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Autore: 365feelings    27/11/2015    4 recensioni
Dicembre, New York. Mentre le feste si avvicinano e i bollettini meteo non fanno altro che parlare della terribile tempesta di neve Chione, Annabeth capisce di non essere sua madre, Piper decide di mettersi in gioco, Leo trova finalmente qualcuno con cui condividere i propri sogni e Nico scopre che può essere ancora felice.
(...)nello stesso momento Will si volta e lo accoglie con uno sguardo che rischia di farlo arrossire. Non perché sia carico di malizia o sottintesi, ma proprio perché, al contrario, è limpido e caldo. Sembra dirglibuongiorno e farlo con la stessa intimità che potrebbe usare una coppia che si conosce da molto tempo.
Percy/Annabeth, Jason/Piper, Leo/Calipso, Will/Nico | accennati Talia/Reyna, Frank/Hazel, Chris/Clarisse | storia scritta per la settima edizione del Big Bang Italia
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Calipso, Jason/Piper, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: kuma_cla
Titolo: In città zero gradi
Rating: verde
Pairing: Will/Nico, accennate Chris/Clarisse, Frank/Hazel,  Jason/Piper, Percy/Annabeth
Genere: romantico, sentimentale, introspettivo
Avvertimenti: modern au, what if in cui gli americani usano i gradi celsius come il resto del mondo
Note: e siamo alla fine! In realtà avrei in mente alcuni spin off soprattutto su Will e Nico e anche su Jason e Piper, però non so quando riuscirò a mettere nero su bianco le mie idee. Ringrazio tantissimo le persone che hanno seguito questa storia e che hanno recensito (mi avete lasciato commenti bellissimi, vvb).
  • La Exxon Mobil è una delle principali compagnie petrolifere statunitensi (la sede principale è in Texas, ma l'ho spostata a NY per ovvi motivi di trama e l'ho situata nel Rockfeller Center dato che in origile la Exxon Mobil si chiamava Standard Oil ed era di proprietà dei Rockfeller); la American Eagle è una controllata della American Airlines; lo Yale Club è un club privato.
  • Quello di amministratore delegato è uno dei ruoli più importanti: ovviamente Nico non subentra al posto di Bianca di punto in bianco perché non ne ha le conoscenze, ma l'obiettivo finale di Ade è (almeno in origine) quello.
  • Ho unificato le figure di Persefone e Maria Di Angelo; per quanto riguarda Lee e Michael sono tutti headcanon (canonicamente parlando, sono stati entrambi capocabina quindi è presumibile che fossero vicini d'età con Will e che fossero uniti; in ogni caso a me piace pensarla così perché feelings).
  • A San Diego ci sono veramente le foche; non so in che periodo, ma ci sono.
  • Il gumbo è un piatto della Lousiana.
  • Il carbonio 14 serve per datare reperti organici o di legno: non so se Nico, in quanto archeologo specializzato nell'antica Grecia, se ne serva, però lo conosce.
  • Gaio Vitale è in realtà Gaius Vitellius Reticulus, uno dei Lari che compaiono nel figlio di Nettuno e in vita è stato un discendente di Asclepio.



Capitolo quarto
 
(28 novembre)
Mentre percorre Central Park Street con le mani in tasca e il colletto del cappotto alzato fino a quasi nascondere il volto, solo i lampioni e occasionalmente i fari di qualche taxi a illuminare il marciapiede, Nico è consapevole di avere l'aria un po' losca.
Supera l'incrocio con la 7th Avenue con passo deciso e spalle un po' curve, intenzionato a mettere più spazio possibile tra se stesso e l'attico in Park Avenue da cui proviene. Ancora una volta, infatti, ha dovuto partecipare ad uno dei quei chiassosi party di Era al posto di suo padre perché qualcuno deve sempre rappresentare la famiglia Di Angelo, ma non è resistito più di qualche ora. Le luci, le strette di mano, le chiacchiere vuote e i convenevoli leziosi, gli affari che si infilano nelle domande più innocenti, i soldi sempre i soldi dietro ad ogni sorriso: non è portato per quel genere di cose, non è quello il suo ambiente. Non ha la confidenza e la spregiudicatezza di Percy, né metà della competenza di Reyna e non è il sempre perfetto Jason Grace. Ha solo un cognome importante e la sfortuna di essere divenuto l'erede della fortuna di suo padre, un ruolo che non gli è mai interessato e che credeva non avrebbe mai dovuto ricoprire.
Per venticinque anni è stato il secondogenito di Ade e Persefone Di Angelo, per venticinque anni ha vissuto nell'ombra di sua sorella e non gli è mai importato perché Bianca, occupandosi degli interessi della famiglia, gli permetteva di essere libero. Libero di non partecipare a ricevimenti, galà, consigli di amministrazioni, libero di chiudersi in polverose biblioteche e di sporcarsi le mani negli scavi archeologici in Medio Oriente.
Sono passati tre anni dalla sua morte e due da quando suo padre lo ha fatto trasferire da Boston a New York, comunicandogli che avrebbe dovuto prepararsi ad occupare il posto di Bianca alla Exxon Mobil e che lo avrebbe fatto senza ulteriori indugi. Di punto in bianco si è ritrovato dietro una scrivania a più di duecento metri da terra, in un ufficio da cui si vede la Fifth Avenue, con un attico nell'Upper West Side da cui può ammirare l'Hudson. Nonostante i corsi che ha frequentato e i libri di economia che ha letto, il lessico aziendale e quello finanziario continuano ad essergli ostici. Può parlare per ore del carbonio 14 ed è in grado di tradurre un testo dal greco antico, ma i bilanci sono solo sterili elenchi di numeri di cui non sa cosa farsene.
Bianca al contrario, laureata alla Harvard Business School, era brava ed aveva passione, sapeva come muoversi e come trattare con gli altri azionisti. La Exxon Mobil era tutto il suo mondo e mentre Nico ripensa alla sorella e alle vite che entrambi avrebbero potuto avere, la Columbus Circle si apre davanti a lui, luminosa e caotica.
Nonostante sia quasi mezzanotte, la piazza è una cacofonia di rumori: le macchine che passano, il vociare dei passanti, lo scrosciare dell'acqua della fontana. Molti dei grattacieli che la circondano ospitano ristoranti ancora aperti e davanti la statua di Cristoforo Colombo diverse persone entrano ed escono dalla metropolitana.
Attento a non farsi investire da un taxi, l'uomo attraversa la strada, desideroso di lasciare al più presto un luogo così trafficato. Non gli piace stare in mezzo alle folle e quasi rimpiange di non aver chiamato il suo autista per tornare a casa. Procede a passo spedito con tutta l'intenzione di tagliare a metà la pizza circolare quando un passante, a pochi metri da lui, si accascia improvvisamente a terra.
Da qualche parte un orologio segna la mezzanotte e una macchina suona il clacson, un gruppo di turisti asiatici si fa fotografare ai piedi della statua e Nico impreca a mezza voce nella lingua di sua madre, raggiungendo l'uomo.
Non gli occorre comunque fare mente locale e cercare di ricordare le lezioni di pronto soccorso seguite quando era in collegio, perché un'altra persona si precipita e a differenza di lui sembra sapere cosa deve fare.
«Tu» lo sente dire e nonostante si stia radunando un capannello di passanti attorno a loro, Nico comprende che si sta rivolgendo a lui «Chiama il 991».
Fa come gli è stato chiesto e comunica l'emergenza all'operatore che sta dall'altra parte della linea, riferendo ciò che il soccorritore gli dice. Una decina di minuti dopo le sirene dall'ambulanza risuonano in Columbus Circle e i paramedici caricano l'uomo sulla vettura, ripartendo subito dopo.
Qualcuno applaude, la piccola folla si disperde, Nico finalmente può proseguire. Prima di lasciarsi alle spalle la piazza il soccorritore gli rivolge un cenno di saluto.
 
