Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: laNill    27/11/2015    7 recensioni
Era diventata una routine per Bokuto, ormai; lavorava in quel localino molto alla mano e spartano da poco meno di un anno. Gli erano capitati davanti dei soggetti molto curiosi e assurdi in quel lasso di tempo.
Ma nessuno era come 'lui'.
“Bro. Non ce la posso fare.”
Kuroo lasciò andare un sospiro, i gomiti poggiati al di là del bancone, seduto su uno sgabello; si passò una mano tra i capelli arruffati, per poi poggiare il pugno contro la guancia mentre osservava pacato l’espressione assente e imbambolata del migliore amico.
“E’ da mesi che lo fissi; prova almeno a parlarci.”
[Au!Caffèshop | BokuAka]
| Partecipa al contest 'Spokon in AU', indetto da Nacchan e Shichan sul forum di EFP. |
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Tetsurou Kuroo
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
_Autore: Ladyrin_
_Titolo: Cafè-au-lait
_Personaggi e pair: Bokuto Koutarou, Akaashi Keiji, Kuroo Tetsurou, Altri; BokuAka
_Pair secondari: Kuroken (accenno)
_AU scelta: Caffèshop.
_Avvertimenti: Missing Moment, AU.
_Rating: Verdissimo.
_Generi: Fluff, Slice of Life.
_Note autore: E’ la prima BokuAka che scrivo, una cosina senza troppe pretese; erano secoli che volevo buttare giù qualcosa su questa coppia e solo ora ho trovato lo stimolo per farlo. Sono troppo carini <3
Ho cercato il più possibile di non sfociare nell’OOC sperando di esserci riuscita, e di essere rimasta all’interno del contesto scelto.
Un piccolo appunto è sul punto di vista della storia: c’è sempre quello di Bokuto, ma si modifica solo alla fine, il pezzo finale, spostandosi al punto di vista di Akaashi -mi è uscito così, spero non dia fastidio!
Enjoy;

 
Cafè-au-lait
 
 
 
Era diventata una figura usuale, quella del giovane dai capelli scuri, appena arricciati, e dagli occhi sottili, parzialmente socchiusi.
Arrivava verso le tre e venti -a volte tardava un po’ e varcava la porta allo scoccare delle tre e mezza del pomeriggio, si sedeva all’ultimo tavolinetto di legno consumato vicino la finestra; talvolta leggeva, molte volte si perdeva a guardare fuori il via vai della gente che scorreva tranquillo e ad intermittenza su quella stradina laterale di periferia.
La prima volta che era entrato, Bokuto era rimasto fulminato.
Letteralmente.
Si era fiondato in un istante a servirlo, raggiungendolo al tavolo con un espressione inebetita e ancora sconvolta da quanto bello fosse.
Lui aveva alzato il capo lentamente, l’espressione di pacata sorpresa per la propria celerità a chiedergli l’ordine dipinta su quei begli occhi scuri, screziati di verde, con le ciglia lunghe ad ombreggiargli le guance appena rosse per il freddo siderale che c’era fuori. L’ordinazione l’aveva scritta guardando praticamente solo il suo bel viso, senza guardare il taccuino né cosa stesse scrivendo.
Risultato: era dovuto ritornare da lui, nella più totale vergogna, e richiedere ciò che desiderava.
Cafè-au-lait.
Le prime volte non riusciva neanche a scriverlo correttamente, scribacchiando quel nome che dalle labbra di quell’angelo aveva un suono così armonioso e sottile, mentre a guardare la propria scrittura, risultava grezzo e privo di musicalità, oltre che ridicolo.
Sarebbe potuto stare ore a sentirlo parlare, anche se avesse pronunciato quella singola parola gli sarebbe andato bene.
Era diventata una routine per Bokuto, ormai; lavorava in quel localino molto alla mano e spartano da poco meno di un anno. Gli erano capitati davanti dei soggetti molto curiosi e assurdi in quel lasso di tempo –un tizio dal nome russo, ma che russo non era, che non la finiva più di parlare; una coppia di ragazzini che litigavano in continuazione; o un tale che si vantava di essere il miglior modello del pianeta mentre quello che doveva essere il suo manager lo tirava via dal bancone mezzo ubriaco a furia di calci, sbraitandogli dietro.
Ma nessuno, nessuno, era come quel ragazzo.
