Anime & Manga > Psycho-Pass
Ricorda la storia  |      
Autore: Ortensia_    25/11/2015    3 recensioni
Esattamente come quando era piccolo, si era fermato a osservare il movimento delicato della mano destra del padre a pochi centimetri dalla tela, l'ondeggiare sinuoso delle setole impregnate di pittura, la ghiera opaca come un occhio cieco, consumata da vecchie e nuove macchie di vernice.
[ Seconda classificata al contest "Quando t’incontrai quell’estate" indetto da — Fear sul forum di EFP ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nobuchika Ginoza, Totomi Masaoka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo storia: Linea spezzata
Nickname sul forum e EFP: NeuPreussen / Neu Preussen
Fandom: Psycho-Pass
Personaggi + eventuali coppie: Ginoza Nobuchika; Masaoka Tomomi
Rating: verde
Avvertimenti + note: Missing Moments; Spoiler!
Introduzione: Esattamente come quando era piccolo, si era fermato a osservare il movimento delicato della mano destra del padre a pochi centimetri dalla tela, l'ondeggiare sinuoso delle setole impregnate di pittura, la ghiera opaca come un occhio cieco, consumata da vecchie e nuove macchie di vernice.
Note dell'autore: mi sono iscritta perché subito dopo aver letto il bando del contest sapevo già che cosa volevo scrivere, ma ciò non mi ha impedito di incontrare innumerevoli difficoltà nella stesura di questa shot.
Vuoi lo stress da tesi di laurea, vuoi la stanchezza dovuta a orari di corso improbabili, non sono riuscita a fare più di così.
Avrei voluto spingermi molto più a fondo con l'introspezione di Ginoza, ma così facendo probabilmente avrei privato la shot di incisività e della già minuscola quantità di tristezza che aleggia su di lei (perché sì, mi sono iscritta non appena ho letto il bando, ma a parer mio non sono mai stata particolarmente brava a trasmettere tristezza, ngh).
Un'altra difficoltà – la più grossa – è che io non posso sopportare i flashback, a meno che questi non vengano semplicemente riportati dal personaggio – come in questo caso. Probabilmente se avessi scritto un flashback e trattato più dettagliatamente l'ultimo giorno di Ginoza insieme a suo padre avrei reso più triste questa shot, ma in verità, considerando il rapporto difficile dei due, immagino che non ci sia molto da raccontare del loro ultimo giorno, per tanto ho preferito concentrarmi maggiormente sulla frustrazione e il rimorso di Nobuchika, dovuti proprio al fatto che abbia continuato a dimostrare ostilità nei confronti del padre anche poche ore prima della sua morte (dopotutto la morte non si può prevedere, no?)
Passando al contenuto della shot, ho ben poco da dire:
- Il Sibyl è stato introdotto fra il 2090 e il 2100, Ginoza è nato nel 2084, perciò si può dire che i suoi primi sei anni siano stati felici e liberi. Tutto è cambiato con l'avvento del Sibyl, perché il coefficiente di criminalità troppo alto di suo padre ha originato problemi sia con la consorte che con Nobuchika stesso;
- La sala ricreativa... beh, è il luogo dove Akane e Masaoka parlano in uno dei primi episodi, mentre Masaoka sta, per l'appunto, dipingendo un quadro (non so se questo luogo ha un nome, io l'ho voluto battezzare a modo mio/?/);
- Il contest si basa sul tema dell'ultimo giorno e su una serie di citazioni di Murakami. La citazione che ho scelto viene da “La fine del mondo e il paese delle meraviglie” ed è la seguente: “Avrei voluto mettermi a piangere forte ma non potevo. Non avevo più l’età per versare lacrime, avevo fatto troppe esperienze. Esiste anche questo al mondo, la tristezza di non poter piangere a calde lacrime. È una di quelle cose che non si può spiegare a nessuno, e anche se si potesse, nessuno la capirebbe. È una tristezza che non può prendere forma, si accumula quietamente nel cuore come la neve in una notte senza vento”;
- La citazione che ho inserito alla fine non era prevista (?) e viene anch'essa da “La fine del mondo e il paese delle meraviglie”.
Mi auguro che la shot non sia né troppo corta né troppo banale, e soprattutto che il mio piccolo lavoro di analisi (?) sia riuscito.



Linea spezzata



In un mesto mondo di ologrammi, suo padre è divenuto la fosca e fantasmatica proiezione del suo inconscio.
