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Autore: ChelseaH    25/11/2015    3 recensioni
Louis si sveglia circondato dal caos cittadino, solo, dolorante e spaventato.
Harry lo trova e decide di prendersi cura di lui.
Louis sente di conoscere Harry da sempre.
Harry nel profondo sa che è così.
[Harry/Louis]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Hey Angel
(Per Michela 
♥♥♥)

Sentiva freddo, molto freddo, e un dolore lancinante partire dal collo fino ad arrivare alla base della schiena. Intorno a lui il rumore era assordante, e le tempie gli pulsavano in maniera così violenta che faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Un passante lo urtò con violenza e proseguì per la sua strada senza nemmeno girarsi, e lui perse l’equilibrio ruzzolando a terra. Nessuno si fermò ad aiutarlo, nessuno sembrava rendersi conto che il dolore alla schiena e quello alle tempie lo stavano uccidendo. Non gli rimase altro che trascinarsi carponi fino a un muretto che separava il marciapiede da qualcos’altro, cosa non avrebbe saputo dirlo. Era buio, doveva essere sera, e la gente camminava frenetica in ogni direzione davanti a lui incrementando il senso di vertigine che già provava. Non aveva idea di dove si trovasse, non aveva idea di come fosse finito in quel posto e la testa continuava a martellargli, impedendogli perfino di ricordare da dove venisse o addirittura chi fosse.

Louis.

Quel nome gli risuonò in testa, ma non avrebbe saputo dire se fosse stato il suo o quello di qualcuno a lui molto caro. Perché aveva qualcuno di caro al mondo, vero? Un amico, un fratello...? Un passante inciampò nella sua gamba stesa e si mise a imprecare contro di lui, costringendolo a portarsi le ginocchia al petto, cosa che gli causò un dolore ancora più forte alla schiena. Chiuse gli occhi cercando di escludere i rumori ma non ci riuscì. Il vociare della gente, i clacson delle macchine e i loro motori, la musica di un artista di strada, tutto si affastellava rendendogli impossibile concentrarsi su nulla di diverso dal dolore che provava.

Ma non era solo quello, si sentiva anche stanco, sfinito, e aveva la gola secca, come se avesse passato giorni a camminare nel deserto razionando la poca acqua a sua disposizione, salvo per il fatto che lì faceva dannatamente freddo e lui sentiva ogni fibra del suo corpo tremare a tal punto che iniziò a chiedersi se avesse mai sperimentato il calore nella sua vita.

Rimase appoggiato a quel muretto per un lasso di tempo che gli sembrò infinito, per quel che ne sapeva potevano essere passate intere settimane, quando a un tratto sentì cigolare un cancellino di fianco a lui.

“Hey, stai bene? Cosa ti è successo?” Una mano gli si posò sulla spalla e l’unica cosa che i suoi occhi riuscirono a mettere a fuoco furono una massa di capelli ricci che ricadevano su di un volto pallido. E poi quella voce, quella voce preoccupata e gentile che gli stava chiedendo se stesse bene. “Forse dovrei chiamare un’ambulanza,” proseguì la voce.

Gli afferrò la mano d’istinto, bloccandolo prima che riuscisse a tirare fuori dalla tasca del cappotto il cellulare. Quel gesto gli costò un gemito di dolore quando i muscoli della schiena gli si contrassero, ma non lasciò la presa. Niente ambulanza, niente ospedale.

“No,” disse, la lingua pesante e impastata. Era strano sentire il suono della propria voce, aveva come la sensazione di non aver proferito parola per secoli.

“No?” chiese l’altro confuso, sgranando gli occhi che si rivelarono essere di un verde così intenso che gli ricordarono mari di altre galassie, galassie che probabilmente nemmeno esistevano.

“Niente ambulanza,” si sforzò di dire e, anche se l’altro non sembrava per nulla convinto, alla fine decise di assecondarlo.

“Okay... va bene se chiamo un taxi? Ti riporto a casa? C’è qualcuno che può prendersi cura di te?” Lui scosse la testa. Perché quel ragazzo gli stava facendo così tante domande? Non sapeva dove fosse casa, non sapeva se c’era qualcuno da qualche parte nel mondo a chiedersi che fine avesse fatto. “Credo tu abbia bisogno di un medico.”

A quelle parole lui scosse la testa con ancora più veemenza, procurandosi un’altra fitta lancinante alla schiena. Aveva voglia di piangere, di raggomitolarsi lì e piangere tutte le sue lacrime fino ad addormentarsi per sfinimento e dimenticarsi di tutto, del dolore, del freddo e della confusione. L’altro sospirò.

“Come ti chiami?” gli chiese.

“L-Louis.” Gli era uscito così, non sapeva se fosse il suo vero nome ma era l’unico nome che aveva in testa.

“Okay, Louis. Va bene se chiamo un taxi e ti porto a casa mia?” Il ragazzo dagli occhi verdi non sembrava molto convinto di quella soluzione, ma Louis si ritrovò ad annuire. C’era qualcosa nel verde dei suoi occhi, una sfumatura che indicava un animo gentile, un animo generoso. Il ragazzo si alzò e si avvicinò al bordo del marciapiede, poi lo vide buttarsi quasi in mezzo alla strada per fermare un taxi. Infine tornò da lui e lo aiutò a rimettersi in piedi e a entrare nell’abitacolo, diede un indirizzo all’uomo al volante e poi si tolse la giacca avvolgendogliela intorno.

Calore.

Era quella la sensazione che dava il calore? Se era davvero quella, Louis decise che non voleva più staccarsi da quella giacca, che l’avrebbe indossata fino alla fine dei suoi giorni per tenere lontano le spirali ghiacciate del freddo che si era impossessato di lui. Ma l’illusione durò poco, perché presto ricominciò a tremare, la giacca aveva perso la sua magia. Il ragazzo dagli occhi verdi se ne accorse e si avvicinò a lui, lo prese sottobraccio e iniziò a massaggiargli dolcemente la schiena.

Di nuovo quel calore.

Era lui, non la giacca, a possedere la magia del calore. E Louis non gli disse che gli stava facendo male toccandogli la schiena, non gli disse che era da lì che venivano quei dolori lancinanti che a tratti gli impedivano perfino di respirare. Non voleva che il calore sparisse di nuovo, e se era il corpo del ragazzo a emanarlo, allora poteva sopportare ancora per un po’ il dolore. Si accucciò contro di lui e fu solo quando sentì il sapore salato di una lacrima che gli era arrivata alle labbra, che si rese conto di aver iniziato a piangere.

 

***

 

Un ragazzo che non poteva avere più di sedici o diciassette anni stava correndo sotto la pioggia calciando un pallone. I riccioli che gli incorniciavano il volto erano tenuti indietro da una fascia e gli ricadevano bagnati e pesanti sulla schiena, mentre lui correva lungo il campo da calcio guardandosi freneticamente intorno alla ricerca di un compagno a cui poter passare la palla.

“Harry, di qua!” urlò qualcuno alla sua destra e lui calciò il pallone in quella direzione un istante prima che il giocatore avversario gli si lanciasse contro in scivolata, calciando il punto dove fino a pochi secondi prima c’era il pallone e beccando invece la sua caviglia. Il riccio – Harry – rotolò a terra e, quando tentò di rialzarsi incurante del colpo, il piede gli cedette al primo passo facendolo finire nuovamente a terra. Era così che si era storto il legamento, ma il passaggio che aveva fatto poco prima aveva salvato la partita che era finita in un pareggio, il che era sempre meglio di una sconfitta. Questa era l’unica cosa di cui riusciva a parlare al pronto soccorso mentre gli medicavano il piede, entusiasta del fatto che la stagione fosse ancora aperta per loro.

 

***

 

Louis si svegliò di scatto, mettendosi a sedere e guardandosi intorno in preda al panico. La schiena gli bruciava maledettamente, aveva la gola in fiamme e sentiva la testa pesante. Accanto a lui qualcuno gli posò delicatamente una mano sulla spalla, cercando di rassicurarlo e, voltandosi, Louis vide il ragazzo riccio dagli occhi verdi che lo aveva letteralmente raccolto dalla strada e portato a casa con sé.

“Harry?” chiese confuso.

“Ti ricordi il mio nome, bravo,” gli sorrise l’altro, ma Louis vide che il sorriso si limitava ad increspare gli angoli della bocca senza però illuminargli gli occhi, che invece erano visibilmente preoccupati.

No, Louis non si ricordava affatto del suo nome, si ricordava solo del nome del ragazzo del suo sogno, quello che si era storto un legamento giocando a calcio ma che sembrava felice di aver pagato quel prezzo se questo aveva aiutato la sua squadra. Era anche lui riccio, chissà se aveva anche gli occhi verdi, probabilmente era solo un sogno che la sua mente aveva messo insieme sull’immagine del ragazzo che aveva di fianco. E comunque, aveva mai sognato prima di allora? Non se lo ricordava, ma gli sembrava impossibile che una persona potesse vivere tutti quegli anni senza sognare, non era un meccanismo automatico quando si dormiva? E quanti anni aveva lui?

Harry lo aiutò a mettersi comodo, posandogli due cuscini dietro la schiena e solo allora Louis si accorse di indossare una felpa troppo larga per lui e un paio di pantaloni del pigiama decisamente troppo lunghi il cui bordo era stato ripiegato dentro ai calzini.

“Continuo a essere convinto che tu abbia bisogno di un medico, hai la febbre piuttosto alta e le ferite sulla schiena...” gli disse Harry, lasciando la frase in sospeso. Ferite sulla schiena? Era da quelle che provenivano i suoi dolori? Non ricordava di essersi fatto male, il suo ultimo ricordo prima di ritrovarsi in mezzo a quella strada affollata era... era... possibile che non avesse ricordi precedenti a quel momento?

“Non ricordo niente tranne il nome Louis,” sussurrò triste.

“Non dirmi che sei scappato dal labirinto! Comunque avrebbe senso, i vuoti di memoria, lo stato in cui sei conciato...” Harry stava evidentemente cercando di sdrammatizzare, ma Louis riusciva ancora a scorgere luna nota di preoccupazione nei suoi occhi.

“Il labirinto?” chiese, senza capire.

“È un libro. Una trilogia di libri, a dire il vero. Questi ragazzi vengono mandati in un labirinto e l’unico ricordo che viene loro concesso di mantenere è il loro nome. In realtà è più complicato di così, possibile che tu non abbia visto nemmeno il film?” Harry era seduto di fianco a lui, con il corpo che sporgeva leggermente nella sua direzione e lo fissava intensamente, come se stesse cercando di entrargli nell’anima per poter capire qualcosa di lui. Louis si concentrò nel tentativo di ricordare questo labirinto ma niente, per quel che ne sapeva poteva aver letto sia i libri che aver visto il film ma la sua mente aveva cancellato tutto. Chiuse gli occhi, incapace di sostenere lo sguardo di Harry e improvvisamente si ritrovò a sognare di nuovo.

 

***

 

Harry era sdraiato sotto a un albero in quello che sembrava un enorme parco, le foglie stavano assumendo la sfumatura rossastra dell’autunno e il ragazzo teneva fra le mani un libro sulla cui copertina c’era scritto ‘Maze Runner: La Fuga’. Era arrivato circa a tre quarti e sembrava intenzionato a non staccarsene fino a quando non l’avesse finito, quando d’un tratto il cielo si rabbuiò e le nuvole decisero che era giunto il momento di scaricare sotto forma di pioggia il peso che si portavano sulle spalle. Harry si alzò di scattò e si mise a correre verso la tettoia di un chiosco di bevande chiuso, appoggiò la schiena al muro e ricominciò a leggere, incurante di tutta la gente intorno a lui che camminava in fretta verso l’uscita del parco, a cercare riparo altrove.

 

***

 

Riaprì gli occhi di scatto, Harry era ancora di fianco a lui nella stessa identica posizione in cui si trovava quando si era addormentato, come se il tempo si fosse fermato, solo che la preoccupazione nei suoi occhi si era fatta più profonda.

