Serie TV > Misfits
Segui la storia  |      
Autore: pandamito    28/11/2015    0 recensioni
E' passato qualche anno dal disastroso temporale di Londra, quando un fulmine si è abbattuto tra la gente, distribuendo ad essa vari e strani poteri. Il centro servizi sociali oramai ne ha viste tante, ma sembra che qualche giovane è sempre pronto a cacciarsi nei guai ed è proprio così che nuove facce si ritrovano a indossare quelle famose tute arancioni che li accompagneranno durante il loro periodo di servizi sociali.
Nuovi ragazzi. Nuovi assistenti sociali. Nuovi poteri. Sempre lo stesso vecchio quartiere pieno di guai.
Genere: Azione, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Episode One
 
Fu facile andare lì, al centro, entrare negli spogliatoi e cambiarsi con la tuta arancione che gli avevano dato. La cosa difficile poi fu guardarsi allo specchio.
Cercò di aggiustarsi i corti capelli castani, ma gli faceva comunque uno strano effetto vedersi con addosso quel colore, perché era consapevole del suo significato.
Sbuffò, lasciando perdere e uscendo dallo spogliatoio. Gli avevano detto di recarsi fuori la struttura, che gli altri stavano aspettando lì, ma appena aprì la porta del centro servizi sociali per uscire, si ritrovò una figura familiare sulla sinistra, appoggiata al muro e intenta a fumare una sigaretta.
Aveva un caschetto pari con tanto di frangetta, capelli più neri della pece sopra una carnagione bianca spruzzata di chiare lentiggini, due grandi occhi verdi, un piccolo naso e delle carnose labbra tinte di rosso. Ma la cosa che lo colpì di più fu la tuta arancione che portava addosso.
«Miranda?» la chiamò, con voce flebile intrisa dallo stupore.
Sbatté le palpebre un paio di volte per capire se fosse reale, ma la ragazza stava rispondendo al suo sguardo e allontanò la sigaretta dalle labbra, che invece poco a poco si sollevarono in un sorriso confortante.
«Ma cos- Oliver!» esclamò, felice di vedere una faccia amica.
Superata l’incredulità del momento, il diretto interessato corrispose al sorriso e andò ad abbracciarla amichevolmente. «Che diavolo ci fai qui?» domandò.
Era una domanda un po’ inopportuna e se ne rese conto solo dopo; cercò di abbassare il capo e di lasciar perdere, ma lei, seppur si fosse allontanata un poco, continuava ad accarezzargli nostalgicamente la ricrescita della barba sulla mascella, per poi abbandonare il braccio lungo il fianco e cercando di non mostrarsi incupita.
«Diciamo che mi hanno incastrato» confessò, abbastanza criptica, scrollando le spalle. Poi sollevò i grandi occhioni verso quelli se possibile ancor più verdi di Oliver. «E tu?» chiese, apprensiva.
Colpa sua, si disse il ragazzo, doveva ammettere che si era immischiato in un discorso alquanto spinoso. La imitò: alzò le spalle, cercando di non dare molto peso alle sue parole e rispose con un «Diciamo che hanno incastrato anche me. Più o meno.»
Non era proprio il vero motivo, ma Miranda annuì comprensiva.
«Ehi, tu!» gridò una voce poco lontano da loro. Si voltarono all’unisono e videro un ragazzo alto, capelli alla moicana e barba scura ma curata, con una sigaretta quasi terminata stretta tra le mani, un paio di occhiali da sole e la tuta arancione che accomunava il gruppetto. «Non abbiamo ancora iniziato, non vale se te la scopi già ora.»
Sul volto degli altri due si dipinse un’espressione di ribrezzo verso quell’individuo che li aveva interrotti. Miranda fu ancor più esplicita, precedendo l’amico: alzò il dito medio e gridò un sonoro «Vaffanculo» verso quel tipo, che rispose con un ghigno.
«Avete intenzione di restare lì tutto il giorno, piccioncini? Potrei anche decidere di unirmi dopo, nel caso» continuò il disturbatore, per poi sorpassarli e continuare per la sua strada.
Miranda fece una smorfia disgustata dall’atteggiamento di quel ragazzo. «Coglione» brontolò, riportando la sua attenzione su Oliver. «Ma chi diavolo era?»
Il castano sospirò e il pensiero che gli stava passando per la testa non gli piacque per niente. «Mi sa che quello è uno dei nostri nuovi compagni di gioco.»
«Evviva» commentò sarcastica la corvina, alzando gli occhi al cielo.
Oliver alzò l’angolo della bocca e la guardò più sereno. «Ehi, ci sono io, di cos’altro hai bisogno? Neanche li vedrai gli altri, per quanto sono bello» si atteggiò scherzoso, cercando di fare qualche buffa posa per mostrare i muscoli giusto per farla ridere.
Ci riuscì, sebbene fosse una risata contenuta. Miranda gli diede un buffetto sul braccio e alzò di nuovo gli occhi al cielo, ma stavolta più serena. «Dai, andiamo» lo incitò, avviandosi sul retro della struttura, mentre Oliver era al suo fianco.
 
Il cupo colore grigio sporco delle mura del centro sociale rendeva ancora tutto più deprimente; il cielo inglese era altrettanto dello stesso colore e così faceva rispecchiare il fiume su cui si affacciava la fiancata della struttura.
Miranda e Oliver continuavano a camminare, più o meno l’uno accanto all’altra, mentre il tizio in tuta arancione di prima li precedeva.
Ancora più avanti vi erano altri ragazzi con la medesima divisa: un rastaman dai lunghi capelli scuri e un tipo con la stempiatura precoce e i corti e sparati capelli castano chiaro, entrambi appoggiati alla ringhiera che ridava sul fiume, e solo un’unica ragazza che sembrava uscita da un catalogo di Barbie con i capelli biondo platino raccolti in due codine, intenta ad aggiustarsi la tuta con un’espressione disgustata in viso. Notandola, Miranda capì immediatamente come si sentiva.
Opposto a loro, invece, c’era un tipo totalmente diverso: indossava un paio di jeans, una maglia bianca e una camicia azzurra sopra; i capelli castani avevano un taglio corto, ma folti e mossi. La cosa che però attirò l’attenzione su di lui fu il cartellino che aveva appeso al collo.
Miranda, notandolo, lanciò subito un’occhiata all’amico al suo fianco, che capì immediatamente e rispose allo sguardo.
No, non poteva essere.
Quel tipo probabilmente era addirittura più giovane di loro, non poteva essere il loro assistente sociale!
«Non mi sembrano molto socievoli» bisbigliò la corvina a Oliver, che annuì, squadrando i suoi futuri compagni.