(30 novembre)
Si accorge della notifica quando è in ufficio.
È lunedì mattina, è alla sua terza tazza di caffè e non ha per niente voglia di controllare i documenti che qualcuno gli ha lasciato sulla scrivania, quindi prende in mano il tablet per leggere un articolo che un suo collega della Boston University ha pubblicato due settimane prima. Sullo schermo però trova una notifica di Cupido e per qualche secondo rimane interdetto (Cupido?), salvo poi ricordare che a scaricare l'applicazione sul suo iPad e ad insistere perché si creasse un account in quel sito di incontri era stata Bianca, diversi anni prima. Lui però non l'aveva mai usata, se non all'inizio e con molto imbarazzo, tanto da dimenticarsi, alla fine, di averla.
Vagamente incuriosito e con la mente ancora nel passato, decide di controllare il proprio account. Storce il naso mentre legge il proprio nickname (ghostking, seriamente?) e la breve biografia che segue e non si esprime nemmeno sulla foto, risalente almeno ad una decina di anni prima.
Per la propria rispettabilità, decide che quell'account va cancellato al più presto, però prima controlla la chat per scoprire chi ha avuto il coraggio di contattarlo nonostante la presentazione. Il nickname sunlover non gli dice nulla e trattiene una risata solo perché ripensa al proprio, tuttavia mentre legge il testo del messaggio comprende di chi si tratta. È l'uomo dell'altra sera, quello che con tono professionale e deciso gli ha detto di chiamare l'ambulanza.
Appoggia il polpastrello sul nickname e guarda il suo profilo. È senza foto, quindi forse nemmeno lui usa spesso quell'app, e nella biografia dice di essere un medico che vive e lavora a New York da quattro anni e tra gli interessi cita il surf e il teatro.
Non sa che cosa pensare di quel "Ieri sera abbiamo fatto un bel lavoro di squadra. Ti va un caffè?", è una novità essere contattato attraverso Cupido dopo tutto quel tempo, ma soprattutto è inaspettato.
Talmente inaspettato che si dimentica completamente dei documenti sulla scrivania e dell'articolo che voleva leggere. Tutto improvvisamente ruota attorno a quel messaggio. Come ha fatto a trovarlo? È stato un caso? Probabilmente lo avrà riconosciuto dalla foto; cosa avrà pensato leggendo la presentazione?
A salvarlo da quel baratro di elucubrazioni, ci pensa il telefono. L'apparecchio squilla e lo riporta brutalmente alla realtà, ricordandogli che è al lavoro e ha delle responsabilità e altro a cui pensare, come l’inaugurazione della galleria d’arte che patrocina con la fondazione di suo padre.
Tuttavia per il resto della giornata è distratto ed è Hazel a farglielo notare, chiedendogli se ci siano problemi. Inizialmente è tentato di risponderle che non c'è nulla, però poi incontra il suo sguardo sinceramente preoccupato e cambia idea, raccontandole del soccorritore. In fondo si tratta di sua sorella, sa che gli piacciono gli uomini e deve ammettere che ha bisogno di un consiglio, perché ci ha riflettuto a lungo e non ha ancora deciso cosa fare con quel messaggio.
«Ti era piaciuto?» gli chiede, cogliendolo di sorpresa e ripetendo quindi la domanda «Quando lo hai incontrato, l'altra sera, ti è piaciuto?»
«Ecco io... Io non lo conosco» tentenna. Non si aspettava di dover esprimere la propria opinione sul medico, ma continua «Suppongo però che non sia male».
Esteticamente parlando gli è sembrato davvero un bell'uomo, sulla trentina, biondo e con gli occhi chiari. Dal modo in cui ha gestito la situazione dimostra di avere sangue freddo. Di più non sa dire, non lo ha osservato a lungo e una volta arrivata l'ambulanza sono andati ognuno per la propria strada. Come prima impressione, però, gli sembra una brava persona.
«Ti sei risposto da solo» replica Hazel «Accetta il caffè».
«Ma...»
«A meno che, ovviamente, non ci siano dei motivi per i quali non dovresti. Ma non mi pare ci siano, no? Per cui accetta».
«Se non mi piace?» domanda impulsivamente tornando ad essere, per qualche istante, l'adolescente impacciato e insicuro, timoroso dei rapporti sociali e di essere rifiutato.
«E se ti piace?» ribatte lei, incoraggiandolo con un sorriso, e senza alcun motivo in particolare Nico si ricorda che è Hazel ad essere la maggiore tra i due. È così minuta, che avverte la necessità di prendersi cura di lei e di proteggerla, dimenticandosi che è lui ad essere il più piccolo dei figli di Ade Di Angelo.
 
(2 dicembre)
Ha appena indossato il cappotto quando lo schermo dell'iPhone si illumina e compare una notifica. Si tratta della chat di Cupido (ha scaricato l'applicazione anche sul telefono): sunlover gli scrive che è in ritardo perché ha avuto un'emergenza a lavoro e gli chiede se per lui è lo stesso raggiungerlo al New York Presbytherian Hospital.
Conosce in modo vago l'ubicazione della struttura ospedaliera, ma non la cerca: risponde di sì e poi chiama il suo autista.
«Pronto, Jules-Albert? Ho bisogno che mi porti al New York Presbytherian Hospital. No, non è successo nulla. Devo solo incontrare una persona».
Una manciata di minuti dopo è in una Bentley nera in direzione di Washington Heights e non ha la più pallida idea di cosa dire a Will una volta che lo avrà incontrato. Quando finalmente giunge a descrizione e nota che l'uomo non è ancora arrivato, per un istante si sente sollevato. Magari è stato trattenuto in corsia. Nello stesso momento, però, in cui lo pensa, Will fa la sua comparsa.
Indossa ancora il camice e ha l'aria trafelata, come se avesse corso per raggiungerlo. Alla luce del giorno nota alcuni dettagli che sotto i lampioni gli erano sfuggiti, come gli occhi di un blu pallido, e per un secondo pensa a Jason, ma le somiglianze terminano qui. L'uomo che lo fronteggia non ha nulla della compostezza dell'amico e non appena apre bocca lo travolge con un fiume di parole. Per prima cosa si scusa per il ritardo e dal tono intuisce che è veramente dispiaciuto e che ci tiene al loro caffè. Poi sente il bisogno di chiarire la faccenda di Cupido e gli spiega che a scrivergli è stata una sua amica; domenica sera era uscito per bere una birra e Lou Ellen, la sua amica, aveva deciso che era giunto il momento di usare l'applicazione e aveva iniziato a guardare i profili degli altri utenti ed era capitata sul suo per caso, lui lo aveva riconosciuto dalla foto e sempre Lou Ellen gli aveva scritto prima che potesse fermarla.
«Non ti ha dato fastidio, vero?» gli chiede prima di ordinare un caffè e di tornare a parlare. Si scusa un'altra volta per avergli fatto cambiare all'ultimo secondo caffetteria, ma aggiunge che con le festività alle porte e il freddo che sta aumentando sempre di più, sono oberati di lavoro. Effettivamente, nota che è un po' pallido e che ha l'aria stanca.
«Stamattina avrei dovuto essere in corsia, ma mancava un medico in pronto soccorso e hanno mandato me» gli spiega bevendo un sorso di caffè «La perturbazione Chione non è ancora arrivata, ma sono già molte le persone con febbre, per non parlare di quelle che fanno incidenti a causa del ghiaccio che si sta formando sulle strade».
Finalmente fa una pausa e Nico sente che ora tocca a lui dire qualcosa e portare avanti la conversazione; la cosa gli crea non poco disagio e rimpiange i minuti precedenti in cui era l'altro a parlare.
«In che cosa sei specializzato?» chiede alla fine, ma, nel preciso istante in cui Will apre la bocca per rispondere, il suo cerca persone suona.
«Scusami» replica controllando l'apparecchio «Devo andare».
«Non ti preoccupare» gli risponde e poi lo guarda tastarsi i fianchi e il petto e non capisce cosa stia facendo fino a quando non lo vede trovare una penna e scarabocchiare qualcosa sul tovagliolo.
Il secondo dopo è già scappato, lasciando il pezzo di carta sul tavolino. Nico allora si allunga e gira il rettangolo bianco, scoprendo che gli ha scritto il suo numero di telefono.
Fissa per qualche istante il tovagliolo, poi lo mette in tasca e se ne va anche lui.
 
