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Autore: Suzerain    23/11/2015    2 recensioni
Era condannato. Sentiva una voce sussurrarlo piano al suo orecchio giorno dopo giorno, il tono mellifluo e tentatore – tutt’ora non saprebbe dire a chi appartenesse, se ad Afrodite, se a Gea; era condannato a vivere in quell’amore a metà, lasciandosi ferire dalle spine di quella rosa che invano tentava di cogliere.
Semmai fosse rinato, si diceva, avrebbe voluto che le sue ferite diventassero petali.
Avrebbe voluto divenire la rosa di qualcuno.

~[What if] [Nico!centric] [Percico implicita e per lo più onesided]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Percy Jackson, Percy/Nico
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Un giorno, tre autunni (一日三秋 )
Autrice: xrinnenotsumi
Fandom: Percy Jackson.
Pairing: Percy/Nico sottintesa.
Personaggi: Nico Di Angelo, Percy Jackson, accennate Bianca Di Angelo e Hazel Levesque.
Desclaimer: I personaggi della saga non mi appartengono, e sono sotto il copyright di Rick Riordan.
Ambientazione: Dopo la battaglia finale contro Gea (Blood of Olympus). What if che si sofferma sui sentimenti di Nico dopo la morte di Percy a seguito dello scontro.
Note dell'autrice : "Voglio scrivere Percico" ed è venuto fuori un flusso di coscienza di milletrecento parole e quasi nonsense in più punti. 
E' da un po' che volevo cimentarmi in qualcosa di diverso, e sebbene non sia totalmente soddisfatta credo che, per essere la prima volta che scrivo di Nico, il tentativo non sia così malaccio. 
E' una what if: mi sono domandata come avrebbe reagito Nico a seguito della morte di Percy - ammettendo che i suoi sentimenti per il moro siano rimasti invariati, nemmeno a dirlo. 
Grazie ai proverbi cinesi tristi che danno ispirazione per cose altrettanto tristi. 


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一日三秋 
Un giorno, tre autunni.




 

Che l’esistenza umana sia qualcosa di effimero e fragile, Nico l’aveva appreso quando le sue fattezze erano ancora quelle di un ragazzino dagli occhi brillanti – ai tempi in cui viveva nell’erronea convinzione che nel mondo vi fosse, da qualche parte, persino un posto per uno come lui, che del passato non aveva che lasciti ed immagini sconnesse. Ci sono occasioni in cui chiudendo gli occhi scuri e liberando la mente affollata dai più svariati pensieri, riesce a ricordare i sentimenti che l’avevano animato allora. La gioia e la speranza che gli appaiono ora come la memoria sfocata di un’altra persona; legge un diario che reca il suo nome ma che non gli appartiene, sul volto un’espressione che decifrare appare impossibile e cui, con tutta probabilità, persino lui non riuscirebbe a trovare un nome. Legge di un Nico Di Angelo che con gli anni si è lasciato alle spalle, l’innocente infante che mai ha superato la morte di quella sorella che della sua famiglia è tutto ciò che restava.
Bianca. E’ un nome che si era ripetuto nella sua mente come una cantilena e che per giorni era stato l’unico comando che l’aveva spronato a combattere le tenebre che verso di lui tendevano la mano. Bianca, che l’ultima volta aveva sorriso per un’altra persona e che poi, senza che avesse anche soltanto il tempo di rendersene conto, era divenuta una sagoma sbiadita verso cui tendere la mano senza che, tuttavia, fosse possibile raggiungerla davvero.   
Che la vita abbia breve durata e vada in pezzi con la stessa facilità d’un calice di cristallo che s’infrange al suolo è qualcosa con cui impari a fare i conti quando scopri d’essere il figlio del dio dell’Oltretomba, di colui che mette in atto il fato che le Parche hanno stabilito; impari ad accettarlo, poiché il semplice contemplare la possibilità di mutare gli eventi è qualcosa di proibito più del frutto colto da Eva nella religione cristiana – l’aveva sempre trovato ironico, come persino per padroni della Morte fosse impossibile sovvertire le regole della stessa.
Essere un dio non significa essere onnipotente. Persino il divino deve sottostare a delle regole che vigono da prima della sua esistenza.
In piedi, dinanzi ad una fredda lastra di marmo azzurro, si domanda se il se stesso bambino lo avrebbe accettato.