Ogni volta che lo vedeva sfilarsi la sciarpa spessa a coprirgli la bocca, scoprendola, togliendosi il berretto liberando i capelli scuri come un cielo privo di stelle, domandandosi quale consistenza avessero; ogni volta che vedeva i suoi occhi sottili e miti ricercare il proprio posto e trovarlo sempre libero -grazie a Bokuto e al suo ripulirlo ogni volta che vedeva qualcuno fare per sedersi-, scorgendo quel suo distendere dei lineamenti mentre lo vedeva incamminarsi, come se fosse grato che nessuno gliel’avesse occupato; ogni volta che scopriva il collo sottile, d’avorio o si sfregava le mani minute dalle dita lunghe e affusolate, da pianista, per il freddo che aveva patito fuori e solo Kuroo sapeva quanto avrebbe voluto prendergliele tra le proprie e riscaldarlo personalmente.
Ogni volta, ringraziava quel lavoro e quella benedizione.
 
“Bro. Non ce la posso fare.” Sospirò nel pieno pomeriggio di una giornata di inizio dicembre, piegandosi sul bancone e sbattendo la fronte contro il ripiano di legno.
Nel locale c’era un brusio sommesso, per quella manciata di persone al suo interno, sparpagliate qua e là, già servite; chi intento a leggere, chi a parlare con il telefono o con il proprio accompagnatore. Chi illuminava il locale solo con la propria presenza.
Gli occhi dorati di Bokuto si posarono sul giovane, chino su un libro di testo –chissà che università faceva.
Kuroo lasciò andare un sospiro, i gomiti poggiati al di là del bancone, seduto su uno sgabello; si passò una mano tra i capelli arruffati, per poi poggiare il pugno contro la guancia mentre osservava pacato l’espressione assente e imbambolata del migliore amico.
“E’ da mesi che lo fissi; prova almeno a parlarci.” Gli disse, per la dodicesima volta, minimo, in quella sola settimana. E la cosa durava da tre mesi.
“Non posso! Guardalo! E’ etero al 100%.”
“Ho detto di parlarci, non di limonartelo come un cinghiale.” Kuroo roteò gli occhi al cielo, per poi prendere un sorso del suo caffè nero.
Bokuto fece un lamento sofferente, drizzando la schiena e mettendosi le mani tra i capelli, in quell’espressione di pura disperazione esagerata.
“Tu non capisci. Mi sento come un gufo in piena fase d’accoppiamento.” Mormorò
“.. Che cosa?!”
“Ho puntato la mia anima gemella, capisci?! My owlmate!”
Kuroo piegò le labbra in un sorrisino sardonico, sfottendolo e trattenendo una risata che lo avrebbe fatto piegare sul bancone.
“Tu sei fuori.” Sghignazzò mefistofelico.
Bokuto gonfiò le guance, puntandolo indispettito.
“Parli tu, che con Kenma non ci hai parlato nemmeno una volta!”
“Tecnicamente ci ho parlato.” Affermò Kuroo,pieno d’orgoglio e con quel sorriso che divenne più largo e più spudorato che mai. “Ben due volte.”
Fu la volta di Bokuto ad alzare gli occhi al cielo, allargando le braccia solo per farle ricadere sui fianchi. Ritornò a guardare con la coda dell’occhio il giovane dagli occhi belli, sentendo un fremito al petto nel vederlo puntellarsi il labbro inferiore con la parte superiore della matita, inconsapevole dell’effetto che quel gesto aveva su di lui.
Si morse il labbro inferiore, mentre con le dita delle mani scandiva il ritmo di un qualche motivetto battendo le falangi contro il bordo del bancone, sotto lo sguardo divertito di Kuroo.  Era nervoso, glielo si leggeva e lo sentiva dal modo in cui tamburellava sul tavolo con le dita; faceva sempre così.
“Ok, domani ci parlo.”
“Ohohoh?” Kuroo lo fissò stupito. Bokuto annuì, deciso; sguardo che durò tre secondi, prima che ritornasse a guardare l’amico spaurito e in esagitazone.
“Rimarrai con me, Bro?”
“Sempre Bro! .. anche se non fisicamente, che domani lavoro.”
“Bro.” Gli prese le mani melodrammaticamente commosso, Kuroo fece lo stesso; tra di loro solo il bancone.
“Bro!”
Il tutto sotto lo sguardo pacato della giovane cameriera dagli occhiali spessi e i capelli mori che fece finta di non guardare; erano sempre così, in fondo.
