Ahm.
Andiamo con ordine.
BUON
COMPLEANNO, MAURETTA!
^__^
Allora,
cosa posso dire. Questa storia non c’entra niente col regalo che avresti
voluto e non ti piacerà e mi odierai tantissimo. Mi dispiace, sul serio.
Ma
è l’unica cosa che mi sia riuscito di fare, non so proprio che
altro dire. Se ti può in qualche modo consolare, per me questa storia
è molto importante, perché è l’inizio di Konoha, mattina così come l’ho
sempre pensato. Quindi, se non altro, ti sto regalando qualcosa a cui tengo
moltissimo.
Sì,
lo so, è una magra scusa. Ma tant’è.
Gli
auguri sono sinceri, ecco.
Per
tutti gli altri, appunto, questo è l’inizio cronologico della mia
raccolta su Sasuke e Naruto iniziata con Konoha,
mattina e continuata con un tot di altre storie più o meno
deprecabili. È una one-shot, è stata
scritta come tale, ma essendo piuttosto lunga e non molto leggera ho pensato
fosse più scorrevole se divisa in due. La seconda parte la
posterò in giornata, perché il 1 marzo è oggi e questa
storia è per oggi.
Buona
lettura, dunque.
suni
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L’impressione
è di nuovo la stessa di ieri. E del giorno prima, e di quello prima
ancora.
La
porta si apre su un viso cadaverico, su occhi neri e fissi che non sembrano
riconoscerlo e lo guardano inespressivi. Ma non è l’indifferenza
simulata di un tempo a rilucere in quelle pupille, perché non vi riluce
assolutamente nulla. Quello sguardo non esprime niente, né fastidio,
né sprezzo, né tantomeno contentezza. Naruto una volta,
all’inizio di tutto, pensava di essere indifferente agli occhi di Sasuke.
Ma è soltanto adesso che ha capito cosa significhi essere veramente
invisibile per qualcuno, e non c’entra il fatto che il genio ci veda male.
“Ti
ho portato delle provviste.”
La
mano bianca di Sasuke lascia la porta, il suo busto si volta e la sua schiena
esile si sposta verso l’interno della casa, senza una parola. Ma Naruto
non si aspetta né un grazie né una frase di cortesia, non
è per questo che si ostina, ogni due giorni, a portare un po’ di
spesa a Sasuke. Lo fa perché sa che altrimenti, forse, si lascerebbe
semplicemente morire di fame.
La
vecchia Tsunade è stata chiara, dopo il fatto del tetto: tendenze
preoccupanti. Sì, forse si sono sbagliati e hanno equivocato, sono
arrivati lì e in fin dei conti non è successo assolutamente
niente, eppure se ci ripensa lui lo vede ancora, Sasuke, con i piedi nudi mezzi
sporti oltre il limite del tetto dell’ospedale; il suo viso chinato a
osservare il terreno, almeno venticinque metri più in basso, e gli occhi
– dei, i suoi occhi in quell’istante, Naruto li ricorderà sempre
– così infinitamente neri e spenti e privi di ogni vita. Colorati
con’unica mano di inchiostro opaco, piatti e completamente disperati.
Nemmeno
Tsunade sapeva bene cosa dire, quel giorno. Tendenze preoccupanti.
“Ti
ho preso…beh, del ramen istantaneo.” E ridacchia scioccamente,
sollevando verso l’alto i sacchetti come se volesse mostrarglieli,
sebbene Sasuke sia già entrato in cucina e non lo possa vedere comunque.
“Poi c’è della verdura e ho trovato dell’ottimo riso
nero. Ti ho comprato delle bistecche. Con l’osso.”
Parla
a vuoto. Ma è meno insopportabile questo del silenzio.
Deglutisce
l’amarezza, decidendosi a raggiungere l’amico. Sasuke è
fermo accanto al tavolo, ha lo sguardo fisso sulla parete e una mano appoggiata
alla spalliera d’una sedia.
“Non
ci sono dolci,” aggiunge ancora Naruto, più tenace del solito.
“Finora non te li ho mai presi perché una volta non li mangiavi,
ma non so, magari in questi anni hai cambiato abitu…”
“Non
mi piacciono i dolci,” lo interrompe Sasuke, atono. “Lo sai.”
Lo so?, si chiede Naruto rabbiosamente. C’è qualcosa di te che so? Chi
sei, tu? Dov’è lui?
Inghiotte
la bile, annuisce brevemente.
“Infatti.
Ma ho pensato che magari…”
“Non
è cambiato. Questo non è cambiato.”
E
mentre annuisce di nuovo Naruto pensa che faccia bene a precisarlo: questo non
è cambiato, soltanto questo. Tutto il resto è così diverso
che lo fa sentire perso. Vorrebbe sapere cosa fare, vorrebbe essere ancora
capace di dire qualcosa capace di far perdere le staffe a Sasuke o di
esasperarlo, come quando erano ragazzini. Saper scatenare una reazione, una
qualunque. Ma non gli riesce più, forse sono tutti e due cambiati
troppo, forse c’è davvero un abisso troppo grande, adesso, che non
si può colmare più.
Forse
tutto quel che potrà fare è restare a guardare Sasuke che si
annega nei rimorsi, nel dolore e nel fallimento. Eppure nel momento stesso in
cui formula il pensiero sa che non lo farà, non accetterà mai di
essere un semplice testimone.
Però
è lo stesso tutto così difficile, e fa male.
I
giorni si susseguono lenti, uno dopo l’altro. Sono pesanti come tutte le
montagne del mondo, spigolosi e appuntiti come lame che scorrono sulla pelle e,
uno dopo l’altro, incidono lievi ferite destinate forse a non
rimarginarsi mai. Vengono accumulati nell’immobilità assoluta; non
succede mai niente di diverso da ieri, da uno ieri sempre uguale: Sasuke soffre
il suo dolore di sopravvissuto ancora una volta, ancora più a fondo, e
lui lo guarda. Lo guarda morire dentro poco a poco, determinato come sempre ad
arrivare fino all’estremo.
