Libri > Shadowhunters
Ricorda la storia  |      
Autore: Madison Alyssa Johnson    22/11/2015    7 recensioni
Clastian seguito di You’re my Clar(it)y
I due anni che Jocelyn ha ottenuto per loro sono scaduti e il giorno della temuta ispezione è in fine giunto. Ventiquattro ore per riassumere la loro vita insieme e convincere il Conclave a lasciarli in pace una volta e per tutte.
Clary passò il tampone sulla ferita e i muscoli di Jonathan si tesero come corde. – Così impari ad essere incauto. –
– Non è colpa mia se quel Kuri stava per tagliarti in due con le sue chele! – protestò suo fratello.
– L’avevo visto e lo avrei schivato, se non ti fossi messo in mezzo! – lo rimbeccò lei. Prese lo stilo e disegnò un iratze sulla pelle candida del fianco.
La pelle si rimarginò in pochi secondi. Dove prima c’era uno squarcio, restava solo una linea rosea, che a breve sarebbe sparita del tutto.
– Dopo due anni che stiamo insieme dovresti aver perso il vizio di fare l’eroe, ma tu no, devi sempre... –
Jonathan la baciò. La prese per i fianchi e se la tirò addosso. Le risalì la schiena con i polpastrelli da sotto l’ampio maglione bianco e sorrise sulla sua bocca, quando lei rabbrividì.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clarissa, Jocelyn Fray, Robert Lightwood, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incest
- Questa storia fa parte della serie 'Anybody capable of love is capable of being saved.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I’m in love now


 
 



Yeah, I’ve been feeling everything, 
from hate to love,
from love to lust,
from lust to truth. 
I guess that’s how I know you.
 
~ Ed Sheeran, Kiss me


 
Clary passò il tampone sulla ferita e i muscoli di Jonathan si tesero come corde. – Così impari ad essere incauto. –
– Non è colpa mia se quel Kuri stava per tagliarti in due con le sue chele! – protestò suo fratello.
– L’avevo visto e lo avrei schivato, se non ti fossi messo in mezzo! – lo rimbeccò lei. Prese lo stilo e disegnò un iratze sulla pelle candida del fianco.
La pelle si rimarginò in pochi secondi. Dove prima c’era uno squarcio, restava solo una linea rosea, che a breve sarebbe sparita del tutto.
– Dopo due anni che stiamo insieme dovresti aver perso il vizio di fare l’eroe, ma tu no, devi sempre... –
Jonathan la baciò. La prese per i fianchi e se la tirò addosso. Le risalì la schiena con i polpastrelli da sotto l’ampio maglione bianco e sorrise sulla sua bocca, quando lei rabbrividì.
– Jonathan... – sospirò la ragazza, ad occhi socchiusi. – Non dovremmo. La tua spalla... –
– La mia spalla sta bene. – la zittì. – Ha preso solo una bella botta. – Mosse il braccio per dimostrare che non era lussata e trattenne una smorfia di dolore. – Vedi? È solo indolenzita. Fare l’amore con te è l’unica medicina che mi serve. –
Clary arrossì. Non sarebbe mai abituata a sentire quella parola uscire dalle labbra del ragazzo, nemmeno in un milione di anni. – Se dovrai andare all’ospedale, sappi che non ti accompagnerò. – minacciò, ma non si oppose alla sua lingua calda che le esplorava la bocca, né alle sue mani grandi e callose che accarezzavano la pelle chiara in cerca dei suoi punti di piacere. Tremò e gemette. Si lasciò spogliare e distendere sul divano. Si perse nei suoi occhi neri e gli accarezzò la schiena. Ne conosceva ogni cicatrice, ormai, ma ogni volta che ne sentiva la ruvidezza sotto le dita continuava a chiedersi come Valentine avesse potuto fare una cosa del genere a suo figlio. Risalì dai fianchi alla nuca e seguì la linea del collo fino alla mandibola e agli zigomi alti. – Jonathan... – mormorò.
Il ragazzo ricambiò il suo sguardo, affascinato dalla piega delle sue labbra morbide e dal modo in cui i  capelli rossi le incorniciavano il volto. Ne inspirò il profumo e ridisegnò il corpo della ragazza a colpi di baci, guidato dalla memoria più che dalla vista, nella penombra della notte newyorkese.
Sua sorella affondò le dita nei suoi morbidi capelli biondi e si inarcò sotto i suoi tocchi. Gli offrì il ventre e i fianchi come un’ingorda. Aveva iniziato a notarlo da poco, ma più facevano l’amore, più lo desiderava. Si stava trasformando in una ninfomane e, per quanto se ne rendesse conto, non riusciva a vederlo come un male. Il suo vero cruccio era un altro. – Questo è il nostro ultimo giorno. –
– No. – Jonathan alzò il viso. – Non dirlo. – La malizia era sparita dal suo sguardo e i suoi tratti spigolosi si erano fatti più duri. – Io non lo permetterò. –
– Ma l’ispezione di domani... –
– È solo una stupida ispezione. Non gli permetterò di portarti via da me. – La baciò a fior di labbra e approfondì poco per volta. Voleva che lei sentisse che lui era lì con lei e per lei. Non avrebbe permesso né al Conclave, né a nessun altro di dividerli, mai, e lei non doveva dimenticarlo. Le tolse il fiato fino a svuotarle la mente di ogni pensiero e si assicurò che la preoccupazione non tornasse a intaccare i pensieri della sua metà per molte, molte ore.