“Credo tu abbia appena perso conoscenza,” gli disse. “Ed è durato meno di un minuto. Non vorrei risultare insistente, ma-“

“Niente medici, sto bene,” replicò Louis.

Non aveva perso conoscenza, si era semplicemente addormentato, alla gente malata capitava di addormentarsi pesantemente e poi risvegliarsi di colpo, no? Salvo che, stando a Harry, il suo sonno era durato meno di un minuto mentre il suo sogno era sicuro fosse durato molto di più, perché era rimasto ore ad osservare Harry che leggeva il suo libro, pagina dopo pagina.

“Le ferite... hai detto che ho delle ferite...” Louis strinse fra le mani il bordo delle lenzuola nelle quali era avvolto.

“Sulla schiena. Non ti ricordi? Appena siamo arrivati a casa ho provato a medicartele, disinfettarle quantomeno. Sei svenuto per il dolore e io ti ho messo a letto. Anche se-“

“No,” esalò Louis in un sospiro, prevenendo l’ennesima richiesta di portarlo in ospedale. Non sapeva come si fosse procacciato quelle ferite, ma qualcosa all’interno del suo stomaco gli diceva che in ospedale non avrebbero potuto fare niente per lui. E comunque non voleva ritrovarsi circondato da estranei che toccavano il suo corpo con freddezza scientifica e lo tempestavano di domande su come si fosse ridotto così, senza accettare il fatto che non lo sapesse e senza rispettare il suo desiderio di non volere nessun estraneo intorno. “Posso vederle?” chiese poi e Harry annuì anche se la sua espressione si corrucciò.

Lo aiutò ad alzarsi dal letto e lo condusse in bagno dove c’era un enorme specchio a figura intera di fianco al box doccia. Harry lo reggeva con delicatezza, come se fosse fatto di carta velina, stando attento a non toccargli la schiena per non provocargli ulteriore dolore e stando attento che non incespicasse. Davanti allo specchio lo fece girare di spalle e gli sollevò piano la felpa, facendo attenzione che il tessuto strusciasse il meno possibile contro la pelle. Poi gli mise le mani sui fianchi con fermezza, quasi avesse paura che Louis potesse crollare a terra, mentre lui girava leggermente la testa per osservare la propria immagine allo specchio. Aveva due tagli simmetrici che sembravano profondissimi e che partivano dalla base del collo e arrivavano quasi in fondo alla schiena. Sui bordi dei tagli c’erano dei piccoli residui di sangue raggrumato, ma le ferite sembravano pulite e probabilmente era stato Harry a sistemargliele. Non sembravano fresche, in alcuni punti stavano già iniziando a cicatrizzarsi, ma pulsavano, Louis le sentiva pulsare come se avessero vita propria. Distolse lo sguardo dallo specchio e incontrò quello di Harry. Il ragazzo era di fronte a lui, le mani ancora posate sui suoi fianchi nudi erano calde e gli trasmettevano una sensazione di sicurezza che non avrebbe dovuto provare visto che a tutti gli effetti l’altro non gli era meno estraneo dei medici che avrebbe potuto incontrare all’ospedale. Il ragazzo era di una spanna buona più alto di lui e, per guardarlo bene in viso, doveva tenere lo sguardo sollevato. Fu così che si accorse di una piccola cicatrice che aveva sul mento. Sollevò una mano e gliela sfiorò con un dito.

 

***

 

Harry stava salendo con la seggiovia lungo una pista da sci e stava ridendo per qualcosa che aveva detto la ragazza seduta di fianco a lui.

“Hey Styles, allora ci stai?” gridò un ragazzo seduto subito dietro, e Harry cercò di girarsi facendo ballonzolare i loro sedili e guadagnandosi una pacca sul collo dalla ragazza, che gli ingiunse di stare fermo. Gli somigliava tantissimo, probabilmente era sua sorella.

“Conta pure su di me, Grimmy!” urlò Harry di rimando, rimettendosi composto e alzando il pollice quanto bastava per farsi vedere dall’amico.

“Non ci pensare nemmeno!” lo rimproverò la sorella scuotendo la testa e Harry rise di nuovo.

“Non sei tenuta a seguirci, Gemma, sono sicuro che sulla pista baby saranno lieti di accoglierti,” sghignazzò divertito. Lei alzò gli occhi al cielo e quando arrivarono in cima alla montagna, invece di lanciarsi da una delle tre piste che partivano da lì, si avviarono verso un pendio non battuto insieme al ragazzo che rispondeva al nome di Grimmy e un altro amico che era salito con lui.

Mentre cercavano di scendere facendo slalom fra le piante e arenandosi in punti in cui la neve non battuta faceva sprofondare i loro sci, l’unico suono che li accompagnava erano le loro stesse risate. A un certo punto Gemma decise che ne aveva abbastanza di arrancare con gli sci ai piedi e se li tolse, decretando che sarebbe scesa a piedi. Harry si distrasse un attimo mentre la osservava e scivolò leggermente di lato, cadendo a terra e finendo con il mento dritto su un rametto che spuntava ribelle dalla neve alta. Sulle prime tutti ci risero sopra, fino a quando il sangue non iniziò a colargli prepotente dal mento e si accorse che il taglio era molto più profondo di quanto potesse sembrare. Fu così che finirono al pronto soccorso e Harry ne uscì con quattro punti sul mento e una ramanzina dell’infermiere di turno per come si fosse procurato quella ferita. Aveva passato il resto delle vacanze natalizie con questo enorme cerotto imbottito a coprirgli i punti, e alla fine gli era rimasta una piccola cicatrice a ricordargli per sempre quella escursione fuori pista che aveva fatto con sua sorella e i suoi amici.

 

***

 

“No, no, no, va tutto bene Louis, va tutto bene!” Harry lo stava sorreggendo da sotto le spalle impedendogli di cadere a terra. Louis sbatté un paio di volte gli occhi confuso, cercando di capire cosa fosse successo. “Hai avuto un altro mancamento, stai iniziando a farmi preoccupare sul serio. Perché sei così testardo e non vuoi farti visitare? Hai paura che scoprano come ti sei procurato le ferite? Vuoi proteggere qualcuno? Lo capirei, ma io non sono un medico e non ho la più pallida idea di cosa fare.”

Il tono di Harry era concitato e Louis si ritrovò di nuovo seduto sul suo letto con le coperte rimboccate senza nemmeno rendersi conto di come ci fosse arrivato.

“Proteggere qualcuno?”

“Sì, chiunque ti abbia fatto questo,” sbottò Harry, e sembrava una reazione così poco consona a lui che Louis pensò che il ragazzo dovesse essere proprio agitato. Cosa stava cercando di dirgli? Che qualcuno gli aveva fatto del male di proposito? Ora che ci pensava, non erano molti i modi in cui una persona poteva finire in quello stato e, seppur nello stato confusionale in cui si trovava, era abbastanza sicuro di non essere a favore dell’automutilazione.

Automutilazione.

Mutilazione.

Perché la sua mente aveva usato proprio quella parola? Non era mutilato, quella era solo una semplice ferita, un po’ anomala forse, ma non mancava niente all’appello, giusto? Era completamente integro, salvo per il fatto che faceva fatica a reggersi in piedi, come se il suo senso dell’equilibrio stesse subendo interferenze tecniche. Ma quella era una conseguenza del suo stato fisico debilitato, giusto? Harry di fianco a lui sospirò.

“Ti va se ti faccio un tè? Magari ti aiuta a calmarti e schiarirti le idee,” gli propose e Louis lo guardò stranito. “Ti ricordi almeno cos’è il tè?” chiese Harry, ora leggermente divertito.

“Sì, lo bevi sempre prima di andare a dormire,” annuì Louis.

Harry inarcò un sopracciglio. “Wow, ti ricordi a malapena il tuo nome ma giochi a fare l’indovino con me. Immagino significhi che ti senti leggermente meglio e posso fidarmi a lasciarti solo per il tempo che serve a far bollire l’acqua.”

Louis lo osservò mentre usciva dalla stanza e si mise in ascolto. Lo sentì tirare fuori un bricco da un armadietto, lo sentì accendere il fuoco del fornello e lo sentì maneggiare delle tazze.

Non aveva tirato a indovinare, prima: in qualche modo sapeva che Harry prendeva sempre il tè prima di andare a dormire. O forse tutti prendevano il tè prima di andare a dormire e Harry sarebbe stato anormale a non farlo, non avrebbe saputo dirlo. Meno di dieci minuti dopo, Harry ricomparve con due tazze fumanti in mano, una la porse a lui e l’altra la appoggiò sul comodino. Louis se la portò subito alla bocca e si scottò la lingua.

“Devi lasciarlo raffreddare, non vogliamo aggiungere anche un’ustione all’elenco,” così dicendo Harry gli prese la tazza di mano e la appoggiò sul comodino di fianco alla propria.

Louis deglutì a fatica, la bevanda era decisamente troppo calda per la sua gola in fiamme, ma si prese comunque del tempo per assaporarla.

“Non manca qualcosa?” chiese poi, passandosi la lingua sul palato con fare pensieroso.

“Magari ti piace di più con il latte?” Louis annuì. Il latte lo ispirava. “E un po’ di zucchero? Non te l’ho messo perché non sapevo se-“ Louis scosse violentemente la testa, l’idea dello zucchero non lo convinceva per niente.

“Sei strano, lo sai?” chiese Harry prima di sparire di nuovo verso la cucina con la sua tazza in mano per poi ricomparire dopo nemmeno due minuti. Ecco, con dentro il latte era molto più buono e Louis decise che quella doveva essere stata sicuramente anche la sua routine serale. Finito di bere il tè si accoccolò di nuovo sotto alle coperte e anche Harry fece lo stesso di fianco a lui. I loro corpi si sfioravano appena, ma quel contatto gli trasmetteva uno strano senso di sicurezza In qualche modo riusciva a risultargli quasi familiare, il che era un sollievo dopo tutto ciò che gli era successo quel giorno. Fece fatica ad addormentarsi per via del dolore, ma quando ci riuscì sognò di nuovo Harry, sdraiato su una panchina in un piccolo parco nel cuore della città circondato dai rumori della gente e del traffico, che guardava fisso verso il cielo.

Sognò i loro sguardi che si incontravano a mezz’aria.

 

***

 

Quella sera quando Harry rincasò, Louis se ne stava seduto sul divano a guardare la replica di un programma chiamato Il Grande Fratello; gli sembrava immensamente stupido che la gente potesse essere interessata alle azioni di persone costrette a convivere nella stessa casa per un certo periodo di tempo, ma nonostante questo non riusciva a convincersi a cambiare canale. Era passata quasi una settimana da quando Harry l’aveva accolto in casa sua, Louis teneva il conto guardando ogni giorno il piccolo calendario da tavolo che Harry teneva su una delle mensole della cucina. Lo scorrere del tempo era strano, a parere di Louis: c’era una parte di giornata in cui stare svegli, poi una per dormire, una per mangiare, una per lavorare e una per il divertimento e quella suddivisione gli pareva bizzarra. La febbre gli era calata, la gola non gli bruciava quasi più e il dolore alla schiena si era fatto più sopportabile. Tutto questo solo dopo che Harry, la mattina dopo averlo trovato, era andato in farmacia ed era tornato con un intero sacchetto pieno di spray, pillole e unguenti che gli aveva pazientemente spiegato come e quando usare, accertandosi poi ogni giorno che si attenesse alle istruzioni. Poi c’era il cibo, il cibo che Harry cucinava gli piaceva tantissimo e le sue papille gustative gli avevano garantito che non aveva mai mangiato niente di più buono in vita sua, come se tutto ciò che degustavano fosse un sapore nuovo. Di giorno rimaneva solo, Harry gli aveva lasciato il proprio cellulare e ogni paio d’ore lo chiamava dall’ufficio per sincerarsi che stesse bene. La sera tornava a casa e cenavano insieme, dopodiché Harry controllava lo stato della sua schiena e infine guardavano un film o rimanevano a chiacchierare e, anche se lui non aveva molto da raccontare, gli piaceva stare ad ascoltare com’era andata la giornata dell’altro. Era pieno di riconoscenza verso quel ragazzo che si stava prendendo cura di lui senza fare domande e ogni giorno giurava a se stesso che, non appena si fosse ripreso e fosse riuscito a dare un senso alla propria esistenza – a capire chi fosse – avrebbe fatto di tutto per sdebitarsi.