Quando quella sera, prima di cena, passa a Gramercy per consegnare a Hazel l'invito alla premiazione di sua nonna, la sorella lo riempie di domande facendogli dimenticare completamente il motivo per cui si trova lì.
«Allora? Come è andata? Che impressione ti ha fatto?»
«Parla un sacco» replica lui, laconico.
«E?» lo incalza la donna, insistendo per farlo entrare («Già che sei qui vieni dentro, non ha senso che resti fuori»).
«Mi ha dato il suo numero di telefono».
«Spero avrai intenzione di usarlo» gli dice mentre prende il suo cappotto e lo appende nell'atrio.
«Non lo so. Non credo che -» inizia, ma Hazel lo zittisce e prende la parola con aria autoritaria.
«Nico Di Angelo. Tu ora salverai quel numero in rubrica e lo utilizzerai» fa una pausa e poi riprende con un tono più dolce ma che, ugualmente, non ammette repliche «È chiaro che lui è interessato a te e sembra anche una bella persona da quel poco che mi hai detto: non c'è nulla di male se continui a frequentarlo. Non deve per forza essere una cosa seria, vivila con leggerezza e vedi dove questa storia ti porta. Sei un uomo solo, Nico e – non mi interrompere, lasciami finire. Sei un uomo solo, Nico, lo sei da molto tempo ormai e per quanto tu ti ostini a rifiutare i rapporti sociali, sei un essere umano e gli esseri umani, che ti piaccia o meno, non sono fatti per vivere in solitudine. Per cui scrivi a Will, vedilo ancora, trascorri un po' del tuo tempo con lui. Non hai nulla da perdere da questo incontro e tutto da guadagnare».
L'uomo si ritrova suo malgrado ad annuire perché il discorso di Hazel ha senso e dice la verità.
«Bene, ora mangiamo» aggiunge poi e a nulla valgono i tentativi di Nico di andarsene: mezz'ora dopo è seduto ad un tavolo apparecchiato per due.
«Non c'era bisogno» le fa notare.
Hazel gli serve il gumbo inarcando un sopracciglio ed è come se gli stesse dicendo seriamente? Nico trova più intelligente tacere, mangiare e ringraziare una volta terminata la cena.
«Dimenticavo» le dice avviandosi all'entra e dalla tasca del cappotto prende la busta di carta.
«Cos'è? Oh. È l'invito per la premiazione di Demetra. Non vedevo l'ora di partecipare» commenta senza troppo entusiasmo, rigirandosi il cartoncino tra le mani.
«Le ho chiesto di invitarti per permetterti di conoscere meglio la famiglia. Sono passati tre anni, è ridicolo che non ti abbiano ancora accettata».
«Lo so che lo hai fatto per questo, ma non devi preoccuparti sempre per me» replica lei sporgendosi per dargli un inaspettato bacio sulla guancia «Comunque grazie».
 
(4 dicembre)
Questa volta non ci sono contrattempi o cambi di programma, Will è puntuale e non indossa gli abiti da lavoro.
«Scusami, la scorsa volta ho parlato sempre io» gli dice e Nico pensa contemporaneamente a due cose. La prima è che l'uomo sembra avere la tendenza a scusarsi per tutto e la seconda è che adesso si aspetta che sia lui a prendere la parola.
Rimane in silenzio per qualche istante, poi ripropone la domanda che gli aveva rivolto la volta precedente e che era rimasta senza risposta.
«Chirurgia generale» replica Will, insolitamente laconico, e Nico sente il successo di quel caffè dipendere unicamente da lui. La cosa non gli piace per nulla: non è mai stato una persona espansiva e di molte parole (fatta eccezione per i suoi primi dieci anni di vita, ma quelli non contano, era un bambino) e ha sempre avuto difficoltà a farsi nuovi amici.
«Non sei molto loquace» commenta Will dopo un po' portandosi alle labbra la tazza e Nico sospira in modo impercettibile. Sapeva che quell'incontro sarebbe stato un disastro, per cui sopprime l'accenno di delusione che avverte: non è da lui essere triste per una cosa simile, sono solo i rimasugli del discorso di Hazel che lo stanno confondendo.
«No» conferma e poi, giusto per chiarire che è la verità e non sta facendo apposta per boicottare l'incontro, aggiunge «Le parole non sono il mio forte».
«Ne hai uno, però. Qual è?»
«L'archeologia» replica senza nemmeno pensarci e forse lo dice con troppa enfasi, perché Will sorride, ma non gli dà fastidio.
«Sono un archeologo» continua, questa volta in modo più pacato, e senza quasi rendersene conto si ritrova a parlare della sua passione per l'Antica Grecia e i poemi omerici. L'uomo lo ascolta con interesse, gli fa domande e Nico lentamente si rilassa.
 
(6 dicembre)
Domenica sera Jason passa a trovarlo. Si conoscono da diversi anni e nonostante siano l'uno l'opposto dell'altro, trovano piacevole la rispettiva compagnia. Nico lo considera una delle persone migliori che abbia mai conosciuto inoltre è uno dei pochi amici che ha.
«Ho incontrato una donna» gli dice Jason, sedendosi su una delle poltrone del salotto e facendo una breve pausa «Mi ha dato il suo numero, ma non ho ancora trovato il coraggio di contattarla».
Nico, seduto davanti a lui, inarca un sopracciglio, perplesso.
«Vogue ti ha inserito tra gli scapoli d'oro d'America qualche anno fa e Forbes ti include sempre nella sua classifica degli uomini più ricchi del mondo, sei un buon partito e le possibilità non ti mancano. Non capisco questa reticenza ogni volta che ti si presenta un'occasione e so che stai per dire "da che pulpito viene la predica", ma ti ricordo che almeno io non ho mai espresso il desiderio di avere una famiglia. Tu sì».
«Non è così facile» replica l'altro con una smorfia «Non mi interessano le donne come Drew Tanaka. Inoltre non si capisce mai se vogliano me, i miei soldi o, peggio, mio padre».
«La donna che hai incontrato, però, non è una Drew Tanaka».
«No» ammette con un sospiro Jason «Non lo è. Non ci ho parlato molto, a dire la verità, ma mi è sembrata spontanea e divertente, oltre che bella».
«Mi sembra quindi un'occasione da cogliere».
«Sì. Sembra proprio di sì. Però c'è sempre di mezzo il mio cognome e in questi giorni ho un sacco di lavoro da fare. Abbiamo ordinato altri trecentosessantanove aerei e sto cercando di aprire una nuova rotta con il Canada. Non ho il tempo per dedicarmi ad una donna, finirei solo per trascurarla e allontanarla».
Nico per primo è (o meglio era, quando si occupava di ciò che gli interessa davvero, cioè l'archeologia) uno stacanovista che non pensa altro che al proprio lavoro, tuttavia riconosce che non sia sempre la cosa migliore, soprattutto se, come Jason, si cerca anche il contatto con le altre persone.
«Da quanto non hai una relazione? Quattro, cinque anni? Dopo Reyna c'è stata qualcuna? No, ecco. Tu stesso hai individuato il problema di fondo: lavori troppo e come conseguenza sei diventato un uomo solo, tuttavia gli esseri umani non sono fatti per vivere in solitudine. Per cui scrivi a questa donna, dedicale un po' del tuo tempo e vedi dove questo vi conduce, ma soprattutto prova a far funzionare il vostro rapporto. Se ti piace, non lasciare che la flotta della American Airlines si metta in mezzo».
Jason lo osserva senza nascondere lo stupore, ma Nico non si offende. Nemmeno lui si aspettava di parlare così tanto: i discorsi motivazionali (i discorsi in generale) non sono il suo forte.
«È un ottimo consiglio» si sente dire «E non sono stupito perché non penso che tu possa darmi ottimi consigli, ma perché non mi aspettavo delle simili parole da parte tua».
«Infatti non sono mie, ho ripreso un discorso simile che Hazel mi ha fatto qualche giorno fa e l'ho adattato alla tua situazione».
«Astuto» commenta «Come sta Hazel? Non l'ho vista da Era».
«Nostro padre insiste con il voler mandare me come suo portavoce, quando Hazel è chiaramente più adatta al ruolo. Sta bene comunque, si vede spesso con un tuo dipendente, credono stiano insieme. Si chiama Frank Qualcosa».
«Frank Zhang? Si occupa di finanzia per la American Eagle, è un tipo tranquillo ma sveglio» replica Jason «E tu, invece, come te la passi?»
Nico beve un lungo sorso del whiskey che si è versato poco prima e poi parla ostentando noncuranza.
«Non c'è male. Ho conosciuto un uomo. Lavora al New York Presbyterian Hospital, è un medico. Ci siamo già visti due volte».
«E?» lo incalza l'amico.
«È chiassoso, parla un sacco, ma sa anche ascoltare. Non è male. Pensavo di invitarlo all'inaugurazione della galleria dell'amica di Percy».
«Mi sembra una buona idea» ribatte Jason prima di bere l'ultimo sorso del suo whiskey.
«Tu porta la donna».
 