 

Un trillo acuto irruppe nelle loro orecchie. Non era il campanello, per loro fortuna: era la sveglia del telefono di Clary.
La ragazza scattò a sedere come spinta da una molla e quasi cadde dal divano nel cercare de recuperare il rumoroso aggeggio dal mucchio di vestiti.
Jonathan, al suo fianco, farfugliò un buongiorno e si tirò su con un vigoroso sbadiglio. – Caffè o doccia? – chiese, ad occhi socchiusi. Si alzò dal divano senza la minima vergogna per la propria nudità e raccattò i propri vestiti solo per gettarli nel cesto dei panni sporchi.
Clary dovette schiaffeggiarsi con entrambe le mani per non lasciarsi distrarre dalla curva dei suoi fianchi. – Doccia. Separati. – rispose. – Abbiamo un’ora prima dell’ispezione e tu non vuoi che Robert Lightwood ci trovi così, fidati. –
– Okay, sorellina. Non ti scaldare. – cedette lui. Sapeva quando poteva tentarla e quando, invece, era meglio starla a sentire, ormai. La baciò a fior di labbra e si chiuse nel piccolo bagno per darsi una pulita.
La ragazza, invece, recuperò una vestaglia e ciabattò fina alla cucina per preparare il caffè. Gliene sarebbe servita una vasca, più che una tazza, ma se l’era cercata. Così imparava a fare le ore piccole. Sbadigliò e rischiò di rovesciare la moka nel lavandino diverse volte, ma riuscì a metterla sul fuoco. La contemplò come un panda pigro per diversi minuti, mentre il cervello cercava di ricordarle che aveva delle cose importanti da fare, tipo pulire il salotto.
L’odore del caffè riempì l’aria prima che riuscisse a decidersi a controllare le condizioni del salotto.
Versò il suo personale oro nero in una tazza e ne assorbì il calore con i palmi, mugolando. Non credeva di amare tanto una simile bevanda, ma tra studio e lavoro aveva sviluppato una dipendenza inaspettata dalla caffeina, in quei due anni. Inspirò l’aroma intenso della miscela e sorseggiò ad occhi chiusi.
– Il bagno è libero, se vuoi. – la avvertì Jonathan. Anche solo in camicia bianca e jeans era il ragazzo più bello che avesse mai visto. Somigliava a Jace, ma i suoi tratti erano più spigolosi e contribuivano a dargli un’aria più severa, a tratti ferina, quando combatteva o facevano l’amore.
Sorrise e mise via la tazza. – Vado. Tu metti a posto. –
– Sì, signorina Rottenmeier. – le fece il verso suo fratello. La baciò a stampo, poi più a fondo. Assaggiò le sue labbra come se ne nutrisse e la strinse a sé. – Dovresti andare, prima che ti spogli di nuovo... – sussurrò, roco, eppure non fece cenno di voler allentare la presa sui suoi fianchi.
Jonathan... – lo ammonì lei, con quel tono “alla Jocelyn” che di solito significava « Smettila, o ti mando in bianco per un mese. », che ormai aveva imparato a conoscere.
– Giusto, la dannata ispezione. – brontolò e la lasciò andare.
Clary gli sorrise come una condannata al patibolo e si chiuse in bagno a doppia mandata. Fu tentata di aggiungere una runa di chiusura, ma non aveva con sé lo stilo e Jonathan non era così stupido da rischiare di mandare all’aria il giorno più temuto della loro vita. Più volte si era scoperta a immaginare di raccontare ai loro figli e nipoti di come avevano sopportato mille difficoltà per stare insieme e di come il Conclave era stato costretto ad accettare il loro amore, ma non sarebbe mai successo, se il signor Lightwood avesse scoperto cosa c’era tra loro. Era pur sempre incesto e il Conclave non era noto per l’apertura mentale. Andrà tutto bene. si disse. Passeremo l’ispezione e ci lasceranno in pace. Funzionerà.

