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Autore: Marianna 73    26/11/2015    22 recensioni
Scelte che uniscono, trascinano, separano e ricongiungono. Scelte che condizionano un'esistenza ma che spesso poco possono contro l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Muove piano la mano, alla ricerca della sua. Sente il fresco dell'erba, ancora bagnata per il temporale della notte.
Deve riuscire a calmare il respiro, a riordinare i pensieri, a parlarle, a spiegarle...
Spiegarle cosa? Cosa è accaduto?  Perché è successo?  
Nemmeno lui lo sa con certezza.
Non sa come sia successo, in quale momento la loro baruffa è diventata un abbraccio, i loro pugni si sono mutati in carezze ed insieme sono scivolati sull'erba, persi l'uno nel respiro dell'altra.

Buio.
Come quando un'improvvisa zaffata di vento spalanca le finestre e smorza ogni lume.
Buio.
La mente che si annulla e niente altro che la gola bianca di lei, la vena azzurrina che pulsa impazzita e le sue labbra, dischiuse.
Il suo odore di giovane femmina, accaldata ed ansante.
Un bottone del panciotto che si è  sganciato nella colluttazione e rivela sotto alla seta della camicia il gonfiore acerbo dei seni.
Una fitta, lancinante, che scende giù, infuocata, fino alla pancia e oltre, ed il bisogno spasmodico di conoscere il sapore di quella bocca.
Negli occhi di lei e nel suo respiro che si fa caldo e velocissimo, ne è sicuro, lo stesso bisogno.
La bocca che la trova, senza che la sua volontà possa far nulla per impedirlo, e si abbevera a quelle labbra rosse, ne cerca il sapore profondo e lo ghermisce, rapace, giovane maschio alla scoperta di un mistero inquietante e proibito.
E gli risponde la bocca di lei, rendendolo pazzo...gli risponde la sua lingua che danza impudica, gli risponde il suo mormorio bagnato, il suo corpo che si inarca e trova il suo turgore.
Con una mano scalza l'abbottonatura della camicia, sotto la gola e trova la pelle, non riesce a fermarsi, non può  impedire alle dita di scendere e tirare e forzare la stoffa e, un tremito di sangue dietro le palpebre, trovare il bocciolo di un seno, tenero e indifeso.
Urla forte la carne nel rombo delle orecchie, e invoca di più. E' un'urgenza fortissima che non ha mai provato, quel bisogno infuocato di toccarla, di sentirla nuda, di mordere, di spingere...
È il grido soffocato di lei a farlo tornare.
Il suo nome in un'invocazione carnale ed istintiva che lo spaventa, lo riporta alla realtà.
Alza la testa, stordito, e la guarda.
Gli occhi chiusi, la bocca tumida e schiusa, la camicia malamente scalzata a rivelare il candore del collo... indifesa, femmina....Oscar.
Una sferzata il pensiero di ciò che stava per succedere mentre si allontana brusco, rotolando via da lei ed appoggiando la schiena al fresco del terreno.
Il cuore ancora impazzito ed il sangue, come lava incandescente nelle vene...ed il terrore, freddo, al pensiero di ciò che stava per farle.

Trova la sua mano e la sfiora piano. Lei non parla. Ha gli occhi aperti ora ed il respiro ancora un poco affrettato. Sembra guardare i semi di un soffione che fluttuano lievi, trasportati dal vento.
Quando si  volta su un fianco e lo guarda non c'è nulla, nei suoi occhi, contro di lui. Solo stupore. E rimpianto, forse, per qualcosa che tra loro non potrà esserci più. 
Resta ferma a guardarlo, quieta e bellissima, i capelli che le lambiscono il collo, il rossore di uno dei suoi colpi andato a segno poco prima, a colorirle uno zigomo. Le stringe più  forte la mano, prima di parlare. "Perdonami, Oscar" riesce a dire "Io non...non sono riuscito a fermarmi...Non so cosa mi è preso, davvero." È  vero, non sa perché  l'ha fatto. Sa solo che l'ha voluto, come non ha mai voluto niente in vita sua. O forse sì, lo sa cosa l'ha spinto verso quelle labbra. Lo sa ma non vuole ammetterlo, perché è talmente grande, talmente sconvolgente, quella verità che potrebbe annullarli entrambi.
Ancora silenzio, da parte di lei. Solo quello sguardo azzurro, così simile a quello della bambina che era, che è stata per lui, fino a poco prima. Ma già così parte della donna che per lui di colpo è diventata, in pochi folgoranti minuti, in balia delle sue mani impazzite.
Riprende a parlare perché quegli occhi, dietro ai quali intuisce la tempesta, hanno diritto ad una spiegazione.
"Non volevo arrivare a quello, credimi..."la vede aggrottare un poco la fronte, nel tentativo di intuire cosa lui sta per dirle.
"E non volevo nemmeno litigare con te..." Sospira forte "In realtà ti ho chiesto di uscire a cavalcare per poterti dire una cosa. Ci penso da giorni ed ora..." chiude gli occhi un istante e risente la sua morbidezza flessuosa sotto al suo corpo "Ora mi sembra ancora più importante, dirtelo." La vede sollevarsi con un movimento brusco e anche lui si solleva. Sono in piedi, uno di fronte all'altro, ora. Le si avvicina e con la mano le scosta i capelli dalla gola e li accompagna con un gesto gentile dietro un orecchio. Lei lo guarda e parla, per la prima volta, da quando sono caduti a terra."Dimmi André, "mormora e la sua voce è un soffio, "Ti ascolto...anche se penso di sapere già cosa vuoi dirmi...sono giorni che tutti quanti non fate che ripetermi la stessa cosa..."
Lui sorride appena "No, Oscar, non credo..." Sospira, prima di riprendere a parlare, perché sa che pronunciando quelle parole la sua vita cambierà, e non potrà tornare quella di prima, mai più.
"Non è  ancora troppo tardi" dice infine, e scopre che in fondo non è difficile dirlo, che per amor suo nulla è troppo difficoltoso da affrontare.
"Fermati, e ascolta il tuo cuore, Oscar..."
****   ****