(8 dicembre)
«Cosa c'è?» chiede Hazel, notandolo distratto. Seduto su una poltrona, infatti, Nico continua a lanciare occhiate al proprio telefono senza prestarle attenzione.
«Will mi ha scritto» risponde dopo un po' «Dice che sa che è tardi per chiedermelo, ma vuole lo stesso fare un tentativo per cui mi domanda se stasera alle otto sono libero. Lui e due suoi amici vanno in un locale a Brooklyn in cui si esibirà una band underground».
«Vai, no?»
«C'è la premiazione di mia nonna» le ricorda, indicandole gli abiti appoggiati sul suo divano. Neanche venti minuti prima, infatti, Hazel ha suonato al suo campanello con alcune custodie per vestiti dicendogli che se proprio doveva partecipare anche lei, allora lui avrebbe dovuto aiutarla a scegliere l'outfit per la serata.
«Che tragedia se tu dovessi presentarti con alcune ore di ritardo» ribatte la donna e poi aggiunge «Ti copro io».
«E va bene borbotta» dopo un po', lasciandosi convincere. Non che sia particolarmente interessato alla band underground o agli amici di Will, ma trova piacevole la compagnia dell'uomo. Per cui perché no?
Un paio di ore dopo, quindi, ha una birra in mano e si sta divertendo più di quanto credesse possibile. Nonostante quel pub non sia il suo genere di locale (sebbene durante la sua tormentata adolescenza abbia frequentato posti assai discutibili), la compagnia è piacevole. Lou Ellen, una laurea in fisica e la passione per i giochi di magia, è spiritosa e Cecil è una fonte inesauribile di aneddoti su un certo medico biondo che lo guarda con le gote arrossate, un po' per il caldo e un po' per l'imbarazzo.
Mentre l'altro l'uomo sta raccontando degli istinti di morte dell'amico («Clarisse è la persona più spaventosa che io abbia mai avuto il dispiacere di incontrare e questo qui la conosce dai tempi del liceo ed è ancora vivo»), Nico non riesce a smettere di osservare di Will, le sue mani, le sue spalle, la sua bocca. Vorrebbe baciarlo e l'irruenza di quell'improvviso desiderio lo turba perché sfugge al suo controllo. Per fortuna sul palco sale la band e la sua attenzione è costretta a rivolgersi alle quattro donne che formano le Artemis and the Hunters. Considera che Bianca avrebbe apprezzato l'idea di un gruppo femminile e nota che gli occhi della cantante hanno qualcosa di familiare; prova a concentrarsi su questo per non pensare a Will a pochi metri da lui e alla fine riesce a ricordarsi di Talia Grace, la ribelle sorella maggiore di Jason.
Le undici e così la necessità di recarsi al Plaza Hotel arrivano fin troppo presto e sebbene il punk rock non gli sia mai piaciuto molto deve ammettere che le Artemis and the Hunters sono brave. Rinuncia senza nemmeno provare al tentativo di salutare Cecil e Lou Ellen, congedandosi con un cenno del capo che non è sicuro sia stato visto. Will decide di accompagnarlo fuori e l'idea di restare solo in sua compagnia in un primo momento lo agita, poi si rimprovera: è un uomo maturo, non un adolescente.
Mentre si dirigono con non poca fatica all'uscita, il numero di persone venute ad ascoltare la band sono davvero molte, a Nico sembra di scorgere Reyna. Non è sicuro perché le uniche luci sono quelle del palco e sono in un pub a Brooklyn, inoltre l'amica non è l'unica donna a New York con una lunga treccia, tuttavia lui stesso si trova lì.
«Ti chiamo un taxi?» gli chiede Will precedendolo di qualche passo.
«Non serve, il mio autista sta arrivando» risponde sovrappensiero, finendo di sistemarsi la sciarpa.
«L'autista» ripete il biondo aprendo la porta «Mi dimentico sempre che tu sei Nico Di Angelo, il figlio di Ade. Quello del petrolio».
Il figlio di Ade. Ancora una volta, considera con amarezza, la reputazione di suo padre lo ha raggiunto.
«Lo sapevi e non hai detto nulla?»
Will scrolla le spalle, il respiro che si condensa davanti il suo volto.
«È importante?» gli chiede e Nico sta per replicare, salvo poi realizzare che non sa come rispondere.
È importante che la società di mio padre abbia un fatturato di quattrocento e qualcosa miliardi di dollari all'anno? Sì, no, non ne ha idea. Portare il cognome di Ade è sempre stato un peso e in alcune occasioni, durante la sua adolescenza, ha creduto di non riuscire a sopportarlo e ha detestato suo padre per un simile fardello, ma ora ha ventotto anni e sa che nella vita ci sono cose peggiori, più difficili da sopportare, più dolorose.
«No» conclude alla fine e Will annuisce, regalandogli un bellissimo sorriso che non lascia dubbi sulla sua risposta.
Jules-Albert accosta la Bentley nera proprio in quel momento e mentre esce per aprirgli lo sportello, Nico si ricorda di non aver ancora chiesto a Will se quel venerdì è libero. Rimedia prima di salire, invitandolo all'apertura della galleria e ottenendo una risposta affermativa che gli dà la forza per recarsi al Plaza Hotel. Anche quell'anno, infatti, Demetra ha ricevuto il premio per il suo impegno nel tutelare i parchi di New York.
Una trentina di minuti dopo è in Fifth Avenue e sta varcando la soglia del maestoso edificio, dirigendosi senza indugio verso la Grand Ballroom. Mentre percorre con andatura sostenuta il corridoio per raggiungere la sala il prima possibile si sistema la giacca. Hazel lo aspetta davanti le porte aperte e indossa l'abito di paiettes e tulle dorato che avevano scelto insieme; è davvero bella.
«Com'è andata?» gli chiede. Alle sue spalle gli invitati chiacchierano e ridono tra un bicchiere di champagne e l'altro.
«Bene» risponde sbrigativamente «Qui come procede? Demetra è offesa? Cosa le hai detto?»
«Non ti preoccupare» replica lei mentre entrano, ma non può continuare perché l'anziana ed elegante signora li nota e prende la parola.
«Vedo che mio nipote è finalmente arrivato» annuncia e inizia il proprio discorso di ringraziamento posticipato fino a quel momento.
Nico rivolge dei rapidi cenni di saluto agli invitati che si voltano verso di lui e prende posto al tavolo riservato ai familiari insieme ad Hazel, scusandosi con sua madre per il ritardo.
Quando venti minuti dopo il discorso è finalmente concluso, Demetra li raggiunge ed è di buon umore. È cordiale, perfino affabile con Hazel, non ricorda nemmeno una volta che sua sorella è sua sorella solo in parte e sembra aver preso bene la sua assenza.
«Cosa le hai detto?» domanda nuovamente, bisbigliando. Sospetta infatti che la premiazione c'entri poco, tanto vince ogni anno.
«La verità» ammette candidamente l'altra e Nico impallidisce, bevendo un lungo sorso di champagne.
«Non ti preoccupare» gli dice in quel momento sua nonna «Hazel... A proposito, davvero una persona squisita, non come sua madre. Comunque, Hazel mi ha detto tutto e sono molto felice per te. Non vedo l'ora di conoscere questo giovanotto».
 
(11 dicembre)
La sera dell'inaugurazione della galleria Nico avverte un vuoto allo stomaco, come se fosse agitato. Solo che lui non lo è, ha organizzato personalmente l'evento nonostante le opere di Rachel siano astratte e non abbiano nulla a che fare con reperti archeologici di origine greca e ha tutto sotto controllo.
Mentre i camerieri del servizio di catering si occupano degli invitati che lentamente riempiono le sale, lo sguardo di Nico scivola sempre più spesso verso l'ingresso. Nega a se stesso di star aspettando con impazienza l'arrivo di una certa persona, ma quando finalmente i suoi occhi la incontrano l'agitazione si mescola a qualcos'altro, qualcosa di più piacevole. Non ha il tempo né la voglia, in quel preciso momento, di indagare per cui si dirige verso di lui prima che l'uomo venga intercettato da altri. Altri come sua nonna, che non appena li vede insieme si precipita da loro portando con sé anche Persefone di Angelo.
«Will Solace» si presenta Will, impassibile, stringendo la mano ad entrambe le donne «Lavoro al New York Presbitherian Hospital».
«Un medico?» domanda Demetra con sguardo di approvazione e poi inizia con tono lamentoso «Io avevo detto a mia figlia di sposare un medico, ma lei invece no, lei ha preferito un magnate del petrolio sempre in giro per lavoro che guadagna sull'inquinamento della nostra povera terra» fa una breve pausa, sospirando in modo tragico, quindi conclude «Almeno mio nipote dimostra un po' un po' di senno».
Nico, che si era dimenticato quanto sua nonna fosse fissata con i dottori (imperdonabile errore da parte sua), si sente profondamente in imbarazzo.
Per fortuna Persefone interviene, dirottando l'attenzione di Demetra sull'artista, famosa oltre che per il suo talento artistico anche per essere la figlia del proprietario della Dare Enterprises e per essere un'ecologista, e Nico rivolge uno sguardo di gratitudine a sua madre prima di scusarsi con Will, ma l'uomo sembra essere divertito dall'incontro.
«Non credevo che studiare medicina ti rendesse automaticamente un buon partito» ride, accettando un flûte da un cameriere.
«Mia sorella direbbe che è il fascino della divisa» commenta Jason, avvicinandosi e presentandosi. Nico ritiene che con l'amico il medico sia in buone mani, quindi si scusa e si assenta per andare a salutare Caronte, uno degli azionisti della Exxon Mobil, scorgendo Percy parlare (o forse sarebbe meglio dire importunare) con una donna bionda. Quando torna trova Will intento a conversare con l'artista, Rachel. L'amica di Percy sembra averlo presa in simpatia, ma non è l'unica. Accanto a loro ci sono altre persone.
«No, mio padre è un medico» lo sente dire mentre lo raggiunge «E un collezionista. Riconoscimenti. Macchine. Fucili da caccia. Prime edizioni. Mogli».
C'è stato un momento in cui ha temuto che Will potesse trovarsi a disagio in un ambiente simile, circondato da sconosciuti, ma è stata una preoccupazione effimera. Ovunque vada, Will sembra essere sempre benvoluto da tutti e a suo agio, riesce a piacere agli altri anche dopo poche parole e mette sempre l'interlocutore a suo agio; un po' invidia questa sua capacità, quella sera però si limita ad ammirarla, unendosi al capannello di persone che si sono riunite attorno a lui e Rachel.
 