“Oh, ti piace la TV spazzatura?” Harry lanciò il cappotto sul tavolino di vetro che c’era di fronte al divano e si sedette di fianco a lui. Louis inclinò leggermente la testa verso di lui e Harry fece lo stesso, una ciocca ribelle gli finì immediatamente davanti agli occhi. “Ops, scusa,” disse poi rimettendosi dritto.

Louis avrebbe voluto allungare una mano e passargliela fra i capelli che sembravano così morbidi, ma aveva l’impressione che quella non fosse una cosa che le persone di solito facevano senza motivo.

“È divertente,” rispose facendo spallucce e tornando a concentrarsi sullo schermo del televisore.

“Non ho voglia di cucinare, ordino due pizze,” gli comunicò l’altro sporgendosi a cercare il cellulare nella tasca del cappotto. “Come la vuoi?”

Louis fece di nuovo spallucce. Una pizza era una pizza, no? Cosa poteva cambiare fra un tipo e l’altro? Percepì su di sé lo sguardo scettico di Harry e appoggiò la testa allo schienale del divano chiudendo gli occhi per fargli capire che, davvero, non gli importava.

 

***

 

Harry era seduto sul davanzale interno di una piccola stanza con due letti che pareva essere la camera di un dormitorio. Aveva i capelli che arrivavano poco sotto le orecchie e sembrava di un paio di anni più giovane. Accanto a lui – no, sopra di lui – c’era una ragazza bionda a cui lui cingeva i fianchi mentre... la baciava? Harry stava baciando la ragazza bionda mentre lei gli infilava le mani sotto alla maglietta in procinto di togliergliela.

“Lo sai che Aaron tornerà a momenti e vorrà il suo spazio per studiare,” le disse lui bloccandola, e lei sbuffò per poi riprendere a baciarlo.

“Aaron, Aaron, sempre Aaron!” gli sussurrò irritata a fior di labbra.

“Lo so...” replicò lui attirandola ancora di più a sé, ma non era poi così infastidito come invece cercava di dare a vedere.

 

***

 

“LOUIS!”

Louis sobbalzò e si ritrovò di colpo nel soggiorno di Harry, che gli stava scrollando il braccio con forza. Con il passare dei giorni era riuscito a convincerlo che quelle non erano perdite di conoscenza, gli aveva detto che ogni tanto gli capitava di isolarsi dal mondo e Harry ci aveva creduto – o almeno aveva fatto finta di crederci. Non gli aveva raccontato che i tre quarti delle volte che chiudeva gli occhi – che fosse per dormire o semplicemente per rilassarsi un attimo ed escludere tutto il resto dalla sua visuale – lo sognava in svariate situazioni, ammesso che si potesse parlare di sogni. Harry lo stava fissando con aria corrucciata, le labbra che sporgevano in avanti. Louis non si era mai reso conto di quanto fosse vivido il colore delle sue labbra, mai prima di vederlo baciare quella ragazza. Deglutì e la saliva gli andò di traverso procurandogli un eccesso di tosse. “Non so più cosa devo fare con te,” sospirò infine Harry, lasciandosi cadere contro i cuscini del divano. Il suo braccio sinistro sfiorò quello destro di Louis che si sentì improvvisamente avvampare, come se gli avessero acceso una stufa sottopelle.

 

***

 

La pizza era buona, anche se Louis preferiva quella che Harry aveva ordinato per sé rispetto a quella che aveva rifilato a lui, e non fu contento fino a quando il ricciolino non si convinse a fare metà e metà. Chissà, magari lui e Harry si conoscevano ed era per quello che si sentiva così a suo agio con lui, era possibile?

“Noi due ci conosciamo?” gli chiese prima di riuscire a frenare la lingua.

“Stai insinuando che anch’io sia affetto da amnesia?” Harry scoppiò a ridere e Louis si rese conto che in effetti non aveva molto senso quel suo pensiero. “Anche se a volte... non so...” aggiunse, ma non terminò la frase e Louis sentì una strana sensazione nascere alla bocca dello stomaco e fermarglisi alla gola. Frustrazione? Harry ora lo stava osservando con quello sguardo così intenso a cui ormai avrebbe dovuto essere abituato, ma che in realtà ogni volta lo costringeva a guardare da un’altra parte perché non era in grado di reggerlo. C’era una parte di lui che amava avere quegli occhi verdi puntati addosso quasi volessero penetrargli la pelle, un’altra parte di lui invece si sentiva estremamente a disagio perché non sapeva come reagire quando questo accadeva. Avrebbe voluto tornare ad accucciarsi sul divano e chiudere gli occhi, ma non voleva tornare a sognare le labbra di Harry posate su quelle di qualcun altro. Per qualche motivo non gli sembrava giusto dover assistere a una scena del genere.

“Come ti sei procurato la cicatrice sul mento? È un test per vedere se soffri di amnesia.” Louis non sapeva perché gliel’avesse chiesto, forse solo per spezzare il silenzio e sperare che Harry spostasse la sua attenzione su qualcos’altro. Funzionò, perché il ragazzo si passò un dito sotto al mento puntando gli occhi verso il soffitto con aria pensosa.

“In maniera estremamente stupida, in realtà. Stavo sciando fuori pista con mia sorella e due nostri amici...” A quelle parole Louis quasi si soffocò con il trancio di pizza che aveva appena addentato, ma Harry non sembrò farci caso e proseguì il suo racconto. “Mi sono distratto per un millesimo di secondo, ho puntato la racchetta in un ammasso di neve troppo fresca e sono scivolato a terra come un salame. Ovviamente sono finito di faccia contro l’unico arbusto che spuntava dalla neve, non hai idea di quanto mi abbiano preso in giro tutti quanti. Ho passato tutte le vacanze natalizie con questo enorme cerotto a coprirmi i punti.”

La stanza intorno a Louis aveva preso a girare vorticosamente, ma lui si impose di mantenere il controllo. Era solo una coincidenza. Il racconto di Harry corrispondeva esattamente al suo sogno di qualche giorno prima, perché ogni tanto queste cose accadevano, l’aveva spiegato un tizio chiamato... non si ricordava come si chiamasse, ma qualcuno l’aveva spiegato, giusto? I sogni premonitori non esistevano, era solo un meccanismo del cervello che, in base ai fatti, elaborava razionalmente degli scenari possibili che l’inconscio trasmetteva alla persona tramite il sogno. Peccato che quello non fosse un sogno premonitore, Louis non aveva visto il proprio futuro, ma un momento del passato di Harry.

Sentì lo stomaco contorcersi e si sforzò di mandar giù ciò che aveva in bocca solo per non offrire a Harry un altro spettacolo pietoso di se stesso.

“Mi ero appena laureato, eravamo andati tutti insieme in montagna per festeggiare,” continuò Harry, che grazie al cielo stava continuando a parlare con il soffitto.

“C’era anche la tua ragazza?” chiese Louis, senza sapere bene dove avesse trovato il fiato per parlare. Ma arrivati a quel punto doveva sapere.

“Uhm?” Harry riportò lo sguardo su di lui. “Quale ragazza?”

Bene.

Anzi, ottimo.

Se la ragazza non esisteva, allora questo significava che Louis non stava impazzendo, non ancora. E l’assenza della ragazza lo confortava molto più di quanto fosse lecito, accendendo di nuovo la stufa che qualche buontempone doveva avergli installato sottopelle durante il sonno.

“Non lo so, la tua ragazza,” fece spallucce cercando di fingere indifferenza.

“Non esco con una ragazza da quando Leslie mi ha mollato per Aaron. In realtà non era proprio la mia ragazza, tutti uscivano con qualcuno e così pensavo di doverlo fare anch’io. Poi lei si è stufata e ha iniziato a uscire con il mio compagno di stanza dell’università. Sei curioso stasera, eh?”

Panico.

Era panico, panico allo stato puro quello che si stava impossessando di lui. Perché un conto era che una persona avesse un sogno premonitore, o che le capitasse di immaginarsi una scena del passato di qualcun altro e colpire nel segno. Ma che avesse visioni vivide del passato di una persona che corrispondevano esattamente alla realtà... quello era fuori da ogni logica.

Le ferite sulla schiena presero vita dal nulla, pulsando come se qualcosa stesse cercando di uscire fuori da quei tagli in fase di rimarginazione. Improvvisamente anche le tempie presero a pulsargli all’unisono con la schiena, e la testa gli si riempì di immagini che si affastellavano fra loro in maniera caotica: Harry che ordinava qualcosa in un caffè, Harry che faceva shopping con il ragazzo con cui era andato a sciare, Harry con addosso un enorme maglione a tema natalizio di fronte a una tavola imbandita di ogni leccornia, Harry al ballo di fine anno, Harry seduto sugli spalti di uno stadio con una sciarpa rossa avvolta intorno al collo.

Harry privo di sensi e ricoperto del suo stesso sangue, intrappolato nell’abitacolo della propria automobile.

Sentì un urlo e si accorse di esserne lui la fonte.

Sentì le braccia di Harry afferrarlo per le spalle, abbracciarlo e stringerlo forte.

Senti la schiena iniziare a pulsare sempre più freneticamente, mentre il dolore si propagava a ogni fibra del suo corpo.

Poi tutto cessò di colpo e non provò più nulla.

 

***

 

“Lou, devi smetterla, in giro non si parla d’altro.” In tutta risposta Louis spiegò un’ala con l’intento di dare all’altro una sberla affettuosa, invece lo fece finire a gambe per aria. “Grazie amico, grazie,” commentò il ragazzo sarcastico mentre si rimetteva in piedi.

“Immagino di non essere molto consapevole della mia forza,” fece spallucce Louis.

“L’unica cosa di cui dovresti essere davvero consapevole è che la devi smettere. Le chiacchiere si fanno ogni giorno più insistenti e sai benissimo che rischi di essere sbattuto di nuovo in cella. O peggio, stavolta.”

“Per cosa, Liam? Oliver sta benissimo, nessuno può accusarmi di nulla.”

“Il fatto che il tuo protetto stia benissimo non toglie che tu debba smetterla di passare le tue giornate a vegliare su quello di qualcun altro. Ti ho visto l’altro giorno quando ti sei intromesso, sai? Non sono nemmeno faccende che ci riguardano, quelle.”

Louis sbuffò. Perché Liam non seguiva il suo stesso consiglio e smetteva di immischiarsi nelle sue di faccende? E poi non aveva fatto nulla, aveva solo fatto in modo che il sonno di un ragazzo che aveva appena perso la nonna non fosse troppo agitato, non gli sembrava poi sto gran dramma.

“Pensa, io non sarei costretto a intromettermi se tu ti prendessi più cura di lui,” lo disse in tono brusco mentre ritraeva le ali prima di cedere alla tentazione di sbattere di nuovo l’amico a terra, stavolta di proposito.

“Ti ripeto che quelli non sono affari nostri. Il sonno agitato di qualcuno che ha appena dato l’ultimo saluto a una persona cara fa parte della vita, tu-“

“Denunciami, allora!” sbottò Louis, sempre più irritato.

Non era colpa sua, non era colpa sua proprio per niente.

Non era colpa sua se anni prima la sua strada si era incrociata con quella di Liam.

Non era colpa sua se un giorno di tre anni prima, in un momento di noia aveva accompagnato Liam a osservare una stupida partita di calcio scolastico sotto una pioggia torrenziale.

“Oggi si storcerà il legamento della caviglia,” gli aveva detto Liam indicandoglielo.