 
Il giorno dopo si svegliò carico, pronto a fare il grande passo che lo avrebbe portato più vicino al suo angelo dagli occhi belli e dalla bella voce.
Ma appena lo vide entrare a testa china, semi nascosto dalla spessa sciarpa ancora più pesante del resto degli altri giorni con un rapido cenno del capo senza alzare lo sguardo, la fiducia che aveva in sé stesso si sgonfiò come un palloncino.
Non poteva, era inutile! Non avrebbe mai potuto parlargli, figuriamoci a chiedergli il nome! .. Il numero di telefono, poi, sarebbe stata un utopia.
Non l’aveva nemmeno sfiorato con lo sguardo, come poteva sperare tanto?
Infilò la mano nella tasca, afferrando il cellulare e scrivendo in fretta un messaggio a Kuroo.
-Bro, non ce la faccio. Non posso, devo rinunciare!-
Qualche istante dopo, sentì la vibrazione; aveva appena preso il taccuino diretto al suo tavolo, ma lesse il messaggio ugualmente.
-VAI. SBRIGATI.-
 Bokuto velò l’espressione di insofferenza: odiava quando Kuroo metteva troppi punti. E odiava anche quando scriveva in maiuscolo, era come sentirlo sbraitare contro e la cosa non gli piaceva, gli metteva ansia.
Sospirò, rinfilandosi l’apparecchio in tasca. Tirò un respiro profondo, prese coraggio –o quel poco che ancora gli rimaneva- e si avvicinò.
Bastava anche solo una battuta, una parola in più; sarebbe bastato quello.
“Ciao, che posso porta.. rti..?”
In verità, tutto si sarebbe aspettato, escluso quello.
Il giovane aveva sussultato al suono della sua voce, troppo preso a guardare il cellulare che stava vibrando, prima che lo spegnesse di scatto e alzasse il viso verso di sé. Sarebbe stato pronto a tutto, anche ad un presunto fastidio di averlo interrotto sul suo bel viso pallido, ma non pronto a scorgergli uno stupore dolente in quegli occhi scuri, appena arrossati e gonfi per un pianto che aveva probabilmente fatto. Vide anche una lacrima ancora impigliata tra le lunghe ciglia scure.
Rimase immobile non riuscendo a togliersi di dosso quella stretta allo stomaco e quella sensazione di fastidio; quel suo bel viso non era fatto per essere triste.
Il giovane si riprese un istante dopo, quasi a ricordarsi di dove fosse, a disagio nell’essere visto in quello stato.
“..A-ah..sì.. Perdonami!” Si giustificò il moro, infilandosi una mano sottile tra i capelli ed abbassarli quasi a voler nascondere gli occhi umidi alla propria vista, per quanto corti questi fossero, mentre apriva il piccolo menù in cerca di qualcosa. “E..ecco io.. io..”
Bokuto parve risvegliarsi dallo sconcerto quando lo sentì tirare su col naso, ed alzare l’altra mano a raccogliere le ultime lacrime da sotto gli occhi; infilò una mano nel grembiule verde oliva, estraendo l’unica cosa che aveva: una manciata di fazzoletti del locale.
“Tieni! Io.. non ho visto niente; asciugati!” Affermò porgendoglieli e deviando lo sguardo di lato, in imbarazzo nonostante gli occhi dorati, seri e accorti, titubavano nel ritornare a guardarlo. Presumeva gli desse fastidio essere visto in quel modo.
Il giovane lo guardò appena stupito, prima di accettarli con garbo in un annuire lento, sentendolo poi continuare. “Di solito prendi il solito: Cafè o laitte, no?” Disse Bokuto subito dopo, sentendo la propria pronuncia e capendo che non era proprio uguale a come lo sentiva pronunciare dal quel bel giovane di solito. “.. O era caffè e latthe? Caffè.. au.. ao.. MMH! Questi nomi stranieri sono complicati un casino!”
Una risata lieve e melodiosa lo colpì al cuore, prima di abbassare lo sguardo e riconoscere il suono uscire dalle labbra rosse dal pianto, dischiuse, del giovane di fronte.
Aveva riso. Aveva riso! Se l’era immaginato?! Era durato così poco!
Oh, siano lodati gli dei.
Il giovane alzò gli occhi, asciutti seppur ancora rossi, ed il suo sguardo gli fece cedere il cuore più e più volte; ormai ne aveva perduto il conto di quanti infarti si stesse prendendo solo in quei pochi minuti!