(17 dicembre)
Al telegiornale un portavoce della Protezione civile sta ricordando le procedure di emergenza da seguire, quando la corrente salta per la seconda volta e lo schermo diventa improvvisamente nero.
Seduto sul divano del proprio attico, Nico non ha dubbi che quando finirà quella che si sta verificando sarà la peggior bufera degli ultimi anni e che si raggiungerà il record massimo di centimetri di neve caduti al suolo.
Mentre attende senza fretta che venga ripristinata l'elettricità, pensa a Will che ormai da quarantotto ore non lascia il suo luogo di lavoro. L'ultima volta che lo ha visto, il pomeriggio precedente nella caffetteria dell'ospedale, gli ha raccontato di come la situazione in corsia stesse diventando di giorno in giorno sempre più invivibile. Quella mattina, poi, verso l'ora di pranzo, gli ha scritto che probabilmente quella sarebbe stata la giornata peggiore e gli ha raccomandato di prestare attenzione (so che non serve che te lo dica, ma non uscire di casa recitava il messaggio e leggendolo Nico non ha potuto fare a meno di provare una sorta di calore).
Da quando si sono conosciuti, riflette, non hanno fatto altro che trovare scuse per rivedersi e gli incontri sono aumentati sempre di più nell'arco delle ultime due settimane.
È sempre stato Will ad esporsi di più, a raccontare più aneddoti e a svelare più cose di sé, ma anche la sua lingua ha iniziato lentamente a sciogliersi. Ripensandoci, Nico realizza che aveva incastrate in gola, pronte ad uscire, più parole di quanto pensasse.
Gli ha raccontato della sua vera passione (l'archeologia), di quanto gli manchino gli scavi, ha accennato anche a suo padre e alla sua compagnia. Il nome di Bianca è uscito quasi per caso; Will, intuendo il dolore che vi si cela dietro non ha fatto domande, però il nome è tornato, ancora, più volte tanto che alla fine Nico si è ritrovato in alcune occasioni a parlare di sua sorella. Lo ha fatto con discrezione, usando il tempo passato: il momento più difficile è stato quando la direzione del discorso lo ha portato a raccontare della sua morte, mentre lui era in Turchia per alcuni scavi, e della scoperta, poco dopo i funerali, dell'infedeltà di suo padre e dell'esistenza di un'altra sorella nata qualche anno prima di Bianca durante un viaggio d'affari a New Orleans di Ade.
Will lo ha ascoltato, ogni tanto ha annuito, se l'aneddoto era divertente sorrideva altrimenti restava in silenzio. All'inizio Nico ha pensato che lo sguardo dell'uomo velato di malinconia fosse empatia, inoltre con la sua professione è stato a contatto con la morte, poi ha iniziato a sospettare che ci fosse altro e infine una sera, davanti a un bicchiere di vino, Will gli ha rivelato che anni prima ha perso un fratello e che un altro è di stanza in Afghanistan.
«Fratellastri, in realtà, ma per me poco importa non avere la stessa madre» si era corretto «Lee era il maggiore, io e Michael invece siamo coetanei. Con un padre del genere, avremmo potuto finire con l'odiarlo e odiarci l'un l'altro, invece abbiamo legato, siamo diventati amici, abbiamo scelto di essere fratelli. Lee ci precedeva solo di un paio di anni, ma si è sempre preso cura di me e di Michael quasi fosse stato lui il nostro vero padre. Ci ha insegnato a giocare a basket, mi ha regalato il mio primo stetoscopio ed è sempre stato lui ad accorgersi che Michael ha una mira infallibile. Era un musicista, suonava nell'orchestra sinfonica di Miami. Ti sarebbe piaciuto, Michael invece lo detesteresti. Ha un pessimo carattere, è arrogante, permaloso e ha un'altissima considerazione di sé. Da questo punto di vista assomiglia a nostro padre, credo non andresti d'accordo nemmeno con lui. È un chirurgo brillante, mai viste mani più ferme e più sangue freddo, in una sala operatoria è il migliore. Fuori però è una persona eccentrica ed espansiva, non si preoccupa minimamente di mettere a disagio gli altri con la sua personalità, ama le stanze affollate e le cose costose».
In quelle settimane si sono visti per qualche ora, durante la pausa pranzo o alla sera, e hanno parlano anche di argomenti meno dolorosi, si sono raccontati aneddoti divertenti (Will soprattutto) e si sono scambiati opinioni.
Fuori dalla finestra la neve continua a vorticare furiosamente e Nico ha il tempo di pensare anche ad Hazel che continua ad incoraggiarlo ad aprirsi di più, a lasciarsi andare senza paura di farsi male e che segue i suoi stessi consigli; più di una volta l'ha vista lasciare in anticipo l'ufficio ed è certo che duecento metri più in basso c'è sempre stato Frank Zhang ad attenderla.
Non conosce i dettagli della sua vita a New Orleans, non ne ha mai parlato molto, però sa che è stata difficile: nata da un flirt durato pochi giorni, figlia di un uomo che fino a pochi anni prima non l'ha mai riconosciuta e di una donna arrestata per frode, entrata a far parte suo malgrado di una famiglia ricca, potente e in lutto. Una volta gli ha accennato ad un amore di adolescenziale terminato con la prematura scomparsa del giovane di cui era innamorata, come se la morte perseguitasse i figli di Ade di Angelo, tutti, legittimi e illegittimi senza differenza.
Saperla felice suscita in lui un piacevole senso di leggerezza e serenità. Non ha ancora avuto modo di conoscere Frank Zhang, ma non dubita si tratti di una persona per bene: glielo ha assicurato Jason e si fida del suo parere e se anche l'amico non gli avesse detto nulla gli basta vedere come si illumina Hazel quando parla di quello che ormai è diventato il suo fidanzato.
 
(18 dicembre)
«Hai deciso se vai?»
Qualche giorno prima, infatti, Will gli ha chiesto se, condizioni atmosferiche permettendo, fosse libero la sera del diciannove per andare al Metropolitan Opera House. Suo padre gli procura sempre i biglietti e a lui farebbe piacere se lo accompagnasse.
Nico sospetta che Hazel l'abbia chiamato solo per chiedergli quello e assicurarsi di una sua risposta affermativa.
«Non ancora» replica pesando la farina, versandola poi nella terrina insieme agli altri ingredienti e mescolando «L'opera lirica non è esattamente il mio genere e solo in questi ultimi tre giorni è caduta tanta neve quanto quella dell'inverno scorso. La tempesta di ieri ha lasciato metà Manhattan senza corrente. Percy è rimasto bloccato in metropolitana per quasi tre ore».
«Sì, ma tu ci vai per la compagnia, no?» ribatte lei senza lasciarsi scoraggiare dalla sua risposta «I disagi maggiori sono stati nel Queens, già oggi qui a Manhattan la maggior parte delle strade erano percorribili. Non dare per scontato che lo spettacolo di domani sera venga cancellato. È un'occasione per stare insieme e conoscervi meglio, non lasciartela sfuggire. Inoltre Anna Bolena è davvero piacevole».
«E tu come lo sai?» le chiede iniziando versare l'impasto sulla padella per cucinarsi i pancakes. Nonostante nessuno si fidi della sua cucina (e non ha ancora ben chiaro perché), non se la cava male ai fornelli. In fondo è dai tempi del college che vive da solo e non si nutre più di cibo spazzatura da molti anni.
«L'ho visto la settimana scorsa con Frank» rivela e Nico è certo che dall'altra parte del ricevitore sua sorella sia arrossita.
 
