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Autore: Carlos Olivera    24/11/2015    2 recensioni
Se state leggendo questo, significa che siete sopravvissuti.
Significa che l'errore più imperdonabile nella storia dell'umanità può ancora essere riparato.
Ho visto cose che non avrei mai creduto.
Una civiltà intera spazzata via nel giro di una notte, un mondo ridotto in macerie, gli uomini diventare bestie, le bestie farsi umane.
Pietà per l'Uomo, e per i suoi peccati.
Genere: Drammatico, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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S

e state leggendo questo, significa che siete sopravvissuti.

Significa che l'errore più imperdonabile nella storia dell'umanità può ancora essere riparato.

Ho visto cose che non avrei mai creduto. Una civiltà intera spazzata via nel giro di una notte, un mondo ridotto in macerie, gli uomini diventare bestie, le bestie farsi umane.

Eppure, io credevo in ciò che facevo, e confidavo con tutto me stesso che quello strumento così antico quanto misterioso potesse davvero salvare la nostra specie dal cammino di distruzione che aveva percorso.

La mia fede nel potere della scienza mi ha accecato. O forse, è stata solo la mia ingenuità; il mio essermi auto-convinto che fosse alla nostra portata il riuscire a dominare una conoscenza e un potere di cui nemmeno conoscevamo l’origine.

L'assurda, inarrivabile follia umana ha infine segnato il suo destino.

Ma forse, c'è ancora speranza.

Io sono qui.

Io sono vivo.

Dovete sapere.

Dovete conoscere la verità.

Sapere quello che è stato.

Pietà per l'Uomo, e per i suoi peccati.

 

La torre, bianchissima, emergeva come una punta di ghiaccio al centro del cratere, progressivamente aperto dagli archeologi nel corso degli anni per liberarla dalla terra che l’aveva ricoperta per millenni.

Era quasi incredibile che una qualunque mente mortale fosse stata capace di progettare qualcosa di simile; neppure gli stregoni, che pure avevano un bagaglio culturale e storico assai più sviluppato di quello degli esseri umani, sapevano con certezza di che cosa dovesse trattarsi.

Per alcuni era un rudere risalente alla Prima Civiltà, un insieme di città stato dei praticanti della stregoneria culturalmente e scientificamente già molto avanzare quando gli esseri umani ancora vivevano nelle caverne, secondo altri invece poteva essere ancora più antica, il che gettava una luce incredibile, e per certi versi inquietante, sulla storia del pianeta Terra.

Una cosa però era certa.

Quella torre era sia un dispensatore di vita sia, se usato nel modo sbagliato, il più terrificante portatore di morte mai concepito.

In un mondo governato dalla magia, il cui nucleo proveniva direttamente dalle viscere del pianeta come un immenso, inesauribile fiume di energia, stando agli scritti che era stato possibile decifrare tale torre aveva in sé il potere per agire su tale flusso come nessun altro strumento mai concepito, in una sorta di connubio tra una centrale di estrazione e un colossale bastone magico.

Poteva tramutare un deserto in una foresta rigogliosa, portare la distruzione ed essere al tempo stesso la fonte della creazione.

E di una nuova creazione, in quel momento, il mondo aveva un disperato bisogno.

Ormai era inutile negarlo.

La Terra stava morendo.

La guerra decennale che aveva spaccato il mondo in due, e di cui quasi non si ricordava più neppure l’origine, stava gradualmente tramutando la superficie in una landa desolata.

Intere nazioni, intere porzioni di terre emerse, erano state spazzate via, o sottoposte a drammatici sconvolgimenti energetici avevano mutato drasticamente il loro aspetto, diventando sterili e inabitabili.

La magia avrebbe dovuto rendere l’umanità migliore, invece ne stava diventando la condanna, poiché nelle mani sbagliate poteva dimostrare un potere infinitamente superiore a quello di qualunque altro strumento di distruzione concepito dall’Uomo.

La Torre di Babele era l’ultima speranza.

Era stata rinvenuta per caso, in uno dei pochi siti archeologici del Medio Oriente sotto il controllo della fazione occidentale, e nel momento in cui se ne era compresa la funzione era emerso agli occhi dei potenti che, se opportunamente usata, poteva determinare da sola le sorti del conflitto.

Per questo, la sua esistenza era stata tenuta segreta con ogni mezzo, nell’attesa di riuscire a capirne per intero il funzionamento, ma ormai, a quasi tre anni di distanza, il tempo si era esaurito.

La fazione orientale, in qualche modo, era venuta a conoscenza dell’esistenza sito e delle sue capacità, e in quello stesso momento un enorme esercito stava avanzando da tutte le direzioni nel tentativo di appropriarsene.

Il dottor Coleman cercò nella tasca il proprio, inseparabile rosario, facendo scorrere non visto i grani tra le dita fino a raggiungere la croce d’argento mentre nella sua testa si agitavano foschi pensieri; in cuor suo sapeva che quel giorno, alla fine, sarebbe inevitabilmente giunto, ma aveva sperato di arrivarci con maggiori certezze.

Aveva dedicato la sua intera carriera accademica a cercare di svelare il mistero celato dietro le molte, misteriose rovine dell’Antico Popolo, come era stato ribattezzato, che la guerra aveva dissotterrato a forza dalle viscere della Terra, e la torre in particolar modo era stata per lui una vera ossessione.