“Caffè-au-lait. Sì, proprio quello, per favore.” Annuì appena, mentre il sorriso scemava e rimanevano solo le ceneri dell’espressione velata di tristezza che gli aveva scorto poco prima.
“S-subito!” Balbettò, finendo per aumentare di un ottava la voce, scappando in fretta da quel tavolo; sbattè le palpebre per tutto il tempo mentre faceva il caffè e latte, pensando al fatto che era rimasto a fissare il sole per troppo tempo, presumeva.
Ritornò in fretta a portargli l’ordinazione, poggiando svelto la tazza ricolma sul tavolo di fronte all’altro.
Il moro osservò con rinnovato stupore ciò che vi era stato impresso, sorridendo dolcemente l’istante dopo: sulla schiuma del latte, aveva disegnato un piccolo smile. Un po’ storto, ma era pur sempre uno smile.
“Sì ecco, non faccio spesso i disegni. Però speravo potesse tirarti ugualmente su di morale, anche se so che possa essere una stupidaggine senza senso.” Spiegò in fretta Bokuto, straparlando, prima che l’altro alzasse il viso e sorridesse tenue.
Di nuovo, il cuore gli cedette per interminabili istanti.
“Ti ringrazio, per i fazzoletti e.. per questo. E’ stato molto gentile da parte tua.”
Bokuto sorrise ampiamente, cercando di non mostrare quanto fosse sul punto di collassargli di fronte da un momento all’altro.
“Bhè, il fatto è che ho pensato che fosse un peccato che un bel viso come il tuo fosse triste. Dovresti sorridere di più!” Ammise con una schiettezza che gli uscì prima di riflettere.
Il giovane lo guardò sorpreso, mentre Bokuto avvampava l’istante successivo, congedandosi in fretta.
Quasi corse, nascondendosi sotto al bancone con le mani tra i capelli e lo sguardo interrogativo di Kyoko dietro le spalle.
Prese in fretta il cellulare, digitando un messaggio prima di collassare a terra.
-Bro. Sono morto. Addio.-
 
Non aveva mai sentito il suo cuore battere così tanto da rischiare un infarto da un momento all’altro.
Aveva ancora il sorriso di lui stampato nella mente, così tiepido e luminoso da non poter resistere; non credeva possibile di poter innamorarsi ancora di più di una persona di cui ancora non conosceva il nome.
Forse non l’avrebbe mai saputo. Forse l’aveva shockato così tanto, il giorno prima, che non si sarebbe fatto più vedere o non gli avrebbe rivolto più né la parola né uno sguardo.
Lasciò andare un lamento, mentre asciugava una manciata di tazze da caffè.
Era ovvio fosse etero, non sapeva come gli era potuta uscire una frase come quella.
Le sue speranze distrutte in una frazione di secondo. Quanto era stato stupido!
Persino i suoi capelli dritti in capo da chili di gel sembravano più smorti, osservò Kyoko scrutandolo con la coda dell’occhio.
Il campanellino tintinnò, quando la porta del locale si aprì.
“Buongiorn-..!” Bokuto aveva alzato di malavoglia il capo per osservare il cliente appena entrato, prima di sentire il cuore fermarsi e i muscoli immobilizzarsi nell’avere gli occhi pieni della figura del ragazzo dagli occhi belli.
Aveva un sorriso appena accennato, quasi impercettibile, mentre si scostava la sciarpa e ricambiava il suo sguardo, per poi con un breve cenno del capo dirigersi verso il proprio posto.
Bokuto era rimasto in trance per un tempo troppo lungo, tanto che Kyoko fu costretta a dargli una gomitata sul braccio per svegliarlo.
Kuroo gli aveva detto di fare come se niente fosse, e di farsi meno pare mentali possibili; e Bokuto non era riuscito a non fare né l’uno né l’altro. Non era quello il suo orario, erano solo le undici della mattina. Cosa faceva? Cosa doveva fare?
-Quando i gufi puntano, puntano fino alla fine.- gli aveva detto Kuroo la sera prima, dopo ore di suoi versi disperati e lagne di quanta zero speranza avesse, anche se dalla sua espressione sembrava più sfotterlo che dire sul serio. Ma aveva ragione!
Munito di coraggio, quindi, prese il taccuino, dirigendosi verso il tavolo in fondo al locale, attaccato alla finestra; vi arrivò che sudava freddo.