Forse,
pensa Naruto, è la storia più vecchia del mondo, una storia che
conosce bene: quando c’è da scegliere tra odio ed amore, tra
sofferenza e speranza, vita e morte, la scelta è sempre la peggiore.
Soprattutto
quando a compierla è Sasuke.
Ma
almeno questa volta gli piacerebbe saperlo fermare, solo che sembra ancora
più difficile di quanto potesse esserlo cercare di trattenerlo quando
è partito per Oto o qualunque altra volta; non
c’è più Orochimaru, non c’è più Itachi,
non c’è nemmeno più Madara.
C’è soltanto Sasuke, e Naruto comincia a sospettare che sia
proprio lui l’avversario più temibile. Un avversario che non
conosce più, la cui unica arma, letale, è una cieca
volontà di annullamento di sé.
Chissà
se da qualche parte, dentro quel corpo magro e infiacchito, la fiamma
abbacinante della forza morale di Sasuke è ancora accesa e chissà
come si fa a ravvivarla.
È
una domanda che fa paura, ma nessuna potrebbe mai essere più importante.
UNO DOPO L’ALTRO
Life is bigger,
it’s bigger than you.
And you are not me,
the lengths that I will go to,
the distance in your eyes.
Oh no, I’ve said too much.
I set it up.
That’s me in the corner,
that’s me in the spotlight
losing my religion,
trying to keep up with you.
And I don’t know if I can do it.
Oh no, I’ve said too much.
I haven’t
said enough.
___________________
Una
volta pensava che quando Sasuke fosse tornato a Konoha le cose sarebbero state
sistemate e avrebbe potuto dichiararsi finalmente per davvero a Sakura, e che
andasse come doveva andare. Tutto avrebbe ripreso un corso normale e la sua
vita, insieme a quelle dei suoi amici, sarebbe ritornata a scorrere dentro
argini confortevoli, rassicuranti. Adesso gli è difficile ricordarsi che
una cosa del genere possa mai aver rivestito tanta importanza o che fosse
possibile crederci, che cose così banali gli sembrassero importanti.
Certe
volte ha quasi paura di se stesso: quando arriva nella casa degli Uchiha e si
trova davanti Sasuke, infilato in una delle casacche con lo stemma che ormai lo
inghiottono per quant’è magro, l’unica cosa che vorrebbe
fare è toccarlo, semplicemente toccarlo per essere sicuro che ci sia
ancora, che sia ancora reale e vivo e presente, e stringerlo finché
tutto quell’orrore non sarà soffocato. Annusarlo, per verificare
se almeno l’odore che ha è ancora lo stesso che lui ricorda,
respirarlo perché il suo ossigeno restituisca a Sasuke un po’ di
vita.
Una
volta era facile opporsi a lui: Sasuke aveva un obiettivo, aveva progetti e
idee chiare, sebbene stupide e sbagliate. Adesso non c’è
più niente a cui fare fronte, soltanto una carcassa svuotata. Naruto
passa la maggior parte del suo tempo a lambiccarsi su cosa potrebbe fare per
fermarlo, per ritirarlo su, ed è angosciante: perché non trova
una soluzione. Muoversi intorno a Sasuke è come camminare su una
superficie di cristallo fragilissima, l’impressione è che basti un
movimento appena più brusco perché vada tutto in frantumi.
“Terra
chiama Naruto,” lo riscuote la voce annoiata di Shikamaru. “Se non
intendi ascoltarmi dillo, non ho voglia di sprecare fiato.”
Lui
scuote la testa, sorride con imbarazzo.
“Scusami.
Pensavo…ad altro,” borbotta con aria allegra. Spera.
Shikamaru
lo osserva, penetrante.
“Già,”
commenta unicamente.
Nel
silenzio successivo Naruto vede soltanto la discrezione di chi sa e non osa
chiedere. Allarga il proprio sorriso, sentendosi goffo più che mai.
“Stavi
dicendo?” chiede nervosamente.
Shikamaru
sbuffa, noncurante.
“Niente
di importante. Piuttosto,” inizia, con aria molto riluttante, “io
ti conosco, e non sei il tipo che si nasconde dietro alle paure. Hai sempre
affrontato le cose di petto, schiettamente. Forse dovresti farlo anche adesso.
Magari sarà ancora peggio, ma almeno smetterai di avere tutto il tempo
questa maledetta paranoia che non ti si addice. Magari ricomincerai a dormire,
Naruto.”
Lui
abbassa la testa, nascondendo il viso alla vista dell’amico. Anche
volendo non potrebbe rispondere, non con quel groppo in gola che gli ostruisce
persino il respiro. Quando Shikamaru gli batte la mano sulla spalla, prima di
allontanarsi, l’unica cosa che vorrebbe è rispondere è questa volta ho paura, perché non so
cosa devo fare.
L’insonnia
è iniziata quando si è reso conto che Sasuke non dormiva quasi.
È successo qualche settimana dopo il suo rilascio, improvvisamente e
senza indizi: o meglio, gli indizi li ha visti tutti insieme, d’un colpo.
Erano passati da Sasuke per vedere come stava, per controllare i progressi dei
suoi occhi. Sakura lo stava visitando, gli stava mostrando un tabellone con su
disegnati dei kanji per capire quanto progredisse, e
Naruto l’ha guardato e li ha scoperti: le borse nere sotto gli occhi
incavati, le mani tremanti, il pallore malsano e la tensione innaturale del
viso.
Ha
cominciato a non poter dormire più bene nemmeno lui. Si è reso
conto coscientemente soltanto così dell’effetto devastante,
assolutizzante che Sasuke ha sempre avuto su di lui. La consapevolezza
l’ha spaventato, non ne ha capito esattamente il significato ma
l’ha trovata inquietante, anormale.