Perché era stata costruita? Era una micidiale arma creata per distruggere un qualunque nemico, o forse lo strumento con cui quell’antica civiltà era riuscita a cambiare il volto della Terra, tramutandola da mondo arido e inospitale in un giardino dell’eden da riempire dei propri discendenti?

Ma al dottore questo, al momento, importava relativamente: ciò che contava nell’immediato era salvare quanto restava della Terra e della civiltà umana.

In una notte illuminata a giorno dalle esplosioni, che riflettendosi sulla sabbia del deserto raggiungevano con la loro luce lo spazio infinito, l’elicottero militare che trasportava il dottore decollato in tutta fretta da Gerusalemme poco prima della sua caduta era ormai giunto in prossimità della torre, sorvolando prima del suo arrivo una interminabile distesa di carri armati, soldati e macchine umanoidi da battaglia, schierati in formazione di guerra e pronti a combattere fino all’ultimo uomo per difendere l’impianto.

Varcato il perimetro, il mezzo atterrò al centro della piccola cittadina di tende, prefabbricati e impianti di ricerca alla base dell’edificio, ed il dottore, discesone, si diresse velocemente verso la baracca che nei molti mesi ed anni trascorsi lì aveva riconvertito a proprio studio, dotandola di quei piccoli comfort che un luogo tanto lontano da qualunque traccia di civiltà poteva garantire, come un letto comodo, una scrivania e una piccola, selezionata biblioteca che potesse aiutarlo nel suo lavoro quotidiano.

Era talmente preso nei suoi pensieri da non accorgersi di una debole luce che, illuminando fiocamente gli interni, giungeva attraverso le finestrelle chiuse; così, quando aprì la porta, trovandosi al cospetto del Generale Fraser, per un attimo ebbe un sobbalzo.

Il Generale metteva una certa soggezione, non fosse altro per i suoi leggendari trascorsi sul campo di battaglia, con quel volto scavato, quelle tempie rigate, le mani ossute ma vigorose, gli occhi piccoli e azzurri che trafiggevano come lame, e quella rada capigliatura color ruggine che il vento secco e sabbioso del deserto, malgrado tutte le cure e le attenzioni del caso, si divertiva a scompigliare.

Rinchiuso nella sua divisa verde militare, con i gradi e le innumerevoli medaglie a fare bella mostra di sé riflettendo la luce delle lampadine tremolanti, il Generale sedeva al lato opposto della scrivania, le gambe accavallate sotto il tavolo, una sigaretta in una mano e un vecchio, logoro volume aperto su di un segnalibro nell’altra.

I due si guardarono; quindi, preso un breve respiro, Fraser iniziò a leggere a bassa voce, come recitando un salmo.

«Ed ella disse: “Guardati dalla mia ira, poiché io mi nutrirò della carne dei tuoi figli, berrò il sangue dei tuoi animali, riderò delle tue sventure e piangerò delle tue gioie. Porterò il buio del mondo alla tua porta, maledirò il sole che illuminerà la tua casa, verserò lacrime di gioia per i tuoi lutti, e guarderò negli occhi la fine della tua discendenza.

Maledici il giorno in cui mi scacciasti dalla tua casa, perché quello è il giorno in cui hai segnato il destino dell'Uomo.

Che cos’è, dottore?»

«È un antico testo ebraico» rispose Coleman togliendosi la giacca da viaggio per sostituirla con l’uniforme. «Che parla di Lilith.»

«Lilith?» ripeté il Generale con uno strano sorriso

«La prima moglie di Adamo. Che venne da questi scacciata, e che per questo maledisse il marito, mutandosi in demone e giurando che avrebbe distrutto i suoi discendenti.»

«Molto affine al periodo, se mi posso permettere.

Comunque sono stupito. Non avrei mai creduto che un uomo come Lei, che regge nelle sue mani il futuro dell’umanità, potesse avere un interesse segreto per testi riguardanti la religione e l’apocalisse.»

«Se fosse stato un interesse segreto non lo avrei mai portato qui» rispose il dottore quasi stizzito. «Avevamo fatto un accordo, mi sembra. Niente politici e militari entro il perimetro della torre. Che ci fanno tutti questi soldati all’interno del mio campo?»

«Le priorità sono cambiate, dottore. Il Presidente e il Consiglio di Sicurezza hanno deliberato nuovi ordini.

Con la caduta di Gerusalemme abbiamo perso il nostro ultimo avamposto in Medio Oriente.

Tutti i comandi, le divisioni operative e gli Stati Maggiori hanno ricevuto l’ordine di ripiegare verso Creta ed Istanbul.

In altre parole, siamo tagliati fuori, e in questo stesso momento metà dell’esercito orientale sta pressando contro le nostre ultime linee per raggiungere questo posto.»

Quindi, il Generale si alzò dalla sedia e guardò il dottore, gelido, dritto negl’occhi.

«O la Torre viene azionata stanotte, o domani mattina duecento chili di ordigni magici alla testata d’argento ne faranno un cumulo di cenere.»

«Lei sa bene quanto me che non siamo ancora pronti» rispose il dottore, apparentemente impassibile. «Abbiamo eseguito solo quattro test di collaudo della torre, e nessuno oltre il quaranta per cento della potenza necessaria.

Per quanto ne sappiamo, i nostri strumenti di controllo e gestione del potere potrebbero non risultare sufficienti a gestire una energia di questa portata.»