All’idea che Le Porte della Morte fossero state aperte si era sentito beffato.
Camminava nei Campi Elisi, superando anime di persone che un tempo erano state grandi e di cui tutt’ora i mortali parlavano, rammentando le loro gesta come quelle di Eroi alcuni, considerandole l’intrattenimento degli antichi, altri. Lento il passo e curva la postura, si aggirava tra coloro che avevano fatto la storia moderna, la cultura che permette agli dèi d’esistere ancora adesso, a distanza di secoli e millenni; le movenze che poco si distinguevano da coloro che lo circondavano, cercava con lo sguardo chi nella sua vita era stato un punto di riferimento, quella fanciulla i cui capelli scuri e raccolti in una treccia avrebbe riconosciuto tra mille altri – nello sguardo la disperazione che s’intrecciava ad un sentimento di speranza a lungo messo da parte.
Sovvertire le regole era vietato – ne era consapevole almeno tanto quanto sapeva che ci sarebbero stare ripercussioni; eppure la cercava con lo sguardo, lei che nella sua vita aveva significato più d’ogni altro, lei che l’aveva lasciato indietro, incurante di quali fossero i suoi sentimenti.
L’aveva cercata a lungo, Nico – perché che il tempo curi tutte le ferite è menzogna, una sciocca ed umana convinzione; ciò che resta è cicatrice, il ricordo sulla pelle di un qualcosa che un tempo ha sanguinato.
Un qualcosa che continua a sanguinare, sebbene la pioggia cada incessante.

Era giunto alla conclusione, nel tendere la mano verso Hazel, che forse alcuni avevano la facoltà di sfilare ciò che le artefici del destino avevano tessuto. Ma l’aveva relegato, quel pensiero, in quell’angolo della propria mente in cui non avrebbe potuto nuocergli nell’attimo stesso in cui aveva preso forma – lì, insieme alla vana speranza di poter camminare accanto a quella schiena che aveva sempre osservato da lontano.
Era il sogno di uno sciocco quello che l’aveva animato durante la guerra contro Crono: ad un figlio di Ade, si era ribadito quasi d’istinto, non è dato il camminare nella luce, poiché la stessa al buio da cui si fa cullare rifugge spaventata. Un figlio della Morte non avrebbe mai trovato posto tra chi portava la vita – quegli occhi non lo avrebbero mai guardato come nel profondo desiderava facessero, perché non era lui la persona che era stata scelta per stargli accanto.
Aveva guardato Hazel negli occhi – forse alcuni potevano farlo. Ma lui non era tra questi.
Anche quel giorno aveva piovuto, come se persino le stelle, piangessero per la sua perdita.

Nico aveva odiato Percy Jackson almeno tanto quanto aveva odiato se stesso.
E’ così che sono fatti gli esseri umani. Disgustose ed imperfette creature che si rintanano nella negatività, lasciandosi ingannare dalla soave voce di chi si finge madre, ma è a conti fatti una realtà matrigna.
Immaturo, aveva odiato chi non avrebbe mai potuto avere, volpe che incolpa l’uva di essere amara pur essendo conscia di quanto assurda e frivola sia la sua scusante. Aveva odiato per non amare – sarebbe stato più semplice, si era detto, allontanarsi da quella figura che costantemente sembrava assillarlo, da quegli occhi verdi profondi più degli smeraldi, limpidi come l’acqua dell’oceano da cui hanno preso vita e di cui il loro proprietario emanava il profumo aspro e salino che ogni notte gli si presentavano dinanzi.
Aveva odiato Percy Jackson almeno tanto quanto l’aveva ammirato prima di amarlo, lasciandosi inebriare da quel sentimento che, tuttavia, non era mai riuscito a fare proprio davvero.
Era condannato. Sentiva una voce sussurrarlo piano al suo orecchio giorno dopo giorno, il tono mellifluo e tentatore – tutt’ora non saprebbe dire a chi appartenesse, se ad Afrodite, se a Gea; era condannato a vivere in quell’amore a metà, lasciandosi  ferire dalle spine di quella rosa che invano tentava di cogliere.
Semmai fosse rinato, si diceva, avrebbe voluto che le sue ferite diventassero petali.
Avrebbe voluto divenire la rosa di qualcuno.
Era lui, o il mondo sembrava aver perso i propri colori?

A volte le immagini di quella battaglia tornano a fargli visita, e non necessariamente durante il sonno. Sono come flash che lo colgono nei momenti più inaspettati, diversi da quei sogni che un tempo aveva maledetto; a volte accade persino durante uno scambio di qualche tipo – rivede infinite orde di mostri attaccare una collina apparentemente come tutte le altre, e quella schiena che sin dal primo attimo l’aveva protetto a capeggiare uno degli eserciti presenti.
Ode ancora quella voce rivolgersi a lui, quelle labbra sottili dischiudersi in un verso d’incitamento cui gli altri avevano risposto d’istinto – perché era fatto così, Percy, leader benché egli stesso sembrasse non rendersene conto.
Si domanda, Nico, quanto tempo sia trascorso da allora e quanto il mondo intorno a lui sia cambiato; in attimi come quello, mentre fissa privo di emozioni quel nome elegantemente inciso su una fredda stele che con lui non ha niente a che vedere, sembra un’eternità.
Forse lo è davvero. Forse ancora, è soltanto perso in un universo in cui il tempo ha smesso di scorrere – ma ha davvero importanza, che la clessidra lo lasci indietro o meno?
« Sei sempre stato un egoista, Jackson. »
Ma era difficile dire a chi stesse parlando davvero.
Quando qualcuno ci manca, ogni giorno pesa come se fossero tre anni.

 



 
   
 
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