Spesso
trascorre buona parte della notte sdraiato sul letto, chiedendosi cosa stia
facendo Sasuke in quello stesso momento. Ed è terrificante pensarlo nel
buio notturno di quella casa che recentemente Naruto ha iniziato a vedere in un
altro modo: una casa che ha pareti cupe, sporche di sangue. Ce n’è
dappertutto, gronda da ogni anfratto e impregna il suolo, gli abiti, il
respiro. Tutto quel quartiere puzza di morte e risuona di vecchie grida di
dolore, ed è lì che si è rinchiuso Sasuke, in una prigione
colma di fantasmi feriti a morte.
O
forse sono follie e sta diventando pazzo anche lui. Forse la zona buia che
c’è dentro Sasuke l’ha contagiato e gli ha tolto il senso
della realtà. Una sera della settimana scorsa, andando via dal quartiere
degli Uchiha, gli è sembrato di vedere un’ombra, una sagoma che si
accasciava a terra. Un rivolo di sudore gelido gli è sceso lungo la
schiena e ha dovuto esercitare uno sforzo di volontà enorme su se stesso
per costringersi ad avvicinarsi e vedere che in quell’angolo della strada
non c’era assolutamente nessuno, tantomeno un cadavere fresco.
Poi
ha parlato in privata sede con Sai del fatto di avere problemi a dormire e
l’ANBU, casualmente, gli ha accennato di aver letto che può
capitare di avere leggere allucinazioni quando non si dorme a sufficienza per
lunghi periodi. Non sapeva se fosse una buona o una cattiva notizia ma ne
è stato comunque sollevato.
Ma
poi ci ha pensato su e un nuovo tarlo l’ha agghiacciato: Sasuke dorme
poco, a sua volta. Cosa vede, lui, quando si volta di scatto? Cosa scorge negli
angoli in penombra di quella casa maledetta, che urla lo sterminio ingiusto di
una genia intera, che piange l’amore sacrificale di un fratello?
Le
domande si accavallano e gli tolgono il sonno. Ha pensato di andare a trovarlo
anche in piena notte – tanto se sono svegli entrambi è come se
fosse giorno – ma si è rese conto che Sasuke non l’avrebbe
accettato. Né saprebbe cosa dire, come spiegare le irrazionalità
dei suoi timori. Non ha più la familiarità di un tempo, il gioco
del migliore amico non funziona come dovrebbe.
Sul
più bello, quando occorrerebbe più che mai non cedere, Naruto si
è scoperto vigliacco. Impaurito.
Impaurito
dalla prospettiva di perdere Sasuke un’altra volta, di vederlo andare via
come ha già fatto, scivolando tra le ombre senza un parola, o di vederlo
cadere, morire. Di non saper essere la mano che si tende a salvare, quando
è invece tutto quel che vorrebbe.
Certe
volte sta tranquillamente mangiando, e tutt’a un tratto si ferma col
braccio a mezz’aria, la bocca già aperta per afferrare il boccone,
e può soltanto sgranare gli occhi mentre la sua mente si domanda da sola
se Sasuke abbia mangiato qualcosa. Se abbia preso almeno qualche boccone del
suo riso, di tagliolini, se quelle polpette della mamma di Sakura che gli ha
portato le abbia, se non altro, assaggiate.
Sa
che consuma soltanto una parte delle provviste che gli fa avere. Per questo
gliele porta almeno già pronte: bistecche, primi, verdure cotte.
È pronto a giurare che Sasuke mandi giù tutto così, freddo
e raddensato senza riscaldarlo, ma se non altro è qualcosa.
Ogni
tanto guarda nella spazzatura per essere sicuro che non butti via tutto; ma
forse getta le cose da un’altra parte. Forse nasconde sacchi di cibo
ormai avariato alla sua vista, perché lui non si renda conto. Forse,
forse, forse. Decine di tarli. Forse non mangia. Forse non dorme mai. Forse se
ne andrà di nuovo di nascosto, forse si butterà davvero da un
tetto.
È
come impazzire.
Sono
passati quattro mesi dal rilascio e in quattro mesi l’idea di Naruto che
le cose si sarebbero sistemate si è schiantata contro la realtà. Sakura
sembra un fiorellino appassito, Sasuke sta morendo senza fretta e persino
Kakashi dà l’idea di non avere la più pallida idea di quale
mossa dovrebbe compiere in qualità di sensei o quello che è. Ci
va anche lui, da Sasuke, ma da quel che ha capito Naruto non si parlano quasi.
“Il
sensei mi ha detto,” gli ha sussurrato una volta Sakura esitante, dietro
la ceramica di una tazza di tè caldo tra un giro in corsia e
un’operazione chirurgica, “che l’unica cosa sensata che gli
ha cavato è ti chiedo scusa,
Kakashi.”
A
Naruto è sembrato enorme. Troppo enorme per Sasuke, con l’orgoglio
che si ritrova: come se nemmeno quello importasse, se tutto fosse ormai
perduto.
Il
giorno dopo c’è stato l’episodio del tetto.
Sasuke
doveva essere nella sua camera provvisoria ad aspettare di fare l’esame riflessologico, dopo le altre visite di routine. Lui lo
aveva accompagnato, stava aspettando nel corridoio. In seguito non ha saputo
capire perché, ma d’un tratto ha provato l’impellenza
improvvisa di sapere a che punto fosse Sasuke con le sue analisi, ma
quand’è entrato nella stanza lui non c’era. Ha chiamato Sakura,
è arrivata anche Ino, si sono dispersi nel
corridoio e solo dopo qualche slalom tra i pazienti gli è venuto quel
pensiero.
“Il
tetto!” ha urlato.