«Per questo abbiamo preso provvedimenti» replicò quasi beffardo il Generale sventolandogli una memory card davanti agli occhi. «Si senta libero di consultarla. Ci vediamo al briefing tra un’ora.» e detto questo se ne andò, lasciando Coleman da solo con i suoi dubbi, e una sensazione di ansia fin troppo famigliare.

 

Oltre al Generale e al resto dello Stato Maggiore della difesa, presenti in quel momento all’interno dell’installazione, a presiedere all’ultimo briefing nel bunker di comando ai piedi della torre vi erano anche il Presidente degli Stati Uniti e il Segretario Generale delle Nazioni Unite, o di quello che ne rimaneva, collegati in via telematica dalle rispettive sedi.

«Come tutti sapete» spiegò il dottore azionando il proiettore olografico. «L’energia che scorre attraverso tutto il nostro pianeta, da noi chiamata comunemente magia, ha il suo punto d’origine all’interno del nucleo.

Nel corso del suo viaggio verso la superficie, essa passa attraverso particolari noduli energetici collocati in prossimità della crosta terrestre, che funzionando come delle stazioni di scambio assorbono e reindirizzano questa energia in un collegamento a rete che abbraccia tutta la Terra.

Secondo la nostra teoria, lo scopo originario della torre era di interagire con uno qualsiasi di questi noduli e il relativo scorrimento dell’energia, controllandone il flusso sì da reindirizzarlo a proprio piacimento attraverso la rete.»

«Per quale motivo sarebbe stata creata una cosa del genere?» domandò il Segretario Generale

«La magia è la fonte della vita. Ogni cosa esiste grazie ad essa, e più ne scorre all’interno di una determinata area più questa risulterà fertile.

Manipolando il flusso, sarebbe virtualmente possibile influenzare pesantemente la conformazione fisica di un territorio, privandolo dell’apporto di energia.»

Tutti i presenti ammutolirono, e molti guardarono in basso strofinandosi gli occhi o le tempie.

«Da due secoli a questa parte» proseguì Coleman. «La nostra tecnologia si basa sullo sfruttamento di questa energia. La magia è il pilastro su cui poggia la nostra società, e muove i motori di questa guerra.

Senza il giusto afflusso di potere magico la nostra tecnologia si fermerebbe, per non parlare delle conseguenze a livello ambientale.»

«Di preciso, di che conseguenze stiamo parlando?» chiese il Presidente quasi con timore

«Dipende da quanto si decide di chiudere i rubinetti. Un territorio necessita di duemila rune* per poter sostenere adeguatamente la vita, di quattromila per garantire un ecosistema fiorente. Se per ipotesi noi portassimo l’afflusso di magia a millecinquecento rune in un’area che ne possiede abitualmente cinquemila, tutti i supporti tecnologici legati all’M-Technology si fermerebbero di sicuro, e avremmo delle conseguenze nel breve e medio termine anche sulla popolazione.»

Di nuovo vi fu silenzio, stavolta molto più teso, ed anche il dottore, non visto, portò nuovamente la mano sul rosario, ora avvolto come un bracciale attorno al polso destro.

«E Lei ritiene che sarebbe possibile sfruttare la torre per questo scopo?» chiese il Generale

«È quello che abbiamo cercato di fare per tutto questo tempo. I test condotti fino ad ora ci hanno permesso di interagire in maniera soddisfacente all’interno della rete, sì da permetterci di togliere o aggiungere quantitativi minimi di energia all’interno di aree ristrette.

È ovvio che per servircene su scala globale o quasi servirebbe un intervento di gran lunga più massiccio, senza contare l’enorme quantità di potere che dovremmo ridistribuire.

Le nostre strumentazioni dovrebbero poter fornire il supporto energetico necessario, per quanto questa torre possieda in sé conoscenze che noi al momento non saremmo neppure in grado di concepire.

Tuttavia…»

«Tuttavia?» incalzò di nuovo il Generale

«Tuttavia c’è la possibilità che un intervento invasivo di questa portata, condotto senza le necessarie precauzioni, rischierebbe di danneggiare seriamente la rete energetica, con conseguenze imprevedibili per l’intero pianeta.»

I membri dello Stato Maggiore bisbigliarono tra loro, e anche il Presidente e il Segretario sembravano molto turbati.

«Vi invito alla calma, signori» intervenne il Generale, l’unico i cui occhi non trasmettessero insicurezza. «Nessuno qui sta pensando di affrontare questa impresa a cuor leggero.

Abbiamo investito oltre quaranta miliardi di dollari nelle ricerche sulla torre, e più del doppio per la sua difesa. Migliaia di giovani vite sono state sacrificate per mantenere al sicuro questa struttura, e non è nostra intenzione rischiarne altre giocando con poteri molto più grandi di quelli fino ad oggi conosciuti.

Pertanto, per l’occasione, abbiamo riunito un’equipe di stregoni e dottori di magia senza precedenti. Il meglio della conoscenza arcana è riunito qui in questa base.

Persino il Consiglio dei Maghi ha dato il proprio benestare, fornendo studiosi e apparecchiature, oltre ad aiutarci nella decifrazione dei codici necessari a capire il funzionamento della torre.

Io vi posso assicurare, e sono pronto a prendermi la responsabilità di queste parole, che non sussistono pericoli di sorta.»

Il pessimismo sembrava ben lungi dallo scomparire, eppure le affermazioni del generale sembrarono scacciare in parte i fantasmi di vecchie sciagure che nessuno voleva rivivere.