Il giovane alzò lo sguardo prima che potesse dir nulla, mostrandogli un sorriso improvviso che gli fece avere un tuffo al cuore.
“E’ un piacere rivederti, Bokuto-san.”
A Bokuto sembrò di star sognando. Lo aveva davvero chiamato con il suo cognome?
“..i.. si SI, lo è!” Affermò, alzando di un ottava acuta la voce. Ops, troppo forte. Akaashi sorrise di nuovo; quella sarebbe stata una bella giornata. “Come.. Come hai fatto a sapere il mio nome?”
“C’è scritto sul cartellino. Lo leggo sempre quando mi chiedi l’ordinazione.” Spiegò tranquillo il moro.
Bokuto sbattè le palpebre, abbassando lo sguardo e portandolo sul cartellino identificativo che si metteva ogni giorno. Oh, giusto..
“A- Ah, sì, ovvio..” Annuì, ridendo nervosamente. “Và un pò meglio oggi?”
Akaashi tese per un istante i lineamenti, solo per distenderli nello scorgere accortezza negli occhi dorati del cameriere.
“Sì, ti ringrazio. Troppo stress può portare a quello, presumo.”
“E’ normale. Basta che oggi tu stia meglio.” Bokuto sorrise raggiante, con il giovane che si scoprì ad osservarlo quasi con un sorriso gentile sulle labbra.
Il campanello suonò nuovamente, mentre altra gente si riversava lentamente nel locale.
“Non per essere scortese, ma credo tu debba ritornare a lavoro.”
Bokuto si voltò di lato, osservando i clienti ancora da servire.
“Cavolo. Sì, ne ho un sacco. Ehm- Per quanto rimarrai sta mattina?” Era disperato, ok? Avrebbe fatto di tutto per riuscire a parlarci un pò di più; scopriva che più sentiva la sua voce, più era avido di sentirne ancora. Se non fosse per Kyoko da sola al bancone, avrebbe accantonato il lavoro per stare con lui. Ma Kyoko era troppo dolce con lui per lasciarla da sola..
“Forse per un ora o poco più. E’ davvero piacevole qui: caldo e confortevole.” Fece un piccolo sorriso, incassando il capo tra le spalle e reclinando appena il capo continuando a guardarlo.
Uccidetemi. Bokuto si illuminò.
“Allora a dopo. Ti porto il solito, dammi cinque minuti.”
“Rimango qui.” Scherzò mite il moro, mentre lo vedeva scattare via.
Nonostante fosse ancora sconvolto e incerto, Bokuto, se quella conversazione fosse accaduta davvero o se la fosse sognata, pensò solo al lavoro in quel breve lasso di tempo che gli ci volle lontano dal giovane dagli occhi belli.
Ritornò poco dopo, con il suo cafè-au-lait in mano e che gli posò di fronte, sedendosi poi con un gesto fluido nella sedia di fronte al moro.
“Allora, ti piace qui! Ti vedo spesso, sempre allo stesso tavolo.” Affermò Bokuto, rischiando di passare per uno stalker che lo aveva osservato per tutto questo tempo. Akaashi non sembrò farci caso, sorseggiando il liquido bianco macchiato del nero del caffè, prima di annuire.
“Sì, molto. E’ piccolo, silenzioso, accogliente; è uno di quei posti che non vorresti che nessun’altro scopra; sarei quasi geloso se qualcun altro lo prendesse come sua proprietà.” Scherzò Akaashi, con gli occhi bassi, non accorgendosi dello scompenso che gli aveva creato per una frazione di secondo a Bokuto.
E’ geloso?? Di me?! O forse parlava del locale.. Sì, sicuramente parlava del locale. Ma nel locale c’era anche lui, quindi era una gelosia che lo riguardava!
“Non so dirti del locale, ma sicuro questo tavolo ormai è di tua proprietà.” Scherzò lui, sbattendo le dita del pollice e dell’indice e medio alternativamente sul bordo del tavolo di legno, come faceva di solito. Tutto per mascherare l’ansia che aveva ed ignorare il cuore che, a breve, sarebbe potuto implodere. “E’ da tempo che vieni qui e io non so neanche il tuo nome. Come ti chiami?”
“Uh- Akaashi. Akaashi Keiji, molto piacere.”
Akaashi. Keiji.
