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Autore: Luce_Della_Sera    27/11/2015    2 recensioni
Dal testo: "Guardare si poteva sempre, ma toccare no, senza il consenso dell’altra persona coinvolta: se anche solo si toccava qualcuno contro la sua volontà, gli si faceva violenza. E io, pur sapendo come ci si sentiva in una situazione del genere, me ne ero praticamente resa complice..."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Guardare e non toccare

L’autobus si fermò, e io alzai gli occhi dal mio libro, approfittandone per controllare quanto mancava alla mia destinazione.
Fuori dal finestrino, i palazzi, e vari negozi: un parrucchiere, un alimentari, un ferramenta…qualche metro più in là, ci sarebbe stata invece una banca, e poco dopo di essa, una nuova fermata, seguita a sua volta dalla fermata precedente a quella a cui sarei dovuta scendere. Quindi, avevo ancora un po’ di tempo! Stavo per rimettermi a leggere, rassicurata, quando con la coda dell’occhio intravidi qualcosa che mi incuriosì.
Un uomo quasi calvo e molto rugoso, sui settantacinque anni circa, avanzava lentamente verso il posto a sedere più vicino alla porta anteriore, a pochi passi da dove ero seduta io; non ci sarebbe stato nulla di strano, se la sua andatura, più che quella di un vecchio stanco e bisognoso di riposo, non fosse stata quella di qualcuno che cercava di muoversi in modo furtivo.
“Ma che combina?”, pensai, sporgendomi: la mia testa mi diceva che c’era qualcosa che non andava…e quando pochi secondo dopo il mezzo si fermò di nuovo per rispettare un semaforo rosso, tutto mi fu chiaro.
L’uomo si guardò infatti intorno, e poi, con una velocità insospettabile e inaspettata, piantò la sua mano destra sul sedere di una ragazza che era in piedi davanti a lui, cominciando a toccare in modo lascivo, andando su e giù.
“Ehi!” si lamentò la vittima, girandosi. “Come si permette?”.
“A fare cosa?”, chiese, facendo il finto tonto.
“Lo sa benissimo!”.
Era chiaramente imbarazzata: io, dal canto mio, mi stavo arrabbiando di brutto, e quindi mi accinsi a cercare di svegliare il mio vicino di posto, che era profondamente addormentato. Volevo intervenire!
“Quanto siete permalose voi donne! Sempre a pensare che uno vi tocca!”, stava dicendo intanto il signore.
“Oh, faccia come vuole!”, gli rispose l’altra stizzita, e si girò di nuovo, mentre l’autobus riprendeva il suo percorso.
In quel momento io, che ero riuscita a svegliare il mio vicino con la scusa che dovevo scendere, subii il contraccolpo dell’autobus che si rimetteva in moto, e mentre mi aggrappavo ondeggiando al sostegno più vicino, lottai per non dar retta al senso di colpa: era successo tutto molto velocemente, ma avrei comunque dovuto dire qualche parola a quel tizio, per dimostrargli che lo avevo visto. I tipi come lui, qualsiasi età avessero, diventavano improvvisamente mansueti quando si vedevano scoperti da più persone!
Mi tornò alla mente un pomeriggio di qualche mese prima, quando, sulla metropolitana, un tizio sulla cinquantina si era messo seduto vicino a me e mi aveva prima toccato il sedere, e poi una gamba: io ero scattata in piedi inorridita quando mi ero accorta che il tocco non era stato affatto casuale, ma tutti quelli presenti nel vagone, sia uomini che donne, pur avendo visto tutta la scena non avevano mosso un muscolo, totalmente indifferenti. Mi ero sentita umiliata, triste, mortificata e anche sporca, tanto che qualche ora dopo sprecai quasi mezzo flacone del mio bagnoschiuma per cercare di lavare via il disgusto che sentivo!
E in quell’occasione, invece, cosa avevo fatto? Mi ero comportata esattamente come la gente aveva fatto con me: avevo visto, ma avevo taciuto! Che razza di donna ero? Mia madre, se avesse saputo cosa avevo evitato di fare, mi avrebbe lodata, perché mi aveva ripetuto spesso che le eroine esistono solo nei fumetti giapponesi e dovevo sempre farmi gli affari miei: ma io non mi sentivo affatto fiera di me stessa. Guardare si poteva sempre, ma toccare no, senza il consenso dell’altra persona coinvolta: se anche solo si toccava qualcuno contro la sua volontà, gli si faceva violenza. E io, pur sapendo come ci si sentiva in una situazione del genere, me ne ero praticamente resa complice…
“La smetta! Per favore, la pianti!”.