Sasuke
non si era nemmeno del tutto rivestito. Aveva una casacca chiara, slacciata, i
cui lembi svolazzavano leggeri , ed era in equilibrio sui soli talloni. Le
punte dei suoi piedi sporgevano nel vuoto.
Naruto
è rimasto pietrificato sulla porta affacciata all’esterno e ha
sentito la mano di Sakura che si aggrappava alla sua spalla con tutte le forze,
come se lasciandolo sarebbe precipitata. La ragazza ha lanciato una specie di
grido, chiamando Sasuke.
Lui
aveva le braccia leggermente allontanante dal busto, quasi fosse stato sul
punto di spiccare il volo, e sentendola non ha reagito. Era di profilo e sul
suo viso, negli occhi, si intravedeva quello sguardo febbrile eppure morto.
“S-sas’ke…” ha iniziato Naruto con un
risolino quasi isterico. “Ti stavamo cercando, s-scendi.”
Il
genio ha sollevato leggermente la testa, con espressione del tutto abulica.
“Ti
ricordi,” ha detto, piano, senza intonazione, pronunciando forse la prima
frase spontanea da giorni. “Eravamo qui. Io il chidori,
tu il rasengan.”
Naruto
ha deglutito pesantemente. Si ricordava, certo: come se fosse appena successo,
era per quello che gli era venuto in mente che Sasuke potesse essere di nuovo
lì. Ma non credeva se lo ricordasse anche lui, o forse non osava
più sperarlo.
“Sì,
mi ricordo,” ha confermato, riacquistando sicurezza. “Dai, vieni
giù, dobbiamo finire i tuoi esami.”
Sasuke
è rimasto immobile per qualche secondo, con perfetta impenetrabilità.
Poi, lentamente, ha portato una gamba indietro – Naruto si è
sentito sul punto di urlare per l’ansia, durante tutti i secondi in cui
si è articolato quel movimento – e infine ha spostato anche il
peso, ritornando a poggiarsi stabilmente sul pavimento.
“Cosa
faresti…?” ha mormorato, quasi tra sé.
Naruto
ha saputo che parlava con lui. E, raggelato, ha creduto anche di comprendere
perfettamente la domanda.
Cosa farei? Così su due piedi
mi butterei giù anch’io, credo.
Il
giorno del processo Sasuke voleva morire. Lo aveva anche detto a Kakashi senza
troppi giri di parole, durante gli interrogatori preliminari. A Naruto è
tornato in mente dopo la faccenda del tetto e non riesce più a smettere
di pensarci.
Ha
continuato a negare fino all’ultimo la realtà su quella notte
finale di battaglia, a dire che non ha fermato lui Kyuubi, che non si è
opposto a Madara, che voleva distruggere Konoha e
sterminare tutti i suoi abitanti, dal primo all’ultimo. Sapeva
perfettamente che almeno lui, Naruto, non gli avrebbe creduto, perché
lui sa quali sono gli occhi che hanno trattenuto la volpe, ma Sasuke non gli
dava retta. Ha continuato ad affermare che li odiava, dal primo
all’ultimo, che li voleva vedere tutti morti. Lo ha ripetuto a Tsunade,
al Consiglio, persino al sensei.
Naruto
si ricorda di aver origliato una parte della loro prima conversazione,
nell’ospedale, sotto la sorveglianza di un chunin.
“…Niente
da dire. Ho agito in piena coscienza e con totale convinzione, dal momento in
cui sono partito per Oto a quello in cui ho mosso su
Konoha per distruggerla. Non ti devo nessuna spiegazione,” diceva Sasuke,
apatico e indifferente.
“E’ tutto?”
La
voce pacata di Kakashi, atona e tranquilla.
“Konoha
ha distrutto il mio clan. Siete tutti colpevoli. Tutti.”
Quella
inespressiva e fredda di Sasuke, che scivolava grave sui muri come una stoffa
lanciandosi in affermazioni incomprensibili.
“Non
ha senso. E in questo modo stai firmando la tua condanna, Sas’ke,” ha
risposto placido il sensei, senza particolare accoramento.
“Mi
è del tutto indifferente.”
Kakashi
ha sbuffato, a quel punto.
“Capisco.”
Un
rumore di sedia smossa sul pavimento, poi i passi ritmati di Kakashi che
tornavano verso la porta per interrompersi a mezza via.
“Quel
che non capisco invece è cosa tu creda di dimostrare, agendo
così,” ha osservato il ninja copia cupo, quasi solenne.
“Sappiamo, anche se neghi, che hai trattenuto Kyu…”
“Non
ho niente da dimostrare. Non c’è niente da capire. Ho già
detto tutto quel che avevo da dire.”
“Come
vuoi. Se le cose stanno così non spenderò una parola in tua
difesa, è bene che tu lo sappia subito.”
“Non
ti ho chiesto di farlo.”
“Non
è una cosa da chiedere. È una cosa che farei se solo tu me ne
fornissi l’occasione, Sas’ke.”
Naruto
in quel momento si è reso conto che c’era qualcosa di molto
strano, che incolpare l’intera Konoha delle azioni di Itachi non aveva
assolutamente il minimo senso.
A
meno che non ci fosse stato qualche particolare di cui nessuno era a
conoscenza.
La
verità l’ha scoperta così, mezza per caso. Ha strappato a
Sasuke una confessione quasi con la violenza, lo ha tenuto inchiodato al letto
in cui era ricoverato, schiacciandogli le spalle contro il materasso a spintoni
e giurando che se lui non avesse parlato avrebbe detto all’Hokage di
Kyuubi – lo avrebbe fatto in ogni caso, ma questo Sasuke non lo poteva
sapere - e se anche il genio non avesse confermato, Tsunade non avrebbe potuto
non tenere in considerazione quanto sostenuto ufficialmente dal jinchuuriki che
ospita il bijuu. Perché Naruto ha sempre saputo che è stato
Sasuke a fermarlo, con lo sharingan, e lo sa Sakura e lo sa il sensei: è
il motivo per cui ha quasi perso la vista e per cui sono ancora tutti vivi. Per
quanto Sasuke abbia da subito negato fermamente, Naruto non gli ha creduto.
