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Autore: Adeia Di Elferas    27/11/2015    4 recensioni
Mentre i ribelli fanno irruzione a Capitol, sconfiggendo una volta per tutte Snow, gli abitanti del Distretto 13 stanno ricevendo notizie fresche dal fronte. Johanna, una volta saputo della vittoria, si affretta a chiedere notizie più precise sui soldati a lei più noti...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Cresta, Haymitch Abernathy, Johanna Mason, Plutarch Heavensbee
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '...finché rimarrà un solo e unico vincitore.'
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~~In molti stanno correndo verso il punto di raccolta, per sapere precisamente cosa accadrà adesso. Mentre la folla del Distretto 13 mi passa accanto di corsa, sempre con questo maledetto ordine imposto da anni passati sottoterra come lombrichi, io resto immobile.
 Ho già visto la diretta. Ho visto come sono esplosi tutti. So già che abbiamo vinto. Se poi qualcuno ha vinto davvero...
 Non mi interessa sapere quanto sono stati bravi, quanti nemici hanno ucciso, quanto in fretta hanno fatto cadere Capitol. Voglio solo sapere i nomi di chi non tornerà.
 Intrevedo Haymitch, con la coda dell'occhio e mi rendo conto che pure lui va di fretta, ma non sta seguendo la corrente di questi pecoroni che si stanno lasciando guidare come una massa informe dalla voce della Coin.
 Senza aspettare oltre, mi metto a camminare veloce verso di lui. Di certo sta andando a ricevere le stesse notizie che interessano anche a me.
 Lo seguo a debita distanza, cercando di non farmi vedere, nell'infantile paura di non poter essere ammessa al conciliabolo a cui Haymitch sta di certo andando.
 Che assurdità... Mi hanno torturata, quasi fatta impazzire e quasi uccisa più di una volta, eppure nessuno sembra volermi considerare ancora parte della partita. Grazie tante, cari, davvero...
 Finalmente Haymitch sparisce oltre una porta e capisco che ci siamo. Non posso più nascondermi, perciò lo seguo e mi trovo in una delle sale di comando.
 “Allora?” sta chiedendo Haymitch, quasi senza fiato.
 Plutarch è seduto al tavolo e prima di rispondergli i suoi occhi si fissano su di me. Non fa obiezioni alla mia presenza, quindi mi rilasso e faccio un passo avanti.
 “Allora?!” ripete Haymitch, più aggressivo.
 “A quanto pare lei è salva. Un po' bruciacchiata, ma dovrebbe essere dichiarata presto fuori pericolo.” dice Plutarch, con un sorrisetto serafico in volto: “Non la mostreremo in pubblico fino a che non si sarà rimessa. Non ci sarebbe motivo di mandare in giro suo immagini in questo momento. La guerra è vinta, ora bisogna pensare subito a ricostruire. E Peeta è al sicuro e sta bene, come già sapevi.”
 Haymitch, subito dopo le prime parole di Plutarch, ha chinato il capo, infinitamente sollevato.
 Aspetto che chieda notizie anche degli altri. Io non so nulla. Ho perso completamente il conto di quello che è accaduto in Capitol. Le notizie già arrivavano frammentate a quelli che contano, figuriamoci a una povera pazza con la fobia dell'acqua...!
 Ma Haymitch non domanda più nulla. È davvero così egoista e insensibile da interessarsi solo ai suoi Tributi? Come durante gli Hunger Games, gli interessa solo di tenere in vita Peeta e Katniss?
 Plutarch si mette a leggere alcuni fogli e Haymitch è ancora ripiegato su se stesso, appoggiato con una mano al tavolo, immerso in chissà quali congetture.
 “E gli altri?” chiedo alla fine, con un filo di voce. Non credevo che le mie parole potessero essere tanto roche, dopo il lungo silenzio che ho tenuto in quest'ultimo periodo.
 “L'elenco dei caduti verrà reso noto a breve, appena saremo certi dei nominat...” comincia Plutarch, ma non sopporto tutti questi formalismi.
 “Sai bene a chi mi riferisco!” lo interrompo, finalmente con la mia solita voce e non con quel rantolo spaurito che mi è uscito prima.