(19 dicembre)
Alla fine ha accettato; si è recato al concerto di una band underground, perché non andare a teatro?
Contro ogni aspettativa lo spettacolo non è stato cancellato, quel giorno infatti oltre ad una nevicata di prima mattina non ci sono state altre precipitazioni, e Will è riuscito a trovare qualcuno che lo sostituisse («Ho in arretrato così tante ferie e così tanti favori, che non è stato difficile»).
Jules-Albert accosta davanti l'ingresso nello stesso momento in cui il medico attraversa la strada ed entrano insieme. Lasciano i cappotti e le sciarpe agli addetti guardarobieri e senza fretta raggiungono i loro posti. La sala si riempie lentamente nonostante alcune poltrone rimangano vuote e nell'attesa Will gli parla dello spettacolo, composto nel 1830 e rappresentato per la prima volta a Milano.
Prima che le luci vengano abbassate e poi spente, Nico nota che l'uomo al suo fianco sta davvero bene nel completo nero scelto per quella serata e concentrarsi sull'opera lirica risulta un po' più complicato del previsto sapendolo così vicino, ma si sforza di seguire il libretto.
«Ammetto che Anna Bolena è stato più piacevole di quanto pensassi» commenta tre ore e mezza dopo mentre escono dalla sala, riconoscendo che le performance di Sondra Radvanosky e Ildar Abdrazakov valgono la pena di assistere allo spettacolo «La prossima volta però lascia scegliere a me».
Will annuisce distratto, non lo sta ascoltando. Si guarda attorno con aria assorta, quasi nervosa e Nico non riesce ad immaginare a cosa stia pensando. A volte è così difficile capirlo e mentre si interroga se anche per l'altro valga la stessa cosa si distrae, così quando l'uomo lo afferra bruscamente per un braccio viene colto completamente di sorpresa.
L'istante successivo si ritrova contro il muro di un corridoio secondario, con la bocca di Will premuta contro la propria; non è sicuro di come sia accaduto e sinceramente nemmeno gli interessa. Dopo i primi secondi di confusione, infatti, allunga le mani sulle sue spalle, le fa scivolare oltre il colletto della camicia e le porta tra i capelli biondi, mentre dischiude le labbra e accoglie la lingua dell'uomo.
«Il mio appartamento è vicino» gli dice quando si allontana e Nico non ha nulla da obiettare. Annuisce e dopo un ultimo, rapido bacio si avviano all'uscita per recuperare i cappotti.
All'esterno l'aria è fredda e la temperatura deve essere calata nuovamente, ma sui marciapiedi ci sono diversi passanti che non sembrano curarsene e sulle strade i taxi continuano a correre con le catene o le gomme da neve.
Segue Will tra le strade di Hell's Kitchen, considerando distrattamente che è la prima volta che si trova a percorrerle, non ricorda infatti di esserci mai passato con Jules-Albert. Il quartiere è illuminato a giorno, lampioni e insegne relegano l'oscurità della notte nei vicoli secondari. Passano davanti ad alcuni ristoranti con passo svelto, superano un cinema e diversi locali dalle insegne sgargianti e infine, dopo nemmeno dieci minuti, si fermano davanti ad un palazzo in mattoni il tempo necessario per aprire il portone.
L'ascensore non è molto spazioso, i loro corpi si sfiorano e i loro sguardi si cercano con impazienza e un po' di imbarazzo. Nico trova quell'attesa quasi logorante e si sporge per annullare le distanze proprio quando le porte si aprono su un pianerottolo buio fatta eccezione per una finestra da cui proviene la luce giallastra di un'insegna.
«Cosa c'è?» gli chiede l'altro raggiungendo la porta del proprio appartamento. Le chiavi cozzano tra loro mentre la serratura scatta: l'attesa sembra finalmente giunta al suo termine e Nico non ha voglia di pensare a nulla che non siano loro due in un letto.
«Niente» replica rapidamente avvicinandosi «Mi sono ricordato che quando ero piccolo leggevo il fumetto di un supereroe che vigilava su Hell's Kitchen».
«Daredevil» ribatte Will, baciandolo e attirandolo all'interno dell'appartamento.
 
(20 dicembre)
Si sveglia quando la porta di ingresso si apre (o si chiude), ma resta con gli occhi chiusi ancora un po’, cercando di trattenere il sonno e in ogni caso beandosi del tepore delle coperte. Non gli occorre allungare la mano o voltarsi per sapere che Will non è a letto con lui e la cosa non lo disturba, è a conoscenza delle abitudini mattiniere dell'altro anche quando non deve lavorare. Per quanto lo riguarda, medita di restare sotto il piumone ancora un po' e godersi così quella domenica mattina.
La voce di un uomo, però, risale dalla tromba della stretta scala a chiocciola bianca e gli fa cambiare idea. Realizza infatti che c’è qualcun altro nell’appartamento, qualcuno che Will sembra conoscere perché ci sta conversando. Sono al piano di sotto lo sente chiaramente dire «Parla piano, sta ancora dormendo».
Mentre cerca i propri vestiti tende l’orecchio, ma lo sconosciuto ha abbassato il tono di voce e sente a mala pena dei bisbigli, dei rumori di passi e di cose che vengono spostate.
Quando alla fine li raggiunge, trova Will su uno sgabello davanti il bancone della cucina. Indossa un maglione rosso e dei pantaloni della tuta grigi e sta porgendo una tazza, mentre un’altra, uguale, è appoggiata accanto al computer. Rimane per qualche secondo fermo sulla soglia ad osservare l’uomo con cui ha trascorso la notte ed è in quella posizione che lo sconosciuto lo nota.
«Ti sei svegliato» gli dice con naturalezza, come se lo conoscesse e nello stesso momento Will si volta e lo accoglie con uno sguardo che rischia di farlo arrossire. Non perché sia carico di malizia o sottintesi, ma proprio perché, al contrario, è limpido e caldo. Sembra dirgli buongiorno e farlo con la stessa intimità che potrebbe usare una coppia che si conosce da molto tempo.
«Io sono Chris» aggiunge l’uomo e Nico silenziosamente lo ringrazia per questo «Rodriguez. Il fratello di Cecil».
Il fratello di Cecil. Prova a fare mente locale, ma non ricorda che l’altro lo abbia mai nominato. È anche vero che Cecil parla così tanto e così velocemente che potrebbe essersi perso l’informazione.
«Il marito di Clarisse» precisa il padrone di casa e qualcosa, nella mente di Nico, scatta. Il marito di Clarisse. Ecco, di questo invece si ricorda.
«È qui perché a causa del maltempo internet nel suo quartiere non funziona e oggi è la vigilia. Clarisse si connetterà a momenti. Ti abbiamo svegliato? Scusaci» continua Will «Vuoi una tazza? Dovrebbe essere rimasto del caffè».
Mentre Nico si serve da solo, leggermente disorientato dalla naturalezza dell'altro, lo schermo del computer si riempie di pixel sgranati che trasmettono dapprima l’interno di una grande tenda verde militare e poi il volto di una donna abbronzata che guarda in cagnesco la telecamera.
I tre iniziano a parlarsi come se a dividerli non ci fosse un oceano e si sentissero tutti i giorni e lui li osserva appoggiato al lavello, sorseggiando il caffè. Clarisse ha la stessa aria gentile di un pitbull in procinto di attaccarti e sembra pronta ad attraversare lo schermo per poterti strangolare, ma Chris non se ne cura e le risponde a tono – anzi, a guardarlo meglio ha l’espressione di chi vorrebbe volentieri essere strozzato. Will invece ride e poi si volta.
«Che ci fai lì? Avanti, vieni».
La video chiamata è iniziata una manciata di minuti prima, ma già gli sembra una cosa così intima che non se la sente di imporre la sua presenza. In fondo è un estraneo. Ma l’altro continua ad aspettare, guardandolo con i suoi luminosi occhi azzurri, e alla fine lo asseconda, portandosi alle sue spalle.
Clarisse sta discutendo con suo marito e quando compare sullo schermo non si interrompe, come se nemmeno lo avesse visto. Nico è però certo del contrario. Nonostante i pixel sgranati ha colto qualcosa nello sguardo della donna, come se lo stesse valutando, e nonostante non gli abbia rivolto neppure un cenno di saluto, in qualche modo sente di essere stato accettato.
«Michael?» chiede ad un certo punto Will e mentre attendono la risposta la sua mano si muove da sola e si posa sulla spalla del medico. Non sa nemmeno lui perché lo ha fatto, non è un amante del contatto fisico, ma l’uomo gradisce e la copre con la sua.
«È ancora in missione» replica Clarisse e non aggiunge sono sicura che sta bene o vedrai che torna, non ti preoccupare. Ma lo sguardo che rivolge all’amico infonde sicurezza.
 