Quello che gli pareva più ostile era di certo il tipo coi capelli corti e sparati, aveva due occhiaie enormi, gli occhi rossi e lo sguardo a dir poco assatanato. No, sul serio, aveva uno sguardo che sembrava quasi potesse uccidere, ma non era puntato verso di loro. No. Era rivolto verso il tipo dai capelli scuri che li precedeva. La ricrescita della barba chiara lo rendeva ancor più trasandato; sembrava il tipico ragazzo immischiato per droga e a Miranda fece un po’ pena vederlo, perché riusciva a immaginare cosa stava passando, se quello era vero.
«Allora, puttanelle» disse il ragazzo che continuava a precederli, rivolto verso gli altri del gruppo e buttando la cicca di sigaretta a terra, «che vogliamo fare qui? I due qua si sono già impolpati prima delle danze» continuò, indicando Miranda e Oliver dietro di lui. Poi si voltò verso la biondina, squadrandola dalla testa ai piedi e mettendola un po’ in soggezione. Schioccò la lingua sul palato.
«Signor…» lo interruppe il ragazzo col cartellino prima che quello potesse continuare a parlare. L’assistente sociale teneva un registro tra le mani; scorse dei fogli freneticamente, per trovare il più in fretta possibile quello che cercava, ma qualcuno gli cadde dalle mani e finì a terra, sotto lo sguardo piuttosto annoiato e di sufficienza degli altri. «Signor Tremblay. Derek» lo chiamò, chinandosi a raccogliere i fogli e trovando finalmente la scheda del ragazzo, «uno dei punti principali del servizio sociale è proprio aiutare a salvaguardare l’ambiente. Quindi potresti, gentilmente, raccogliere la cicca?» chiese, un po’ impacciato e con uno sguardo fin troppo gentile e sorridente.
Derek – così si chiamava secondo il foglio di inserimento nel servizio – lo guardò piuttosto stranito, quel tipo gli sembrava un alieno appena atterrato sulla Terra e non aveva ancora bene in mente quale fosse il suo ruolo lì in mezzo.
«E tu saresti…?» domandò, assottigliando lo sguardo dietro gli scuri occhiali da sole.
«Tu!» esclamò un’altra voce. Gli altri si voltarono quasi all’unisono scoprendo che la fonte della voce era proprio il tizio coi corti capelli castani sparati e mezzo stempiato.
Si era staccato dalla staccionata e si era fatto avanti, rivolgendo lo sguardo di fuoco proprio verso Derek e scoprendo i denti in un ringhio.
Il moro alzò un sopracciglio, confuso, si guardò velocemente attorno e poi si puntò un dito contro. «Ehm, dici a me, bello?» Subito sulla sua faccia da sbruffone si stampò un sorriso beffardo. «Ehi, sono già diventato famoso» affermò ad alta voce ma a nessuno in particolare.
L’altro si fece pericolosamente più vicino, con passo deciso, arrivò faccia a faccia con Derek, alla vicinanza giusta per prenderlo per il colletto della divisa. «Tu, brutto figlio di puttana!» gridò, prima di tirargli un destro dritto in faccia.
La biondina gridò, impaurita, facendosi più vicina all’altro ragazzo al suo fianco, il rastaman, che invece si tirò dritto, staccandosi dalla ringhiera e pronto a intervenire al primo segnale. Oliver d’istinto protese un braccio per far arretrare Miranda, ma lei restò ferma, in allerta. Invece l’assistente sociale strinse più a sé i fogli, con l’intenzione di riprendere i due, ma non sapendo come fare.
Derek barcollò all’indietro, con una mano a massaggiarsi il volto, i denti digrignati e lo sguardo assottigliato puntato dritto verso l’altro. Il respiro gli si fece pesante. Tirò un pugno a sua volta, che l’altro però si aspettava e prontamente lo bloccò, ma il moro approfittò della mossa per tirargli una testata, che lo fece arrancare.
«Che cazzo di problemi hai?» gridò subito dopo. Poi però lo squadrò meglio, da dietro gli occhiali da sole. Effettivamente, aveva qualcosa di familiare. Ma cosa? Dopo di che ci fu l’illuminazione. «Tu… Tu sei l’infiltrato del cazzo!»
«Mi hai messo tu in questa merda, figlio di puttana!» gridò l’altro, avventandosi di nuovo verso Derek.
«Todd, smettila!» intervenne l’assistente sociale, cercando di placcarlo, ma finendo col venire scaraventato a terra, incassando un colpo che non era destinato a lui.
Oliver si fece coraggio e cercò di mettersi in mezzo, tenendo a bada Derek che – ora che sembrava aver ricordato – si era fatto coinvolgere ancora di più.
«Lo sai cosa mi potete fare tu e quello stronzo di Baker, eh?» lo provocò il moro, da dietro il muro difensivo che Oliver ergeva col suo corpo. Derek si toccò il pacco assicurandosi che l’altro – Todd – lo vedesse. «Succhiarmelo, ecco!»
Miranda sembrò gelarsi all’improvviso e i suoi occhi verdi si puntarono ancora più fermamente su Oliver, che invece non si degnò di voltarsi nella sua direzione, anzi, sembrava totalmente rapito da Derek.
Gli mise un palmo contro al petto e cercò di attirare la sua attenzione. «Baker? Baker chi?» domandò, con un tono frenetico e avido di risposte.
Derek lo guardò distrattamente, poco interessato a cosa aveva da dire in quel momento. «Eh?» fece eco, distogliendo lo sguardo dall’altro uomo. «Liam Baker! Ecco chi. Quello stronzo del suo capo» rispose, sputando nella direzione di Todd.
Il mondo sembrò crollare sulle spalle di Oliver. Cosa diavolo stava succedendo? Di che cosa parlavano? Ma soprattutto: cosa c’entrava suo fratello in quella storia?
Quell’attimo di distrazione gli costò uno scossone che gli fece perdere l’equilibro e, ancora più importante, il suo obiettivo: tenere lontano quei due l’uno dall’altro.
Todd si avventò nuovamente verso l’altro. «Dovevi solo farti i cazzi tuoi!» gridò, buttandolo a terra e facendogli incassare un paio di colpi in pieno viso. Il sangue schizzò dal naso di Derek, sporcando le mani di Todd e anche la sua tuta arancione, mentre gli occhiali del malcapitato volarono via, rompendosi e rivelando i suoi veri e piccoli occhi azzurro ghiaccio, che sembrava voler tenere sempre nascosti.
Il rastaman cercò di saltare di peso sopra Todd, arrivandogli alle spalle, ma questo gli tirò una gomitata da dietro che gli arrivò dritta in faccia, facendolo indietreggiare.
La biondina lanciò un nuovo urlo, mentre Miranda cominciò a gridare cose come «Basta! Fermatevi!» per far cessare quella rissa, inutilmente.
L’assistente sociale si stava rialzando a fatica, sembrava aver ripreso conoscenza, mentre anche gli altri avevano preso qualche botta dolente.