 “Certo...” fa Plutarch, abbassando lo sguardo.
 Vedo che ha un breve scambio di occhiate con Haymitch, che in tutta risposta si mette a sedere, allacciandosi le mani sotto al mento e assumendo un'espressione abbastanza neutra.
 So che avrò brutte notizie, ma voglio sapere. Non voglio scoprire brutte cose da un freddo comunicato. Non siamo più nell'Arena. I morti non vengono ricordati con un colpo di cannone e una foto in cielo. I miei amici morti voglio poter piangermeli come si deve, se ce ne sono.
 “Nella squadra di stelle...” comincia Plutarch, poi si schiarisce la voce e di nuovo ha un nervoso scambio di sguardi con Haymitch, come se temesse di vedermi uscire di testa da un momento all'altro.
 Per velocizzare la cosa, decido di non dire più nulla, mi metto in attesa, paziente, per dimostrare che sono in grado di mantenere la calma.
 Plutarch, alla fine, si appoggia con tutto il suo peso allo schienale della sedia e, fissandomi con i suoi occhi indagatori, elenca: “Messalla, la Leeg rimasta, Jackson, Homes, Castor e...” Plutarch ha un'esitazione e mi sento mancare.
 Le sue labbra restano mezze aperte per un secondo, poi si sistema meglio sulla sedia e incrocia le mani sul tavolo: “Ecco...” deglutisce ancora un paio di volte, mentre mi accorgo distrattamente di un movimento dietro di me, ma non ho il tempo di controllare chi o cosa mi è arrivato alle spalle.
 “Anche Finnick non ce l'ha fatta.” conclude Plutarch, abbassando gli occhi.
 “Come...?” domando, con un filo di voce.
 “A quanto abbiamo capito, mentre erano nei condotti sotterranei, è stato ucciso da degli ibridi.” spiega Plutarch.
 La mia mente si spegne. Finnick, l'unica persona con cui avessi ancora qualcosa a che spartire in questo mondo.
 Mi sembra così assurdo, così inconcepibile...
 Prima che possa frenarmi, scoppio a ridere come la pazza che mi dicono che sono.
 “Finnick è morto!” grido, tra le risate: “Nelle fogne!” E mentre le mie risate lasciano basiti i due uomini che ho di fronte, sento la gola in fiamme e le lacrime che mi offuscano la vista e la prima cosa che mi sorge spontaneo fare è andarmene immediatamente per sottrarmi al loro sguardo ricco di giudizi.
 Mi volto e mi trovo davanti l'ultima persona che vorrei vedere ora. Mentre le mie risate si stanno ancora mescolando alle lacrime, capisco che era lei, quella che mi era arrivata alle spalle.
 Annie Cresta, la ragazza pazza che Finnick ama – amava – tanto...
 Le passo accanto di corsa e torno nel mio alloggio, sperando di non dover vedere mai più nessuno di loro, mai più...
 
 Non posso crederci. Annie si è presentata al mio alloggio.
 Ha il volto segnato dal lungo pianto e mi sembra più giovane e fragile che mai. Più la guardo, meno capisco cosa ci trovasse Finnick, ma mi rendo anche conto che questo è un pensiero troppo cattivo e cinico, perfino per me.
 Siamo in piedi l'una davanti all'altra, ferme, in silenzio. Sono a disagio e non so che fare. Mi ha vista ridere alla notizia della morte di Finnick... Nella migliore delle ipotesi, mi ha creduta matta.
 “Finn ti voleva bene.” dice improvvisamente, la voce sottile e un velo sugli occhi: “Eri la sua migliore amica. La sua unica vera amica. Si fidava di te. Di te ha sempre e solo parlato bene, con me.”
 Le sue parole mi colpiscono più a fondo di quanto abbiano fatto quelle di Plutarch quando mi ha dato la notizia della morte del mio unico amico.
 Annie sembra ancora decisa a dire qualcosa in più, ma la voce le muore in gola e la capisco come non mai.
 Chiude un momento gli occhi, per trovare la forza, e alla fine dice: “Ci ha lasciate sole, Johanna. Finn se n'è andato per sempre e non tornerà mai più.”
 “Lo so.” sussurro.