Aveva i capelli ricci raccolti in una fascia che impediva loro di ricadergli sul viso, correva da una parte all’altra del campo con una passione e un entusiasmo contagiosi. Quando sorrideva gli si formavano delle fossette ai lati della bocca e quando era concentrato aggrottava le sopracciglia. Harry Styles, il protetto di Liam. Louis l’aveva preso subito in simpatia, aveva addosso un’energia contagiosa, era un ragazzo leale e sincero e gli piaceva molto il suo modo di vedere il mondo. Dopo quel giorno, Louis aveva iniziato a passare sempre più tempo sulla Terra a seguirlo, cercando di osservare la realtà che li circondava attraverso i suoi occhi, ed era finito con l’affezionarsi a lui giorno dopo giorno. Aveva iniziato a volergli un bene sincero. All’inizio Liam non ci aveva dato poi tanto peso, buttare un occhio anche sugli altri esseri umani che popolavano il pianeta era pratica comune fra di loro. Il fatto era che loro, gli umani, avevano scritto nel corso dei secoli migliaia di libri sugli angeli custodi, senza avere la minima idea che l’unico compito che loro avevano era quello di assicurarsi che la vita dei loro protetti non deragliasse nemmeno di un millimetro dalla strada che era già stata scritta per loro. Ogni tanto manifestavano la propria presenza nelle maniere più disparate, giusto per far loro sapere che non erano soli, ma il loro lavoro consisteva più che altro nell’osservare e quindi non è che avessero poi chissà quanto da fare.

Ad esempio il suo attuale protetto, Oliver, sarebbe morto a settantasei anni nel sonno per un arresto cardiaco. Louis questo l’aveva saputo nel giorno stesso della sua nascita, quando gli era stato assegnato. Nel momento dell’assegnazione scoprivano tutto ciò che il destino aveva in serbo per loro, dal primo all’ultimo minuto, e il suo unico compito era per l’appunto quello di vegliare su di lui durante quei settantasei anni. A Louis Oliver non piaceva particolarmente, ma era stato felice di sapere che avrebbe avuto una morte indolore e una vita lunga, dopo che era stato costretto a vedere morire Shannon – la sua precedente protetta - a soli dodici anni per colpa della leucemia. La parte peggiore era stata non poterci fare assolutamente nulla, l’unica cosa che gli era stata concessa fu di stare seduto al suo fianco durante i suoi infiniti soggiorni in ospedale – anche se lei poteva percepirlo solo a livello spirituale – e fare in modo che gli incubi non avessero la meglio su di lei. Quando era giunto il suo momento, aveva fatto un piccolo strappo alle regole e le aveva risparmiato un’intera notte di sofferenze. Aveva passato i dieci anni seguenti chiuso in una cella collocata all’angolo più estremo del paradiso per quell’intromissione, ma almeno Shannon era morta serena, il che per lui era una consolazione più che sufficiente.

“Louis...” la voce di Liam lo riportò al presente. “Non ci è concesso provare certi sentimenti e lo sai. Ho visto come-”

“Non sono affari tuoi,” borbottò Louis. Aveva visto cosa? Che per calmare il sonno di Harry non si era limitato a infondergli calma, ma si era sdraiato di fianco a lui coprendolo con le proprie ali fino a quando non aveva percepito i suoi muscoli rilassarsi?

“Sono affari miei perché punto primo, Harry è un mio problema e punto secondo, tu sei mio amico. E lo sai che queste storie non sono mai finite bene, lo sai che-“

“Okay, okay, starò lontano da lui,” tagliò corto Louis spiccando il volo e lasciandosi l’amico alle spalle. Seriamente, non gli sembrava di aver fatto nulla di male. Non è che il corso della storia sarebbe cambiato perché lui aveva posato le proprie ali su Harry Styles, letteralmente parlando. E non era stupido, sapeva benissimo che non gli era concesso di provare ciò che in realtà provava, non aveva certo bisogno che Liam gli facesse da promemoria.

Non era colpa sua.

Non era colpa sua se si era affezionato a Harry.

Non era colpa sua se aveva finito con l’innamorarsi di Harry.

E comunque, che differenza faceva? Harry era un essere umano e Louis un angelo. Louis avrebbe potuto passare i successivi ottant’anni a camminare di fianco a Harry e Harry non l’avrebbe mai saputo. Ogni tanto magari l’avrebbe percepito, ma non avrebbe mai saputo che Louis era di una spanna più basso di lui, che aveva i capelli castani perennemente spettinati, che aveva gli occhi blu, che le sue ali erano di una strana sfumatura grigio biancastra - che alcuni definivano color ghiaccio - e che avevano delle piume lunghissime che si affastellavano l’una sull’altra in maniera disordinata come i suoi capelli. Harry non avrebbe mai saputo nulla di tutto ciò, quindi ciò che Louis provava o non provava importava ben poco. Che gli altri angeli parlassero pure, che lo criticassero perché passava così tanto tempo a curarsi degli affari di qualcuno che non era Oliver, che facessero anche rapporto su di lui. Non gli importava davvero nulla, perché non stava facendo niente di male.

 

***

 

Louis sentiva delle voci intorno a lui e si sforzò di aprire gli occhi. Impiegò qualche istante a capire che era nel letto di Harry e che Harry stava parlando... a un’altra persona?

“Haz, si è svegliato!” esclamò l’estraneo, ma Louis riuscì a scorgere solo il biondo dei suoi capelli prima che Harry si intromettesse nella sua visuale buttandosi letteralmente sul letto.

“Grazie al cielo, non hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere!” lo rimproverò aggrottando le sopracciglia.

“C-cosa è successo?” chiese lui, confuso.

“Sei svenuto. Non lo so cosa sia successo, sembrava stessi provando un sacco di dolore prima di svenire tra le mie braccia. Non sapevo cosa fare e così ho chiamato Niall.”

“Ma-“

“No, niente ma,” lo interruppe Harry posandogli un dito sulle labbra. “Niall è il mio migliore amico ed è un infermiere, sa quello che fa. Niall o l’ospedale. Sei rimasto privo di conoscenza e in stato febbricitante per ore.”

“Un giorno e mezzo,” precisò Niall ricomparendo nel suo raggio visivo. “E Harry è rimasto risoluto a non chiamare un’ambulanza e questa me la dovrete spiegare entrambi un giorno di questi.”

Questo era solo uno dei tanti motivi per i quali Louis amava Harry così tanto, la maniera con la quale si prendeva sempre cura delle persone a cui teneva. Louis sobbalzò a quel pensiero, al pensiero di amare Harry. Ma era quello che provava no? Era per quello che si sentiva avvampare ogni volta che l’altro lo sfiorava, perché aveva passato... quanto? Tre anni della sua vita ad amarlo? No, erano passati più di tre anni perché Harry sembrava molto più grande rispetto a quando si era sdraiato di fianco a lui dopo il funerale di sua nonna. Quello era stato quanti anni prima? Non avrebbe saputo dirlo.

Lui amava Harry.

Si sentiva stranamente calmo a quel pensiero, come si sentiva stranamente calmo nei confronti del frammento di memoria che gli era tornato alla mente.

Cosa ci faceva lui lì?

Dov’era Liam?

E che ne era stato di Oliver?

Alla fine la confusione prese il sopravvento su di lui e sbuffò. Harry gli accarezzò dolcemente la fronte. “La febbre ti è scesa per fortuna,” disse sorridendogli sollevato.

La mano di Harry era calda e premurosa e Louis si rese conto di aver sognato quel contatto per interi anni della sua esistenza, così tanti che gli sembravano due eternità anche se in realtà non erano stati che un breve istante se paragonati all’eternità vera che era la sua vita. Chissà quanti anni aveva lui...

“Posso provarti la pressione?” chiese Niall attirando la sua attenzione e lui annuì. Se Harry si fidava di Niall, lui si fidava di Niall. Cercò di tirarsi su e fu solo quando la sua schiena strusciò sul materasso che venne schiacciato da un terribile realtà.

Le ali.

Le sue ali.

Le sue enormi ali color ghiaccio, le sue ali dalle folte e lunghe penne spettinate che tutti gli invidiavano, le sue ali non c’erano più.

Al loro posto c’erano solo due tagli simmetrici in fase di rimarginazione che non avevano fatto altro che pulsargli per giorni, procurandogli dei dolori lancinanti che gli avrebbero dovuto ricordare ciò che mancava.

Qualcuno gli aveva strappato le ali.

Alzò lo sguardo verso Harry alla ricerca di risposte che gli occhi verdi del ragazzo non potevano dargli, e si sentì assalire dalla disperazione.

 

***

 

Erano passati tre giorni e Louis aveva scoperto le gioie terrene della caffeina. Più ne ingeriva, meno dormiva, meno dormiva e meno veniva bombardato da flashback riguardanti la vita di Harry o la propria. Meno veniva bombardato da questi flashback e più riusciva a mantenere il controllo.

Harry si era preso qualche giorno di permesso dal lavoro – era impiegato in un ufficio che organizzava eventi culturali e, anche se era stato lui stesso a raccontarglielo, giusto la sera prima aveva rivisto il suo colloquio di assunzione – per prendersi cura di lui e se questo poteva sembrare assurdo ad occhi esterni – come quelli di Niall ad esempio – per lui aveva completamente senso, perché fra lui e Harry si era stabilito una sorta di legame nel corso degli anni. Harry al momento aveva ventisei anni, il che significava che ne erano passati ben sei da quando Liam lo aveva rimproverato quella volta – e chissà quante altre discussioni avevano avuto a riguardo – e nove anni da quando lo aveva ‘conosciuto’.

Nove anni.

Come potevano nove anni sembrare un’eternità a un essere eterno? Perché a lui davvero sembravano un’eternità. Ogni volta che Harry era di fianco a lui, ogni volta che gli bastava allungare leggermente la mano per toccarlo, ogni volta che si avvolgeva nei vestiti di Harry fin troppo grandi per lui, ogni volta che si concedeva di inspirare a pieni polmoni il suo profumo... Ogni volta gli sembrava impossibile, gli sembrava di aver passato secoli interi – se non millenni – a sognare quei momenti, a sognare di poter toccare – toccare veramente – Harry, a sognare di... Si sentì avvampare al solo pensiero e percepì lo sguardo di Harry su di sé, lo sguardo di Harry sembrava essere perennemente su di lui ed era consapevole che non ci si sarebbe mai abituato.

E poi c’erano le sue ali, l’argomento al quale cercava con tutto se stesso di non pensare, ma che in realtà gli rimbombava in mente con prepotenza. Aveva pianto, aveva pianto tantissimo in quegli ultimi giorni; ogni volta che Harry era in un’altra stanza impegnato a fare qualcosa, ogni volta che pensava che Harry dormisse, ogni volta che Harry usciva a fare qualche commissione, lui si abbandonava allo sconforto e piangeva. Ogni tanto il ricciolino si sedeva di fianco a lui e lo prendeva sottobraccio senza apparente motivo, e a lui non rimaneva che ricordarsi che Harry era tutto fuorché stupido e aveva capito benissimo che c’era qualcosa – anche più di qualcosa – che non andasse.

Eppure non faceva mai domande.

 

***

 

Harry sbatté il cellulare sul tavolo della cucina e Louis, che era seduto lì a fargli da supporto morale mentre cucinava, gli lanciò un’occhiata interrogativa.

“Xander. Il mio ex. Cioè, non è proprio il mio ex, non ci siamo mai messi veramente insieme, ma da quando abbiamo smesso di frequentarci è diventato davvero molesto. Sono mesi che accampa pretese sul suo diritto di sapere questo e quello. E ribadisco che non stavamo nemmeno insieme.” Harry si appoggiò con la schiena al frigorifero e Louis sentì lo stomaco che gli si attorcigliava.

“Pensavo non uscissi con qualcuno dai tempi dell’università,” commentò con tono neutro.

“Uhm? No, ti ho detto che non esco con una ragazza dall’università,” precisò Harry. “E comunque non è questo il punto, Lou.”

Louis distolse lo sguardo, abbastanza sicuro di essere arrossito fino alla punta delle orecchie.