Miranda, vedendo l’altra ragazza impaurita, che iniziò a piagnucolare e a gridare cose a caso e a tapparsi le orecchie con le mani, andò subito da lei per consolarla, in pena, ma quella la scansò bruscamente, urlando che si era ritrovata in un branco di psicopatici.
Ma, quando lo sguardo di Todd si puntò su quello di Derek, lui incatenò il suo sul suo aggressore, a lungo ed intensamente. Todd si sentì stranamente debole, come se le forze lo stessero abbandonando, mentre Derek si rialzava. Lo buttò a terra facilmente e Todd neanche fece resistenza; aveva lo sguardo perso nel vuoto. Il moro si rialzò e gli assestò un paio di calci nella pancia, facendolo tossire.
«Ora basta!» intervenne una voce possente.
Derek si sentì tirare l’orecchio, al che emise un gemito di sorpresa e dolore e venne scaraventato da una parte. Un uomo grande e grosso, con dei muscoli che avrebbero fatto invidia a Mike Tyson, ora stava rialzando Todd e lo stava spingendo dall’altra parte e probabilmente il ragazzo sarebbe cascato con la faccia a terra se non vi fosse stato il rastaman a sorreggerlo.
Il tipo aveva i capelli di un castano chiaro, molto corti, così come la barba, e si voltò a squadrare tutti con uno sguardo duro e severo – parecchio incazzato, a dire il vero – e sbuffava quello che pareva fumo dalle sue narici.
«Ok, brutti stronzi» cominciò a parlare a denti stretti, in modo evidente che stesse cercando di non alzare la voce più del normale. «Vediamo di darci una calmata. Qui o fate come vi dico io o potete prendere tutte le vostre penose scuse del perché siete qui e ficcarvele su per il culo.»
Derek si tamponò il naso, che ancora un po’ grondava sangue. «Non è un commento carino. E se uno è finito qui perché ha ucciso la moglie?» domandò saccente.
L’uomo gli si avvicinò pericolosamente, tanto da intimidirlo e non guardarlo direttamente negli occhi. Il maggiore – che, una volta avendo abbassato gli occhi per non volerlo vedere in viso, Derek si era accorto che portava un cartellino al collo come l’altro assistente sociale – gli puntò un dito sul petto.
«Beh, allora puoi prendere la tua defunta moglie e ficcartela su per il culo. Peccato che per reati simili si va direttamente in prigione e non ai servizi sociali, perché mi piacerebbe davvero tanto vedertelo fare.»
Derek ingoiò, sentendosi al quanto oppresso e a disagio. «Magari la prossima volta, eh» disse, lasciandogli un’imbarazzata pacca sulla spalla e slittando via dalla sua pericolosa vicinanza, correndo a riprendere gli occhiali caduti a terra, che ora avevano perso metà lente sinistra, mentre quella destra era tuta frammentata. Imprecò sottovoce, lamentandosi di doversene comprare un nuovo paio e che quelli erano i suoi preferiti.
L’assistente sociale più grosso sottrasse i documenti dall’altro e li sfogliò, per poi iniziarli a chiamare per nome uno ad uno. «Cohen» fece un cenno verso il rastaman, «Derek» guardò in cagnesco il ragazzo coi capelli alla moicana, «Heather» la ragazza biondo platino si dondolava leggermente sul posto, «Miranda, Oliver» passò in rassegna gli altri due, per poi rivolgersi verso l’atro ragazzo che aveva iniziato la rissa, «e Todd. Todd è quasi alla fine del suo servizio sociale…»
«Dio esiste» si lasciò sfuggire Derek.
L’accusato passò già all’azione e Cohen lo bloccò prontamente, facendo indietreggiare Heather per lo spavento e cercando di calmarlo con alcuni «Calma, amico. Lascia perdere, non ne vale la pena.»
L’assistente sociale guardò in cagnesco Derek e riprese parola. «… quindi se non capite qualcosa e vi va di non romperci le palle, chiedete a lui. Se invece siete intelligenti, non farete domande. Io sono Charles» si presentò, annoiato, per poi indicare il collega. «E questo è Ronnie.» Fece un cenno all’altro, passandogli la parola.
Ronnie si schiarì la voce, facendo un passo avanti. «Purtroppo per noi questo è l’ultimo giorno di lavoro di Charles. Partirà per andarsi a sposare.»
«Oh!» esclamò Heather, lasciandosi sfuggire un’espressione sognante. «Auguri!»
Charles le sorrise dolcemente, seppur privo dell’entusiasmo dell’altra. «Grazie, tesoro.»
A quella risposta in realtà Heather non sapeva come replicare. Da una parte si sentiva almeno un po’ appagata da quel complimento e dal fatto che fosse stata la prima a cui Charles probabilmente aveva risposto con un tono normale, ma dall’altra vi era il suo stato sociale che le ripeteva che comunque quell’uomo non valeva neanche le sue scarpe – e lo poteva dire bene, le sue scarpe gliele aveva fatte fare su misura suo padre da uno stilista di Milano – per ritrovarsi a fare un lavoro del genere; così si limitò semplicemente a sfoggiare la sua solita espressione di superiorità.
«Will, il compagno di Charles, penso sia dentro la sala del centro. Seguitemi» ordinò Ronnie, avviandosi già all’interno col collega al fianco.
Todd li seguì per primo e Cohen subito dopo, mentre Derek fermò Oliver con una mano sul petto, il quale però, prima di distogliere lo sguardo dalla strada, non si fece sfuggire il rastaman che raccoglieva la cicca che Derek aveva gettato precedentemente e la buttava nel cestino della spazzatura.
Aveva lo sguardo un po’ confuso e fissava il resto del gruppo che camminava. «Sbaglio o ha detto “compagno”?» chiese. Si lasciò sfuggire una smorfia divertita. «Ora capisco perché ce l’aveva coi culi.»
Oliver lo ignorò di sana pianta, mentre Miranda – che si era fermata perché voleva sapere cosa voleva quel tipo che classificava come una delle persone più coglione sulla faccia della Terra – non si trattenne dallo sfoggiare una smorfia piena di disgusto nei confronti di Derek. Invece Heather, poco distante e dietro di loro, seguì il resto del gruppo che aveva ripreso a camminare con un sorriso beato sulle labbra.
Sembrava la prima gioia che le accadeva in quella giornata: aveva sempre desiderato avere un amico gay e quella era la sua occasione.
 
Sostanzialmente l’uomo etichettato come Will era la versione gay del Dr. Spock in uno smoking grigio e un paio di occhiali dalla montatura rettangolare e nera. I ragazzi del servizio sociale si ritrovarono di nuovo in riga, l’uno accanto all’altro, mentre ascoltavano impotenti quell’uomo frivolo e precisino. Ognuno si appropriò di uno scatolone colmo di addobbi e si sparpagliarono in giro per la sala.