(21 dicembre)
Mancano quattro giorni a Natale, Chione tiene ancora nella sua morsa di gelo l'intera città e loro stanno prendendo un caffè insieme quando Gaio Vitale, un vecchio conoscente, lo nota e si avvicina con aria gioviale.
«Nico Di Angelo!» si sente salutare mentre l'anziano signore gli stringe con energia la mano.
Nico è allo stesso tempo seccato e sollevato per l'interruzione. Da un po', infatti, sente di dover definire il suo rapporto con Will e alla luce di ciò che è accaduto nel weekend la cosa è senza dubbio urgente, per questo la pausa del medico gli è sembrato il momento migliore per affrontare l'argomento. La sola idea, però, di parlare dei suoi sentimenti gli fa venire l'orticaria, senza contare che non ha la più pallida idea di cosa dire. Inoltre (ed è difficile ammetterlo) teme ciò che Will possa rispondergli. Lo conosce solo da un mese eppure è entrato così facilmente nella sua vita che lo spaventa sia l'idea che ci rimanga sia che se ne vada.
«Gaio Vitale» saluta a sua volta e poi procede laconico con le presentazioni. Non appena, però, termina quella di Will si chiede se non avrebbe dovuto aggiungere qualcosa, come è il mio fidanzato o ci stiamo frequentando, ma Vitale non gli lascia il tempo di preoccuparsi perché si lancia nel resoconto non richiesto della sua vita da quando ha appeso il camice e si è ritirato e poi si informa della sua famiglia.
«Tuo padre come sta? E tua madre? E tua nonna? E quella adorabile fanciulla, come si chiama... sì, Hazel. Hazel come sta?»
Rapidamente gli riferisce che tutti i suoi parenti godono di ottima salute, ma si lascia scappare che sua sorella è a Vancouver con il suo fidanzato, Frank Zhang, e Vitale coglie l'occasione per informarsi del Canada e di come invece trascorrerà lui le vacanze. Senza alcun potere sulla conversazione, Nico si ritrova ad ammettere che non ha nulla in programma e a raccontargli alcuni degli itinerari che Hazel ha in programma di compiere, come l'escursione in elicottero fino alle isole Madeleine per vedere le foche.
Quando finalmente riesce a chiudere la conversazione e a salutare Vitale, la pausa di Will è ormai conclusa e lui non è riuscito a porgli la grande domanda («Cosa siamo?»); ne è ovviamente contrariato, ma allo stesso tempo anche sollevato dato che di fronte alle cose importanti ha la tendenza a scappare.
«Perdonami» si scusa mentre lo riaccompagna in ospedale. L'uomo però non sembra turbato o dispiaciuto e sospetta anzi che abbia apprezzato sentirlo parlare così tanto dal momento che solitamente è molto più parco di informazioni che riguardano se stesso o la sua famiglia.
Quando l'entrata del New York Presbytherian Hospital si staglia davanti a loro, Nico si ritrova improvvisamente in imbarazzo perché non sa come salutare l'altro. Due notti fa sono andati a letto insieme e il giorno precedente, prima di lasciare l'appartamento di Will, si sono dati un veloce bacio a stampo sulla soglia, ma da allora non c'è stato altro. Una volta lasciate le mura dell'appartamento a Hell's Kitchen il loro rapporto è tornato a com'era qualche giorno prima anche se in realtà è cambiato tutto.
Will, che è sempre attento ai dettagli, sembra rendersene conto. Nico lo capisce dallo sguardo che gli rivolge e capisce anche che non è l'unico ad essere a disagio; le spalle dell'uomo, infatti, sono rigide e inaspettatamente prova l'impulso di appoggiarvi le mani. Non è sicuro di come, ma sa che se lo facesse i muscoli dell'altro si rilasserebbero.
«Jules-Albert sarà qui a momenti e i pazienti ti aspettano» gli dice, rompendo l'imbarazzante silenzio che si è creato, e poi aggiunge con tono un po' incerto «Ci sentiamo».
Will annuisce e sta raggiungendo l'ingresso quando si ferma e si volta.
«Se veramente non hai nulla in programma potresti venire a casa con me. Anche a San Diego ci sono le foche».
 
Mentre Jules-Albert lo porta in ufficio, Nico ripensa all'invito di Will.
Non può negare che gli faccia piacere, molto piacere. Superata la sorpresa iniziale, infatti, è felice di sapere che l'uomo vorrebbe trascorrere le festività con lui. Non che la sua famiglia non voglia passare il Natale con lui, ma da quando Bianca è morta è tutto più difficile. Stare da solo, invece, è facile; così facile che è stato lui per primo a rifiutare gli inviti fino a quando hanno smesso di arrivare. La consapevolezza, però, che qualcuno desideri la sua compagnia gli diffonde nel petto un piacevole calore; è una sensazione che non provava da tempo, tanto da dimenticarsi quanto fosse bella.
Tuttavia a mente fredda l'unica cosa a cui riesce a pensare è che Will si sia totalmente ammattito. Cosa contava di fare rivolgendogli così a cuor leggero un simile invito e andandosene il secondo dopo?
Trascorrere il Natale a casa sua, a San Diego, è un passo importante, è una cosa intima, è una da cosa da fidanzati e al momento non sa nemmeno che cosa sono.
«Signore, tutto bene?» gli chiede l'autista, osservandolo dallo specchietto retrovisore.
«Sì, sì» risponde distrattamente e poi torna a rivolgersi all'uomo «Jules-Albert, hai programmi per questo Natale?»
«Nessuno signore, sono a sua completa disposizione».
Come per gli ultimi venti Natali, considera Nico con una nota di amarezza mentre le strade ancora innevate di Manhattan scorrono dietro il finestrino. Nonostante il freddo, i marciapiedi sono pieni di persone: cittadini che si muovono per lavoro ma soprattutto turisti. Coppie, comitive, famiglie che osservano e fotografano e scoprono Manhattan. Tra la folla ci sono anche alcuni Babbi Natali e la consapevolezza di aver vissuto altri dodici mesi lo colpisce all'improvviso – stranamente senza fargli troppo male.
Con quello che si sta chiudendo, fanno tre anni dalla morte di Bianca. Tre anni in cui ha negato la sua scomparsa, in cui si è arrabbiato (con tutti e con nessuno, ma soprattutto con Bianca per averlo lasciato) e ha continuato a rifiutare una realtà in cui sua sorella non è più presente. In cui ha messo da parte i propri sogni e le proprie ambizioni e si è reso infelice da solo.
In quel preciso momento, invece, mentre Midtown lo accoglie con il suo traffico, le luci e le decorazioni e i suoi uffici, Nico si sente leggero e ha il sospetto che quella strana forza che insiste per distendergli la fronte e rissargli le spalle sia proprio felicità.
Per la prima volta dalla morte di Bianca, Nico è felice e, realizza, lo è da settimane, solo che non ha mai voluto ammetterlo.
Certo, sta ancora svolgendo un lavoro che non gli interessa (e per il quale, tra l'altro, non è minimamente portato), ma non è più solo – non lo è mai stato. Ha Reyna e ha Jason, che è sempre stato un buon amico e che anni prima lo ha sostenuto e incoraggiato a fare coming out. Ha Percy. Ma soprattutto ha Hazel, che è anche lei sua sorella e che gli vuole bene e si preoccupa per lui, e ora ha Will.
Will che non sopporta il freddo e detesta andare a caccia con suo padre («Ogni anno è la stessa storia: sa che non mi piace, che non sono capace, che ho una pessima mira, ma lui riesce ad averla vinta e mi ritrovo in un bosco con fucile a rendermi ridicolo»), che straparla quando è nervoso, che lo bacia in un corridoio del Metropolitan Opera House e che con naturalezza lo invita a trascorrere le vacanze in California.
Detesta la sua spontaneità, il suo essere così affabile e anche così testardo, la facilità con cui riesce ad entrare nella vita delle persone (nella sua) e l'aria spensierata con cui affronta le giornate. E allo stesso tempo gli piace proprio per questo, per il suo essere così solare e completamente diverso da lui – ma poi non così tanto.
«Signore, siamo arrivati» gli fa notare l'autista. Fuori dal finestrino il GE Building si staglia maestoso contro il cielo plumbeo. Duecentocinquantanove metri di cemento, vetro e acciaio. Bianca era felice di lavorare lì. Hazel ne è felice.
Lui preferisce le biblioteche e i musei, le aule universitarie e i siti archeologici, la polvere e la soddisfazione di uno scavo. Non è un manager, non gli interessa la Exxon Mobil, lavorare in un ufficio a più di duecento metri da terra non fa per lui.
È un archeologo, è uno studioso dell'Antica Grecia.
Osserva le persone in giacca e cravatta sotto i pesanti cappotti entrare ed uscire e non è quello il suo posto. Non lo è mai stato e fingere che lo fosse è stato un incredibile spreco di tempo.
«Jules-Albert, cambio di programma» annuncia «Ho bisogno di vedere mio padre. Il lunedì mattina è sempre allo Yale Club, se ci sbrighiamo lo troviamo ancora lì».
«Tutto bene, signore?»
«Mai stato meglio» replica, mentre la macchina si reimmette nel traffico.
 