Lou? Solo Liam l’aveva chiamato così prima d’ora, di questo era abbastanza sicuro.

“E cosa è successo?” chiese, sperando che Harry non si accorgesse della sua reazione emotiva.

“È successo che qualche tempo fa ha scoperto dell’incidente. E sono settimane, ti giuro, intere settimane che proclama il suo diritto ad averlo saputo. Be’, non era suo diritto, chi l’ha più visto dall’ultima volta? O sentito?”

Louis inclinò leggermente la testa di lato, confuso.

Non aveva idea di chi fosse Xander e nemmeno di cosa fosse successo in questo incidente di cui parlava Harry. Evidentemente il reparto ‘memoria’ del suo cervello funzionava a compartimenti stagni.

“Due mesi e mezzo fa ho fatto un incidente in macchina,” gli spiegò Harry, rabbuiandosi. “Non so come abbia fatto Xander a scoprirlo, non abbiamo poi chissà quali amici in comune.”

“Incidente in macchina?” Louis si ricordò dei flashback che aveva avuto giorni prima, di Harry intrappolato nell’abitacolo della sua auto tutto ricoperto di sangue.

“Non mi va di parlarne,” tagliò corto l’altro, spostando l’attenzione verso il cibo che si stava cucinando. A dirla tutta, nemmeno a Louis andava di parlarne. Non voleva parlare degli ex di Harry, non voleva parlare di incidenti o cose brutte successe a Harry. La questione ali già bastava e avanzava a crucciarlo.

Ripensò a Liam e venne improvvisamente colpito dalla consapevolezza che Harry fosse il suo protetto, il che significava che l’angelo per tutto quel tempo doveva essere stato presente lì di fianco a loro.

Si guardò intorno sperando in un segno della sua presenza ma, onestamente, non aveva idea di cosa cercare.

“Liam?” provò a dire ad alta voce, ma non accadde niente. Cosa si aspettava? Lo sapeva benissimo che gli angeli non potevano dare manifestazioni fisiche della propria presenza, non è che chiamando il suo nome l’altro si sarebbe materializzato di fronte ai suoi occhi in carne ed ossa. Fatto stà che rimase comunque deluso.

“Liam?” ripeté Harry voltandosi verso di lui. “L’hai ripetuto spesso come nome... mentre eri privo di sensi.” Il ragazzo non formulò una vera e propria domanda, ma Louis capì dal suo sguardo che si aspettava ugualmente una risposta, e sapeva anche di dovergliela.

“Liam... Liam era un mio amico. Il mio unico amico. Credo.”

Harry non commentò, si limitò a fissarlo incuriosito. Louis appoggiò la testa sul tavolo e chiuse gli occhi.

 

***

 

“Non puoi farlo, Louis, è una follia!”

“Era solo un’idea, non scaldarti tanto.”

“Mi scaldo perché so che ci stai pensando da tempo, credi sia stupido?”

C’erano gli angeli custodi e poi c’erano altri tipi di angeli. Ad alcuni di essi era concesso di scendere sulla Terra in carne e ossa, potevano nascondere le ali e materializzarsi in mezzo agli essere umani. Erano quelli che avevano compiti importanti e che stavano ai piani alti della scala gerarchica angelica, quelli che erano autorizzati a intervenire in caso di bisogno, quelli che erano stati la causa e la risoluzione di tutte le guerre religiose che si erano susseguite nei secoli e non solo. Louis non aveva mai prestato particolare attenzione alle loro storie a scuola, tanto era stato destinato fin dalla nascita alle file dei custodi, e tutti quei nomi e quelle date lo annoiavano e basta. Ma in quanto ai poteri, be’, sapeva esattamente cosa ogni angelo poteva o non poteva fare. E sapeva che, in caso di estremo bisogno, gli angeli più potenti erano in grado di passare ad altri parte dei propri poteri, seppur temporaneamente.

“Rilassati Liam, era solo un vaneggiamento. Tanto per passare il tempo.”

“Bene, sono rincuorato dal sapere che passi il tuo tempo libero a cercare modi per materializzarti fra gli umani. Ora sì che sono proprio tranquillo!”

Louis sbuffò.

Non voleva fare niente di male, voleva solo avere una giornata – gli sarebbe bastata perfino un’ora, una stupida ora – con Harry. Voleva parlare con lui, sedersi a uno di quei café che al ricciolino sembravano piacere tanto e prendere il tè con lui – il tè sembrava così buono! Voleva sapere qual era la consistenza dei suoi capelli che sembravano così morbidi, voleva scoprire che effetto facesse sfiorare la sua pelle. C’erano giorni in cui gli sembrava di impazzire ogni volta che gli occhi verdi del ragazzo si posavano su di lui senza nemmeno sapere cosa stavano realmente guardando e il dolore fisico che provava quando quello sguardo passava oltre, come se lui non esistesse, perché per Harry effettivamente Louis non esisteva.

“Lo sapevo che questa storia sarebbe finita male,” sospirò Liam.

 

***

 

Louis riaprì gli occhi. Era diventato abbastanza bravo a controllare quei flashback – ormai non li considerava nemmeno più sogni – senza far allarmare Harry. Che avesse fatto qualcosa di estremamente folle per ritrovarsi in quella situazione? No, le sue ali erano state strappate di netto e con intenzione, e non aveva più nessuno dei suoi poteri, il che significava che non aveva trovato un modo per materializzarsi di fronte a Harry ma che era stato cacciato dal Paradiso. Era un pensiero che aveva covato ai margini del cervello per giorni ormai e che non si era mai concesso di esprimere coscientemente, ma era l’unica spiegazione logica.

Era senza ali, senza poteri.

Niall passava ogni giorno a controllare il suo stato, gli aveva anche fatto un prelievo del sangue e, per quanti valori sballati avesse trovato, non c’era niente in quel sangue che indicasse che lui fosse diverso da loro, diverso dagli esseri umani.

Era umano. E non aveva nessuna idea di cosa si dovesse fare con quella consapevolezza.

 

***

 

Louis si stava osservando la schiena allo specchio del bagno. Aveva smesso di contare i giorni sul calendario di Harry, ma doveva essere passato parecchio tempo da quando il ragazzo l’aveva portato a casa con sé, perché ora le ferite avevano assunto un colorito più roseo e si erano leggermente ridotte. Louis sapeva benissimo che le cicatrici non sarebbero andate via e gli avrebbero ricordato per il resto della sua esistenza cosa avesse perso, ma fisicamente si sentiva meglio. Niall indubbiamente sapeva il fatto suo, e lui aveva iniziato a prenderlo in simpatia. Lui e Harry si erano conosciuti quando Harry era andato a farsi togliere i punti sul mento, ed era incappato in questo infermiere tirocinante che gli aveva fatto più male del dovuto, una cosa che Harry gli aveva confidato solo anni dopo, quando ormai Niall aveva preso dimestichezza con il proprio mestiere. Louis aveva iniziato a considerare questi flashback quasi come degli amici. Se all’inizio era spaventato da tutto ciò che vedeva, e aveva fatto di tutto per evitarli, ora c’erano dei giorni in cui cercava di addormentarsi di proposito solo per ricordare. Voleva ricordare tutto ciò che riguardava Harry, e non voleva assolutamente lasciar andare Liam, con il quale ormai poteva parlare solo nelle sue visioni del passato. Più si ricordava di Liam e più l’amico gli mancava, più lo stomaco gli si stringeva all’idea che probabilmente non l’avrebbe visto mai più. Più si ricordava di Harry e più gli risultava difficile stare nella stessa stanza con lui fingendo indifferenza, fingendo di non conoscerlo, fingendo di non provare ciò che invece provava. Eppure aveva bisogno di quei ricordi, sentiva di averne bisogno per ricordare chi fosse e, soprattutto, per capire come si fosse ritrovato in quella situazione. Per quanto doloroso sarebbe stato, aveva bisogno di sapere.

“Sei sicuro di non voler venire?” Harry entrò in bagno senza bussare, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Louis aveva scoperto ormai da tempo che il ragazzo non era molto rispettoso dello spazio personale altrui, e aveva anche scoperto che la cosa in realtà non gli dispiaceva per nulla.

“Sicuro,” annuì, tirandosi giù la felpa e girandosi verso di lui.

Harry era... Harry era vestito in maniera orribile.

E meravigliosa.

E orribile.

E fantastica.

Aveva senso che un abito così brutto lo rendesse così dannatamente bello?

“Sembri Bettlejuice,” commentò Louis, cercando di non arrossire e fargli capire cosa pensasse realmente.

“Ti stai dando alla pazza gioia con i film su iTunes, eh! Sarebbe ora che ti trovassi un hobby,” replicò Harry spingendolo via dallo specchio per potersi ammirare. “Sei proprio sicuro? Niall ha detto che-“

“Sicuro.”

Sì, Louis sapeva benissimo cosa aveva detto Niall.

Niall aveva detto che, secondo lui, Louis si era ripreso quanto bastava per poter ricominciare a mettere il naso fuori casa, ma Louis si sarebbe volentieri fatto strappare nuovamente le ali pur di non doverlo fare. Gli piaceva l’appartamento di Harry, era come se quei muri avessero il potere di tenere lontane tutte le cose spiacevoli – o magari era la semplice presenza di Harry ad avere quel potere. Il mondo era frenetico là fuori, caotico, pieno di rumori che lo disorientavano e non c’era Harry a proteggerlo. Quindi no, non voleva uscire di casa, nemmeno per una sera, nemmeno per andare alla cena di Nick ‘Grimmy’ Grimshaw per festeggiare il suo nuovo lavoro in radio. Chissà cosa era passato per la testa di Harry quando aveva chiesto a Nick se poteva portare Louis con sé. Si ricordava ancora della telefonata, erano seduti ai poli opposti del tavolo della cucina e stavano giocando a Scarabeo, quando il cellulare di Harry aveva preso vita. Il ragazzo aveva risposto e, dopo qualche minuto di chiacchiere che Louis aveva seguito distrattamente, improvvisamente aveva sentito pronunciare il suo nome. Nemmeno lo conosceva questo Grimmy, se non per i ricordi legati a Harry, perché mai la sua prima uscita pubblica doveva essere proprio a quella cena?

Harry lo stava fissando attraverso lo specchio e Louis sospirò. Quanto tempo sarebbe passato prima che Harry, invece di chiedergli di uscire a cena con i propri amici, gli dicesse che ormai era guarito e poteva benissimo prendere le sue cose e andarsene per la sua strada? La verità era che Louis era terrorizzato dall’idea che quel momento potesse arrivare, ed era per questo che aveva smesso di contare i giorni sul calendario di Harry.

 

***

 

“Non ti stanchi mai, eh?” Liam si sedette con un tonfo di fianco a lui, rischiando di fargli perdere l’equilibrio e farlo ruzzolare giù dal ramo sul quale era appollaiato. Qualcosa gli diceva che l’intenzione dell’amico fosse stata proprio quella.

“Di fare cosa?” chiese con tono indifferente, fingendo di avere lo sguardo perso all’orizzonte.

“Sono abbastanza sicuro che quello sia Harry,” commentò laconico Liam, indicando il ragazzo sdraiato su una panchina poco distante dalla loro postazione. Aveva gli occhi chiusi e gli auricolari nelle orecchie. Louis sapeva che aveva messo in ripetizione ‘Time’ dei Pink Floyd... non che adesso fosse ossessionato da quella canzone per colpa di Harry, proprio no.

“Quel cretino di Oliver sta ancora dormendo. Sono le tre del pomeriggio, ti rendi conto di che razza di sbronza si è preso?”

Si aspettava che Liam lo riprendesse per aver parlato in quei termini del proprio protetto, ma il ragazzo di fianco a lui non proferì parola e Louis si accorse che stava fissando Harry. Rimasero così, in silenzio per un tempo indefinito, fino a quando Harry non riaprì gli occhi per controllare l’ora e con uno scatto se ne andò via correndo.

“Dovresti staccarti da lui. Dico sul serio, Lou.”