Dalla Tragedia di Neptunia al Volo Moonlight 123, erano molte le vite spezzatesi nel corso dei decenni a causa di una magia andata improvvisamente fuori controllo; ma ora si trattava del destino dell’umanità.

Ora c’era da salvare quando restava di una civiltà.

Se la fazione orientale avesse vinto, o peggio ancora se fosse riuscita a mettere le mani sulla torre, nessuno era in grado di dire che cosa sarebbe potuto accadere, senza contare che più realisticamente quel conflitto decennale era destinato, se lasciato proseguire, a portare all’estinzione la razza umana ben prima di una qualsiasi conclusione pacifica.

Da parte sua, nonostante tutto, anche il Dottore la pensava allo stesso modo.

Bisognava far terminare quella follia, e bisognava farlo subito, anche a costo di prendersi qualche rischio.

 

Se dall’esterno la torre appariva già immensa, l’interno dava un’idea ancora più incredibile delle sue reali dimensioni, ma soprattutto dell’incalcolabile sapere magico e scientifico che doveva esserne all’origine.

A distanza di tanto tempo ancora ci si domandava come fosse possibile che una struttura tanto imponente, che altro non era se non un gigantesco cono completamente cavo al suo interno, fatta eccezione per una lunga scala a chiocciola che collegava tra di loro i vari terrazzamenti disposti a distanza regolare, potesse reggersi su delle fondamenta tanto sottili.

Le terrazze funzionavano come dei filtri, generando ognuna una barriera che conteneva, e allo stesso tempo sublimava, il potere magico richiamato direttamente dalle viscere della terra tramite il circolo magico, il più grande mai visto, tracciato lungo tutto il pavimento.

L’antenna in cima completava il tutto, irradiando di magia la zona circostante, sì da mettere in funzione gli innumerevoli altri circoli disseminati tutto attorno, dalla forza congiunta dei quali era possibile esercitare il controllo sulla rete dei noduli.

Poco sotto la prima terrazza, ad una ventina di metri dal suolo, e in una posizione di assoluta sicurezza, era stato allestito un centro di comando panoramico, ed era da qui che, allo scoccare delle tre, con la battaglia per il controllo della torre fattasi talmente vicina da poterne udire i fragori, prese il via il primo, vero tentativo di controllo della magia della storia dell’umanità.

I più esperti stregoni del mondo erano lì, radunati attorno al cerchio, le mantelle cerimoniali a cingerne le figure ed in mano i bastoni magici più potenti in circolazione.

Il Generale si accese l’ennesima sigaretta, osservato con occhio obliquo, quasi indagatore, dal dottore.

«Signori» disse liberando una nuvola di fumo e aprendo l’altoparlante. «Oggi facciamo la storia. La più grande guerra mai combattuta dall’Uomo finisce stasera.

Mi aspetto che tutti facciate il vostro dovere.

Cominciamo.»

Il dottore sembrò tergiversare un’ultima volta, ma alla fine, quasi avvinto, ordinò.

«Abbiamo luce verde» disse l’operatore. «Disinserire blocchi di sicurezza. Avviare l’afflusso di energia.»

Gli stregoni, abbassati gli occhi, iniziarono a pregare, recitando come un mantra le formule apprese nello studio delle rovine, e facendo rintoccare nel contempo i propri bastoni, mentre il cerchio sotto i loro piedi iniziava a riempirsi di un sempre più forte bagliore color smeraldo.

Poiché non era stato possibile ripristinare in toto i sistemi di alimentazione principali, il grosso del lavoro per quanto riguardava l’approvvigionamento di energia era svolto da due giganteschi generatori posizionati all’esterno della struttura, a loro volta alimentati da un’antenna personalizzata che fin dalle prime battute iniziò a lavorare a pieno regime, a dimostrazione di quanto incredibilmente grande fosse il potere magico necessario a far funzionare la costruzione.

I secondi si tramutarono in minuti, minuti tesi in cui nessuno aprì bocca, con il classico ronzio prodotto dai circoli magici a fare da solo accompagnamento al tintinnare dei bastoni e alle voci degli stregoni.

«Potenza erogata al venticinque percento.» disse l’operatore

Una colonna di luce si sollevò dal centro del cerchio, e le barriere di contenimento, sottili e trasparenti come lastre di vetro, si attivarono automaticamente; la luce, toccandole, si irradiava, producendo un bagliore discontinuo e molto forte che inondava l’intera torre.

Il Dottore si ritrovò a stringere di nuovo con forza il suo rosario.

«Potenza erogata al cinquantasette percento.»

Barriera dopo barriera, la colonna raggiunse la cima della torre, e a quel punto tutti i soldati, i ricercatori e l’altro personale presente all’esterno poterono vedere il vertice appuntito della struttura accendersi come una stella, irradiando tutta la zona di una luce sempre più forte e maestosa che squarciava la notte con inaudita potenza.

«Potenza erogata al centoquindici percento! Massa critica in avvicinamento!»

«Attivare i recettori energetici» ordinò il dottore. «Azionare il resto dell’impianto.»

Come una pioggia benedetta, la scintilla in cima alla torre si mutò in pulviscolo luminoso, ricadendo tutto attorno in una cascata di gocce argentate che, al contatto con la superficie, materializzarono un vero e proprio labirinto di altri cerchi, fino a che tutta l’area in un raggio di due chilometri dalla torre divenne un dedalo di linee, simboli e lettere arcane, mentre l’aria si caricava di un potere talmente grande da dare vita a ombre luminose simili a fantasmi, visibili anche a chi non era dotato di poteri magici.