Dopo aver parlato con Ade di Angelo come forse non ha mai fatto in ventotto anni di vita, Nico si fa nuovamente portare al New York Presbytherian Hospital e attende Will nell'atrio. L'uomo lo raggiunge poco dopo e mentre lo osserva avanzare, nota che il camice gli sta molto bene. Per quanto gli piacerebbe continuare a riflettere su quanto sia affascinante, mette da parte i propri pensieri e si concentra sul motivo per cui è lì.
«Quando mi hai chiesto di San Diego eri serio?» domanda prima che l'altro possa chiedergli per quale motivo lo ha chiamato.
L'espressione del medico, inizialmente preoccupata, si trasforma in una rilassata mentre gli risponde affermativamente.
«Ci vediamo il ventiquattro in aeroporto?»
«Il ventiquattro in aeroporto» conferma, rivolgendogli poi un cenno di saluto a cui l'uomo risponde con un bacio.
Il gesto di Will è così improvviso che Nico non ha il tempo di sottrarsi o di reagire in altro modo: il momento prima sta per andarsene e quello dopo ha la bocca dell'uomo premuta sulla propria.
Sono in ospedale e diverse persone li stanno guardando: normalmente quella manifestazione di affetto in un luogo pubblico lo metterebbe profondamente a disagio, tuttavia quel bacio è esattamente ciò che vuole. Lo realizza mentre le labbra di Will indugiano ancora per qualche secondo sulle proprie e quando si allontana quasi gli dispiace che il contatto sia già finito.
«Porta almeno un costume» gli dice il medico prima di tornare al suo reparto.
 
(24 dicembre)
«Starà bene?» domanda Will, osservando la Bentley procedere verso l'uscita «L'ho visto abbattuto».
«Dici?» replica Nico prendendo la propria valigia «È il primo Natale che trascorrerà senza di me da tre. Deve solo riabituarsi, ma poi starà bene».
Alle sue spalle l’aeroporto John F. Kennedy è una struttura enorme e bianca, gremita di persone. Per più di un istante è tentato di richiamare Jules-Albert e farsi portare all'aereo privato di suo padre, ma alla fine si decide ad entrare stando ben attento a non incrociare il suo cammino con quello di altri.
«E tu? Tu starai bene?» gli chiede Will schivando una famiglia di turisti. È una domanda innocua eppure Nico si sente investire da un'ondata di calore.
Non gli occorre guardarsi per sapere che i suoi zigomi (traditori) hanno assunto una sfumatura rosata e si volta con la scusa di dover controllare il tabellone delle partenze.
«Sì, che domande fai?» replica con un tono più burbero di quanto volesse e per un istante teme di essere stato troppo duro e di averlo offeso. Ma anche se gli sta dando le spalle, lo sente sorridere e di riflesso gli angoli della sua bocca curvano verso l'alto.
«Da questa parte, Nico» dice subito dopo, sfiorandogli il gomito. Ancora una volta la naturalezza di Will ha il potere di spiazzarlo e riscaldarlo allo stesso tempo. Da che ha memoria, sono veramente poche le persone che si trovano a loro agio in sua presenza e che sanno come prenderlo. Bianca era una di queste; Reyna, Jason e Hazel lo sono diventate. Percy ci sta ancora lavorando e i suoi genitori sono, beh, sono i suoi genitori: Persefone è come la figlia che ha perso e Ade sotto certi aspetti è troppo simile a lui.
Will fino a poche settimane prima era un estraneo, uno sconosciuto come tanti altri incrociato a Manhattan e destinato a perdersi tra gli oltre otto milioni di abitanti della città. Ora invece è al suo fianco e sembra trovarsi bene lì dov'è. Gli sorride, gli racconta aneddoti, lo bacia, lo sfiora, lo ascolta, a volte lo contraddice, altre lo prende in giro e Nico è disorientato dalla spontaneità di tutto ciò e anche un po' spaventato. Gli occasionali amanti avuti in passato non sono mai durati, non sa come si faccia a portare avanti una relazione, a vivere una vita in due. Teme di restare ferito, come sempre, di essere lasciato e allo stesso tempo, per la prima volta, teme di ferire, di lasciare, di rovinare tutto.
Lo osserva, a pochi passi di distanza, rispondere gentilmente e con pazienza alle domande di una signora che non è mai stata in quell’aeroporto. È bello e non si tratta solo dei capelli biondi che si arricciano sulle punte, degli occhi blu, dei lineamenti regolari o del fisico atletico. È bello per la sua natura spontanea e solare, per l'attenzione che presta ad ogni cosa e ad ogni persona, per la luce che brilla nel suo sguardo quando parla di argomento che lo appassiona, per tutto un insieme di gesti, sorrisi e altre piccole cose che fa senza accorgersene ma che lo fanno stare bene.
Mentre ripensa a come le sue giornate siano cambiate da quando lo ha conosciuto, lo vede salutare la signora come se la conoscesse e poi voltarsi verso di lui con un sorriso di scuse per essersi fermato.
«Andiamo?»
«Andiamo» replica e considera che sì, la presenza di Will nella sua vita lo rende inquieto perché non sa come comportarsi, ma ciò che prevale, alla fine, è la felicità.
 
(25 dicembre)
«Pronto? Nico? Cos'è questo rumore?» domanda sua sorella dall'altra parte della linea, a più di duemilacinquecento chilometri da dove si trova lui «Sono onde? Onde e gabbiani? Sei veramente andato a San Diego!»
Dal tono di voce si capisce chiaramente che Hazel è stupita e che non si aspettava di trovarlo in California. Nemmeno lui se lo aspettava ad essere sinceri. È stato tutto così rapido e impulsivo che gli sembra quasi un sogno.
«Sì» replica e le sue parole suonano strane perfino a lui «Will mi sta ospitando nella sua casa a la Jolla, che è praticamente sulla spiaggia».
«Non so cosa dire, è tutto così nuovo e bello, perché è bello, vero? Sei felice?»
«Sì» risponde «Sono felice».
È la prima volta che lo dice ad alta voce, realizza mentre segue con lo sguardo Will – sta portando le ultime sedie in giardino e quando si accorge di essere osservato gli sorride.
«Ecco, questa è l'unica cosa che conta. So che non ti piace il contatto fisico, ma in questo momento ti abbraccerei» continua Hazel e dalla voce sente che è a sua volta sinceramente felice.
«Suppongo che io ricambierei» le concede.
«Sul serio?»
«È Natale» replica «Anche se qui sembra di essere in estate».
«A proposito, grazie mille per il regalo».
«Lo sai già?»
«So cosa? È arrivato qualche ora fa» replica lei e poi aggiunge «Nico, ti sei per caso dimenticato di avermi riservato un pacchetto vacanze in Perù per due?»
«Cosa? No, certo che no» nega e non sta mentendo. Ha acquistato il pacchetto ancora tre mesi prima e ricorda di averlo fatto. Quando però Hazel ha accennato al regalo ha pensato ad un'altra cosa e ora si rende conto che forse sua sorella dovrà attendere per andare a Lima.
«Temo che il Perù dovrà aspettare» aggiunge e non era così che si aspettava di dirglielo, ma ormai se ne è presentata l'occasione e decide di coglierla «Prima di partire ho firmato alcune carte e mi sono dimesso. Ho rinunciato alle quote azionarie di Bianca che ora sono tue».
Per alcuni secondi Hazel non dice nulla e poi domanda «Sei serio?»
«Sì. Torno agli scavi archeologici».
«Io...io... Ade lo sa?»
«Nostro padre ne è al corrente e conviene che è la soluzione migliore. Ti sei laureata alla London School of Economics, hai le competenze richieste e ti piace ciò che fai. Io non potrei mai ricoprire il ruolo di Bianca, tu, al contrario, sarai un fantastico amministratore delegato».
«Sono senza parole, veramente».
«Congratulazioni Hazel, stai per diventare una delle donne più ricche e potenti sulla faccia della terra».
«E tu? Tu starai bene?»
È la seconda persona nel giro di pochi giorni a porgli quella domanda.
«Scherzi? Starò benissimo» replica e non ha dubbi a riguardo. Tornare alla sua vecchia occupazione è la cosa migliore che possa fare per se stesso e per la Exxon Mobil. Gli dispiace solamente non aver preso quella decisione prima, ma, come gli ha fatto notare Will, i tempi allora non erano ancora maturi e sa che ha ragione. Non avrebbe mai potuto continuare i suoi studi e le sue ricerche con il fantasma di Bianca a tormentare le sue giornate, sarebbe stato ugualmente infelice e forse sarebbe addirittura arrivato a detestare l'archeologia – e questo sarebbe stato decisamente peggio.
«Ora ti lascio, il pranzo è pronto» aggiunge subito dopo, perché Will gli ha fatto cenno di raggiungerlo e non è educato che la famiglia Solace attenda lui per iniziare a mangiare. Quello che doveva riferire a sua sorella, lo ha riferito e dei dettagli ne parlerà con il padre quando tornerà dal Canada.
«Buon Natale, Nico».
«Buon Natale, Hazel».







 
   
 
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