La voce della ragazza mi strappò ai miei pensieri e mi irrigidii istintivamente, sempre restando aggrappata al sostegno: stavolta era molto irritata, ed era anche sull’orlo delle lacrime!
Fu troppo.
“Ehi, lei! Ma si crede proprio così furbo?”, esplosi, mentre il vecchio borbottava di nuovo la sua innocenza. “L’ho vista! Veda di finirla, non è modo di comportarsi questo! La ragazza potrebbe essere sua nipote, non si vergogna?”.
L’uomo si girò, fissandomi con uno sguardo carico d’odio.
“Paranoiche…”.
“Lei dice?”.
Ormai ero una furia: non mi fermavo più. Ero consapevole che presto sarebbe arrivato per me il momento di scendere, ma non me ne importava assolutamente nulla!
“Ma signorina, io non ho fatto proprio niente! Sono solo un povero vecchio…”.
“Povero non direi proprio! Le conviene scendere, se non vuole che chiami i carabinieri e racconti loro ogni cosa. L’abbiamo vista tutti qui, mi ha capito? E’ inutile che nega!”.
Con lo sguardo, sfidai anche gli altri passeggeri, lanciando loro occhiate di rabbia mista a disprezzo; alcuni mi ignorarono, ma altri, specie le donne, mi diedero manforte.
“La signorina ha ragione, lei è un maniaco!”, urlò la donna che, pur stando seduta, si trovava di fianco alla giovane violata.
“L’ho vista anche io, sa? Cosa crede?” le fece eco un uomo che si trovava negli ultimi posti.
Ormai messo alle strette, all’intraprendente nonnino non restò che arrendersi: quando l’autobus si fermò di nuovo e aprì le porte per far scendere e salire altre persone, saltò giù e si allontanò rapidamente, come se avesse il diavolo alle calcagna.
“Ha dannatamente fretta, per essere uno che a suo dire è stato accusato ingiustamente! Speriamo solo che non vada ad infastidire qualche altra poverina”, pensai.
Per un folle attimo, pensai di seguirlo, tanto per spaventarlo: sarebbe stato divertente vedere la sua faccia ogni volta che avesse provato a fare la carogna! Il pensiero mi piacque tanto che mi ci crogiolai per qualche minuto, per poi tornare però alla realtà: mi attendevano quattro ore di lezione all’università, gli esami si avvicinavano e quindi non potevo assolutamente permettermi di andare in giro per la città ad inseguire vecchietti pervertiti.
“Almeno hai fatto la tua buona azione, e ti sei riscattata dalla tua iniziale vigliaccheria!”, mi dissi qualche minuto dopo, una volta messi i piedi sull’asfalto. “Non so se davvero avrei potuto chiamare i carabinieri in questo caso in realtà, però ben gli sta!”.
“Scusami…?”.
“Sì?”.
Mi voltai, e mi ritrovai davanti la ragazza che avevo aiutato poco prima.
“Vai anche tu all’università?”, mi chiese, indicando verso l’edificio in questione, il cui tetto si intravedeva già a quella distanza.
“Sì: questo per me è l’ultimo anno della specialistica”, risposi, tanto per fare conversazione.
“Davvero? Allora hai quasi finito! Beata te! Io ho appena iniziato, invece: mi sono iscritta quest’anno alla facoltà di…”.
La lasciai parlare: intuivo perfettamente che ne aveva un gran bisogno, e sapevo che lo stava facendo anche perché si era sentita appoggiata nella sua disavventura. Provai un gran bisogno di interromperla, di dirle che sapevo come si sentiva, ma rinunciai: forse, dopo quel giorno non la avrei più rivista, quindi a cosa serviva? L’importante era che si sentisse sollevata, e che avesse avuto una esperienza un po’ meno dolorosa della mia: tutto il resto, era secondario!

  
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