 

Robert Lightwood fu puntuale come un orologio svizzero. Bussò alla loro porta alle nove e mezza precise, stretto nel suo doppiopetto blu. Li scrutò entrambi per diversi secondi, prima di entrare, e annuì. Sembrava invecchiato di colpo, dalla fine della guerra. I capelli neri, tenuti in ordine dal taglio severo, si erano fatti brizzolati sulle tempie e una ragnatela di rughe gli circondava gli occhi.
Clary lo condusse in salotto, incerta su cosa fosse giusto dire.
Jonathan, al suo fianco, le prese la mano e vi intrecciò le dita per darle forza.
Il gesto non sfuggì all’Inquisitore, eppure il suo viso rimase inespressivo.
– Vuole un caffè, signor Lightwood? –
– No, Clarissa, ti ringrazio. – Lo Shadowhunter aprì la cartellina e fece scattare la penna per prendere appunti. – Voglio solo chiudere in fretta questa storia. –
Nessuno dei due ragazzi osò replicare, ma intuivano che essere lì lo irritava.
– Allora. – cominciò l’uomo. – Avete sempre vissuto da mondani, in questi due anni? –
– Sì. – rispose la ragazza. – Io mi sono iscritta al corso di arti visive della Columbia e lavoro in uno Starbucks sulla Quinta Strada nei pomeriggi dei giorni dispari e a volte nei fine settimana. –
– Io mi sono diplomato al Manatthan Institute e lavoro in una palestra sulla Brodway come personal trainer. –
– Quindi vi siete diplomati entrambi? –
– No. – Il maggiore dei Morgenstern scosse la testa. – Solo Clary. Io non ne avevo bisogno. –
Sua sorella sorrise e si strinse nelle spalle. Aveva provato a suggerirgli di sostenere gli esami da privatista, ma non era riuscita a convincerlo. Gli aveva mostrato le varie facoltà che avrebbe potuto frequentare, con un diploma, ma nessuna era riuscita a suscitare il suo interesse; eppure lei lo avrebbe visto bene ad aggirarsi in un campus, frequentare le lezioni e vivere quella vita che suo padre gli aveva sottratto.
– E non avete mai interferito con le attività degli Shadowhunters di New York? – volle sapere l’ispettore, intento a scrivere i suoi appunti.
I ragazzi si fissarono.
– A volte andiamo a caccia di demoni e inoltre Alec e Isabelle sono amici, quindi a volte li incontriamo, ma non abbiamo mai interferito con le loro operazioni. – riassunse Clary.
L’Inquisitore annuì e trascrisse tutto nella cartellina. – Come avete ottenuto questa casa? –
– Era mia. – raccontò Jonathan. – La Regina della Corte Seelie me ne ha fatto dono quando credeva di potermi manipolare. Non ha apprezzato come le cose si sono poi concluse, ma non ha avuto il coraggio di riprendersela. –
Robert Lightwood si accigliò. La sfrontatezza di quel ragazzo gli ricordava Valentine in tutto e per tutto, eppure nei suoi occhi non c’era lo stesso lampo di lucida follia. Stentava a riconoscere in quel giovanotto intraprendente il mostro che aveva tentato di sottomettere gli Shadowhunter di tutto il mondo e marciare su Alicante. Se non lo avesse visto con i propri occhi, non sarebbe mai riuscito a credere che la sola presenza di Clarissa fosse riuscita ad attuare un simile trasformazione. – Questo è ciò che affermate. – disse. – Ma sono solo parole. Voglio i fatti. – ­
