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Autore: Artifact    20/11/2015    0 recensioni
È sempre facile amare i buoni e tifare per loro, combattendo a fianco degli eroi, disprezzando i cattivi.
Ma i cattivi? Nessuno pensa a loro, al perché siano diventati quello che sono. E se per una volta volessero essere loro i buoni ma non fossero in grado di dimostrarlo? Se tutto quello che hanno fatto era per redimersi dal loro ruolo, anche se invano?
Nessuno pensa a loro, nessuno.
Nessuno conosce la loro storia, nessuno la vuole conoscerla perché appunto sono i cattivi e i cattivi non vincono mai.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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“Vi annunciamo che il treno del binario nove avrà un ritardo, ci scusiamo per l’inconveniente.”
Questo fu ciò che gracchiò la voce dall’altoparlante e la risposta da parte dei passeggerei fu la seguente: indignazione.
C’era gente che sbuffava, chi camminava impaziente avanti e indietro, chi sospirando si rassegnava all’ennesimo ritardo dei treni, chi –invece- se ne andò sperando di trovare un taxi.
Tra tutti, spiccava una madre che teneva ben salda la mano a suo figlio, avrà avuto si o no sei anni. Era magrolino, con i capelli tutti arruffati e gli occhi vispi che guardavano tutto ciò che era alla sua stessa altezza.
Annoiandosi, dopo un paio di minuti, chiese alla madre: “mamma, mi racconti una storia?”
“Che storia preferisci, tesoro?” Gli chiese, accarezzandogli i capelli dopo averlo fatto sedere in braccio. Non si sapeva quando sarebbe arrivato il treno, quindi perché non accontentare il piccolo?
“Peter Pan!” esclamò.
Era buffa la sua espressione, sembrava come se la madre avesse dovuto sapere quale storia volesse sentire, come se fosse scontato e dal sorriso che fece, forse scontato lo era davvero. E così cominciò:
“Questa storia comincia nella casa della famiglia Darling... E' sera, e mamma e papà stanno preparandosi per una festa fuori casa. Intanto i bambini giocano nella loro camera: Il piccolo Michele fa la parte di Peter Pan, mentre Gianni, è il terribile Capitan Uncino. "Arrenditi!" esclama Michele. "Mai. Devo vendicare la mano che mi hai tagliato!" risponde Gianni.”
Sembrava che la sapesse a memoria da quante volte l’aveva raccontata.
Smisi di ascoltarla quasi subito, sapevo già il finale. Sapevo già chi vinceva e sapevo già la storia di Peter Pan, anche perché come il piccoletto anche io l’ho sempre amata. Forse ero grande per le storie con un lieto fine ma, c’era una cosa che avrei sempre voluto sapere: qual è invece la storia di Uncino?
E se per una volta il cattivo non è veramente il cattivo? Se venisse descritta la sua storia e non quella del protagonista?
I buoni vincono sempre, si sa.
È sempre facile amare i buoni e tifare per loro, combattendo a fianco degli eroi, disprezzando i cattivi.
Ma i cattivi? Nessuno pensa a loro, al perché siano diventati quello che sono. E se per una volta volessero essere loro i buoni ma non fossero in grado di dimostrarlo? Se tutto quello che hanno fatto era per redimersi dal loro ruolo, anche se invano?
Nessuno pensa a loro, nessuno.
Nessuno conosce la loro storia, nessuno la vuole conoscerla perché appunto sono i cattivi e i cattivi non vincono mai.
Questa è sempre stata la loro battaglia: perdere di fronte ai buoni.

Lasciai vagare la mia immaginazione mettendomi nei panni di Uncino perché, ammetiamolo, di tempo ne avevo per farlo.

