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Autore: AxXx    27/11/2015    2 recensioni
[Magnus Chase e gli Dei di Asgard]
[ATTENZIONE! SPOILER DEL LIBRO: MAGNUS CHASE E GLI DEI DI ASGARD. SE TENETE ALLA SORPRESA NON LEGGETE]
Samirah è appena stata cacciata dalla Sorellanza delle Valchirie, perdendo ogni potere che da esso derivava e, soprattutto, perdendo il suo sogno.
Ma Samirah al-Abbas non si arrenderebbe mai alla prima difficoltà
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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                                          VOLARE

 

Samirah Al-Abbas si sentiva svuotata.
Svuotata, ma non triste.
Ricordava bene cosa fosse la vera tristezza. Il giorno in cui sua madre era morta, aveva conosciuto la vera tristezza. Il suo cuore era accartocciato come un piccolo foglio di carta. Un foglio di carta come quello su cui lei aveva disegnato il suo primo aeroplano, quello che l’aveva resa tanto orgogliosa. Il giorno in cui lo aveva disegnato e mostrato a sua madre era stata felicissima, e poi tristissima il giorno in cui lei era morta.
Triste come se avessero preso quel foglio, l’avessero accartocciato, strappato e poi buttato nel fuoco, costringendola a vederlo bruciare senza poter far nulla per salvare i pochi frammenti che ancora danzavano tra le fiamme, come piccole schegge di dolore che le entravano nel cuore, riducendolo in cenere, fino a lasciare dentro di lei, solo un’arida distesa bruciata.
Era morta una bella persona, troppo bella per essersene andata così presto. All’epoca, ricordava a malapena quello che era successo e cos’aveva detto. Ricordava, però, il suo cuore, in frantumi, mentre posava il suo ultimo disegno sulla tomba della sua mamma.
Aveva percepito su di lei gli sguardi indignati degli altri membri della comunità: la loro silenziosa condanna perché non si sarebbe dovuto mettere nulla sulla sua tomba, secondo rito.
Ma a Samirah non era importato.
Voleva che la sua mamma si ricordasse di lei. Che ci fosse stato qualcosa di bello tra loro due e, che se ci fosse stato qualcosa che lei poteva portare con sé, che fosse quel disegno.
Samirah pianse.
Pianse tutto il giorno, stringendo l’hijab della madre, bagnandolo con le calde lacrime che scorrevano sul suo viso, finché non resse più e si addormentò esausta.
Nei giorni seguenti, la situazione non era migliorata. Continuava a deprimersi e piangere, pregando con tutto il cuore che sua madre tornasse. Nessuno ascoltò le sue preghiere. Ma lei non smise di sperare, finché il suo cuore martoriato non la lasciò senza speranze.
E pianse ancora, finché non ebbe più lacrime.
Da allora aveva capito cosa significava essere veramente tristi.
“Non piangerai, Samirah al-Abbas” Si disse, per farsi forza. “Puoi ancora esaudire i tuoi desideri. Puoi ancora volare.”
“Ma chi vuoi prendere in giro.” La schernì una vocina crudele e malevola dentro di lei. “Sei una sciocca ragazzina che sogna l’impossibile, odiata dai tuoi parenti perché sei una bastarda ed odiata dai tuoi compagni per le tue origini. Credi davvero di poter volare?”
Samirah sentì gli occhi bruciare arrivando alla consapevolezza di quanto folli fossero i suoi sogni. Una ragazza musulmana che sogna di fare il pilota era una follia. Chi mai l’avrebbe accettata? Come avrebbe potuto entrare all’Accademia aereonautica o in una scuola di volo?
Si accasciò sotto il davanzale della finestra della sua stanza. I suoi occhi vagarono sulla scrivania, sommersa di compiti senza vederla veramente. Avrebbe voluto rannicchiarsi e piangere.
Piangere per tutto ciò che non aveva e che aveva perso.
“Sono solo una stupida.” Sì insultò, mettendosi le mani tra i capelli, cercando di non strapparseli dalla frustrazione. “Se solo quell’irritante idiota di Magnus Chase non si fosse lasciato sfuggire la spada e se Gunilla non si fosse messa in mezzo.”
Maledisse tutti quanti, compreso Odino, che sembrava essersi presa gioco di lei.
“Gli Dei non pensano mai ai mortali.” Le aveva detto suo padre, una di quelle volte che si ricordava che aveva una figlia. “A loro importa solo di loro stessi. E tu non sei altro che un altro giocattolino che getteranno via quando non li farai più ridere.”
“No… non mi hanno ingannata.”
Scacciò con rabbia le parole di suo padre dalla testa.
Lui era bravo solo ad mentire e a fingere. Le sue parole erano una menzogna detta una dopo l’altra. Si prendeva gioco delle persone e si divertiva a manipolare chiunque gli capitasse davanti. Anche sua madre era stata ingannata e Loki le aveva abbandonate.
“Ma aveva ragione.” Sussurrò la vocina malevola nella sua mente. “Se Odino non ti avesse dato quell’ordine, tu potresti ancora volare e saresti ancora tra le Valchirie. Odino non ti ha portato altro che problemi, sconvolgendo la tua vita, rendendola ancor più infernale.”
“Non è vero! Lui ha realizzato il mio sogno!”
Urlò contro la voce crudele, cacciandola via, fino a che non la ascoltò più.
Non era stato Odino a cacciarla, ma Gunilla e sapeva bene che lei odiava tutti i figli di Loki. Non li sopportava, quella era la verità. Era solo questione di tempo perché Gunilla la buttasse fuori con una qualche accusa falsa. Quella era solo stata l’occasione che la figlia di Thor aveva usato per gettarla via.