Il maggiore dei Morgenstern annuì. – Se mi segue alla palestra, potrà verificare con i suoi occhi. –
– I miei corsi cominciano tra un’ora. – aggiunse Clary. – Ma nel pomeriggio sarò a lavoro dalle tre alle sette. – Gli appuntò l’indirizzo su un foglietto come se fosse la cosa più normale del mondo.
Lo Shadowhunter lo piegò e infilò nella tasca della giacca. – Molto bene. – disse. – Ma prima di andare voglio vedere la casa. –
Non si poteva dire che non fosse scrupoloso, pensò Clary, nonostante avesse scritto in viso che avrebbe preferito affrontare un esercito di Demoni Superiori, piuttosto che essere lì. Si alzò. – Da questa parte, signor Lightwood. – Abbozzò un sorriso e scoccò una rapida occhiata all’orologio da polso. – La cucina l’ha già vista. Non ci stiamo molto, perché gran parte della giornata siamo fuori casa. – spiegò. Molti dei suoi ricordi più importanti erano legati a quella cucina. Lì aveva preparato il pranzo di Natale con Jonathan, quando ancora lo chiamava Sebastian. Seduta a quel tavolo lo aveva affrontato, più di una volta, e aveva potuto avvicinarsi alla sua anima scheggiata. E sul ripiano di marmo avevano fatto l’amore così tante volte da perdere il conto.
– Cucinate entrambi? –
– Oh, no! – rise Clary. – Jonathan è un pericolo pubblico, con i fornelli.  –
– Ehi! – protestò il diretto interessato. – So fare un ottimo caffè e ti ho aiutato più volte a preparare. –
Robert Lightwood non rise. Chiunque altro lo avrebbe fatto, ma lui rimase impassibile.
Clary sospirò. Tentare di stabilire un contatto umano era inutile. Gli mostrò il bagno, la palestra e la sala da disegno, tappezzata dei suoi lavori; gli unici che non aveva mai avuto il coraggio di esporre erano i ritratti di Jonathan, tenuti sotto chiave in un cassetto sigillato con una runa. Lasciò le camere da letto per ultime, incerta su come convincere l’Inquisitore a credere che lei dormisse nella stanza degli ospiti.
– Per essere una casa per due, è piuttosto grande. – commentò lo Shadowhunter, fermo nel vano della porta a braccia conserte.
Jonathan sorrise. – È solo l’indispensabile. –
– E nessun mondano si è accorto che questo appartamento è più grande di quel che dovrebbe, o che non dovrebbe essere qui? –
– È protetto da un incantesimo adeguato e Magnus Bane in persona si è assicurato di renderlo permanente. – spiegò Clary. Aveva dovuto pregare Alec di convincerlo, visto che ogni suo tentativo di corruzione si era rivelato inutile, ma quel che contava era che la regina delle fate non avrebbe mai potuto rimuovere l’incantesimo solo per fare loro uno stupido dispetto.
– Bene. – dichiarò l’Inquisitore. – Possiamo andare, allora. –

 