È l'alba, grigia e ancora molle di rugiada e foschia notturna quando richiude il portone delle scuderie e, tenendo per le redini il cavallo, si incammina verso l'uscita secondaria.
Nelle due bisacce, sui fianchi della sella, le poche cose che gli appartengono e sulle guance ancora il segno delle lacrime della nonna, a cui ha appena detto addio.
Respira a fondo ed abbraccia con lo sguardo la sagoma scura di Palazzo Jarjayes, ancora profondamente addormentato, per l'ultima volta.
Sapeva che avrebbe dovuto andarsene.
Lo sapeva il pomeriggio precedente quando aveva suggerito ad Oscar di seguire il suo cuore.
E lo sapeva la sera prima, quando aveva comunicato al Generale che non aveva obbedito ai suoi ordini: non aveva provato a convincere Oscar ad indossare l'uniforme di Capitano delle Guardie Reali. 
"Non ho potuto farlo, Signore," gli aveva detto, la voce salda ed un coraggio che non aveva mai immaginato di possedere. "E non lo farò mai." Lo sguardo dell'altro si era fatto pugnale, pronto a trafiggerlo. "Comprendo le vostre ragioni, ma francamente non mi sembrano un motivo sufficiente per costringere vostra figlia ad una vita che non desidera."
Da quel momento ogni gesto ed ogni parola avevano perso importanza. 
Lo sguardo infuocato del Generale ed il cenno sprezzante  con cui gli intimava di lasciare la stanza,  dopo avergli comunicato che i suoi servigi non erano più richiesti, che ci avrebbe pensato lui, dannazione, a convincere quella figlia più testarda di un mulo e che avrebbe incaricato qualcun altro alla mansione di attendente, qualcuno di molto più fidato...
Nulla se non la consapevolezza che, anche se significava abbandonarla, non aveva tradito ciò che erano stati uno per l'altra, né l'avrebbe mai fatto.