Per
sapere, in ogni modo, ha comunque dovuto giurare il silenzio assoluto.
La
storia, Sasuke gliel’ha raccontata senza la minima espressività.
La sua voce rimaneva monocorde, piana e distaccata mentre spiegava di
un’infamia nazionale, di un ragazzo di tredici anni costretto a
sterminare la sua famiglia, dell’amore assoluto di un fratello per
l’altro e di un fratricidio che gli pesa sulle spalle con troppo rimorso.
Sembrava che parlasse di qualcosa che non lo riguardava neanche lontanamente,
di un fatto privo del minimo interesse. Raccontava del Falco, di Madara e dei suoi maneggi come se non lo avessero visto
come arma inconsapevole, con lo sguardo fisso davanti a sé.
E
alla fine, quando ha smesso di parlare e il silenzio ha risuonato nelle
orecchie di Naruto come un urlo di dolore, ha guardato lui per brevissimo
istante e ha parlato con profonda passività.
“Sì,
Kyuubi l’ho fermato io. È che alla fine ho capito che lui non
avrebbe mai voluto vedere Konoha distrutta.”
Kyuubi l’ho fermato io.
I
suoi occhi restavano aggrottati tutto il tempo nello sforzo di vedere. Naruto
ha pensato che doveva fare qualcosa per forza. Sasuke forse voleva davvero
morire, ma lui non gliel’avrebbe permesso.
Quando
Naruto si è seduto al banco dei testimoni chiedendo un permesso
straordinario al momento dell’emissione della sentenza, davanti a tutta
Konoha, e ha pronunciato il nome di Danzo, è stata la prima volta da
quand’è ritornato che gli occhi di Sasuke si sono accesi. Di
sorpresa e indignazione, ma erano vivi e illuminati, anche se minacciavano
morte.
Naruto
aveva giurato il silenzio, l’aveva promesso sulla loro amicizia
assicurando che mai, per nessuna ragione, avrebbe detto una parola ad anima
viva. E invece lì, seduto davanti all’intero tribunale cittadino,
ha ingoiato i suoi principi, ha dolorosamente accantonato la lealtà e ha
raccontato, a testa alta e guardando Tsunade dritta in faccia, la vera storia
del clan Uchiha usando le stesse, esatte parole con cui Sasuke pochi giorni
prima l’aveva narrata a lui. Man mano che l’eroe di Konoha parlava
un brusio si diffondeva tra i concittadini, mentre Sasuke diventava sempre
più pallido e le sue labbra si serravano con rabbia tanto da sparire.
Naruto l’ha visto e si incoerentemente si è sentito bene, ha
percepito ad ogni istante di più la sensazione indubbia di stare facendo
la cosa giusta. Era quasi galvanizzante.
Poi
qualcuno ha urlato alla menzogna, la situazione si è surriscaldata e
parecchie persone hanno iniziato ad alzarsi e parlare tutte insieme: a quel
punto Kakashi si è messo in mezzo. Quello che ha detto ha sprofondato la
platea nel silenzio assoluto.
“Io
lo sapevo. Sarutobi sama me ne aveva parlato,
facendomi garantire il silenzio.”
Nemmeno
un suono, per così tanti secondi che lo si sarebbe detto un blocco
temporale.
“Cos..?”
ha sfiatato Naruto, esterrefatto. Sasuke, laggiù al banco
dell’imputato, sembrava così bianco da essere morto da giorni.
“Uchiha
Sas’ke nutre un rancore marcato verso Konoha, e a ragione. Eppure pochi
giorni fa, senza il suo intervento, forse saremmo morti tutti. I suoi occhi
sono la nostra garanzia su Kyuubi,” ha continuato Kakashi con sicurezza.
Stava
esagerando e lo sapeva sicuramente anche lui. Ma ha funzionato.
Sasuke
ha ottenuto la grazia e la riammissione a Konoha, previa emissione di un
mandato di sorveglianza a durata da definirsi. Naruto l’ha visto uscire
dalla sala tra due chunin, ancora debole, fiacco e disorientato, con le
palpebre socchiuse a proteggere gli occhi feriti dalla luce del sole. Kakashi
l’ha avvicinato sgusciando tra la folla e Naruto ha pensato, guardandoli,
che Sasuke l’avrebbe assalito su due piedi; invece il sensei si è
chinato in fretta in avanti e gli ha sussurrato qualcosa in un orecchio: il
genio è rimasto immobile, con gli occhi leggermente sgranati. Poi ha
avuto un cedimento quasi impercettibile, che lui però ha registrato: si
è piegato delicatamente sulle ginocchia e ha appoggiato la testa contro
la spalla del sensei per una frazione di secondo, prima di ritornare rigido e
chiuso nel suo impenetrabile guscio di dolore.
Quando
Naruto l’ha interrogato in merito, ore dopo, Kakashi ha sorriso.
“Ho
mentito,” ha mormorato candidamente. “Non sapevo assolutamente
nulla e Sarutobi sama non me ne ha mai parlato, altrimenti
non me ne sarei certo rimasto con le mani in mano davanti a un massacro
organizzato a tavolino. Ma chi metterebbe in dubbio la parola del numero uno di
Konoha?”
E
Naruto ha saputo che non avrebbero mai potuto avere un sensei migliore.