Ginoza percepisce chiaramente l'austero rigore della lapide sotto il palmo della mano destra, chiude gli occhi inspirando con forza, come se si stesse preparando a una lunga immersione che, effettivamente, si realizza la maggior parte delle volte e dà luogo a un inabissamento mentale dal quale risulta sempre più complicato riemergere.
Ogni volta che torna alla realtà, subito dopo essersi concesso un istante per pensare, ha l'impressione di trovarsi un passo più vicino all'abisso, al punto di non ritorno, talmente sfibrato da vegetare in un ripugnante limbo posto fra l'incorporeo e il vuoto.
Fino a questo momento, il complesso della sua esistenza è stato alimentato da un regolare susseguirsi di ultime volte, di ultimi giorni.
Non riesce a ricordare come fosse la sua vita prima dell'avvento e dell'ingiunzione del Sibyl e della separazione dei suoi genitori, ma capita frequentemente che nel pieno della notte i singulti di sua madre dilanino la spessa superficie del suo inconscio e dischiudano spiragli così luminosi da risultare imperscrutabili, interrompendo bruscamente il suo sonno.
La voce di sua madre non esiste nella sua realtà attuale, si tratta piuttosto di una reminiscenza, un vacuo riflesso del passato: a volte crede perfino di ricordare a memoria qualche frase udita nel cuore della notte, ma quando si sforza per rimettere insieme i pezzi – e crede di riuscirci – si rende conto che tutto è accaduto troppo in fretta e quando era troppo piccolo perché possa rammentarlo con precisione.
Col senno di poi, riflettendo sul drastico cambiamento sociale – e di conseguenza psicologico – che alla soglia dei sei anni lo ha indotto a traslare l'ostile diffidenza che fino ad allora aveva nutrito verso il Sibyl nei confronti del padre, Nobuchika si è reso conto di quanto possa essere fragile e permeabile la mente di un bambino, al quale risulta estremamente difficile, assorbito un sentimento doloroso come la frustrazione, rigettarlo e approcciarsi, dopo averne appreso il concetto, al perdono.
Sentir piangere sua madre era stato sufficiente per tradurre la condizione dell'altro genitore in un tradimento, cosicché Nobuchika, saturo di rabbia, aveva sviluppato un'ammirazione inconscia per tutto ciò che il Sibyl riteneva giusto e aveva cominciato a rifiutare di riconoscere suo padre come tale.
È incredibile, pensandoci, quanto possa apparire distante la morte di suo padre, seppur collocata in un tempo non troppo remoto. Nobuchika si è sentito vuoto, ma nient'altro di più, magari perché – tenta di giustificare l'apatia che lo opprime – ha raggiunto un'età troppo avanzata per trovare consolazione in un pianto sguaiato come quello di un bambino, vive dell'arrendevole consapevolezza che le lacrime non potranno mai lenire i rimorsi né restituirgli suo padre, perciò respinge la naturale e destabilizzante urgenza di disperare, procede respirando a fondo, a occhi chiusi, trascinandosi lontano dagli spettri del passato.
Nobuchika pensa alla sua vita come una linea retta spezzata in più parti: lungo di essa, a ogni punto di rottura, si erge una consapevolezza – ad esempio la suggestionabilità della sua mente di bambino, la sua durezza immotivata nei confronti del padre. Vista dall'alto, questa linea retta è talmente spezzata da non rassomigliare più a ciò che era in origine, è un sottile cordoncino di polvere che corre parallelo alla vita che avrebbe avuto se, molto semplicemente, avesse riservato un riguardo in più nei confronti del padre.
Quando era molto piccolo aveva una particolare predilezione per un minuscolo anfratto nello studio del genitore, si sistemava sulla sporgenza marmorea ai piedi della finestra e lo osservava dipingere, privandolo inconsapevolmente – con la sua minuscola figura – di un poco della luce di cui abbisognava.
Tuttavia Nobuchika non riesce a visualizzare altri che il quadro che suo padre ha terminato poche ore prima di morire, anche quando pensa alla sua infanzia. Le ore passate nello studio di suo padre a guardarlo dipingere, se accostate all'austera presenza della lapide che in questo momento si staglia di fronte ai suoi occhi, sono soltanto un guizzo fulmineo di colore, unico e ormai lontano bagliore sulla sua linea retta spezzata.
Nobuchika ricorda ancora la particolare tonalità assunta dal cielo quella mattina: pareva di camminare ai piedi di un'immensa distesa di neve raramente alterata da plumbei strascichi di nubi; la strada era luminosa, ma i raggi del sole erano pallidi e facevano fatica a scalfire il manto impermeabile dell'atmosfera. Quello era forse il febbraio più freddo degli ultimi dieci anni.