Si stringe nel mantello e solleva lo sguardo alla ricerca della sua finestra: è ancora chiusa, e buia, come tutte le altre.
Una morsa allo stomaco, ed il respiro che si spezza, al pensiero che non la rivedrà mai più...
Che le loro strade si dividono quel giorno per non più ricongiungersi. Non ci sarà più posto per lui, nel futuro di Oscar, quale che sarà la sua decisione. Non ci sarà più spazio per loro, per quei bambini smarriti che si sono tante volte fatti scudo l'uno con l'altra contro i colpi della vita. Quei bambini innocenti che si sono perduti nell'erba di quel pomeriggio assolato, spazzati via dalle sue mani avide su quel corpo bianco, cancellati senza appello dalla scoperta del suo amore per lei, assoluto, innegabile ma senza futuro.
Sorride mesto, tra sé e sé, mentre riprende le redini. 
Sì, la ama. Disperatamente, con tutto il cuore. È amore quel bisogno spasmodico di lei, quel desiderio di proteggerla, da tutto è da tutti, anche da sé stessa, anche da lui, dal baratro in cui potrebbe trascinarla con il suo sentimento impossibile.
Deve andarsene via, proprio perché la ama tanto. Per non rovinarle la vita. Perché non è affatto sicuro di riuscire a nasconderle i suoi sentimenti e soprattutto perché lui l'ha sentito, il corpo di Oscar, rispondere al suo il giorno prima, e...
"André!" La voce di lei, chiara ed argentina, dalla bruma alle sue spalle "che succede, André, dove stai andando?"
Si volta, piano, e se la ritrova davanti, le guance arrossate dal fresco dell'alba, gli occhi spalancati, impauriti.
Uno sforzo contenere il desiderio di abbracciarla e la decisione improvvisa di non raccontarle nulla del colloquio con il Generale, di tacerle la meschinità di suo padre per non procurarle altro dolore.
"Me ne vado via, Oscar" risponde, cercando di controllare il tremito nella voce "Dopo quel che è successo ieri, tra noi, penso sia meglio così..." 
Lei gli si avvicina "Non sei bravo a mentire, André," mormora, prendendogli una mano "Ho sentito quello che hai detto su di me a mio padre" lo sente irrigidirsi e gli si avvicina ancora "E so che è  stato lui a chiederti di andare via...perché  lo hai fatto, André?" È così vicina, ora che sente il calore del suo respiro ed il profumo dei suoi capelli...Dio, quanto è difficile resisterle, quanto vorrebbe tuffare il viso in quei riccioli ed indietreggiare con lei, nella nebbia, e portarla via, lontano, loro due soltanto...
Ma non può farlo, non deve.
"Tu sei l'unica che può scegliere per la sua vita, Oscar," dice, infine "nessun altro ha il diritto di farlo per te. È una scelta tua, tua soltanto." 
Ci sono lacrime, ora, negli occhi di lei, affranti, persi nei suoi. "Non andartene, André, ti prego," singhiozza, la voce spezzata "Non lasciarmi sola..."
Deve allontanarsi da lei, in fretta, o non ne sarà più capace. Non potrà  lasciarla, mai più. 
Una carezza e le labbra che sfiorano la sua guancia, tenera di pianto. Un bacio lieve come quella nebbia che si sta dissolvendo.
"Non posso restare." Un mormorio sulla sua pelle "Scegli per te la vita che vuoi, Oscar. E, ti prego, sii felice."
Sale in sella con un balzo e lesto sprona il cavallo. La sua voce, per invitarlo a partire, e in un attimo scompare, inghiottito dalla foschia.

È già fuori dalla proprietà della famiglia Jarjayes, quando tira le briglie per moderare l'andatura del cavallo. Ha galoppato a testa bassa, senza voltarsi a guardarla, esile ed eterea nella luce lattiginosa che precede l'alba. Si ferma, schiantato da quell'ultima immagine, il cuore che duole al punto da temere si spezzi. Se solo avesse qualche anno in più e un lavoro e una casa...forse avrebbe potuto confessarle i suoi sentimenti, il bisogno disperato di averla accanto, la frustrazione infinita di non aver potuto fare di più, per proteggerla,  in tutti quegli anni, dalla vita sciagurata che suo padre le ha imposto. Se solo fosse un uomo e non un ragazzo...
Scaccia rabbioso le lacrime che gli pungono le ciglia e prova a governare il respiro.
Sapeva a cosa sarebbe andato incontro, contravvenendo agli ordini del Generale, ma non aveva immaginato che sarebbe stato così difficile, così maledettamente doloroso.
Non sa quanto tempo rimane fermo, gli occhi chiusi e le mani contratte sulle briglie, a cercare il coraggio di lasciarsi ogni cosa alle spalle.
Lo riscuote qualcosa di appena percettibile ma, che per un motivo che non subito comprende, nuovamente gli fa accelerare il cuore.
Un rombo lontano, ritmico, che si spande nell'aria e gli blocca il respiro.
Il rumore inconfondibile di zoccoli che battono forte il terreno, di un galoppo sfrenato.
Si volta a scrutare la direzione da cui è appena venuto ed un baluginio  bianco ed oro si manifesta, sempre più riconoscibile.
In un lampo lo raggiunge e, prima ancora di riuscire a vederla, la percepisce, protesa verso di lui, le gambe ancora strette alla sella, morbida ed ansante tra le sue braccia, il cavallo che nitrisce, spazientito per la brusca frenata. 
Sente la guancia fredda e vellutata, liquida di pianto e le braccia che lo cingono, corde indissolubili che lo serrano stretto, lo catturano, gli mozzano il fiato. 
La trae a sé, in un frullo di capelli aggrovigliati e singhiozzi e la stringe forte. 
Minuti lunghissimi, ricolmi del suo respiro affannoso che pian piano si acquieta e dei suoi occhi luminosi come il cielo che si sta schiarendo all'orizzonte.
Poi la sua voce, come il mormorio di una fonte, ad un palpito dal suo orecchio.
"Ho scelto, André."

C'è l'arancio ed il violetto ed il rosa dell'alba, ad attenderli. Ed il sole.



continua...
   
 
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