Da
allora, Sasuke ha continuato a non vivere. Naruto era convinto che fosse
furioso, che l’avrebbe preso a pugni per aver mancato alla parola data
tradendo il suo segreto, svelando l’onta familiare che Itachi aveva tanto
voluto celare. Una volta, per una cosa del genere, Sasuke sarebbe stato
tranquillamente capace di ammazzarlo in modi orrendi, o almeno di provarci
seriamente. Naruto ci sperava quasi, perché sarebbe stata un’azione
consapevole e volontaria, un gesto concreto nei confronti di un altro esser
umano. Invece il genio si è limitato ad ignorare la sua presenza,
fingendo di non vederlo, di non sentire la sua voce né avvertire i suoi
strattoni. Era come avere davanti un muro di gomma che lo rimbalzava indietro e
Naruto non si è mai sentito tanto frustrato.
Poi,
un pomeriggio, lui è arrivato e Sasuke gli è venuto ad aprire la
porta, anticipando il chunin di guardia che lo riceveva sempre mentre il suo
migliore amico fingeva che lui non esistesse.
“E’
vero che sono egoista,” ha annunciato, noncurante, “ma tu lo sei di
più, Naruto. Sei la persona più egoista che ho mai conosciuto.”
Da
quel momento ha preso a comportarsi come se lui fosse una persona qualunque,
che non ha un significato particolare. A quanto pare nemmeno arrabbiarsi gli
interessa più.
Naruto
ci ha messo un po’ a capire quella frase e quando l’ha fatto non si
è sentito del tutto in diritto di dargli torto. Per tenersi Sasuke
vicino sarebbe disposto a calpestare chiunque, Sasuke compreso. Ma non si
è nemmeno sentito colpevole, perché il genio non merita di morire
né di essere bollato come nukekin e scacciato
dalla nazione. Forse l’ha aiutato anche per se stesso, ma di sicuro
l’ha tradito per salvarlo.
Ha
pensato che un giorno Sasuke lo ringrazierà, magari non a parole, magari
solo dentro di sé, ma lo farà. Adesso, però, comincia a
pensare che se quel giorno non arriva in fretta diventeranno pazzi entrambi.
Sempre
che non lo siano già.
Sakura
è sempre più sfinita. Quando la guarda Naruto si chiede se gli
altri vedano così anche lui, completamente infiacchito e stremato, come
se si reggesse in piedi per grazia ricevuta.
Sakura
cerca una cura. Giorno e notte, in ogni momento libero dai suoi impegni
quotidiani, Sakura cerca un modo per restituire almeno una parte della vista
che ha perso a Sasuke. Non tornerà mai interamente come prima ma
è già un po’ migliorato, abbastanza da riuscire a muoversi quasi
normalmente in casa propria – tanto non ha manifestato il minimo
desiderio di uscirne.
Lui
ogni tanto le tiene compagnia mentre studia e si arrabatta tra libri medici,
provette, appunti. Sta lì con lei e la guarda lavorare alacremente,
offrendosi di aiutarla per le piccole cose di fatica. Sakura ogni volta gli
sorride brevemente, con riconoscenza, e lui trova che sia un bel sorriso
pulito, intimo. Gli piace quel sorriso e gli piace lei, anche se è
così smunta e nervosa. L’ha sempre trovata bella, anche se col
passare del tempo, specialmente in queste settimane, è diventato un
pensiero sempre più distratto, marginale. C’è Sasuke
distrutto, adesso, che occupa tutta la sua mente.
“Naruto.”
La
voce di Sakura è ansiosa, fremente. Naruto solleva lo sguardo su di lei,
smettendo di far ciondolare le gambe dalla sedia su cui è accoccolato.
“Che
c’è?”
Lei
sta guardando i fogli che stringe in mano con aria assorta, continuando a far
scattare le pupille dall’uno all’altro. Si blocca, prendendo un lungo
respiro.
“Credo
di esserci,” annuncia inebetita.
La
sedia precipita rumorosamente a terra mentre Naruto le balza accanto, ansioso.
“Che
cosa?”
Sakura
prende un respiro lungo, annuisce.
“So
come va effettuata l’operazione. Può vedere, Naruto, Sas’ke
può tornare a vedere quasi normalmente.” E mentre lo dice le si
gonfiano gli occhi di lacrime e anche Naruto rimane lì imbambolato, col
sollievo che sale nella schiena e alleggerisce le sue spalle.
“Mi
servirà qualche giorno per mettere a punto le fasi dell’intervento,
ma…” inizia lei e s’interrompe, si stringe una mano sulla
bocca e strizza le palpebre. “Dei, grazie.”
“Sei grande, Sakura,” mormora Naruto estasiato. “Sei
grandiosa,” aggiunge, e vorrebbe urlare ma stranamente non ne ha il
fiato. Ha improvvisamente bisogno di aria, sole, luce. Ridacchia allontanandosi
di un paio di passi, scuote la testa con nuovo brio.
“Glielo
vado a dire. Sarà contento, vero?” commenta radioso. Ma
c’è una nota di incertezza nella sua domanda. Sarà
contento, vero?”
Ha
così infinitamente bisogno che la risposta sia sì, ma lei
annuisce senza troppa convinzione, ha negli occhi quello stesso timore.
“Certo,”
conferma comunque, risoluta. “Vai, su.”
Naruto
quasi corre verso il quartiere del clan. Scatta in direzione di Sasuke,
già immagina la porta che si apre, la sua sagoma ritagliata nello spazio
oltre l’uscio, un sorriso nel sentir dire che i suoi occhi funzionano
ancora. È così che arriva a casa Uchiha, fremendo.
All’ultimo,
invece di bussare, pensa di passare dal cortile, scavalcando il muro. Forse la
porta del giardino interno è aperta e lui può entrare da
lì, senza annunciarsi, e fare un’improvvisata a Sasuke. Forse si
arrabbierà per quell’intrusione e urlerà e lo
butterà fuori, ma almeno sarebbe una novità e Naruto pensa che
nemmeno gli dispiacerebbe, vista la situazione. Forse invece Sasuke non reagirà,
resterà distante e silenzioso come sempre e lui ci rimarrà male,
ingoierà controvoglia un’altra amara delusione.