I generatori e l’antenna lavoravano al massimo, e già qualcuno iniziava a temere che si sarebbero presto fusi, ma incredibilmente, dopo qualche altro attimo di forte sollecitazione, tutto parve acquietarsi, e nell’esatto momento in cui la pianta dei pentacoli fu completamente attiva la situazione si acquietò di colpo, in modo quasi irreale.

All’interno, il cerchio magico rifulgeva in tutto il suo splendore, e ai maghi radunati tutto attorno ad esso sembrava quasi di essere immersi in un oceano senz’acqua, tanta era l’energia che si muoveva attorno a loro, ondeggiando le vesti e facendole come galleggiare nel vuoto.

«Torre operativa, Dottore.»

«Tutti i cerchi sono attivi» disse un operatore. «Controllo sulla rete magica confermato.»

Coleman e Fraser si guardarono, scambiandosi una rapida e fugace occhiata, e ancora una volta il dottore serrò le mani attorno alla croce.

«Procedete con l’Operazione Horizzont

«Sì, dottore. Procedura Horizzont in attivazione.»

«Nodulo alfa localizzato. Obiettivo Xiangyan, ex Repubblica della Cina del Sud.»

«Dare inizio alle operazioni di assorbimento» ordinò il dottore. «Riconvogliare l’energia di alfa sul nodulo P23XPA.»

«Nodulo P23XPA inquadrato. Inizio ridistribuzione magica in tre… due… uno…»

La colonna di luce, con la stessa velocità con cui era nata, riprese vigore, così come riprese la pioggia luminosa dall’antenna sulla cima.

Occorsero solo pochi minuti per rendersi conto che, a prima vista, tutto stava andando per il verso giusto.

Gli agenti e gli informatori in collegamento dal cuore dei territori orientali, contattati attraverso dei canali speciali via satellite, confermarono che con il passare dei secondi l’oriente stava andando sempre più in tilt, vedendo spegnersi uno dopo l’altro tutte le sue principali fonti di energia senza un’apparente ragione, mentre di contro nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico i captatori stavano registrando un aumento vertiginoso dell’energia all’interno del nodulo scelto per la ricollocazione del potere.

E allora, per la prima volta da che l’esperimento aveva avuto inizio, anche il dottore sembrò distendere il volto, abbandonando l’espressione ansiosa per una notevolmente più rilassata.

«A quanto siamo di energia?» domandò

«Livello attuale del nodulo alfa, tremiladuecento rune.»

«Di più.»

Più la quantità di energia all’interno del nodulo scendeva, più gli agenti in missione riportavano di danni e malfunzionamenti generalizzati su tutta la rete energetica dell’oriente, e ormai persino il canale privilegiato, per quanto settato in modo particolare, andava esaurendosi.

«Culla, mi sentite?» domandò l’agente in collegamento da Beijing, il cui volto era a malapena riconoscibile per le continue interferenze. «Sono a Piazza Tienanmen. Qui la gente comincia a sentirsi male. Segnalano svenimenti e danni collaterali in tutta la città.»

I due operatori girarono gli occhi verso il dottore, cercandolo tra le nuvole di fumo sollevate dal Generale, che dall’inizio dell’esperimento doveva aver già fumato quasi un intero pacchetto.

«Stato attuale?» chiese Coleman

«Duemilaseicento rune.»

«Basta così.»

«Ora sappiamo che funziona» disse il Generale con un sorriso. «Passiamo al prossimo nodulo.»

«Generale, questo era solo un test. Forse dovremmo aspettare…»

«Ascolti» replicò seccato Fraser «Le sente le esplosioni? Continuiamo, ho detto.»

Il dottore, quindi, non ebbe altra scelta che obbedire, ed su sua indicazione il bersaglio della torre passò al nodulo energetico P25, localizzato al di sotto della impenetrabile Pyongyang.

Ancora una volta, non servirono che pochi minuti perché la potenza del nodulo cominciasse a scendere.

«Alla faccia di voi scienziati da scrivania.» gonfiò il petto il Generale constatando che tutto stava procedendo a meraviglia.

Poi, accadde l’irreparabile.

D’improvviso, il contatore di energia che misurava la potenza del nodulo cominciò a scendere in modo troppo repentino, continuando a calare anche dopo il raggiungimento della soglia concordata di duemilaseicento rune.

«Che sta succedendo!?» domandò Coleman

«Non lo so dottore, il risucchio di energia non si arresta.»

«Sta scendendo troppo. Usate i blocchi di emergenza.»

«Ci stiamo già provando, ma la torre non obbedisce ai comandi.»

Quando poi il contatore scese sotto le duemila rune, una serie di allarmi presero a rimbombare all’interno della stanza.

«Siamo al di sotto della soglia di sicurezza! Punto critico di millecinquecento rune in rapido avvicinamento!»

Un canale audio si aprì su uno dei monitor, ma era talmente disturbato che quasi non si capiva nulla.

«Ma che diavolo sta succedendo! Qui a Pyongyang la gente sta morendo per la strada! Fermate subito l’esperimento! Ripeto, fermate…»

Poi si sentì un urto, seguito da un gracchiare nebbioso, e sul sottofondo di un lugubre coro di lamenti di dolore la comunicazione si spense.

«Dottore, l’energia del nodulo P21 di Seoul sta iniziando a scendere!» disse un operatore

«Anche quella del P34!» disse un altro. «E il P30! Il P52! Il P65! Stanno collassando uno dietro l’altro!»