Aveva attraversato la soglia del Dipartimento in fretta e furia, chiuso nel suo cappotto, il bavero scuro abbottonato intorno al collo, ma essendo in largo anticipo si era diretto verso la sala ricreativa, pensando di attendere lì che le lancette dell'orologio da polso segnassero le sette – ovvero l'inizio del turno dell'Unità 1.
Scorgendo qualcuno all'interno della sala aveva esitato e si era ritrovato a scalpicciare sulla soglia per qualche istante, prima di riuscire a retrocedere di un paio di passi.
Esattamente come quando era piccolo, si era fermato a osservare il movimento delicato della mano destra del padre a pochi centimetri dalla tela, l'ondeggiare sinuoso delle setole impregnate di pittura, la ghiera opaca come un occhio cieco, consumata da vecchie e nuove macchie di vernice.
Visto da lontano e con gli occhi disillusi di un adulto, non più con quelli adoranti di un bambino, il dipinto di suo padre gli parve soltanto una sgradevole accozzaglia di colori cupi con qualche sfavillio di rosso ai lati, perciò ignorò il soggetto e si concentrò con maggior attenzione sulla forma allungata della tela.
Anche in quel frangente, Nobuchika si era arrabbiato, lo aveva accusato di indolenza, di disinteressata inerzia nei confronti dell'agire incessante e imprevedibile di Makishima, reputando quasi disgustoso il suo starsene in panciolle, a dipingere nella sala ricreativa.
Col senno di poi, era difficile individuare una vera e propria ragione che potesse giustificare il suo rimprovero e, più in generale, le innumerevoli rimostranze e ramanzine che aveva mosso nei confronti del genitore nel corso degli anni. I suoi reclami erano soltanto un mezzo per sfogare la sua frustrazione nei confronti del senso di abbandono che lo pervadeva ogni qualvolta percepisse il legame di reciproca ammirazione che avvicinava suo padre a Kougami, e che spesso pareva fruttare al genitore molta più gioia di quanta potesse scaturire dal loro algido rapporto familiare.
Rimproverare suo padre era soltanto una subdola abitudine che lo faceva sentire immediatamente meglio e poi subito peggio.
Suo padre morì quello stesso pomeriggio, prima che Nobuchika trovasse il coraggio di dirgli che gli voleva bene e di cercare e rivendicare l'affetto perduto. Dopo averlo tanto odiato, voleva semplicemente farsi amare.
A poco a poco, aveva svuotato la sala ricreativa degli oggetti lasciati dal padre, senza mai sfiorare né osservare da vicino la tela allungata ancora sorretta dal cavalletto, a volte rischiarata dai raggi del sole, altre adombrata dalla pioggia che batteva convulsamente contro le imposte e i vetri delle finestre.
A luglio decise di portare a casa anche l'ultimo pezzo di suo padre, e solo allora osservò attentamente l'accozzaglia di colori cupi.
Sullo sfondo della tela si alternavano grandi chiazze vacue, grigio chiaro e antracite, fuse in sfumature tenui e delicate; al centro campeggiavano pennellate rapide e morbide di colore nero, che viste da lontano eludevano la percezione del reale e parevano tagli nella tela, ma che in verità rappresentavano i rami scheletrici di un grosso e vecchio albero.
Il rosso che Ginoza aveva osservato ai lati era, in verità, un intreccio di magenta e amaranto, due lunghi nastri irregolari e sinuosi che si dissolvevano al centro del dipinto, che quasi si toccavano.
Quando aveva portato il quadro a casa, Nobuchika aveva notato un'incisione a matita sul retro, in basso a destra, e allora era caduto in ginocchio, aveva nascosto il viso fra le mani, inspirato profondamente e chiuso gli occhi per opporsi al dolore.
Non aveva pianto. La morte di suo padre si era teneramente e quietamente depositata su di lui, in piccoli frammenti, come nuova neve sul mantello di uno stanco pellegrino.
L'immensità del suo dolore e il vuoto generatosi da esso era tale – è tale – da non poter piangere mai.
Questa triste accozzaglia di grigi e di rossi è il ricordo dell'ultimo giorno con suo padre, l'ultima presenza concreta sulla linea spezzata della sua vita.




Nessuno a questo mondo è del tutto solo. Siamo tutti in qualche modo legati gli uni agli altri.

A mio figlio.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Psycho-Pass / Vai alla pagina dell'autore: Ortensia_