“Non sto facendo niente di male.” Era diventata una sorta di litania per Louis, le persone anziane passavano il loro tempo a recitare preghiere con il rosario in mano, lui a ripetere di non star facendo nulla di male.

“Sono serio, dannatamente serio, Louis.”

A Louis passò un brivido freddo lungo la schiena, che gli si propagò fino alla punta delle ali. Erano nove anni che Liam cercava quasi quotidianamente di farlo ragionare sull’argomento, ma non l’aveva mai sentito usare un tono così serio. Un tono così solenne. Si voltò verso di lui e vide che il suo sguardo era ancora fisso sulla panchina che fino a pochi minuti prima era stata occupata da Harry, e sulla quale ora si stava accomodando un signore in giacca e cravatta con un quotidiano in mano. C’era una strana espressione negli occhi di Liam, quasi come se l’angelo potesse vedere cose invisibili agli occhi di Louis, e queste gli procurassero dolore.

“Lia-“

“Ti sei divertito abbastanza a fare l’adolescente innamorato. Non voglio più vederti intorno a Harry. Farò rapporto a chi di dovere se ti becco di nuovo a gironzolargli intorno quando dovresti essere altrove. Sono stufo di questa storia.”

Così dicendo, Liam si rimise in piedi e spiccò il volo, riuscendo stavolta a fargli perdere l’equilibrio quel tanto che bastava per farlo rotolare sul prato sotto di loro. Quando Louis si rialzò, Liam era scomparso. Non aveva mai usato un tono così brusco nei suoi confronti. Non l’aveva mai minacciato prima.

Nei giorni successivi Liam prese a ignorarlo ed evitarlo, e Louis venne invaso da una sensazione orribile a cui non riusciva a dare un nome, una sensazione che non riuscì a scrollarsi dalle ali per settimane.

 

***

 

Louis aprì gli occhi di scatto e vide Harry seduto sul bordo del letto, illuminato dalla tenue luce dell’abat-jour. Gli dava le spalle e non si era accorto che lui si fosse svegliato. Sembrava concentrato su qualcosa che teneva in mano, ma Louis non riusciva a vedere cosa fosse. Indossava una semplice maglia bianca a maniche corte e i boxer, probabilmente era appena tornato a casa dalla serata con i suoi amici e si accingeva a mettersi a dormire.

I due avevano continuato a dividere il letto anche dopo che Louis aveva iniziato a riprendersi, quando non c’era più bisogno che Harry lo sorvegliasse ventiquattrore su ventiquattro. Anche se dall’esterno sarebbe potuto sembrare alquanto bizzarro, a Louis pareva così normale che quasi non si ricordava di aver mai vissuto una realtà nella quale Harry non occupasse l’altra metà del letto. C’erano notti in cui non riusciva a dormire e passava ore ad osservarlo, i ricci che gli ricadevano ribelli sul viso, il respiro regolare e l’espressione serena. Era anche diventato audace: c’erano momenti in cui si concedeva di allungare una mano per tracciare i contorni del suo viso con un dito. C’erano momenti in cui si ritrovava ad accarezzargli un braccio senza nemmeno rendersene conto. C’erano momenti in cui non era nemmeno sicuro che Harry stesse dormendo sul serio, ma non si era mai sottratto a quei contatti e il cuore di Louis perdeva sempre qualche battito in quelle occasioni. Poi c’erano le notti in cui si svegliava all’improvviso da uno dei suoi flashback e si ritrovava completamente avvolto dalle braccia di Harry, senza capire se il ragazzo l’avesse scambiato per un peluche, o se l’avesse fatto consapevolmente. Infine c’erano le notti in cui Harry gli si rannicchiava contro con le scuse più assurde – il freddo, il rumore della pioggia troppo forte, il film horror che Louis l’aveva costretto a guardare – e si faceva piccolo piccolo in modo da riuscire a incastrarsi alla perfezione contro il corpo di Louis.

In quei momenti Louis provava un’overdose di emozioni e sensazioni indescrivibili. Aveva passato anni a chiedersi come sarebbe stato poter interagire con Harry, poter parlare con Harry, poterlo toccare e farsi toccare da lui, e nessuna delle sue fantasie si era avvicinata nemmeno lontanamente alla realtà. C’erano momenti in cui Louis pensava che, in fondo, non aveva poi così tanto bisogno delle sue ali.

Sentì Harry sospirare e si accorse che, qualunque fosse l’oggetto che teneva fra le mani, lo stava accarezzando. Un pupazzo, forse? Perché Harry sentiva la necessità di accarezzare un pupazzo nel bel mezzo della notte, sospirando? Si alzò su di un gomito, cercando di identificare l’oggetto e in quel momento Harry si girò di scatto, sorpreso.

“S-sei sveglio!” esclamò agitato, lasciando cadere ciò che aveva in mano prima che Louis potesse vederlo. Poi si chinò a raccoglierlo e lo chiuse nervosamente nel cassetto più basso del comodino.

Louis si mise seduto, Harry invece si buttò sotto alle coperte e spense la luce.

“Cos’era?”

“Uhm? Niente, un calzino.”

Louis si chinò sopra di lui per accendere di nuovo l’abat-jour.

“Accarezzavi un calzino?” chiese scettico, fissandolo dritto negli occhi.

“Faccio quello che mi pare,” tagliò corto Harry, spegnendo nuovamente la luce. Louis rimase imbambolato al buio, ancora piegato sopra di lui, a chiedersi che razza di problemi avesse Harry a volte. Lasciava frasi in sospeso, lo fissava sempre più intensamente di quanto non fosse lecito fare fra estranei – o qualunque cosa fossero – e ora si agitava così tanto per un calzino. Sapeva che non erano affari suoi, sapeva che in fondo non aveva nessun diritto di impicciarsi degli affari di Harry, ma si ritrovò comunque a scavalcarlo e a rotolare sul pavimento dall’altra parte, imprecando al buio perché nell’impresa aveva finito con lo sbattere il piede contro lo spigolo del comodino.

“Cosa stai facendo?!” chiese Harry allarmato, tirandosi su e accendendo l’abat-jour e la luce della stanza in una mossa unica, illuminando a giorno i propositi di Louis. Si rendeva assolutamente conto che quella scena fosse assurda e infantile, Louis se ne rendeva perfettamente conto. Ma i muscoli del suo corpo opponevano resistenza agli input mandati dal suo cervello, che gli stavano urlando di rispettare la privacy di Harry e tornarsene a dormire.

Poi toccò il cassetto.

Lo sfiorò appena.

Fu un attimo.

Louis sfiorò il bordo del cassetto e nello stesso istante una fiamma si innalzò prepotente fra lui e il comodino, facendolo arretrare con un urlo prima di estinguersi con la stessa rapidità con la quale era comparsa. Si voltò spaventato verso Harry e, quando i loro sguardi si incrociarono, capì che non aveva avuto un’allucinazione, che anche Harry aveva visto quella fiamma e che era sconvolto tanto quanto lui. Rimasero in silenzio per qualche istante, gli sguardi incatenati fra loro, come se avessero paura che rompendo quel contatto visivo potesse succedere qualcosa di terribile. Alla fine fu Harry a farlo, fu Harry a distogliere lo sguardo da lui e portarlo sul comodino. Louis lo vide osservare il comodino, poi lui, poi di nuovo il comodino, poi di nuovo lui. Sul suo volto stavano passando decine di emozioni diverse, che si alternavano a una velocità che lasciò Louis ancora più stordito di quella fiamma.

“Da dove vieni, Louis?” gli chiese infine Harry, fissando lo sguardo sul cassetto.

“In- in che senso?”

“Da dove vieni, Louis? Dove sei nato, Louis? Dove abiti, Louis? Cosa ti è successo, Louis? Lo so che stai ricordando tutto, Louis, non sono stupido.”

Louis non credeva di aver mai sentito menzionare il suo nome così tante volte in una sola frase e quelle domande lo presero completamente in contropiede.

Harry continuava a fissare ostinatamente il comodino, e ora aveva un’espressione indecifrabile.

“Yorkshire...” disse la prima cosa che gli passò per la mente, cos’altro poteva fare? ‘Hey, ciao, sono Louis! Prima che mi strappassero le ali e mi lanciassero sulla Terra con la grazia che si usa per calciare una palla da rugby, ero un angelo custode che passava le sue giornate a sognare di poter parlare con uno stupido umano di cui si era innamorato. Ma tranquillo, ora sono umano, vuoi essere mio amico? Ah, e per la cronaca... sei tu quello di cui ero innamorato. Di cui sono innamorato.’

“Yorkshire?” Harry si decise finalmente a guardarlo, l’espressione accigliata. “Ti ripeto che non sono stupido, Louis.”

No? Louis ce l’aveva l’accento dello Yorkshire, gli era sempre piaciuto quell’accento e aveva deciso di farlo suo centinaia di anni prima. Quando aveva raccontato questa storia a Liam, l’amico l’aveva preso in giro per mesi.

Harry sospirò.

Louis non gli rispose.

Non gli sembrava giusto mentire ancora, ma non poteva nemmeno raccontargli la verità, semplicemente non poteva. E la sua storia era così assurda per la mente di un umano, che probabilmente Harry avrebbe chiamato Niall per farlo internare.

“L’ho trovata una mattina sul mio cuscino. Il giorno prima c’era stato il funerale di mia nonna. Ero molto attaccato a lei, pensavo che avrei passato un bel po’ di notti insonni a piangere, e invece quella notte...” Louis sgranò gli occhi a quelle parole. Di cosa stava parlando, Harry? La sua mente stava cercando disperatamente di collegare tutto, di dare un senso a quelle parole, ma era come se il suo subconscio rifiutasse di accettare il loro significato. “Io... non mi sono mai più sentito solo dopo il funerale della nonna. Ho sempre pensato che fosse lei, che stesse vegliando su di me da lassù... Ma poi ogni tanto... Ogni tanto incrociavo gli occhi di qualcun altro... Ma non c’era mai nessuno intorno a me... Come se... Erano blu...”

Le tempie di Louis presero a pulsare freneticamente.

Harry si era zittito e ora fissava il pavimento.

Rimasero così per un tempo indefinito e Louis non sapeva cosa fare, cosa dire.

Infine Harry si mosse e aprì il cassetto. Non ci fu nessuna fiamma stavolta, nessun fenomeno fuori dall’ordinario. Louis la vide. Adagiata in mezzo ai calzini di Harry, c’era una piuma. Una lunga piuma morbida color del ghiaccio. Ecco cosa aveva trovato Harry sul cuscino la mattina dopo il funerale di sua nonna. Ecco perché si era alzata una fiamma quando lui aveva tentato di aprire il cassetto, perché non poteva toccare quella piuma, quella piuma che era stata sua.

Sentì gli occhi riempirglisi di lacrime mentre la fissava, e sentiva che Harry aveva posato di nuovo lo sguardo su di lui.

Lo sentì muoversi, lo vide mettersi fra lui e quella piuma.

Il verde degli occhi di Harry si perse nel blu dei suoi, perché i suoi occhi erano blu, erano dannatamente blu, erano gli stessi occhi blu che incrociavano quelli verdi di Harry e pensavano di non essere ricambiati.

Piangeva e guardava Harry, consapevole del fatto che lui avesse capito tutto, che non ci fosse niente da spiegare, che non ci fosse mai stato niente da spiegare fra loro.

Poi le lacrime presero a scorrere anche sulle guance di Harry, e Louis allungò una mano per asciugargliele, perché non voleva che Harry piangesse, perché l’unica cosa che aveva sempre voluto era che Harry fosse felice.

Harry gli afferrò la mano e si chinò su di lui.