La Planet Fitness si trovava all’angolo tra la Brodway e la Sumner Place. A Janathan piaceva molto, perché, nonostante da fuori non sembrasse niente di speciale, all’interno si rivelava immensa, ariosa e vivace. La luce la invadeva da ogni parte attraverso le gigantesche vetrate e la musica della WNYU accoglieva i clienti nell’atrio. Spesso capitava che le voci e le risate di chi entrava o usciva coprissero la musica e quello era un altro dei motivi per cui apprezzava la palestra: quel posto scoppiava di vita. Era come un’iniezione endovena di tutto ciò che si era perso nei suoi diciassette anni con Valentine.
– Sei in ritardo, giovanotto. –
– Di quindici secondi, Lysa. –
La ragazza dietro il bancone della reception si imbronciò. Aveva un delicato volto a forma di cuore e una cascata di boccoli castani che le accarezzava le spalle. – Quindi neanche oggi avrò il tuo bacio. – chiocciò.
– Temo proprio di no. – rispose il ragazzo. – Magari domani. –
Lysa si appoggiò al bancone con le mani e premette con i gomiti ai lati del seno, per metterlo in evidenza. – Comunque, ti consiglio di sbrigarti. Paul è arrivato cinque minuti fa ed è ansioso di cominciare. Ha detto che ti aspetta alla macchinetta del caffè. – Sorrise, quindi si voltò verso l’Inquisitore. – È qui per iscriversi, signore? –
Robert Lightwood ebbe un momento di incertezza.
– Mio zio è qui solo per vedere la palestra dove lavoro. – intervenne Jonathan. – È solo di passaggio. –
– Oh, non sapevo avessi uno zio! – esclamò la ragazza. – E di dov’è? –
– Di San Diego. – rispose lo Shadowhunter. – Sono qui per un convegno sulla Seconda Guerra Mondiale e ho pensato di passare a far visita a mio nipote. Mia sorella non riesce a credere che sappia cavarsela da solo e perciò... –
Lysa rise. – Beh, le assicuro che qui il ragazzo se la cava benissimo... quando non fa aspettare i clienti! –
– Bene, allora vi lascio. – L’Inquisitore scoccò a Jonathan uno sguardo che gli mise i brividi. – Ci vediamo, ragazzo. – disse e uscì. Rientrò all’Istituto e, per le successive cinque ore, né Jonathan, né Clary lo videro. Alle tre meno cinque era davanti allo Starbucks che gli aveva indicato la ragazza.
Lei lo vide da lontano e gli fece un timido cenno di saluto. Arrossì, quando lui la ignorò, e affondò il viso nella sciarpa. – È andato tutto bene con Jonathan? – chiese, prima di entrare.
L’uomo annuì. – Tuttavia, Clarissa... questa vostra situazione sembra fin troppo perfetta. Non posso fare a meno di pensare che nascondiate qualcosa. – La fissò, a braccia conserte. – Come sei riuscita a cambiare così tanto il figlio di Valent6ine? –
Clary si accigliò. – L’ho ascoltato. – rispose. – Cosa che il Conclave non ha nemmeno pensato di fare. Vi siete accaniti contro un ragazzino e basta, senza fermarvi a pensare che effetto può aver fatto crescere con un padre come il nostro, senza qualcuno che lo proteggesse dalla sua follia o che gli dimostrasse un minimo di affetto. – Le lacrime spuntarono agli angoli degli occhi e si impigliarono tra le ciglia. Non avrebbe dovuto dire quelle cose. Era il modo migliore per rovinare tutto e mandare all’aria l’ispezione. Ma non poteva più tenersele dentro.
Robert Lightwood la fissò e non rispose. Qualcosa si mosse sul fondo dei suoi occhi azzurri, lottò per emergere e morì nel tentativo. – Entriamo. – disse.
La ragazza annuì, incerta. Spinse la porta e uno scampanellio pigro accompagnò il suo ingresso nel locale.
Non era di certo il più grande della catena. Da fuori appariva cupo e all’interno l’effetto non migliorava più di tanto. Se non fosse stato per le luci che lo tappezzavano, il locale sarebbe stato più cupo del suo umore – e in quel momento ce ne voleva.
Una delle cameriere la vide e le fece un rapido cenno di saluto.
Clary le sorrise e sfrecciò verso il retro, dove lasciò il giaccone, la sciarpa e i guanti. Sotto aveva già la divisa e dovette solo recuperare grembiule e taccuino. Tornò dallo Shadowhunter solo per suggerirgli di sedere ad uno dei tavoli liberi. – Si prenda un caffè, o quello che vuole, e resti quanto le pare. Non ho niente da nascondere, io. –
L’Inquisitore accettò il consiglio. Prese posto in un angolo, si fece portare un caffè e rimase a osservarla per le successive due ore, senza dar cenno di volersene andare.
Un’altra ragazza sarebbe esplosa dopo la prima mezz’ora, ma la giovane Fray non si lasciò intimidire. Continuò a fare il suo lavoro come se lui non ci fosse, finché non decise di andarsene.
La chiamò al proprio tavolo e la fissò da dietro il menù. – La vostra vita da mondani è perfetta, nonostante andiate a caccia di demoni. Ne parlerò al Conclave e verrete lasciati in pace, ma sappi che non sarete più i benvenuti ad Alicante. Da oggi potete smettere di considerarvi Shadowhunters, a meno che non facciate entrambi ammenda pubblicamente. – disse e sospirò. – Non so cosa nascondiate, Clarissa, ma farete meglio a fermarvi, prima che accada qualcosa di irreparabile. – Le scoccò la stessa occhiata che aveva rivolto a Jonathan e lasciò sul tavolo i soldi per il caffè, prima di andarsene.
Clary lo guardò uscire e scosse la testa. Mancavano ancora due ore alla fine del suo turno, ma già sentiva la mancanza di suo fratello.