Il
cortile di casa Uchiha è incolto, abbandonato a se stesso. Si vede
ancora che una volta era curato, fiorito ed elegante, ma da troppo tempo
nessuno se ne occupa. Naruto lo attraversa e trova la soglia soltanto
accostata, esita per un unico secondo prima di entrare con cautela, silenzioso,
e affacciarsi circospetto in casa.
Di
Sasuke a vista non c’è traccia, tutto è immobile e
silenzioso. Naruto azzarda qualche passo all’interno, nel corridoio
illuminato dalle grandi finestre a vetrata. E vede lo stuoino ben disteso a
terra, effigiato col stemma del clan. Una brocca d’acqua, un kimono
disteso lì accanto, sontuoso, un libro aperto. Si guarda ancora intorno
ma Sasuke non c’è, piega il busto e si china ad esaminare la
copertina: è un libro strano, sembra forse di preghiere, o qualcosa del
genere. Cosa se ne possa fare Sasuke, che per ora nemmeno può leggere,
gli sembra un mistero.
I
passi risuonano leggeri d’improvviso, Naruto fa giusto in tempo a
raddrizzare la schiena e Sasuke compare dalla porta della cucina, è a
torso nudo, ha in mano la custodia con la katana. Naruto la guarda per un
istante, poi torna repentinamente ad osservare lo stuoino e sgrana gli occhi
mentre nella sua mente risuona un’unica, raccapricciante parola:
hara-kiri.
Suicidio
rituale.
Sasuke
è rimasto fermo sulla soglia, lo sta guardando con leggera sorpresa
sotto il velo del distacco angosciato. Poi sposta lentamente gli occhi verso la
porta del giardino e indietro sul suo viso, realizzando evidentemente da dove
è arrivato. Non fa commenti, non cambia neanche espressione.
Naruto
chiude gli occhi per un secondo e prende un respiro lungo, ma gli sembra che
l’aria non entri nei suoi polmoni. Si stropiccia il viso per un istante
con la mano, perché non ci può credere e perché non ha mai
avuto tanta voglia di piangere, che si ricordi, nemmeno dopo il combattimento
alla cascata.
Sasuke
non è più sotto sorveglianza da tre giorni. Per festeggiare ha
organizzato il proprio suicidio.
“Posa
quella katana,” intima lui sordo, senza alzare lo sguardo.
“N…”
“Posa
quella dannata katana o te la spacco sulla testa, teme!” ruggisce Naruto
con furia, senza nemmeno lasciarlo rispondere e preso da un risentimento ed una
collera impetuosi. “Posala!” ripete in un urlo, vedendo Sasuke che
si ritrae leggermente stringendo l’arma contro di sé.
Gli
si getta contro con violenza, la colluttazione dura solo qualche secondo:
Sasuke è pelle e ossa, non ha più carne, non ha più
muscoli. È come togliere un kunai a un bambino
dell’accademia, lo stesso grado di difficoltà. Gli strappa la
katana di mano e la getta via brutalmente, d’impulso, sente il rumore di
qualcosa che cade e si frantuma ma non ci fa nemmeno caso.
“Cosa
cavolo credi di fare, eh?” ringhia furioso, sbattendo il genio contro il
muro. Sasuke emette appena un respiro un po’ più rumoroso, rimane
fermo con la schiena aderente alla parete e gli occhi fissi, un po’
sgranati e quasi confusi.
Naruto
tira un pugno con forza al muro, per non darglielo in faccia e spaccargli il
naso. Appoggia la testa alla parete e una mano dall’altro lato del capo
di Sasuke.
“Cos’è,
ti vuoi ammazzare?” rumina, inviperito.
“Sì.”
Pensa
che questo se lo ricorderà per un pezzo: lui che chiede se vuole
uccidersi e Sasuke che risponde subito sì, con quel tono apatico e
inespressivo. Roba da ridere incontrollatamente per giorni, se non fosse reale.
Piega le labbra e strizza le palpebre, furiosamente dolente, perché no,
non può mica ammazzarsi, Sasuke. La mano che gli ha poggiato accanto
alla testa scende, va intorno alla spalla del genio e la stringe. Naruto lo
abbraccia, anche se Sasuke rimane rigido e ritroso, indifferente, lo abbraccia
perché è l’unica cosa che gli viene in mente di fare e
perché ha paura di perderlo definitivamente e non lo può
accettare.
Lo
abbraccia, e lo stringe ancora più forte. E Sasuke dopo un po’
respira leggermente, il suo corpo si scioglie e cede un po’ sulle
ginocchia, la sua fronte si va a depositare sulla spalla di Naruto. Rimangono
immobili in silenzio, sembra che nemmeno i suoni di Konoha penetrino più
dalla portafinestra rimasta socchiusa. È la prima volta che abbraccia
Sasuke ed è una sensazione curiosa, piacevole anche se è
così magro e spigoloso. Incoerentemente, Naruto si chiede come sarebbe
abbracciare Sakura, che tipo di emozione dovrebbe provare. Gli viene in mente
che probabilmente non sarebbe assoluta e rassicurante come stringere questo
Sasuke che pure è il relitto di se stesso.
Poi
Sasuke sta piangendo.
Naruto
all’inizio non riesce a capire come mai ha l’impressione che l’altro
tremi, finché non sente il suono soffocato e quindi la maglietta umida.
S’irrigidisce per qualche secondo e intanto la mano di Sasuke si stringe
sulla sua maglia, all’altezza del suo fianco, e il suo corpo comincia
veramente a sussultare. Naruto lo tiene su, come può, serrandolo e
mordendosi le labbra. La cosa peggiore, forse, non è nemmeno che Sasuke
stia piangendo ma che lo stia facendo davanti a lui, perché una volta
sarebbe morto piuttosto che sottoporsi a un’umiliazione del genere.