Le sue labbra erano così morbide... e fu solo dopo aver espresso questo pensiero che Louis si rese conto che Harry lo stava baciando. Lo stava baciando con decisione, lo stava baciando come se non avesse mai voluto fare altro per tutta la sua vita, come se non volesse fare altro per il resto della sua vita. Si ritrovò schiena a terra, il corpo di Harry che premeva sul suo, le labbra di Harry che non sembravano intenzionate a interrompere per nessun motivo al mondo il contatto con le sue. Stavano ancora piangendo entrambi, ma Louis non sapeva più perché. Non sapeva se stesse piangendo per ciò che aveva perso, o per ciò che aveva guadagnato. Non sapeva se Harry stesse piangendo perché era tutto troppo assurdo e senza senso, o perché finalmente si erano trovati. Le mani di Harry gli si infilarono di prepotenza sotto alla maglietta, e Louis represse un gemito sulle labbra del ragazzo a quel contatto improvviso. Harry sorrise fra le lacrime senza staccarsi da lui. Louis prese coraggio e seguì il suo esempio, e pochi istanti dopo erano entrambi senza maglietta. Le labbra di Harry si staccarono dalle sue e presero a baciargli ogni centimetro di pelle nuda a disposizione, mentre Louis gli passava una mano fra i capelli afferrandogliene una ciocca e aggrappandosi ad essa.

Mai, mai nemmeno per un istante si era concesso di pensare che un giorno tutto questo avrebbe potuto essere reale. Per anni aveva lasciato correre l’immaginazione, aveva permesso che Harry diventasse il centro del suo universo, aveva sognato a occhi aperti come sarebbe potuto essere vivere nello stesso mondo di Harry. Ma mai, nemmeno una volta, si era permesso di nutrire speranza.

“Non voglio farlo così, non mentre piangi.” Le labbra di Harry erano tornate a sfiorare le sue, bisbigliando quelle parole.

“Anche tu stai piangendo,” gli fece notare Louis, e scoppiarono a ridere entrambi.

Finirono per addormentarsi sul pavimento, stretti l’uno all’altro, avvolti nel piumone che Harry aveva tirato giù dal letto.

 

***

 

“Non ha molto senso quello che dici,” piagnucolò Harry deluso.

Erano sdraiati sul divano e stavano aspettando il cibo d’asporto – Louis aveva deciso che voleva provare il cinese, quella sera. Harry era accoccolato contro di lui e lo stava riempiendo di domande. Per settimane non gli aveva chiesto niente, quando avrebbe avuto tutto il diritto di farlo, visto che l’aveva accolto in casa sua. Invece da due giorni a quella parte lo stava tartassando. A Louis non dava fastidio anzi, era liberatorio potergli finalmente parlare apertamente. E poi lo trovava incredibilmente tenero quando aggrottava le sopracciglia cercando di mettere in ordine gli eventi.

“Ti dico che non ero il tuo angelo custode,” rise Louis. Harry era rimasto sconvolto da quella rivelazione e non voleva farsene una ragione. “Quello è Liam.”

“E io ti dico che non ha senso. Sarebbe molto più romantico se fossi stato tu,” così dicendo si allungò a dargli un bacio sulle labbra e Louis pensò che non si sarebbe mai abituato a quella nuova quotidianità. “Dici che mi piacerebbe questo Liam?”

“Era il mio migliore amico,” fece spallucce Louis, con una nota di rimpianto nella voce. Sì, a Harry Liam sarebbe piaciuto tantissimo. Per un attimo si immaginò una serata al pub, lui, Harry, Liam e magari Niall. Gli sembrava un quadretto perfetto.

Harry si tirò su e lo prese sottobraccio, sfiorandogli i capelli con le labbra. “Sono sicuro che è qui che veglia anche su di te,” gli disse, stringendolo forte.

Da quando lui e Harry si erano baciati, aveva smesso di avere i flashback. Louis sapeva che probabilmente questo dipendeva dal contatto che aveva avuto con la sua piuma, ma gli piaceva pensare che ad averlo ‘guarito’ fosse stato Harry. Era bello poter chiudere gli occhi senza effetti collaterali, ma ora sentiva la mancanza di Liam molto più di prima. Senza flashback aveva perso ogni punto di contatto con lui, ammesso che di contatto si potesse parlare, e così quando era solo aveva iniziato a parlare ad alta voce rivolgendosi a lui, sperando che lo potesse sentire. Senza flashback a intasargli la mente, aveva anche avuto tempo per mettersi a riflettere seriamente, per la prima volta da quando era finito sulla Terra. Continuava a non sapere cosa potesse essere successo, siccome le guerre angeliche raramente coinvolgevano gli angeli custodi e comunque non ricordava ce ne fossero in corso. Questo significava solo una cosa: lui aveva infranto qualche regola grave e quella era stata la sua punizione. Quello che non gli tornava, era il fatto che fosse finito proprio fra le braccia di Harry, annullando in un certo qual modo l’effetto di tale punizione. A dirla tutta, non si era mai sentito così felice in tutta la sua vita.

“Ci sono io qui con te,” gli sussurrò Harry fra i capelli e Louis si sporse verso di lui cercando le sue labbra con le proprie e, quando le trovò, lo attirò a sé afferrandolo per la maglia. Gli piaceva sentire il peso di Harry addosso, gli piaceva che fosse lui a condurre quel gioco così nuovo per lui. Strinse le gambe intorno a quelle di Harry, mentre le mani del ragazzo si facevano strada sotto ai suoi vestiti e le sue labbra scendevano piano sul suo collo, per poi fermarsi nell’incavo della sua spalla. Lo sentì mordere e sorrise all’idea che gli sarebbe rimasto un segno rosso in quel punto, una sorta di marchio di appartenenza lì in bella vista. Louis lasciò che Harry esplorasse ogni millimetro di pelle scoperta che aveva, e poi decise che voleva di più, che era stufo di tutti quei vestiti che lo separavano da Harry, che aveva passato abbastanza tempo della sua vita lontano da lui e che ora voleva tutto, tutto ciò che Harry aveva da dargli. Afferrò i bordi della maglia di Harry e l’altro accettò subito l’invito. Prima sparirono le maglie, poi i pantaloni, ma a Louis non sembrava mai abbastanza.

Fu in quel momento che suonò il campanello.

“Merda, il take away,” imprecò Harry, tornando a cercare le labbra di Louis.

“Non me ne importa nulla,” replicò Louis, senza riuscire a trattenere un gemito più sonoro degli altri quando Harry gli morse il labbro inferiore.

“Nemmeno a me.”

E poi le mani di Harry furono nei suoi boxer, e quelle di Louis nei boxer di Harry, e poi i boxer erano scomparsi e finalmente fra loro due non c’era più niente.

“Nove dannati anni...” sussurrò Louis in un gemito mentre la mano di Harry si chiudeva sulla sua erezione. “Nove fottutissimi anni.”

“Gli angeli non dovrebbero parlare così.” Il sorriso di Harry mentre riprendeva a baciarlo era così immenso, che Louis per un attimo pensò che sarebbe annegato nelle fossette che gli si erano formate sulle guance. O che sarebbe annegato nella sensazione che provava al basso ventre e che si intensificava ogni secondo di più. In ogni caso, era dannato per l’eternità.

“Fanculo,” replicò e Harry scoppiò a ridere. Louis approfittò di quel momento di distrazione dell’altro per capovolgere le loro posizioni, perché voleva tutto di Harry, ma voleva anche che Harry avesse tutto di lui. Harry non rideva più, ora lo fissava con quegli occhi verdi che gli parevano enormi e nei quali Louis riusciva a leggere le sue stesse emozioni.

Dio, quanto lo amava.

Ed era vero, era tutto vero, Harry era lì.

Era lì, nudo sotto di lui, e aspettava solo che Louis facesse la prossima mossa.

Louis intrecciò le proprie dita con quelle di Harry, stringendogli forte la mano mentre tracciava con la lingua una linea che partiva dalle labbra, scendeva lungo il collo per poi attraversargli il petto, giù, sempre più giù. Quando arrivò in prossimità dell’ombelico, si fermò e alzò lo sguardo. Harry ora aveva gli occhi chiusi, il corpo che tremava leggermente sotto il suo. Louis decise di rompere gli indugi così, all’improvviso. Si abbassò di scatto e accolse l’erezione di Harry nella propria bocca, prima con movimenti lenti e delicati e poi con decisione sempre maggiore. Sentì il corpo di Harry contrarsi, lo sentì emanare un gemito che terminò in un sospiro liberatorio e Louis prese ancora più coraggio. Non era sicuro se quello che stesse facendo fosse giusto – dannazione, che ne poteva sapere un angelo di quelle cose? – ma i gemiti di Harry che acceleravano sempre di più, erano l’unica validazione di cui aveva bisogno.

 

***

 

“Spero proprio che tu sia andato a farti un giro. Magari a controllare come se la passa Oliver, visto che io non posso più farlo.” Louis stava monologando con Liam mentre si preparava un tè. Quella mattina Harry aveva ricevuto una chiamata dall’ufficio ed era stato costretto ad andare al lavoro, lasciandolo solo a ripensare a quello che era successo la sera prima. Che si era poi ripetuto anche durante la notte. E poi quella mattina. E magari sarebbe successo nuovamente quella sera, quando Harry fosse tornato dal lavoro. Sentì il viso prendergli fuoco mentre aggiungeva un po’ di latte al tè. Perché nessuno gli aveva mai detto che il sesso era così bello? O forse era solo quello con Harry così, ma non era un problema che lo riguardava visto che Harry era suo.

Harry era suo.

Sorrise mentre si sedeva sul divano con la tazza di tè in mano.

Harry gli aveva raccontato che l’aveva accolto in casa solo perché inizialmente non sapeva cosa fare e non poteva lasciarlo in mezzo alla strada. Gli aveva detto che, nei giorni successivi, aveva pensato più volte di chiamare il pronto soccorso, farlo venire a prendere e lasciare che fosse qualcun altro a occuparsi della sua situazione. Non l’aveva fatto perché ogni volta che prendeva il telefono in mano con quell’intenzione, gli si stringeva la bocca dello stomaco e avvertiva un senso di perdita. Come se affidare Louis a qualcun altro e proseguire con la sua vita, fosse una decisione che avrebbe rimpianto per sempre senza nemmeno saperne il motivo. Si era accorto subito dei suoi occhi blu, se n’era accorto nel taxi mentre lo portava a casa. Erano gli stessi occhi blu che ogni tanto gli capitava di incrociare a mezz’aria, là dove non doveva esserci nessuno, dove non c’era nessuno. E così aveva deciso di tenerlo con sé, aveva deciso che non poteva lasciar andare Louis, anche se si sentiva un pazzo ogni volta che formulava quei pensieri. E invece alla fine aveva avuto ragione: se avesse lasciato andare Louis, se ne sarebbe pentito per il resto dei suoi giorni senza averne idea.

Louis non riusciva a credere di essere stato così fortunato da incappare proprio in Harry. Il mondo era popolato da sette miliardi di persone, e lui era finito dritto fra le sue braccia. Questa non poteva essere fortuna, non poteva nemmeno essere una semplice coincidenza.

“Grazie, Liam,” sussurrò sul bordo della tazza.

Era stato Liam, ne era sicuro.

Qualunque cosa fossa successa, sapeva che era stato Liam ad aiutarlo, a farlo incontrare con Harry. Più ci pensava, e più era l’unica spiegazione che avesse senso.

 

***

 

“Questa è Londra, giusto?” chiese a Harry una sera, mentre guardavano il Grande Fratello, programma a cui Louis si era affezionato morbosamente.

“Sì, Lou, è Londra,” sorrise Harry. Sorrideva sempre quando Louis gli faceva domande stupide come quella, come se fosse un bambino che scopriva il mondo per la prima volta.

“Bene. Devi aiutarmi, allora.” Harry inarcò un sopracciglio con aria interrogativa e Louis tolse l’audio al televisore. “Devi aiutarmi a trovare Oliver. Non è difficile, so esattamente dove abita ma non ho idea di come muovermi... Insomma... Senza ali?” Si sentiva estremamente stupido, ma era la verità. Non aveva idea di come muoversi sulla Terra, era sempre stato abituato a volare da un posto all’altro senza porsi problemi, senza contare il fatto che all’occorrenza poteva materializzarsi dove voleva senza nemmeno prendersi il disturbo di fare fatica. A dirla tutta, non aveva mai messo il naso fuori dall’appartamento di Harry. Ne avevano parlato qualche giorno prima, di come avrebbe dovuto ricostruirsi una vita, trovarsi un lavoro, essere umano, insomma. Ma prima di preoccuparsi di quello, aveva bisogno di vedere Oliver, di sapere che se la sarebbe cavata anche senza di lui.