Oliver colse subito l’occasione per avvicinarsi a Derek in modo da potergli parlare indisturbatamente senza che nessuno ascoltasse la loro conversazione. Generalmente Oliver si sarebbe ritenuto ben superiore a una persona del genere e la prospettiva di rivolgergli la parola non era proprio la sua aspettativa di vita migliore, ma doveva farlo se voleva avere delle risposte.
«Ehi» fece, avvicinandosi a lui.
Derek gli rivolse una veloce occhiata, tornando a far finta di frugare addobbi dal suo scatolone, quando invece si sfregava gli occhi arrossati e lucidi.
«Guarda che è peggio se continui a toccarti» lo avvertì.
«Già» gli diede ragione il moro, con aria un po’ sconsolata. «Mi avevano avvertito che si poteva diventare ciechi con le troppe seghe. Pensavo fosse una cazzata, ma da un po’ ho iniziato a crederci anche io.»
Oliver roteò gli occhi, davvero non riuscendo a credere che esistesse una persona così pessima. Non capiva neanche se stesse dicendo sul serio o se stesse facendo solo il cazzone.
«Volevo chiederti della lite con quell’altro tizio, Todd» andò dritto al punto il ragazzo coi capelli più chiari. Derek si passò un’ultima volta la mano sul viso, poi gli lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio, attento però a non incrociare i suoi occhi. «Di quale Liam Baker parlavate?» continuò.
Derek si lasciò sfuggire una smorfia beffarda. «Ce n’e solo uno di Liam Baker» precisò. «Il trafficante di droga. Prima che mi beccassero spacciavo. Io… beh, diciamo che la mia roba era la migliore in zona. A Baker la cosa non piaceva e così ha mandato quello stronzo a sabotarmi, ma io l’ho incastrato. Tutto qui. Oggi ho scoperto che l’avevano mandato ai servizi sociali» spiegò. «Ma perché? Che c’entri tu con Baker?»
Oliver, evidentemente turbato, scosse la testa. «No, niente. Lascia perdere.»
«No, amico.» Derek gli diede una pacca sulla schiena. «Non puoi farmi questo genere di domande e poi non dirmi nulla.»
Oliver esitò, ancora preoccupato della notizia appena ricevuta. «È mio fratello» confessò. Era per questo che non aveva praticamente mai visto Liam? Aveva cose più importanti come vendere droga?
Derek sgranò gli occhi, sebbene gli dessero un po’ fastidio senza gli occhiali da sole a fargli da protezione. Spalancò la bocca, rimanendo per qualche istante senza parole. «Wow, amico, è meglio se non lo dici in giro. Se stessi in uno di quei clan psicopatici che si aggirano, ti rapirei e chiederei un riscatto al tuo bro» lo avvertì. «Dannazione, ho bisogno di un paio d’occhiali» si lamentò fra sé e sé.
Oliver corrugò la fronte, incerto e per niente rassicurato. «Ehm… grazie del consiglio, amico» disse sarcastico, allontanandosi.
Derek gli diede una pacca sulla spalla prima che potesse andarsene. «Di niente, amico.»
Oliver era praticamente certo che l’altro non si ricordasse il suo nome, visto che non era proprio il genere di persona che avrebbe voluto come amico.
 
«Non l’abbiamo fatto per noi» spiegò Will, mentre posizionava la scala sotto uno dei pilastri della sala, mentre Heather tirava fuori gli addobbi dallo scatolone, ordinandoli. «È più una festa per tutti. Volevamo semplicemente organizzare qualcosa per le persone, in modo che potessero divertirsi.»
«Quindi un ballo vi sembrava l’ideale» concluse la bionda.
«Esatto. Beh» confessò il maggiore, avvicinandosi all’orecchio della bionda e ridacchiando, «l’idea è stata mia. Charles non è molto pratico a eventi. È un tipo più alla mano, se cogli cosa intendo.» Le fece l’occhiolino, per poi continuare: «Ma totalmente disorganizzato in queste cose. Invece poi come assistente sociale è bravissimo. Io proprio non capisco.»
Heather sorrise per cordialità. In realtà, non aveva minimamente capito a cosa alludeva Will, ma gli sembrava scortese dirglielo e poi non voleva fare la figura della stupida di fronte a lui.
Will mise un piede sullo scalino e Heather subito si affrettò a fermarlo. «Faccio io!» esclamò.
L’altro la guardò con infinita dolcezza. «Oh, sei un tesoro, ma non sarei un gentiluomo se ti lasciassi fare certi lavori.»
«Non vorrei ti sporcassi l’abito» obiettò.
«Non se ne parla» continuò Will, scuotendo l’indice di fronte al volto della ragazza.
«Solo che…» iniziò la minore timidamente, mordendosi poi un labbro, «è davvero un bel completo.»
Il moro sospirò, sorridendole. Alla fine cedette e scese dalla scala, accarezzando il viso della bionda. «Sei davvero un tesoro.»
Heather sorrise, arrossendo lievemente e sentendosi anche un po’ orgogliosa di se stessa.
Abbandonò lo scatolone a terra, iniziando a salire gli scalini tremanti, che non la rassicuravano per niente, sebbene Will le sorridesse dal basso, tranquillizzandola dicendole che teneva salda la scala. Heather sorrideva di rimando solo per ingraziarselo, visto che già si era fatta più incerta e si era già pentita della sua offerta. L’aveva veramente fatto solo perché lo smoking di Will era ben curato. Sapeva riconoscere un buon capo da un miglio di distanza e il suo cuore avrebbe iniziato a piangere se si fosse rovinato; altrimenti con alte probabilità avrebbe lasciato quel lavoro sporco agli altri e avrebbe continuato a fingere di pulire gli addobbi, o almeno avrebbe imposto lei la disposizione della sala.
Appena Charles passò di lì, Will si staccò subito dalla scala – a cui Heather si aggrappò saldamente per la paura che traballasse – e bloccò il compagno.
«Vieni qui» gli intimò Will, mentre Charles si dimenava alquanto a disagio.
Si era andato a cambiare e aveva indossato anche lui l’abito per la sera, ma non era decisamente curato come quello del compagno e Heather lo notò immediatamente.
«Dai, smettila» protestò Charles, apparentemente in imbarazzo, ma Will non lo ascoltò e continuò ad aggiustargli la giacca e i capelli, finché il più grosso non riuscì a liberarsi dalla sua presa.
Heather all’iniziò li guardò con uno sguardo sognante e compiaciuto. Anche a lei sarebbe tanto piaciuto trovare l’anima gemella, sposarsi e avere una festa gigantesca. Ma poi iniziò a notare qualcosa a cui prima non aveva badato più di tanto. Nel guardare la coppia poco a poco iniziò a provare un certo senso di disgusto. Li aveva sempre visti come animaletti da compagnia da portarsi dietro durante le compere e se avesse continuato a concentrarsi solo su Will quello sarebbe rimasto il suo pensiero; ma poi, osservando Charles, tutto si sfatò, lui non era di certo quel tipo di persona e nella sua mente si concretizzò la realtà che sicuramente quei due andavano a letto assieme e in un certo senso quel pensiero fece rabbrividire Heather, che subito dovette distogliere lo sguardo dai due.