Sasuke è sempre stato immensamente orgoglioso, è uno dei suoi
principali tratti distintivi, e allora c’è da chiedersi cosa sia
rimasto intero di lui e se abbia senso sperare di rimettere insieme i cocci.
Gli
affonda il viso contro il collo, inspirando.
“Dimmi
cosa fare,” sussurra con foga. “Dimmi solo cosa posso fare per te,
Sas’ke.”
Sasuke
non risponde. Piange.
“Non
fa niente,” continua Naruto con decisione. “Devi
dormire, teme, tu devi dormire. Pensi cose strane perché sei stravolto,”
aggiunge febbrilmente. Gli passa istintivamente la mano tra i capelli, sulla
nuca, mentre quei singhiozzi di debolezza si calmano, trattenuti da un ultimo
afflato di fierezza. L’immobilità di Sasuke lo sprona, afferra il
suo avambraccio e lo trascina verso l’interno di quella casa che non
conosce bene, si dirige verso le scale e Sasuke lo segue docilmente, come un
bimbo piccolo.
Arrivato
in cima Naruto si guarda intorno un po’ disorientato, avanza a casaccio
verso una porta e fa per aprirla.
“Mh,” è il suono strozzato emesso da Sasuke,
angosciante.
La
mano di Naruto si blocca di scatto, mentre si ritrae tanto da urtare
l’amico dietro di sé. E’ la porta sbagliata, quella non
è la stanza del fratello giusto. La oltrepassa rapidamente, indispettito
per la gaffe commessa, entra nella camera successiva e riconosce
l’impronta di Sasuke, gli oggetti sobri e ordinati, i colori un po’
cupi, il blu, la foto del team sette.
Spinge
il genio verso il letto senza tanti complimenti, la resistenza di Sasuke
è minima.
“Devi
dormire,” gli ripete deciso, e basta a farlo muovere meccanicamente, alla
minima pressione sulle sue spalle Sasuke si abbassa, si siede sul materasso, si
lascia infilare sotto la coperta come un pupazzo. Sasuke Uchiha, quello che fa
sempre tutto di testa sua: rimane lì sdraiato con lo sguardo nel vuoto,
la testa sul cuscino, le mani rigide.
Naruto
abbassa gli scuri alla finestra, si siede sul bordo del letto gli accarezza di
nuovo la testa impacciato, senza sapere cosa dire o come comportarsi. Sasuke
dovrebbe fare qualcosa di normale, mandarlo via o indignarsi o dargli del
seccatore invadente, allora saprebbe come reagire. Così, invece,
è tremendamente complicato.
“Dormi,
teme,” azzarda, senza smettere di passare le dita tra quei sottilissimi
fili neri. Ha sempre pensato che i capelli di Sasuke abbiano qualcosa di
anormale, che siano troppo morbidi e perfetti; adesso perfino quelli sembrano
smorti, ma restano soffici.
Sasuke
non reagisce, fa soltanto uno sbuffo un po’ stanco, un mezzo sospiro. Non
si sottrae alla sua mano e non sembra nemmeno insofferente, così Naruto
continua a passargliela sulla testa con un po’ più convinzione, la
fa scivolare sull’attaccatura dei capelli, sul collo, sulle spalle.
È strano e non ha senso, lo fa sentire stupido e sbagliato, in qualche
maniera, ma magari servirà a calmarlo e non riesce veramente a smettere.
Guarda Sasuke, che ha gli occhi un po’ meno allucinati, e pensa che non
potrebbe proprio farne a meno, in nessun modo. Lo osserva respirare sempre più
lentamente, assorto, studia tutto il suo profilo. Sì, è bello,
Sasuke, anche adesso ridotto in questo stato. Molto più bello di lui e
di qualunque altro ragazzo che conosca, con quegli occhi intensi e quel viso da
principe, quel naso all’aria. Ma la cosa primaria è che ciascuno
di quei tratti gli è caro in modo struggente, è inciso sulle sue
retine e nel suo stesso respiro. E’ l’insieme di Sasuke ad essere
prezioso come l’ossigeno.
Rimane
lì a far vagare la mano, in silenzio, senza quasi pensare e pervaso da
una tensione difficile da analizzare, troppo stratificata, fatta di paure, di
domande, di stupore e di inquietudine. Continua a non capire bene perché
lo accarezzi e perché la cosa sembri calmarli entrambi, finché le
palpebre di Sasuke cominciano ad abbassarsi. Le dita di Naruto corrono verso il
suo petto, là dove si sente leggero il battito del suo cuore.
“Ho
bisogno che non si fermi. Mai, ne ho bisogno, capisci?” mormora grave.
Sasuke
rimane immobile, con gli occhi socchiusi. Lui torna a scompigliargli
delicatamente i capelli, sempre più lentamente, finché quegli
occhi neri non si chiudono e il respiro di Sasuke si fa profondo, regolare.
Allora
Naruto si sente infinitamente stanco, da non riuscire a tenere la testa
sollevata. Si alza in piedi, scende le scale, torna nel corridoio e raccoglie
lo stuoino da terra, piegandolo per posarlo accanto alla porta. Sposta la
brocca sul tavolo della cucina, fa per uscire e vede per terra la katana. Esita
solo per un secondo, si china e la raccoglie, indossandola.
Getta
un ultimo sguardo verso le scale, prima di uscire e tornare a casa.
Dell’operazione gli parlerà domani, o magari glielo dirà
Sakura stessa, le farà piacere.
Quando arriva nel suo alloggio si lascia cadere sul letto, di schianto, senza nemmeno badare alla fame. Si addormenta vestito, con la katana di Sasuke ancora a tracolla.