Era il più bel nome che avrebbe mai potuto sentire. Ci avrebbe tappezzato la scrivania di foglietti con quel suo nome, di certo. “Lo fai spesso, quella cosa con le mani.” Affermò interrogativo Akaashi indicando le dita che ancora tamburellavano sul tavolo.
Bokuto si fermò, non rendendosi nemmeno conto; ormai era una cosa così usuale, che lo faceva senza riflettere.
Forse gli dava fastidio..
“Oh sì, lo faccio spesso. Se ti da fastidio io-..”
“Oh no, affatto. E’ orecchiabile, ti sento spesso mentre lo fai al bancone.” Annuì, e Bokuto sentì gli angeli cantare. Vuol dire che anche lui l’aveva osservato di nascosto? Forse aveva speranza!
Akaashi continuò, nel mentre. “Mi chiedevo se suonassi qualche strumento.”
“Si, la batteria di tanto in tanto! Come hai fatto a capirlo?!” Bokuto lo guardò con tanto d’occhi.
“Hai ritmo, mentre lo fai. Quindi o ti piace tanto la musica o suoni, ho pensato.”
Gli aveva fatto un complimento. Un altro.
Doveva segnarsi quella data sul calendario, totalmente.
“Anche tu suoni!?” domandò Bokuto, euforico, allungandosi verso il tavolo, con i gomiti poggiati sul bordo.
“Il pianoforte, da molti anni ormai.” Annuì, titubante e con un principio di vergogna a tendergli i lineamenti.
“Davvero!? E’ fighissimo il piano! Ti invidio un sacco!”
Akaashi lo guardò sorpreso. La punta delle orecchie si arrossarono appena, e le labbra si dischiusero parzialmente. Era l’esatto opposto della sua solita espressione neutrale. A Bokuto piaceva, gli piaceva molto.
“Lo- Lo pensi davvero?”
“Stai scherzando? Il piano è magnifico. Mia madre lo suonava; anche io ho provato, da piccolo, ma non ho avuto la disciplina di continuare e.. facevo troppo come volevo io. Sono troppo scatenato per uno strumento elegante come il pianoforte.”
“Oh, davvero?” Akaashi sembrò rilassarsi. Sembrava che avessero trovato un argomento in commune.
“Cazzo sì! .. Ugh, scusami, ci ho preso troppo la mano.”
Akaashi sorrise, nascondendo le labbra dietro una mano, con gli occhi bassi.
Quanto era bello.
“Non preoccuparti, è tutto ok.”
Ci fu una pausa. Entrambi capirono di aver avuto nuove informazioni su cui parlare che li accomunava.
Era una bella sensazione.
Akaashi prese un altro sorso di latte, mentre lo scampanellio si riverberava nel locale.
Bokuto si volse, facendo per alzarsi.
“Ah- Clienti in arrivo. Devo andare ad aiutare Kyoko, altrimenti mi sgrida di avere troppo la testa per aria e di importunare la gente! Non capisce che c’è bisogno di interagire con i clienti, principalmente come te che vieni qui da tempo ormai; certo non posso andare a chiedere il numero di telefono della gente, anche se il tuo lo vorrei tanto visto che mi piacerebbe parlare ancora con te, ma almeno a conversare non ci vedo niente di male! Comunque sia, vuoi che ti porti qualcos’altro?” Bokuto finì per sorridergli, cercando di ignorare ciò che aveva finito per dire nel suo straparlare.
Akaashi lo osservò con una leggera punta di stupore dipinta negli occhi che lo portò a ricambiare il sorriso, con uno più tiepido.
“Un bicchiere d’acqua, ti ringrazio.”
“Perfetto, arriva subito.” Bokuto fece per andarsene, prima che la voce pacata del giovane non lo richiamò. “Non volevi il mio numero di telefono?”
.. Aveva capito male.
Doveva aver storpiato le parole che gli erano state rivolte, non c’era altra spiegazione.
Si volse di scatto, quasi incredulo seppur gli occhi brillassero, mentre si riempivano del viso pallido di Akaashi, con le guance imporporate e gli occhi neri che titubavano sul proprio viso, abbassandosi dalla vergogna.
Forse aveva sentito bene.
Il viso di Bokuto si illuminò in fretta, brillando, mentre con un ampia falcata gli ritornava affianco e gli afferrava le mani, di scatto, prendendole tra le proprie.
Akaashi arrossì di più, vedendo il di lui viso così vicino e sentendo il calore delle sue mani che riscaldavo le proprie, più fredde.