I suoi occhi da cerbiatta – di quel castano chiaro che tende al verde –  si concentrarono su Cohen, il ragazzo coi dred non molto lontano dalla sua postazione; stava spostando un vaso, ma la pianta al suo interno era floscia e aveva iniziato ad appassirsi.
Il sospiro rumoroso di Will la riportò a guardare nella sua direzione e a dire qualcosa.
«Sembra piuttosto stressato» fece notare la minore.
«È molto in ansia per il matrimonio» confessò il moro. «Mi allontano un attimo, ti mando qualcun altro.»
Heather annuì, per poi riportare l’attenzione su Cohen. Assottigliò lo sguardo su di lui, per poi sfregarsi gli occhi. Forse le serviva qualcosa per riprendere le forze – come se avesse fatto chissà cosa – perché le era sembrato di vedere la pianta rinvigorirsi appena Cohen aveva passato le mani sulle sue foglie.
«Perché ti sbatti tanto per fargli buona impressione?» Una voce la fece sobbalzare, non facendo altro che farla aggrappare ancora più saldamente alla scala. Si voltò verso la fonte, guardando in basso e vide uno dei due ragazzi che avevano iniziato la rissa, quello coi capelli più chiari e corti e gli occhi arrossati. «Tanto domani neanche lo vedrai mai più.»
«Che ne sai?» chiese, un po’ offesa. «È un arredatore di interni. Potrebbe farmi comodo un giorno.»
«Ah, sì? Hai intenzione di sposarti a breve e comprare casa?» domandò, ovviamente sarcastico.
«E che ne sai?» La biondina arricciò il naso, indispettita. «Magari incontro l’uomo della mia vita quest’anno.»
Todd si trattenne dal non scoppiare a ridere e ciò infastidì ancor di più la ragazza. «Ok, principessa, ora scendi da quella scala che sappiamo entrambi che non hai voglia di sporcarti le mani.»
Heather sarebbe rimasta su quella scala fino a sera per orgoglio, se effettivamente non si fosse già stufata di stare lì da molto tempo e se non avesse avuto l’occasione di lasciare il proprio lavoro a qualcun altro. Così scese gli scalini, scambiandosi di ruolo con Todd, che salì sulla scala traballante, mentre lei dal basso gli passava gli addobbi da appendere sul muro.
«Naturalmente conto di essere invitato al matrimonio» le sussurrò, sporgendosi per abbassarsi verso la bionda.
Heather gli fece il verso e poi diede una spinta all’attrezzo, che con la sua instabilità fece cadere a terra il povero ragazzo.
«Queste scale fanno proprio schifo» affermò la giovane a gran voce, in tono piatto, facendo distogliere l’attenzione di tutti gli altri per riportarla sul proprio lavoro.
Todd cercò di alzarsi dolorante, massaggiandosi gli arti, mentre Heather lo ignorava e si osservava le unghie laccate per controllare che non si fossero rovinate. Per il povero ragazzo quella non era proprio giornata.
Una volta rialzato, osservò la bionda sulla difensiva, mentre lei lo degnò di un’occhiata compiaciuta del suo piccolo scherzo.
«Posso provarti a spedire l’invito, sempre se non sarai in prigione» lo punzecchiò.
«Ah, divertente» commentò l’altro sarcastico, riprendendo a salire le scale. «Reggi un po’.» Heather si limitò solo a poggiarsi di peso sull’attrezzo, facendolo traballare di meno. «Credi di conoscermi» iniziò il castano, «sei una di quelle che giudicano tutti poveracci alla prima occhiata. “Guarda quello, il solito sfattone in cerca del primo spacciatore che possa dargli un po’ di fumo per quattro soldi”» le fece il verso.
«Perché, non è così?» chiese Heather, ghignando, mentre gli allungava un festone.
Todd lo fermò su un chiodo sporgente dal muro. «Certo che lo sono. Ero un po’ nei casini. Un giorno dei tizi mi pestano e mi portano da questo trafficante che dice che lascerà passare tutto se vado a fare il culo a un certo stronzo» raccontò, indicando Derek che se ne stava di spalle dall’altra parte della sala. «Beh, quello stronzo laggiù mi incastra e io finisco qui. La cosa positiva è che io ho quasi finito e lui avrà ancora parecchie settimane di merda davanti.»
La smorfia di disgusto e disapprovazione sul volto di Heather era ben evidente, sebbene cercasse di darsi un certo tono. Solo che proprio odiava la gente parlare in modo scurrile. Non capiva perché dovessero utilizzare un certo tipo di linguaggio, a suo parere non portava da nessuna parte.
«Accetto quello che sono» continuò l’altro, «ma non sono stupido. Potrai pure fare la bambolina, ma sta di fatto che se anche tu sei qui ci sarà pure un motivo.»
Heather lo osservò con aria di sfida, mentre lo sguardo di Todd era divertito e si era appoggiato sulla scala con un braccio e la testa come un bambino piccolo. Heather notò che, sebbene i suoi occhi fossero evidentemente arrossati, erano grandi e azzurri.
«Forse sono meno principessa di quanto tu pensi» pronunciò in tono di sfida, passandogli un altro festone.
Todd si rimise sull’attenti, afferrando il testimone. «È quello che sto cercando di scoprire.»
 Non la guardava, era concentrato – seppur con una certa noia – sul proprio lavoro e Heather si dondolava sul posto, mordendosi le labbra come una bambina.
«Sono entrata in una casa con dei miei amici. I vicini hanno chiamato la polizia e quando è arrivata se ne erano già tutti andati. Tranne me» confessò a voce bassa.
Todd le lanciò un’occhiata veloce, ma non disse nulla, tornando a lavoro, sebbene sulle sue labbra si increspò un lieve sorriso soddisfatto.
«Ehi, Barbie.»
Una voce attirò l’attenzione dei due ragazzi. Derek si avvicinava alla bionda con il passo tipico da maschio alfa che non sa di non esserlo, ovvero risultava molto simile a quei ragazzi di strada che camminano con le gambe larghe a causa del cavallo basso. Todd lo fulminò con la coda dell’occhio, cercando di non farsi notare mentre prestava attenzione e fingendo di continuare a lavorare. Sul volto di Heather invece si dipinse la sua solita espressione di superiorità, squadrando il moro da capo a piedi, che invece continuava a sfregarsi gli occhi. Lei odiava chi le affibbiava soprannomi.
«Senti, non è che avresti un paio di occhiali da sole?» continuò. «Sai com’è, potresti rimanere abbagliata.»
Heather sollevò un sopracciglio, un po’ confusa. «Da cosa?» chiese ingenuamente.
Derek sorrise malizioso. «Da me, ovvio.»