“Tornerò presto, te lo prometto.” dissi, con un leggero sorriso che increspava le mie labbra.
“Tu mi stai mentendo, lo so.” Rispose, nella voce si sentiva una leggera nota di malinconia.
“Tornerò, il tempo passerà così in fretta che neanche te ne accorgerai, vedrai. L’unica cosa che constaterà il tempo trascorso sarà il nostro bambino.” Sarei stato via per quasi otto mesi, il tempo necessario per tornare a casa per veder nascere mio figlio.
“Killian Jones. Sei uno sporco, lurido, bugiardo.” Ah, gli ormoni. Ah le donne.
“Non mi sembra di essere sporco, mi hai lavato giusto tu stessa ieri sera, o sbaglio?” La vidi arrossire, quant’era bella quando arrossiva. Mi sarebbe mancata davvero tanto.
Avrei contato ogni singolo giorno lontano da lei, avrei aspettato ogni notte, sognandola se il mare me l’avrebbe concesso.
“Sciocco. Sciocco sciocco sciocco sciocco.” Ah, la mia donna. Il mio amore.
Dei marinai annunciarono che la nave era pronta, pertanto il mio tempo era terminato. Né ero a conoscenza io tanto quanto lei e il fatto che strinse con tutte le sue forze la mia giacca non fece altro che rendere più duro il nostro saluto, perché non era un addio, era solo un arrivederci.
“Emma, non fare così, ti prego.”
“Che vuoi che faccia?! Eh?! Non so che altro fare se supplicarti di restare per me, di incatenarti al letto, di baciarti, di.. di.. Devo essere così egoista da usare il sesso per incatenarti qui solo perché non voglio che parti e che lasci tutto? Che lasci me?” Le sue parole anche se sussurrate sembrava più un urlo nel silenzio. Lacrime di rabbia le rigavano il viso.
“Mi credi così stronzo ed egoista?! Credi che a me faccia piacere il non essere presenza durante la gravidanza, il rischiare di perdere la nascita di mio figlio? Di lasciare te, qui, senza poterti più toccare, vedere, sentire, per otto mesi. Otto mesi.”

Un marinaio venne a chiamarmi e lo allontanai sgarbatamente, usando un linguaggio non appropriato per un capitano che si rispetti.
“Un uccellino mi ha detto che un capitano non si è comportato molto bene con lui.” Ci mancava solo mio fratello, te pareva. Battè più volte la mano sulla mia spalla e ci mancava poco che me la slogasse con le sua mani enormi che si ritrovava.
Emma, che sempre l’aveva adorato, lo guardò come se volesse ringhiargli addosso e non mi avrebbe stupito se l’avesse fatto visto l’espressione che aveva in volto.
“Non migliori molto la situazione, sai Liam?”
“Orsù Emma, lascialo salpare questo giovane e povero ragazzo, che ancora il mondo non sa che cosa sia. Non farete altro che soffrire di più, prima lo lasci andare e prima lui potrà tornare.” Sospirai, le accarezzai il volto e infine la bacia.
“Tornerò. Troverò sempre il modo per tornare. E tu ora smettila con questa scenata e andiamo, forza.” Queste furono le mie parole che rivolsi prima a lei e infine a Liam prima di salpare.



Un mese dopo

La nave solcava le onde, come se volasse. Il tempo era magnifico, l’aria che ti pungeva le guance era come una dolce carezza, era per me una gradevole sensazione che mi fece chiudere per un istante gli occhi in modo da goderne fino all’ultimo.
Peccato che questo non durò molto. A lungo andare il mare nei giorni divenne sempre più irrequieto, sempre più iroso fino a che la nave non resse più e sprofondammo nell’oceano ove l’unica cosa che vedemmo fu il color del mare che ci trascinava sempre più giù, sempre più.