“Si!” Balbettò. “SI! Lo vorrei tanto!”
Bokuto sentiva il cuore battere così forte da rischiare un infarto, ma era una sensazione così piacevole che lo avrebbe avuto volentieri, se il viso rosso del giovane dagli occhi belli fosse stato l’ultimo che avesse visto.
Non avrebbe mai creduto di provare sensazioni così forti per lui.
Il sole non aveva mai brillato così tanto forte e con tutto quel calore come quel sorriso timido di Akaashi stava facendo, ai suoi occhi.
“Dopo te lo do volentieri, ora è meglio che vai. Io rimango qui.” Annuì il moro, mentre la pelle fremeva appena per poi rilassarsi, con il tepore che Bokuto gli stava infondendo, raggiungendo i muscoli delle braccia e del petto.
A quella promessa Bokuto annuì in fretta, guardandolo ancora per un ultimo istante, sorridente e euforico, prima di lasciarlo e ritornare al suo lavoro.
Akaashi sorrise appena.
Non gli era mai capitato, di sentire il cuore battergli così forte in petto.
 
 
Era da giorni ormai che entrava in quel piccolo localino, di quella via secondaria, salutava educatamente senza dare nell’occhio e si sedeva al solito posto.
Sembrava diventata una routine piacevole e usuale, tanto da preferirlo a casa propria e desiderare di andarci più spesso di quanto già faceva.
I clienti erano radi, silenziosi e cheti, come lo era lui, parlavano piano, alcuni erano più esuberanti, altri silenziosi da quando vi mettevano piede a quando ne uscivano. Il leggero tintinnio del campanello gli si riverberava nel petto quasi come ad accarezzarlo; il rumore delle tazzine e della macchina del latte, l’odore di caffè che aleggiava erano per lui come dei suoni piacevoli di una melodia strana e giornaliera che si stupì ad amare più di quella del suo pianoforte.
Erano suoni della quotidianità che riempivano i silenzi opprimenti che invece lo assordivano in casa propria.
E in tutti quei suoni, la sua risata risaltava.
Era un cameriere, forse della sua stessa età, aveva la voce dal timbro forte, a volte dalle tonalità più acute ma nulla che potesse infastidirlo; tutt’altro. Il calore che questo emanava dal sorriso gaio che rivolgeva ai clienti, dalla sua risata, dai gesti affrettati e rozzi, a volte, riempivano il locale e lo rendevano ciò che era.
Aveva imparato ad amare anche lui, oltre che tutto il locale.
Persino quel giorno, mentre camminava nel suo cappotto lungo, avvolto nella propria sciarpa pesante, con il vento gelido che gli sferzava il viso pallido, non appena scorse il profilo conosciuto e le vetrate della caffetteria, sentì quella sensazione che aveva imparato a riconoscere, di piacevole sollievo e contentezza; quella volta, invero, quella sensazione era mescolata ad una più calda e frizzante, che gli fece tendere i muscoli non appena varcò la porta del locale.
Lo scampanellio gli riempì le orecchie, mentre alzava lo sguardo e incontrava in fretta il sorriso euforico del giovane –Bokuto, si chiamava. Gli sorrise, come era solito fare, e l’ansia per ciò che era accaduto il giorno prima, lo abbandonò prima di rendersene conto.
“Buonasera, Bokuto-san.” Lo salutò, con le gote appena rosse ed il cuore che mancava di un battito.
Il sorriso di Bokuto si allargò ancora di più.
“Ciao!” Esclamò, anche lui sembrava vergognarsi seppur non gli si notasse affatto, nel suo brillare luminoso mentre continuava a guardarlo. “Il solito, vero?”
Akaashi annuì.
“Sì, cafè-au-lait.”
Bokuto addolcì il sorriso, seppur rimanesse sempre intenso e abbagliante.
In quel momento Akaashi pensò che Bokuto rispecchiasse la sensazione che quel locale gli infondeva: caldo, confortevole, un posto dove avrebbe voluto ritornarci ancora, e ancora.
E mentre, seduto, lo vedeva venirgli incontro con la tazzina e gli occhi dorati brillanti, mente si fermava a parlare con lui, a chiedergli di uscire anche quella sera, Akaashi si chiese se quella sensazione che sentiva fargli fremere il cuore stava a significare che, forse, aveva trovato un luogo che lo avrebbe fatto sentire finalmente a casa.

 
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: laNill