 

La porta di casa sbatté alle sue spalle e Clary si appoggiò ad essa con le spalle. Si lasciò scivolare a terra e si massaggiò le tempie, ad occhi chiusi. Nonostante avesse immaginato più volte quella giornata e sapesse benissimo quanto sarebbe stata dura, era certa che niente l’avrebbe mai preparata ad una simile pressione. Continuava a chiedersi se quello del signor Lightwood fosse un bluff, o se, invece, si erano traditi in qualche modo e lui aveva mangiato la foglia. A forza di rifletterci, le era venuto un mal di testa così atroce che nemmeno tutti gli iratze del mondo avrebbero potuto farci nulla. – Jonathan? – chiamò.
– Sono in cucina. – le rispose la sua voce, altrettanto stanca.
Si alzò da terra e lo raggiunse.
Era appollaiato su una sedia, torvo in viso. Aveva il mento appoggiato ai dorsi delle mani intrecciate e fissava il muro dinnanzi a sé come se dovesse leggere i segreti del mondo nel suo candore.
Lo abbracciò e immerse il naso nei suoi capelli quasi bianchi. Il suo profumo di cannella la calmava sempre. – È andato tutto bene? – sussurrò al suo orecchio.
Jonathan le prese le mani tra le proprie e ne baciò le piccole dita. – Diciamo di sì. –
– Perché “diciamo”? –
– Prima di andarsene, mi ha guardato in un modo... come se volesse legarmi ad un palo e arrostirmi vivo, più o meno. –
Clary annuì e gli riferì ciò che l’uomo le aveva detto. – Credi che sappia? – chiese, appoggiata con il mento sulla spalla del fratello.
– Non ne ho idea. – ammise lui, assorto. Le accarezzò le braccia dal gomito al polso e ritorno. Seguì il reticolo delle vene, che spiccava azzurrino sulla pelle chiarissima, con piccoli baci e attirò a sé la ragazza per assaporare ancora le sue labbra. – Sai una cosa? – sussurrò. – Ormai non ha più importanza: abbiamo passato l’ispezione e questo vuol dire che è finita. Siamo li... –
Il telefono squillò.
– Non rispondere. – suggerì Jonathan, ma Clary prese la cornetta e se la portò all’orecchio.
– Clary? – La voce di Jocelyn irruppe nel loro piccolo mondo felice.
– Mamma? – gracchiò la ragazza. Strinse la mano di Jonathan e arricciò le labbra. – Carino da parte tua farti risentire. Se è per l’ispezione, è andata una meraviglia. Ora siamo ufficialmente fuori dal giro. –
Jocelyn sospirò. – Quindi non tornerai? –
Clary strinse la cornetta fino a farsi sbiancare le nocche. – No. – rispose, secca. Sorrise a suo fratello e annegò una mano nella sua chioma. Avrebbe voluto sbattere in faccia a lei e a tutti gli altri il suo amore per il ragazzo che aveva accanto, ma non poteva: sua madre sarebbe corsa dal Conclave a riferire e avrebbe ribaltato l’esito dell’ispezione. – Sono felice così, non mi serve altro. – disse invece e chiuse la telefonata con la stessa freddezza che la Shadowhunter aveva mostrato loro due anni prima. – Siamo liberi. – dichiarò, con un sorriso. – Adesso nessuno ci starà più tra i piedi. – Baciò Jonathan a lungo, indifferente al tempo che scorreva intorno a loro. Se anche l’universo fosse esploso in quell’istante, non se ne sarebbe accorta. Sarebbe stata una morte accettabile, tra le braccia dell’uomo che amava, anche se avrebbe preferito mille volte vivere quell’amore più a lungo possibile, finché entrambi avessero avuto i capelli bianchi e un’orda di nipotini intorno; ma quel che li attendeva solo Raziel lo sapeva. Loro potevano solo accontentarsi di vivere, momento per momento, la felicità che avevano conquistato e difeso con le unghie e con i denti. – Prepariamo la cena? – chiese, a corto di fiato.
– Ma come, – obiettò Jonathan. – non sono più un pericolo pubblico? –
Clary scoppiò a ridere e lo baciò di nuovo. 