Heather non capì sinceramente cosa intendesse l’altro e quando il moro si accorse che la ragazza aveva ancora l’aria piuttosto confusa, il suo sorriso si spense, trovandosi un po’ a disagio in quella situazione.
«Perché mi servirebbero degli occhiali da sole qui dentro?» continuò a domandare la giovane, sbattendo le sue lunghe ciglia, un po’ disorientata.
«No, dicevo, servono a me. Ho dei… problemi con le luci al neon, sai» spiegò, indicando le lampade sul soffitto. «Ma con nient’altro, giuro. È che anche i miei occhi sono molto sensibili.»
«Ehm… ok, ti credo» affermò la ragazza, sebbene un po’ titubante e avendo qualche difficoltà a ricordarsi il nome dell’altro. «Ma sinceramente non so se ti possano andare bene i miei.»
«Oh, tesoro» disse Derek, lasciandosi sfuggire un ghigno, «sono poche le cose che non mi vanno bene.»
Heather si guardò attorno giusto per un secondo, come se si aspettasse l’aiuto di un pubblico immaginario in quel momento. «È… per la forma, è un po’… particolare» spiegò, esitante.
Il moro schioccò la lingua sul palato, lanciandole una lunga occhiata dalla testa ai piedi. «Fidati, ne ho viste di peggiori.»
«Ma non l’hai ancora vista» obiettò, ancora più confusa.
Derek alzò le spalle. «L’uomo ha pur sempre l’immaginazione.»
Todd sbuffò da sopra la scala, alquanto irritato e finalmente si voltò verso il basso. «La vuoi piantare?»
L’altro ragazzo fece una smorfia infastidita da quella intromissione. «Che vuoi? Le sto solo chiedendo un paio di occhiali da sole, non è così?» si rivolse verso la giovane, facendole un occhiolino che lei non comprese.
«Sì, come no» borbottò Todd. «Lasciala in pace» l’avvertì, ringhiando a dentri stretti e proseguendo poi a un tono più basso: «Lo so che mi hai fatto qualcosa prima con gli occhi, non mi inganni.»
Heather frugò nell’enorme e spaziosa tasca della sua tuta arancione e ne estrasse una custodia rosa shocking, aprendola e mostrando al suo interno un paio di occhiali da sole con la montatura dello stesso colore, grandi e tondeggianti, con le estremità allungate che ricordavano un gatto o semplicemente un paio di vecchie lenti da nonna, se non fosse stato per i brillantini di decorazione sugli angoli.
Derek rimase spiazzato e prese con incertezza gli occhiali che la compagna gli stava porgendo, rigirandoli fra le sue mani. Forse aveva parlato troppo presto, perché di certo non si aspettava una cosa del genere. Diede un altro sguardo alla custodia e notò che anche la pezza per pulirli era rosa, di un colore leggermente più tenue e tempestata di gattini.
Tentò si aprir bocca, ma si accorse di star solamente annaspando, cosa che disorientò ancor più la ragazza di fronte a lui. Così alla fine si arrese e sospirò, scuotendo la testa. «Lascia perdere, tanto non la capiresti» disse, infilandosi lo stesso gli occhiali rosa e andandosene.
Heather sbatté le lunghe ciglia come suo solito e alzò lo sguardo verso Todd. «Ma è sempre così strano?» chiese.
«No, è semplicemente stronzo» spiegò quello in tono apatico, abbassandosi un po’ per arrivare all’altezza dell’altra. «Todd» le sussurrò.
«Cosa?»
«Todd» ripeté quello. «Mi piacerebbe che ti sforzassi di ricordare il mio nome.»
Derek si avvicinò a Cohen, il ragazzo coi dred, grattandosi il capo e lanciando brevi occhiate verso la bionda, che era tornata a lavorare. «Come fa a non capire le mie battute?» domandò, confuso e con un tono basso e confidenziale verso l’altro ragazzo.
Cohen lo guardò con superficialità, non riuscendo a prenderlo seriamente. «Forse è solo che non è stupida quanto te.»
 
Miranda sbuffò contrariata, battendo un pugno svogliato sulla macchinetta del caffè.
«Ti ha rubato i soldi?» domandò una voce alle sue spalle.
Voltandosi, vide Cohen avvicinarsi e scosse la testa, sforzandosi di fare un piccolo sorriso.
«No, solo che… non c’è il caffè di soia e io prendo praticamente solo quello» spiegò la ragazza.
Cohen rise, cercandosi di trattenere. «Che cosa ti aspettavi da un centro sociale del genere?» chiese e Miranda non poté che dargli ragione. Il ragazzo la squadrò, ponderando. «Vegana?»
«Vegetariana» precisò, con un vero sorriso che ora le increspava le labbra. «E qualcosa mi dice che appartieni anche tu alla razza. Ci possiamo riconoscere solo tra simili» scherzò.
«Vegetariano anch’io» puntualizzò. «Odio i falsi vegani.»
«Oh, sì, tempo fa andavano di moda, me lo ricordo» affermò la mora.
«Esatto. Ho protestato anche contro quelli prima di… beh, sai, finire qui» spiegò il rastaman.
Miranda annuì, comprensiva. «Quindi lasciami indovinare, sei uno di quegli ambientalisti che si fanno legare ai pali senza mangiare per giorni, con cartelli appesi al collo coi messaggi più assurdi? E magari ti hanno messo qui proprio per questo.»
Cohen alzò le mani. «Beccato» confessò, provocando una piccola risata da parte dell’altra. «Charles non mi sembra uno che scende a compromessi, ma domani Charles non ci sarà più e l’altro assistente sociale mi sembra molto più flessibile» rifletté a bassa voce, con fare losco.
Miranda piegò le labbra leggermente verso l’altro, alzando un sopracciglio maliziosa. «Va avanti. Questo piano mi intriga.»
«Sembra uno di quei precisini un po’ sfigati. Secondo me riusciamo a convincerlo a farci mettere qualcosa di decente da bere in questa macchinetta» concluse. Poi un rumore di passi attirò la sua attenzione e voltandosi vide Heather, la ragazza coi capelli biondo platino. «Se anche tu vuoi un caffè di soia, ti avverto che non c’è.»
Heather li stava osservando da un po’ – non molto – e la sua espressione seria dimostrava che quel che vedeva non le piaceva per niente. Cercò di nasconderlo sotto la sua natura altezzosa, ma non le piaceva essere messa da parte, abituata com’era ad essere sempre al centro dell’attenzione. Mentalmente rinnegava di poter temere qualcuno come Miranda. Cos’aveva lei in più? Certo, era bella, ma Heather si ripeteva che non sarebbe mai stata come lei. Però in quel momento si sentiva schiacciata. Erano le uniche due ragazze in quel gruppo e Miranda sembrava ottenere più attenzione di lei dagli altri e la cosa non le andava per niente bene. Cos’aveva combinato lei? Una chiacchierata con quel… Todd – giusto? – e basta. Ma poi a lei cosa gliene importava veramente? Le sembravano tutti degli animali feroci in una gabbia che la accerchiavano e sicuramente avevano fatto qualcosa di meritato per stare lì, mentre lei era la povera vittima della situazione.