 Annie comincia a piangere in silenzio e, esattamente come quando sono scoppiata a ridere, agisco prima di ragionare.
 Colmo la distanza che c'è tra noi e la abbraccio, stringendola stretta stretta a me, come faceva Finnick, come se avessi paura di vederla sparire da un momento all'altro.
 Il cordoglio è una cosa così strana... Come l'amore. Ha il potere di farci capire più di quello che le parole o i gesti sottintendono.
 Annie ricambia la stretta e sento che ora singhiozza e farfuglia qualcosa, intuisco il nome di Finnick e poco altro e prima che me ne renda conto, anche io sto piangendo.
 “Dovevo esserci io al suo posto.” sussurro, tra le lacrime: “Dovevo morire io al suo posto. Io non servo a nulla. Nessuno avrebbe pianto per me.”
 “Lui avrebbe pianto per te.” mi contraddice Annie, tenendo a bada i singhiozzi.
 Ma io non riesco a darmi pace e continuo a ripetere: “Dovevo esserci io al suo posto, dovevo esserci io...”
 Restiamo allacciate in questo modo per molto tempo, non so dire quanto, e piangiamo Finnick in pace, solo noi due, le uniche che lo conoscevano davvero.
 Quando, alla fine, siamo stremate, si allontaniamo l'una dall'altra e ci asciughiamo il volto. Invito Annie a sedersi accanto a me sul letto e mi tornano in mente tutti i momenti in cui io e Finnick ci siedevamo proprio come io e lei adesso e facevamo lunghe chiacchierate, a Capitol City, al centro di addestramento. Ricordo di quando mi parlava di Annie, di quando faceva progetti e poi li abbandonava subito, di quando era stanco della vita che Snow lo costringeva a condurre, e di quando cercava di ritrovare se stesso e di quando...
 Chiudo gli occhi, cercando di non sovrapporre i miei ricordi all'immagine di Finnick straziato da degli ibridi, nel buio di un condotto sotterraneo. Senza più poter rivedere la luce del sole, né Annie. Senza mai poter conoscere una vita diversa, una vita 'dopo Snow'.
 Questi pensieri mi stanno sopraffacendo, perciò buttò indietro il capo e faccio un respiro profondo.
 Annie mi prende una mano: “Grazie.” mi dice.
 La guardo e vedo, con stupore, che sta sorridendo.
 I suoi occhi, arrossati dal pianto, sono pieni di qualcosa che prima non avevano. Consapevolezza. Affetto. Serenità.
 “Grazie di cosa?” domando, riconoscendo nelle mie parole il mio solito tono diffidente e aggressivo.
 Annie sembra non far caso ai miei modi, e risponde: “Per la tua amicizia per lui. Per esserci. Per esserci sempre stata. Per aver pianto per lui.”
 Inarco un sopracciglio e commento, un po' spenta: “Non piango spesso.”
 Il volto di Annie ora è proprio aperto in un sorriso meraviglioso e forse per la prima volta vedo la Annie che vedeva Finn.
 “Lo so.” mi dice: “Per questo ti dico ancora: grazie.”
 Ho la gola in fiamme e, anche se vorrei dire ancora qualcosa, non ci riesco.
 Annie mi appoggia una mano leggera sulla spalla e si congeda: “Voglio sapere quando verremo portati a Capitol. Appena saprò qualcosa, verrò a dirtelo, va bene?”
 “Va bene.” le rispondo e, con mia grande sopresa, sto sorridendo anche io.
 Quando Annie lascia il mio alloggio, resto di nuovo sola coi miei pensieri e la pace che mi ha lasciato questo momento, viene subito contaminata dalla rabbia, quella rabbia che provo da anni e che forse non mi abbandonerà mai. Potrò, forse, vivere libera Snow e da Capitol, finalmente, ma non mi libererò mai di me stessa, di quella che mi hanno fatta diventare... Sì, avrei dovuto esserci io al posto di Finn. Sarebbe stato meglio per tutti.
 Quanto invidio Annie e la sua forza. La chiamano pazza anche lei, ma non hanno idea di quanto in realtà sia forte...
 Oh, Finn, tu sì che ci avevi visto giusto...
 
 
   
 
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