all'aperto! Dovresti proprio venire e unirti a...
La strinse in silenzio, premendole la nuca fino a schiacciarle il viso sul petto. Quando se ne rese conto, Pai la staccò da sé con un gesto netto, le dita che stringevano le spalle, sgualcendole la camiciola. Ingoiò nervosamente qualche parola e infine aprì bocca: — Devi ancora mantenere la tua promessa.
Purin rise e lo trascinò lungo i giardini, correndo e saltando da una pozzanghera all'altra. Il cuore le martellava il petto, ma in lei non scorse traccia di paura; era un sentimento diverso... Mantennero il passo entrambi, coi fiati che si mescolavano e seguivano e i battiti disordinati.
Sedettero sulla solita panchina, il sole che si tuffava nelle acque e l'aria autunnale ad avvicinarli. Mignolo contro mignolo, fissavano il cielo.
— Guarda lì, quelle nuvole...
Seguì la mano di lei. Notò con un ignoto piacere che aveva sollevato l'altro braccio, quello che non lo sfiorava. Sentì qualcosa schiudersi e nascere fra loro, rovistargli dentro e strappare le differenze. Fra le nubi più distanti, un aereo attraversava una nuvola e squarciava l'altra: un tuffo di testa, come la punta di una freccia entro il cuore di un essere vivente.
— Tu sei così, — mormorò.
Pai le carezzò il mento e impresse le labbra sulle sue in un bacio goffo, incerto nei movimenti, ma carico di quante più parole potesse dire.

Averla al proprio fianco era faticoso: un cerchio alla testa lo dominava e per quanto le altre lo definissero un bonzo, non era un'aureola a trapanargli un orecchio.
Raggiunse Purin e il suo fitto dialetto cinese, che squillava e soffiava sulla cornetta; Pai le coprì la bocca con una mano e indirizzò un dito al naso.
Non riusciva a pensare, a definire la scossa che lo aveva accompagnato quel pomeriggio. E quella stupida scimmia non aveva preso l'argomento né detto nulla alle sue amiche. Aveva persino indagato e Zakuro ne aveva soppesato le intenzioni, mentre Mint organizzava una vacanza per entrambe.
Tutte quelle emicranie lo allontanarono dal pensiero di Retasu, ma non sopportava ugualmente la presenza di Ryou. C'era un motivo: Purin gli si avvicinava sempre e cullava Akira con un tale trasporto che Pai sentì le nocche scricchiolare dalla tensione.
Vuole portarmi via persino... lei.
Sgranò gli occhi e comprendere gli lasciò addosso una solitudine che odorava di tè.


Erano trascorsi molti giorni e assieme avevano formato un anno e la città pareva invecchiata sotto i colpi dei fiocchi e del ghiaccio.
La riconosceva fra tutti: il tintinnio degli orecchini, la voce che lo chiamava da lontano. Nonostante lo tormentasse con i suoi acuti, non provava più rancore per quel suono portato dal vento, che si tramutava in carne e in un abbraccio stretto.
— Sei esausta. Battiamo la fiacca, a quanto pare, — le disse severo. Avrebbe voluto prenderla in giro, ma si dimostrò monocorde come d'abitudine. Purin gli pestò un piede e lanciò una palla di neve, che si spalmò sul viso del bersaglio.
— Guerra sia...
Pai la rincorse, la fronte corrugata in quella che doveva essere una sfida per decidere le sorti del suo orgoglio. Arrivò a sollevarla da terra e a farla sprofondare in un cumulo diafano.
Quando lei non si mosse più, guardò la mano, colpevole. Una palla gelata gli arrivò sul naso.
Purin si preparò al nuovo attacco, ma Pai la cinse. Circondata dal suo abbraccio, sembrava così fragile... gli ricordò i membri della sua razza, la fine delle loro vite e aumentò la morsa, odiò il gelo colorato del mondo umano.
— Pai-Pai...
Purin gli raggiunse il viso e lo baciò. In quell'abbraccio lei si stava sciogliendo, lo accoglieva e gli dava riparo dalle colpe e dalla morte.
— Purin, io devo dirti...
— Lo so, — tagliò corto, gli occhi in fiamme che lo illuminavano di un bagliore caldo, emesso soltanto per lui, — per me è lo stesso.
Sentì il calore invaderlo, ardere più delle stelle; e la città tornò giovane e viva.


Scorre i polpastrelli su morbide guance che arrotondano un volto infantile; mantiene un'espressione di stupore, contemplando sua figlia e scoprendosi padre. Lo realizza d'improvviso: la parola gli scivola in gola e gli occhi smussano la loro innata durezza per osservare i ciuffi chiari e specchiarsi in uno sguardo vivace. Le labbra si sollevano appena in un sorriso abbozzato, ma che già minaccia di contagiare le iridi, quando la bocca si adagia sulla pelle della bimba e carezza il naso. La belva si placa ed emette un verso di resa, che avvolge il suo cucciolo; l'animale scopre la vergogna degli esseri umani nelle zampe dalla scorza dura.

Una bollicina di saliva si gonfia sulle labbra schiuse della piccola e le dita minuscole si agitano con scatti di puro capriccio, crollando sulla maglia viola del genitore.
— Pai... pà!

Sono io, vorrebbe risponderle; ma è la mano aperta sotto la sua nuca ad affermarlo, il cuore che si adegua al battito dell'uccellino e il calore di lei che invade il suo corpo.
È un richiamo segreto che vincola la carne ad altra che l'ha generata; e Pai si appiglia a questa sensazione, al mondo che si apre in una voragine sotto i suoi occhi, alla terra di ricordi che si sgretola sotto i suoi piedi. Ciò che è stato mai più sarà; ora è soltanto un uomo che accoglie la vita, pur non cogliendone l'intimo mistero.

Ascolta i versi spazientiti di sua moglie, che grida al telefono: — Ma io avevo scommesso tutto su Ichigo e Masaya!

Ha voglia di ridere, Pai. Addenta piano un orecchio della sua bambina e soltanto a lei dona un ampio sorriso, nervoso, di chi deve ancora abituarsi ai baci di un tiepido sole d’inverno.

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tokyo Mew Mew / Vai alla pagina dell'autore: _sonder