Osservò la macchinetta delle bevande, ma non si fidava molto del tè caldo che rifilavano lì. Fece una piccola smorfia. «Voglio solo una bottiglietta d’acqua» disse, rovistando nelle grandi tasche della tuta e cacciando una banconota.
«Ehm… accetta solo spiccioli» la informò Cohen.
Heather lo guardò, un attimo spiazzata da quella frase. «Ma io non porto mai spiccioli» ribatté, quasi come se l’avessero insultata.
«Penso che dovrai iniziare a farlo» s’intromise Miranda. Il suo tono non voleva essere critico, in realtà, anzi, vedere Heather le ricordava molto il suo passato. Un tempo anche lei era così, senza spiccioli nel suo portafoglio, andando in giro solo con soldi che potevano frusciare.
Cohen sospirò, quasi per compassione. «Non ti preoccupare, offro io.»
Heather si ritrovò a disagio e un po’ in imbarazzo per quella scena, ma tutto quello che riuscì a spiccicare fu: «Minerale. Odio l’acqua frizzante.»
Il ragazzo annuì, inserendo le monetine e digitando il numero corrispondente alla bottiglietta d’acqua liscia. Attesero qualche istante. Ok, forse più di qualche istante. Ok, forse si erano resi conti che nulla stava uscendo e che la macchinetta si era praticamente rubata i soldi di Cohen e ora si fissavano tutti l’un l’altro in un lungo silenzio di imbarazzo.
«Però te la sei tirata» gli ricordò Miranda, riferendosi alle prime parole che le aveva rivolto.
Cohen cercò di scuotere la macchinetta, ma nulla sembrava voler cadere. Provò a battere qualche pugno, ma nulla. Un’enorme scarica di adrenalina risalì lungo tutto il suo corpo, pervadendolo di rabbia e, senza neanche accorgersene, iniziò a battere violentemente sulla macchina, calciandola col violenza e gemendo di rabbia. Quando si rese conto che stava respirando affannosamente, si voltò piano verso le due ragazze, che erano rimaste spiazzate dal suo comportamento.
Ecco, ora si sentiva decisamente in imbarazzo.
«Posso ridarti anche gli interessi» gli disse la bionda. «E, te lo dico per esperienza, lo yoga rilassa sul serio.»
Il rastaman ritrasse il collo nelle spalle, borbottando un «No, non ti preoccupare» prima di lasciare le altre due il più velocemente possibile.
Heather sbatté le ciglia come era solita fare e si rivolse verso la mora. «Che strano.» L'altra non poté che annuire, dandole ragione. La bionda le si avvicinò di più, guardandosi prima attorno per assicurarsi che nessuno le stesse origliando, poi le sussurrò in un orecchio. «Prima stava sistemando una pianta appassita e ti giuro che dopo averla toccata quella si è rinvigorita!»
Miranda la guardò stralunata, scostandosi un poco. Rifletté qualche istante, ma non riusciva a trarne nulla che non concludesse col fatto che Heather fosse pazza.
«Impossibile» si limitò a rispondere, scrollando la testa per scacciar via quei pensieri. «Ti serviva proprio dell'acqua, o un caffè» disse, delusa anch'essa da quella macchinetta.
 
La sala era totalmente cambiata. Le luci al neon nell’atrio erano state spente e sostituite da candele e lanterne appese dal gruppo di assistenza sociale e al centro era tata montata una squallida lampada da discoteca che riempiva la stanza di luci colorate soffuse. Era stato allestito in un angolo il buffet su alcuni tavoli, pieno di cibi da aperitivi e punch. Al centro invece ballavano o chiacchieravano coppiette.
«Alla gente come può piacere certa roba?» sbottò Derek, osservando la sala con aria disgustata.
Tre dei ragazzi erano seduti in un angolo, uno accanto all’altro, obbligati a stare lì come supervisori, quando in realtà, sebbene non stessero facendo assolutamente nulla se non criticare gli invitati, per loro era più come una tortura.
«Esistono anche persone per bene a cui piace fare cose divertenti nel mondo, sai?» parlò Heather, seduta al centro tra i due ragazzi e incrociando le braccia al petto mentre non degnava il moro neanche di uno sguardo.
«A me piace un sacco fare cose divertenti e tutto questo ti assicuro che non ci rientra affatto» ribatté l’interessato, sbuffando. Si raddrizzò gli occhiali rosa di Heather sul naso ed esibì un’altra espressione di disgusto. «Lana Del Rey non è affatto divertente!» esclamò, desiderando di andare verso le casse per la musica e spaccarle.
La bionda alzò le mani. «Non ho la minima idea di cosa facciate voi per divertirvi e non mi interessa.»
Derek le si fece più vicino, ghignando. «E tu come ti sei divertita per essere qui, eh?»
Heather continuò a ignorarlo.
«Ehi, lasciala in pace, ognuno ha i suoi motivi» la difese Cohen dall’altro lato.
«E i tuoi sarebbero?» domandò, sollevando le sopracciglia e sporgendosi a guardarlo da dietro la bionda. «Hai aggredito un taglialegna perché stava cercando di abbattere un albero?»
«Non sono cazzi tuoi» rispose brusco il rastaman, digrignando i denti. «E comunque costruire un parcheggio in quella zona sarebbe stato inutile» borbottò infine.
Heather sgranò gli occhi e si voltò verso di lui, incredula del motivo per cui il ragazzo era finito lì. «Davvero?» chiese. In effetti il fatto che Cohen fosse finito ai centri sociali per protesta la umiliava un po’.
Il rastaman scrollò le spalle, un po’ imbarazzato. «Una mezza specie.»
Heather ci rifletté un poco, puntellandosi un dito su una guancia. «Però se fosse stato per un nuovo centro commerciale…»
«No» la interruppe immediatamente l’altro, lanciandole un’occhiata di fuoco. «Non osare neanche dirlo.»
Heather alzò prontamente le mani in difesa. «Uffa» sospirò. «Solo che ultimamente la mia fiducia nella moda londinese sta scarseggiando.»
«La voglia del mio cazzo di drizzarsi sta scarseggiando» replicò Derek, annoiato.
Heather finalmente gli rivolse uno sguardo, alzando un sopracciglio. «Sarebbe una cosa positiva?»
Cohen scoppiò a ridere per le parole della bionda e per Derek che faceva la figura dello sciocco.