“Okay, ti farò scoprire le gioie della metropolitana allora! Dove abita Oliver?”

“Al numero 9 di Allen Street, è a Kensington.”

Louis sentì Harry irrigidirsi di fianco a lui.

L’espressione nei suoi occhi verdi si era congelata.

“S-sei sicuro?” gli chiese, la voce improvvisamente debole.

“Sì, sicurissimo.”

Harry non replicò. Era sbiancato e aveva stretto le mani in due pugni che tremavano contro la superficie del divano. Louis non era sicuro di capire cosa stesse succedendo. Harry e Oliver non si conoscevano, le loro strade non si erano mai incrociate e questo lo sapeva per certo. In fondo sapeva tutto di Oliver, perfino le cose di cui avrebbe fatto volentieri a meno.

“C-come, c-come si c-chiama di c-co-cognome?” La voce di Harry si era fatta così flebile che Louis quasi non lo sentì.

“Wri-“

“No! Non puoi andare a trovarlo.” Harry si era alzato di scatto, ora il suo tono era anche fin troppo alto.

“Perché no?” Louis si sentiva confuso. Cosa stava succedendo?

“Non ha senso, Louis! Non hai più obblighi verso di lui e, anche se ne avessi, non hai i tuoi poteri o qualunque cosa fossero. E' un capitolo passato della tua vita, ora... forse dovresti lasciar perdere.” Ora Harry sembrava spaventato.

“Cosa c’è di male? Non ho certo intenzione di andare a presentarmi, voglio solo vederlo, anche da lontano... sei peggio di Liam e delle sue ramanz-“

“Oliver è morto, Louis.”

Louis si sentì raggelare.

Poi sentì una risata nervosa venir fuori dalla sua bocca.

Non aveva mai sentito Harry usare quel tono freddo e serio, non pensava nemmeno che Harry potesse essere capace di imitarlo per scherzo.

E comunque Oliver doveva morire a settantasei anni, se lo ricordava benissimo.

“Non dire idiozie. Okay, ha una relazione fin troppo intima con la bottiglia ma-“

“Louis, ti prego...” Harry finalmente si decise a guardarlo, e i suoi occhi lo stavano supplicando.

Louis aprì la bocca per dire qualcosa, ma un dolore lancinante alla tempia lo bloccò.

La fitta si propagò istantaneamente anche alla schiena e poi Louis non vide più niente.

 

***
 

Louis stava volando al di sopra del traffico londinese. Non invidiava per niente tutte quelle persone costrette a farsi ore e ore di coda ogni giorno solo per sbrigare le proprie commissioni. Quello era un giorno brutto, Oliver sarebbe rimasto coinvolto in un incidente stradale e Louis immaginava che avrebbe passato ore in attesa al pronto soccorso, solo perché gli facessero due lastre e decretassero che stava benissimo. A Louis non piacevano gli ospedali, non gli piaceva nulla di ciò che accadeva negli ospedali. Non gli piaceva nemmeno l’idea di dover assistere a un incidente stradale, non sapeva cosa sarebbe successo alle altre persone coinvolte, ma in quei casi c’era sempre qualcuno che si faceva male e lui si sentiva un pelino egoista a pensare che fortunatamente quel qualcuno non sarebbe stato Oliver.

Arrivò sul luogo dell’incidente e si sedette sul cornicione di un palazzo, in attesa.

“Cosa ci fai qui?” il tono brusco di Liam lo fece sobbalzare. L’amico aveva un’espressione addolorata in volto, ma Louis non ci diede peso, preso com’era a osservare il traffico sotto di lui, cercando di avvistare la macchina di Oliver.

“Il mio lavoro, così nessuno potrà rompermi le palle almeno per oggi.”

“Vattene, Louis.”

Il tono perentorio di Liam attirò la sua attenzione, facendogli gelare il sangue nelle vene.

“Oliver passerà di qui fra poco e-“

“Vattene. Ti prego, Louis, vattene.”

Louis ora percepiva chiaramente il magone di Liam, il suo dolore.

Gli si attorcigliarono le viscere, mentre il panico si faceva strada dentro di lui.

Tu cosa ci fai qui?” gli chiese dopo un istante di silenzio.

Sapeva qual era la risposta.

Liam fece per aprire la bocca, quando sotto di loro si scatenò l’inferno.

Una donna si mise a urlare disperata quando il bimbo che teneva per mano si divincolò dalla sua presa, e si lanciò in mezzo alla strada per recuperare la biglia che gli era rotolata via.

Una Mini nera sterzò all’improvviso per evitare il bambino, finendo nella corsia opposta e andando a sbattere contro a un’altra Mini – azzurra – che non riuscì a frenare in tempo per evitare la collisione.

Scoppiò il caos fra i passanti e gli altri automobilisti, in meno di mezzo minuto si formò un capannello di persone intorno alle due macchine, gente che parlava concitata al telefono chiamando l’ambulanza, gente che urlava.

Nella Mini azzurra c’era Oliver.

Oliver ne sarebbe uscito illeso, Louis lo sapeva.

Ma la Mini nera...

Spiegò le ali per scendere in strada e Liam lo afferrò per un braccio.

“Non farlo, Louis, ti prego.”

Stava piangendo, Liam aveva il viso pieno di lacrime.

Louis se lo scrollò di dosso e planò sull’asfalto, vicino alle due macchine.

Non poteva essere, anche se improvvisamente tutto aveva senso: il fatto che Liam fosse diventato brusco, freddo e più insistente del solito. Voleva farlo staccare da Harry a tutti i costi, perché Liam sapeva quello che sarebbe successo.

Vide il sangue ancora prima di riconoscere Harry.

Era incastrato nell’abitacolo della sua stessa automobile, privo di sensi, ricoperto di sangue.

La ferita era alla testa, il sangue gli colava copioso lungo le guance, sui vestiti.

Non poteva sopravvivere, era impossibile.

Ma in quel momento era ancora vivo, Louis riusciva a sentirlo.

E se era ancora vivo, significava che Louis poteva ancora salvarlo.

“Non farlo, Louis, andiamocene,” sentì la mano di Liam stringersi nuovamente intorno al proprio braccio, sentì la disperazione nella sua voce. “Non puoi farlo, Louis, lo sai che non puoi!”

Lo sapeva, eccome se lo sapeva.

Salvare Harry significava alterare l’ordine delle cose.

Ci sarebbero state conseguenze.

Lo sapeva benissimo qual era la punizione per gli angeli che violavano quella regola fra tutte.

Gli avrebbero strappato le ali.

Lo avrebbero gettato sulla Terra, condannandolo a una vita miserevole, ammesso che fosse riuscito a sopravvivere alla perdita delle ali. Non erano in molti a farcela, Louis non si illudeva.

Ma non gli importava.

“Louis...” La presa di Liam si fece più debole. Louis si voltò verso di lui, mentre gli occhi gli si inondavano di lacrime.

“Grazie, Liam, grazie per essere stato mio amico. Grazie per avermi permesso di innamorarmi di Harry e di provare-“ la voce gli morì in gola.

“Ti prego...” Liam lo abbracciò e lui ricambiò, sapendo che non si sarebbero visti mai più, sapendo che quella sarebbe stata la fine per lui.

Poi si allontanò dall’amico e, senza voltarsi indietro, si avviò deciso verso l’auto di Harry.

 

***

 

Louis si svegliò di soprassalto.

Era accoccolato sul divano fra le braccia di Harry.

Lo schermo del televisore mostrava ancora immagini del Grande Fratello, l’audio era ancora muto.

Harry stava piangendo. Singhiozzava, stringendolo forte.

Ecco cosa era successo. Aveva salvato Harry, l’aveva salvato e per quello era stato punito.

Oliver era morto, ovvio che fosse morto. Per riequilibrare le cose, per pareggiare i conti, qualcuno era dovuto morire al posto di Harry. Il ragazzo rimasto senza angelo custode perché il suo angelo custode aveva deciso di sacrificarsi per salvare qualcun altro.

Si strinse forte a Harry. Non voleva che si sentisse in colpa, Harry non doveva sentirsi in colpa. Era stato lui a prendere quella decisione, l’aveva presa consapevole delle conseguenze e, per quanto facesse male, sapeva che se fosse potuto tornare indietro nel tempo, avrebbe deciso di nuovo di salvare Harry.

“È stato Liam,” disse rompendo il silenzio. Harry lo guardò confuso. “È stato Liam a fare in modo che fossi fuori dal tuo ufficio quel giorno. Ne sono sicurissimo.”

Quello che Louis voleva dire era, che se Liam aveva deciso di aiutarlo – violando a sua volta delle regole, per le quali Louis sperava non avesse subito conseguenze – significava che aveva capito. Aveva capito che per lui Harry era tutto, aveva capito e l’aveva perdonato per ciò che aveva fatto, per essersi intromesso. Non sapeva come esprimere quel pensiero ad alta voce, ma sentì che Harry aveva capito, perché si asciugò le lacrime con la manica della felpa e il suo corpo si rilassò leggermente.

Era difficile accettare quello che era successo, lo era per entrambi. Ma ce l’avrebbero fatta, per la prima volta da quando si era svegliato solo e spaventato in mezzo a una delle strade più caotiche di Londra, Louis era sicuro che sarebbe andato tutto bene.

Le ferite potevano rimarginarsi, quelle sulla sua schiena lo dimostravano, bastava che ci fosse qualcuno disposto a prendersene cura. Lui si sarebbe preso cura di Harry e Harry di lui.

E poi c’era Liam.

Louis sperava con tutto se stesso che aiutarlo non gli fosse costato un prezzo troppo alto da pagare, sperava che nessuno se ne fosse accorto, che una volta liberatisi di lui nessuno si fosse preso la briga di tenere monitorate le sue sorti. E Liam li avrebbe protetti, Liam avrebbe vegliato pazientemente su di loro pur non sapendo nulla di cosa il domani potesse riservargli, perché Louis non era nato umano e Harry non doveva essere vivo, quindi da lì in poi sarebbe toccato a loro scrivere le loro storie.

Potevano farcela. Insieme.

Si addormentarono stretti l’uno all’altro così, sul divano, con la televisione accesa senza audio.

La mattina dopo, quando Louis aprì gli occhi, trovò una piuma posata delicatamente su di loro.

Era grigia, di un grigio intenso e luminoso che avrebbe riconosciuto ovunque.

La accarezzò sorridendo, prima di rannicchiarsi meglio contro il corpo caldo di Harry e chiudere nuovamente gli occhi.

Sarebbe andato tutto bene.

NOTE.
Innanzitutto, questa OS è parte del mio regalo di compleanno a Michela (
), mi sembra ieri quando mi disse che stava iniziando a interessarsi a sti gioppini dei 1D e la mia prima domanda era stata "SHIPPI LARRY?", quando lei ancora non sapeva nemmeno i loro nomi. I quesiti importanti della vita, I guess xD Lo so che non lo dico quasi mai ad alta voce, ma TI VOGLIO BENE, tanto. E ovviamente, di nuovo A U G U R I 
Poi devo fare un ringraziamento grande come la via Lattea a Linda, che mi ha sopportata pazientemente mentre scrivevo e che mi ha betato la storia. E a Silvia, che si è prestata a fare da seconda cavia, grazie ragazze, davvero! (  anche a voi!)
Infine, questa OS si intitola Hey Angel perché l'ho scritta nei giorni in cui Harry continuava a buttare lì lyrics a caso su twitter, e be', mi sembrava appropriato. Voglio bene anche a te Haz, anche se ti diverti a tirarci sceme 
   
 
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