«Che significa, dottore?» tuonò Fraser

«Gliel’avevo detto che era pericoloso agire su due noduli così vicini nello stesso momento! Ora la rete sta andando fuori controllo!» quindi diede i suoi ordini. «Presto, incanalare tutta l’energia a nostra disposizione all’interno dei noduli più vicini a quelli già colpiti!»

«Che cosa vuole fare?»

«Formeremo un muro! È l’unico modo che abbiamo per impedire che il danno si diffonda!»

Il dottore sapeva bene che questo voleva dire sacrificare ogni forma di vita che si fosse trovata dall’altra parte della barriera, ma non c’era altra soluzione se si voleva evitare un evento di potenziale livello estintivo.

E all’inizio il piano parve funzionare; caricati al massimo di tutto il potere magico disponibile, i noduli più vicini a quelli già colpiti si rivelarono troppo potenti per subire a loro volta l’effetto domino, il quale, passato il momento critico, cominciò ad arrestarsi.

L’energia che veniva assorbita in modo incontrollato veniva incanalata all’interno della torre, che a sua volta la ridistribuiva per quanto possibile all’interno della rete; ma per quanto la torre fosse stata costruita per sopportare apparentemente sforzi ben maggiori, non tutto il suo potere era stato completamene ridestato, e le apparecchiature installate per sopperire a tale mancanza non potevano certo vantare la medesima resistenza.

Proprio quando sembrava che la crisi fosse sul punto di risolversi la colonna di luce che ancora si elevava al centro della stanza aumentò di colpo la sua luminosità, diventando a tal punto abbagliante da bruciare gli occhi di alcuni degli stregoni radunati tutto attorno.

«Dottore, i generatori non riescono più a gestire l’energia! Stiamo perdendo di nuovo il controllo!»

Un ologramma lampeggiante si accese al centro della stanza di controllo, e nel vederlo il dottore ed i suoi collaboratori si sentirono gelare il sangue nelle vene.

«La percentuale magica della torre ha raggiunto quota ottomila

«Non riusciamo a disperdere l’energia assorbita dai noduli! Si sta concentrando tutta qui! Stiamo raggiungendo la massa critica!»

Gli stregoni ancora capaci di camminare cercarono di mettersi in salvo, ma i blocchi di emergenza appositamente installati erano già entrati in funzione bloccando tutte le uscite, così Coleman e gli altri non poterono fare altro che guardare quegli sventurati tramutarsi in EDA** dinnanzi ai loro occhi per poi morire nel giro di pochi minuti, schiacciati da un tale e tremendo potere magico da risultare insopportabile per qualunque organismo vivente.

Anche all’esterno la situazione non appariva migliore, ed era sufficiente guardare le dimensioni raggiunte dalla stella in cima alla torre per capire che le cose non stavano andando per il verso giusto.

«Siamo a oltre dodicimila rune! I generatori stanno collassando!»

«Per Dio fate qualcosa!» continuava a urlare il Generale. «Spegnete questo maledetto affare!»

«È colpa del cerchio magico» spalancò gli occhi Coleman. «Sta assimilando tutta l’energia che non riusciamo a disperdere.»

Alla fine, inevitabilmente, uno dei generatori esterni esplose, provocando una drammatica reazione a catena che distrusse tutti gli altri, generando un’esplosione tale da tramutare l’intero accampamento in un mare di fiamme rosse e azzurre che in pochi attimi consumarono ogni cosa.

La torre, scossa violentemente, cominciò a tremare, e complice l’energia ormai inevitabilmente imprigionata al suo interno la sua intera struttura prese a mostrare delle inquietanti crepe.

I primi a scappare furono gli operatori, ma non fecero in tempo ad aprire la porta che il crollo di una parte del soffitto li travolse in pieno, uccidendoli ed ostruendo al tempo stesso l’uscita.

Non che provare a scappare avesse molto senso.

Coleman ormai lo aveva capito.

Avevano fatto qualcosa di irreparabile. E ora, solo il cielo sapeva quali ne sarebbero state le conseguenze.

Toltisi gli occhiali, e baciato delicatamente il rosario, si girò verso Fraser, che osservata un’ultima volta quell’enorme colonna di luce diventare sempre più grande si infilò in bocca la propria pistola, mentre l’intera parete della stanza andava ricoprendosi di simboli luminosi.

«E io dico, non sarà Dio o il Demone ad uccidere l’Uomo» disse citando l’ultimo passo di quel testo. «Sarà l’Uomo ad uccidere l’Uomo

La colonna si ingigantì di colpo, inondando di luce ogni cosa, e un attimo dopo la stessa luce, come un fiume in piena, si propagò in ogni direzione sia in cielo che nelle viscere della Terra, mentre una spaventosa onda d’urto si propagava dal cuore dell’installazione travolgendo tutto per centinaia di miglia, a cominciare dagli eserciti ancora impegnati in battaglia.

E per un attimo, in tutta la Terra, ogni cosa parve fermarsi, cristallizzata in quella luce.

Poi, tutto divenne tenebra.

 

Q

uesto è quello che accadde.

Questa è la storia di come tutto sia finito.

Un’intera civiltà cancellata in pochi minuti.

Quando mi ripresi, attorno a me non era rimasto più nulla. Non so ancora per quale motivo riuscii a sopravvivere.