 

Questa si candida di sicuro come la mia one shot più lunga - e più shipposa -, per ci intendo essere breve, almeno in questo spazio. 
Innanzitutto, ringrazio Ivola per il banner stupendo. Lo adoro, davvero. *^* 
Poi, poi, poi... giusto un paio di cosette sulla one shot e mi defilo:

1. Odio dal più profondo del cuore scrivere cose a caso, quando le storie sono ambientate nel mondo reale, quindi tutti i posti (a cominciare dallo Starbucks e la palestra) esistono davvero e ho fatto ricerche anche per vedere come si diventa PT in America. Siccome, però, la mia conoscenza dell'inglese non è ancora perfetta (sigh) e ho fatto ricerche a tarda notte, potrei aver capito male come funziona tutta la faccenda; ergo, se qualcuno di più informato si trovasse a passare da queste parti, accetto correzioni e spiegazioni di sorta, perché voglio fare le cose per bene, anche perché mi rendo conto che queste informazioni sono aggiornate ad oggi e avrebbero anche potuto essere diverse nel 2009. 

2. Non ho messo l'indicazione OOC perché ho cercato di mantenerli più IC possibile, nonostante la trasformazione dovuta al percorso precedente. Non so se mettercelo, comunque, but... anyway, show must go on.

3. Non amo scrivere scene di sesso, ma qualche accenno c'è, perché dopotutto sono una coppia che sta insieme da due anni, ne hanno diciannove e... insomma, capitemi: chi crederebbe mai che sono casti e puri? Ecco, appunto.

Questo è quanto, quindi mi ritiro in religioso silenzio e vi lascio alle vostre considerazioni. Spero di non aver distrutto il lavoro precedente con il mio shipping compulsivo, ma loro sono la mia OTP e... niente, questa shot mi è venuta spontanea. Proprio non ce la faccio a lasciarli andare. 
Ora fuggo, prima di cominciare a sproloquiare. See ya!
   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: Madison Alyssa Johnson