“Sciocco. Sciocco sciocco sciocco sciocco.” Fu l’ultima cosa che ricordai.
Il mare è come un dio, decide lui se farti morire o darti la possibilità di salvarti. Godeva nel vedere gli uomini cercare di navigarlo e allo stesso tempo era magnanimo quando l’uomo cadeva nell’impresa.
Magnanimo fu con noi.
Naufragammo su un’isola abitata solo da fanciulli adolescenti, guidati da un leader chiamato Peter Pan.
Ma era molto più di questo, era un luogo dove vi era la magia: c’erano sirene, c’erano fate, c’era qualunque cosa e potevi perfino volare. Il sogno di ogni uomo insomma.
Molti dei miei marinai furono affascinati da tutto questo, altri furono soggiogati dalle sirene che, con il loro canto, li fecero annegare.
Divenni amico di Pan, il quale mi spiegò molte cose: ero su Neverland, la cosiddetta isola che non c’è dove tutto era possibile, dove i bambini andavano quando i genitori li abbandonavano.  Era davvero possibile? Era la verità, oppure ero già morto?
Scoprii che non mentiva, che era tutto vero. Che ero vivo.
Ma allora, perché il mio equipaggio era approdato proprio lì? Non eravamo bambini, eravamo solo sperduti.


E così passarono i giorni, mesi, scoprendo nuove sfaccettature dell’isola e dei suoi componenti.
Raccontai della mia vita, del perché eravamo in mare, di cosa ci era successo durante il nostro viaggio e di come ci eravamo trovati lì, su quell’isola. Raccontai di Emma, di quanto mi mancasse e di quanto fosse bella,  anche se il mio racconto fu spesso interrotto dalla battutine di Liam.
Diventammo amici, dei grandi amici.
Peccato che Pan, innamoratosi del nostro mondo, volle conoscerlo a tal punto che, essendo l’unico in grado di sfuggire dall’isola, volò fino a una città
nella casa della famiglia Darling.
In quella casa vi erano tre ragazzi, giovani quanto lui se non ancora di più. Il più grande tra questi era una fanciulla, il cui nome era Wendy.
E proprio di lei lui si invaghì.
Giovane com’era, non si accorse di tutti i dettagli che lasciava trapelare quando ci poneva domanda sul nostro mondo, fu facile scoprire il suo segreto.
E fu altrettanto facile rompere la nostra amicizia.
Come poteva uno stupido ragazzino poter stare con la propria amata, quando ormai erano mesi se non anni che ormai io non vedevo la mia? Come poteva lui andarsene e ritornare quando io ero imprigionato in questa stramaledetta isola in cui sono naufragato?
Cercai in tutti i modi di convincerlo a riportarmi a casa, a mantenere quella promessa che mesi prima avevo fatto. Ma niente riuscì a convincere Pan a portarmi da lei, a portarci tutti a casa.
Iniziò così la nostra faida, nella quale per colpa del canto della sirene persi Liam, l’unica persona che mi era rimasta della mia vita.
Odia Pan, lo odiai con tutto me stesso.
Feci tutto ciò che era in mio potere per non permettergli di avere il lieto fine con la sua dolce e amata Wendy, feci in modo da trattenerlo qui, sull’isola. Usai tutte le mie forze e mi sentii un vile, un codardo, ma ormai niente importava più perché se io non potevo avere Emma lui non avrebbe mai avuto Wendy.


Viaggiare era sempre stato il mio sogno.
Come una persona curiosa, quale ero, ho sempre desiderato vedere il mondo, scoprire la cultura, gli usi ed anche i cibi di qualsiasi città differente dalla mia.
In qualunque viaggio non ho mai sentito la mancanza di casa, più lontana ero e meno la sentivo, perché ho sempre vissuto così intensamente ogni mondo che non ne ho mai avuto il tempo per sentirla.
Questa volta era diverso.
Questa volta avrei dato tutto ciò che possedevo per ritornare a casa. Ogni cosa
Sono passati 5475 giorni, troppi anni, ed è proprio per questo che sono qui, dinanzi a Campanellino e quel che verrà fuori lo accetterò.

 

“Il treno diretto a Winterbourne sta per arrivare. Allontanarsi dalla linea gialla.”
La voce gracchiante mi riscosse dai miei pensieri, mi guardai intorno e vidi che tutti si stavano alzando in attesa del treno ormai agognato. La madre a quanto pareva aveva finito il racconto da minuti e il volto del fanciullo portava i segni della stanchezza.

Questa è mia storia, la vera storia e, ricordatelo tutti quanti, Uncino mantiene sempre le sue promesse.
Attenti a voi.
  
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