Forse era merito della stanza schermata, o forse il mio non essere uno stregone aveva impedito all’onda magica di intaccare il mio corpo; o ancora, forse è stato come trovarsi nell’occhio di un ciclone.

Quale che fosse la verità, quando dopo molti giorni riuscii ad uscire alla luce del sole, quello che vidi mi fece rimpiangere di essere sopravvissuto.

Io, che avevo dedicato ogni mio sforzo a proteggere l’Umanità, ero stato l’artefice della sua rovina.

L’Uomo, quella piccola, insignificante creatura che abitava da millenni questo minuscolo pianeta, aveva pagato fino all’ultima briciola la sua folle ricerca del potere assoluto.

Come una nuvola di morte, l’onda aveva solcato i cieli e la terra in lungo e in largo, spazzando via intere città, interi continenti, e cambiando per sempre il volto del pianeta.

E gli uomini?

Per molto tempo pensai di essere rimasto solo, l’ultimo di una millenaria generazione di stolti, ma non occorse molto tempo per accorgermi che non era così.

Quando una civiltà, quando un mondo intero scompare, è destino che qualcosa debba rimanere, perché dalle ceneri del vecchio possa sorgere qualcosa di nuovo.

Forse era la punizione più giusta.

L’Uomo, che aveva cercato di elevare al massimo la propria civiltà, l’aveva vista scomparire in un colpo solo, assieme a qualunque ricordo ad essa legato.

Ho visto con i miei occhi esseri umani mangiare le cortecce degli alberi, dormire nelle caverne, e mugugnare versi incomprensibili.

Ma tutto sommato, la sorte di questi poveri sventurati può considerarsi la più benevola.

Quello che la nube non ha distrutto dall’esterno, l’ha inevitabilmente deteriorato dall’interno.

Mostri.

La Terra ora non è altro che una distesa informe di creature mostruose.

Ci ho messo un po’ a rendermi conto di cosa il nostro mondo fosse diventato, ma ora che ho potuto vedere mi rendo conto di cosa la nostra, la mia ossessiva ricerca ha comportato.

Io sono stato l’artefice della fine di un’era. No. Di un’intera civiltà.

E questo è un peccato da cui non mi potrò mai liberare, da qui all’eternità.

Ma forse, non tutto è perduto.

Per quanto svuotati della loro conoscenza, della loro memoria, l’intelligenza propria degli esseri umani non è andata perduta: non del tutto, almeno.

Non sarà una cosa breve, né posso essere sicuro del fatto che accadrà, ma forse, con molta pazienza e molto lavoro, quei pochi che sono riusciti a sopravvivere alle mutazioni saranno in grado di ricostruire quello che è andato perduto.

Quanto a me, intendo sparire per sempre.

Più di una volta ho cercato di porre fine al mio tormento, soprattutto dopo essermi reso conto che l’esposizione prolungata a tutta quell’energia aveva quasi raddoppiato il tempo che mi restava da vivere; ma poi, ho capito che prima di lasciare questo mondo dovevo incidere la mia memoria sulla carta e il mio nome nell’ignominia, a eterno ricordo dei miei peccati.

E tu, che starai posando i tuoi occhi increduli e scettici su queste pagine, credi alle mie parole: tutto ciò che hai letto, tutto ciò che ti ho raccontato, corrisponde a verità.

Forse ti chiederai perché io abbia voluto accusarmi apertamente del più grave crimine che la mente umana sia mai stata capace di concepire.

Per il futuro.

Perché una cosa del genere non possa mai più accadere.

Chiunque tu sia, non permettere mai al cinismo e alla ragione di prevalere sulla coscienza.

Non commettere i nostri… i miei errori.

 

Janet chiuse il vecchio volume, liberando una nuvola di polvere che disperdendosi tutto attorno andò a rendere ancor più pesante un’aria già insalubre.

Un sorriso le comparve sulle labbra.

Quando, su consiglio del suo vecchio maestro, si era recata fin laggiù alla ricerca di informazioni che potessero colmare la sua sete di conoscenza si aspettava di trovare qualcosa di inverosimile, ma quello era perfino troppo.

Chi mai in tutto il Regno di Perth poteva aver ideato una simile storia? Neanche lo scrittore o il menestrello più fantasiosi sarebbero mai stati in grado di creare una tale accozzaglia di nomi, situazioni e termini pseudoscientifici così astrusi, ma allo stesso tempo così apparentemente realistici.

D’accordo che buona parte delle informazioni inerenti alla Prima e alla Seconda Civiltà erano scomparse ormai da tempo, ma a tutto c’era un limite; di sicuro era opera di qualche nano in vena di scherzi, perché solo quei microcefali dalla sbronza facile avevano le conoscenze necessarie per realizzare un falso di quella fattura.

La giovane maga si lasciò un momento prendere dalla tristezza; era un vero peccato che tanta fatica fosse andata sprecata.

E pensare che si era sentita così felice, così incredibilmente fortunata quando, nel mezzo di quella inestricabile massa di vecchi volumi delle più diverse epoche storiche, il destino aveva voluto mettere sulla sua strada nientemeno che il leggendario Codice Coleman, probabilmente il più antico e dettagliato resoconto sulla fine della Seconda Civiltà, e il pensiero di vedere i propri sogni frantumarsi di fronte alla trovata di qualche buontempone le faceva salire il sangue alla testa.

Se non altro, pensò nel tentativo di consolarsi, il falsario doveva essere stato qualcuno davvero molto in gamba, perché a ben guardarlo quel codice sembrava davvero abbastanza antico e logoro da risalire a quell’epoca lontana di magnificenza e imponenza di cui tanto si favoleggiava.