“Ma ora non posso volare.” Pensò affranta.
Tornò a sedersi, lasciando che la tristezza venisse rinchiusa in un angolino del suo cervello, in modo tale che, per poco, potesse ignorarla. Sapeva che presto sarebbe stata di nuovo assalita dalla disperazione, ma non era il caso di consumarsi in essa.
Decise che sarebbe stata una buona distrazione finire i compiti di Storia che le avevano dato in supplemento: dopotutto, Storia era una delle materie che le riuscivano meglio. Aveva sentito talmente tante volte i racconti di certi periodi storici che iniziava a rispondere alle domande senza studiare.
Ma dopo dieci minuti capì che non era la soluzione adatta.
“All’Hellheim!” Sbuffò, chiudendo il libro di botto.
La sua mente era bloccata e non riusciva a non pensare a tutto quello che le era capitato, alle perdite, i fallimenti e le umiliazioni che la sua vita le aveva scagliato contro. Aveva perso sua madre, ed era stata costretta a sopportare la sua perdita da sola. Persino i suoi nonni la odiavano perché suo padre non esisteva. Gli altri ragazzi della comunità e la gente le lanciavano sguardi malevoli, additandola ed etichettandola come la bastarda. La ragazzina senza padre, la cui madre era solo una stupida che si era lasciata sedurre dal primo che passava. E lei era stata costretta a subire quegli insulti, senza poter urlare che persona meravigliosa era sua mamma e di quanto lei avesse sofferto a perderla.
Fuori dalla comunità, invece, era additata come l’araba. La schiavetta dei suoi parenti, costretta a chissà quali umiliazioni per compiacerli. La terrorista da odiare e da allontanare, come se avesse la peste.
E lei aveva sopportato tutto.
Le umiliazioni, gli insulti ed il rumoroso silenzio a cui si costringeva, mentre le sue orecchie si riempivano delle parole degli altri che non sapevano e pretendevano di giudicarla.
Aveva solo un sogno a sorreggerla e a farla andare avanti.
Volare.
Un piccolo desiderio, è vero, ma lei si sentiva in diritto di soddisfarlo, dopo tutto quello che aveva perso. Si era impegnata: aveva superato la perdita di sua madre, aveva salvato i suoi meschini compagni, aveva trovato il modo di far coincidere la vita normale con quella da Valchiria. Non avrebbe permesso ad una figlia di Thor con i complessi di abbandono di strapparle via il suo sogno.
“Bene.” Disse ad alta voce, anche se non c’era nessuno ad ascoltarla. “Se proprio volete un segno della mia fiducia, l’avrete.”
Aprì l’armadio e prese un giaccone pesante, il magico hijab verde, i suoi pantaloni da viaggio e gli stivali che indossava quando doveva uscire con il freddo, come in quei casi. Esitò un attimo, quando vide il chiaro bagliore dell’ascia in un angolo. Quello era il suo unico ricordo di Valchiria. Forse non era il caso di portarsela dietro.
“Non è il momento di fare la sentimentale, Sam. Un’arma potrebbe sempre far comodo.” Si disse, stringendo le dita intorno all’impugnatura.
 Appena i suoi nonni fossero andati via, lei avrebbe semplicemente scavalcato il davanzale e sarebbe scesa in strada. La spada doveva essere da qualche parte, probabilmente era nella salma di Magnus. Aveva letto i giornali e sapeva dove avevano portato il corpo: avrebbe iniziato da lì.
Avrebbe recuperato la spada da sola e avrebbe dimostrato la sua fedeltà agli Dei.
Le avrebbero ridato il posto di Valchiria.
Avrebbe potuto volare di nuovo.
Samirah Al-Abbas avrebbe volato di nuovo.
Quella frase ripetuta nella mente fu quasi di incoraggiamento. La ripeté come un mantra, ogni volta che aveva un’esitazione.
Samirah Al-Abbas avrebbe volato di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Angolo di AxXx (il ritorno!)]
Ebbene, eccomi qui.
Sono tornato su EFP perché adoro Magnus Chase ed il personaggio di Samirah, in particolare, che merita tutto l’amore del mondo e tutta la nostra compassione, perché è un grande personaggio. Una ragazza che non vuole deludere i suoi parenti, ma ha un sogno e farebbe di tutto per realizzarlo. Il fatto che sia una Valchiria, una figlia di Loki ed una ragazza musulmana rende il personaggio ancor più interessante, in quanto riesce, almeno per ora, a far convivere questi tre universi nella sua difficile vita che non è semplice: specie se consideriamo il fatto che, in tutte queste tre vite, lei non è ben vista (Tra gli Dei Nordici perché è figlia di Loki, dai Musulmani, perché la madre non era sposata e tra la gente perché è musulmana di origine).
In un certo senso, lei è un personaggio che, mi auguro, Rick sviluppi molto bene, perché può davvero creare cose fantastiche, con lei.
Ma io ho pensato cosa avrebbe potuto pensare, dopo il suo esilio: dopotutto, per lei, essere Valchiria è un modo per dare senso alla sua vita. L’ha resa accettata. Non con gli altri, ma con se stessa ed una persona determinata come lei non lascerebbe mai che il suo sogno venga infranto.
Ringrazio Water_Wolf e Darkness_Angel che mi hanno fatto da pre lettrici di questa piccola Shot su Sam
Ringrazio anche tutti coloro che vorranno lasciare una recensione.
AxXx

  
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