Alzati gli occhi, Janet si perse per qualche attimo nell’immensità sconfinata della infinity library, portando distrattamente gli occhi verso questa o quell’altra pila di libri, e domandandosi per quale motivo un luogo così importante, così carico di storia e di cultura, fosse stato abbandonato al suo destino, vittima inesorabile dell’incuria e del degrado.

I saccheggi, i topi e la muffa avevano già distrutto buona parte dei manoscritti, e gli incendi occasionali uniti all’inevitabile usura del tempo avevano completato il lavoro; ormai, di quella che un tempo si vantava di essere la più grande culla del sapere di tutto il continente restava solo un edificio in rovina, destinato probabilmente a scomparire del tutto nello spazio di poche generazioni.

Nella sua mente le venne da chiedersi se vi fosse ancora qualcosa, qualunque cosa in grado di fugare le sue molte domande sui misteri del passato, immaginandosi nuovamente alla ricerca di qualche codice, qualche pergamena, ma dato quello che le era appena successo la verità era che non si sentiva più sicura di ciò che avrebbe potuto trovare lì dentro.

Un pensiero le si accese nella mente.

Probabilmente era anche per questo che la biblioteca era stata abbandonata, senza che coloro che per secoli l’avevano tenuta in perfetta efficienza si fossero presi il disturbo di salvare il salvabile.

Forse la supposta conoscenza racchiusa lì dentro era solo un’esca, uno specchietto per le allodole, sì da impedire a chi non si fosse mostrato davvero degno di scoprire più del dovuto.

In effetti, aveva un senso. Gli elfi erano sempre stati oltremodo gelosi dei loro segreti, e forse quella piccola, ma così apparentemente importante apertura al mondo esterno non era altro che una gigantesca bugia, un modo per riempire la testa degli umani di storie fantasiose sì da impedire loro di scoprire la verità su quella Civiltà di cui, e non era un segreto, si vantavano di essere gli ultimi esponenti.

Chissà quanto altro falso sapere elfico che da tempo girava tra i maghi e i saggi del continente era frutto in realtà della mente distorta e annebbiata dal troppo fumo di qualche nano dalle abili mani di falsario.

«L’unica cosa in puoi credere, è che non puoi credere in nulla» disse tra sé la ragazza rievocando le parole dell’abate anziano, che in quel momento suonavano così terribilmente beffarde.

Eppure, nonostante ciò, Janet sentiva di dover salvare almeno qualcosa. Forse, con un po’ di pazienza e molto studio, sarebbe stata capace di separare la verità dalla bugia, e ricostruire almeno un parte la storia, la vera storia, dei loro antenati.

Ormai il sole andava calando, così la giovane, aperto il proprio sacco da viaggio, vi infilò dentro tutti i testi a suo giudizio più significativi e degni di nota, consapevole del fatto che, tra la guerra alle porte e l’estrema lontananza di quel luogo da qualunque forma di civiltà, l’occasione per una nuova visita non si sarebbe ripresentata tanto presto.

Prima di andarsene rivolse un’ultima occhiata al grosso tomo chiuso sul vecchio e scolorito leggio di quercia rossa al centro della stanza, dandosi per l’ennesima volta della credulona mentre, appesantita dal suo voluminoso fardello, ripercorreva i propri passi fino all’uscita.

Il vento arido del deserto le solcò la faccia, scompigliandole i corti capelli rosso fuoco, ma era solo una questione di tempo prima che quella distesa di rocce e sabbia persa nel nulla, da caldo come l’inferno, si tramutasse in una tundra gelida alla comparsa della luna; una delle tante cose che rendevano il deserto di Kukatja, o Bocca del Gigante, un posto a dir poco letale per chi non sapeva come affrontarlo.

Legato saldamente ad una colonna diroccata di quello che un tempo doveva essere stato lo sfarzoso porticato d’accesso alla biblioteca, Pixiv brucava vorace le poche sterpaglie in grado di crescere in quella terra inospitale, sollevando subito lo sguardo verso il padrone come lo vide riemergere dal buio oltre il portone e farglisi incontro.

«Lo so che è pesante, ma cerca di resistere» gli disse amorevolmente Janet caricandogli in groppa il sacco di libri. «Ti prometto che alla prima sosta avrai il miglior fieno a disposizione.»

Un attimo prima di montare a sua volta in sella, poi, alla giovane maga cadde quasi per caso l’attenzione sulla specie di cartello che emergeva malamente dal terreno roccioso, al limitare del gigantesco cratere che dava il nome a quella regione. Uno dei tanti ruderi della Seconda Civiltà che emergevano di quando in quando dalle profondità della Terra, silenziosi e spesso incomprensibili testimoni di un’epoca scomparsa da tempo, e cui Janet aveva tutta l’intenzione di dedicare la propria vita.

Lo sapeva, era sicura che dallo studio del passato potessero venire le risposte per comprendere meglio, e se possibile migliorare, il presente in cui viveva, e anche se quel primo tentativo si era concluso con un parziale buco nell’acqua era determinata a non perdersi d’animo, forte della convinzione che un giorno i suoi sforzi sarebbero stati premiati.

Quando i primi brividi di freddo cominciarono a percorrerle il corpo, capì che era davvero giunta l’ora di andare, e spronato il cavallo lo lanciò al galoppo in direzione del tramonto.





  
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