«Ehi! No!» intervenne subito l’altro, un po’ imbarazzato e infastidito dal fatto che le sue parole venissero storpiate. «Non intende- funziona benissimo!» esclamò per difendersi. Poi fece un cenno verso una ragazza dalla pelle scura nella sala: era formosa ma con un bel viso, aveva i capelli castani legati e indossava un vestito semplice ma che la risaltava e stava ballando con un ragazzo mingherlino e impacciato vestito di tweed. «Guarda quanto spreco. Tipo, quella. Che cosa ci fa a ballare con quello sgorbio? È troppo gnocca per lui» si lamentò.
«E dovrebbe stare con te, giusto?» chiese Cohen con un sorriso furbo, roteando gli occhi.
«Certamente!» esclamò Derek , sorridente.
«Purtroppo non esiste più lo status quo. Ora anche le ragazze che pesano centoventi chili e indossano i leggins riescono a trovarsi un ragazzo bello» commentò Heather, apparentemente scocciata e infastidita, per poi borbottare sottovoce cose come: «e vorrei proprio sapere come fanno» e  «comunque io sono più bella di quella.»
Spuntato da chissà dove, Todd si avvicinò ai tre ragazzi, portando in spalla uno scatolone e indicando con il pollice l’angolo del buffet.
«Dr. Spock dice di portare via man mano la spazzatura e di portare qualche tavolo e sedia in più» spiegò.
Derek si diede una spinta sulla sedia per slanciarsi e si rimise in piedi, stiracchiandosi. «Per una volta farò uno sforzo, devo dimostrarti che la mia virilità è ancora intatta!» esclamò, facendo l’occhialino verso Heather e facendo qualche posa idiota per mettere in mostra i muscoli.
Cohen trattenne una risata. «Dubito tu l’abbia mai avuta.»
Todd alzò un sopracciglio e lo squadrò, facendogli un cenno. «Begli occhiali» disse, facendo riferimenti alla montatura rosa di Heather.
«Grazie» rispose Derek, aggiustandoli in viso e atteggiandosi come se ne andasse fiero.
«Sono i miei» precisò la bionda con tono altezzoso e possessivo.
Todd le rivolse un sorriso accennato, quasi divertito.«Donano sicuramente più a te.»
Heather sorrise, soddisfatta e compiaciuta. «Avevi dubbi?»
Cohen si alzò dalla sedia, mentre Derek si era già incamminato per chissà dove, per poi rivolgersi alla bionda che se ne stava ancora seduta con le gambe incrociate e le braccia al petto.
«Tu non vieni?» chiese.
Heather alzò un sopracciglio, sperando che stesse scherzando. «A fare? Spostare sedie e tavoli?»
Cohen scosse la testa e sospirò rassegnato. «Capito» disse, seguendo poi Derek verso il ripostiglio.
Todd le lanciò uno sguardo ammiccante e continuò a sorriderle. «Magari quando finisco potrei anche chiederti un ballo, principessa.»
La bionda fece finta di pensarci un po’ e di starsene sulle sue, per poi rispondere maliziosa: «Riprova più tardi e vedremo se sarò nell’umore di accettare.»
 
«Allora, cos’è questa storia?» domandò Miranda. «Quel tipo, Derek o come diavolo si chiama, ha fatto il nome di tuo fratello.»
Erano entrambi appoggiati al muro esterno del centro sociale, vicino l’ingresso. Miranda stava rollando il tabacco e leccò la cartina per chiudere la sigaretta, mentre Oliver stava già fumando quella che gli era stata offerta, così offrì l’accendino alla ragazza. Dopo Ellen, ma soprattutto dopo Josephine, aveva deciso che aveva definitivamente chiuso con la droga, ma ora voleva tentare di ridurre anche il fumo, sebbene con calma.
«Ah. Vorrei proprio saperne di più anch’io» disse Oliver, leggermente frustrato da ciò che ultimamente aveva scoperto. «A quanto pare il motivo per cui non ho mai visto mio fratello è perché traffica droga, che bello. Ho passato una vita a voler essere nelle isole tropicali di cui manda le cartoline ogni mese.»
«Perché sei qui?» domandò improvvisamente Miranda, quasi interrompendolo. «La verità e io ti dirò la mia.»
Oliver le lanciò uno sguardo colpevole, ma poi sospirò e si decise a parlare. «Con Robert volevo essere un buon esempio, non volevo che venisse ignorato come è successo a me dai miei fratelli» confessò. «Invece un giorno lo scopro a rubare e chissà cos’altro avrà fatto. Lo stavano per prendere, così gli ho detto di scappare e mi hanno preso al posto suo. Kurt ha cercato di difendermi al processo.»
«Comodo avere un avvocato in famiglia.»
«Non quando non riesce a vincere la causa.»
Per qualche istante calò il silenzio. Ogni qualvolta che espiravano, il fumo usciva dalle loro bocche.
«Te lo ricordi quando eravamo ragazzini?» domandò Miranda. «Anche noi ne abbiamo fatte di cazzate.»
«Già e guarda dove siamo finiti» ribatté Oliver, cupo. «Volevo solo dimenticare quella parte della mia vita.»
La corvina si rigirò il filtro tra le dita, fissando la sigaretta bruciare. «Te la ricordi Josephine?» domandò, continuando a tenere la testa bassa.
Oliver dovette pensarci un po’, assottigliando lo sguardo come se ciò lo aiutasse a concentrarsi per ripescare dalla sua mente il ricordo della ragazza citta.
«Sì…» rispose infine, anche se non del tutto sicuro. «Se non sbaglio tu, lei e… come si chiama? Elle?»
«Ellen» precisò Miranda.
«Ellen, sì. Stavate sempre assieme.»
«Già» confermò tristemente. «Un giorno bussa alla mia porta in lacrime, ha iniziato a dire che aveva bisogno di soldi, che non sapeva dove trovarli, che sarebbe stata spacciata se non li trovava e cose così… Volevo solo aiutarla» confessò. «Poi una sera qualcuno fa una soffiata e mi ritrovo circondata dalla polizia e una borsa piena di pillole. E tu vaglielo a spiegare.»
«Sì, posso capirti» rispose l’altro ripensando al giorno in cui l’avevano arrestato e tutto per salvare suo fratello.
«Ellen è morta» disse Miranda d’un tratto. «Overdose» precisò. Non aveva il coraggio di alzare il capo.
Oliver sgranò gli occhi e la guardò di scatto. Ricordava quanto fossero legate. Stava per aprir bocca, quando Cohen si affacciò alla porta.
«Ehi, ditemi che qualcuno di voi sa come far funzionare un impianto elettrico» disse, interrompendoli. «Stavamo mettendo a posto il magazzino ma è saltata la luce.»
Oliver lanciò uno sguardo a Miranda, che si era voltata anch’essa verso Cohen, facendo finta di nulla. Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma oramai il momento era stato rovinato.
Sbuffò. «Ci penso io.»
La corvina alzò un sopracciglio. «Da quando sei un elettricista?»
Oliver scrollò le spalle. «Mi sono tenuto impegnato. Tu hai le parole crociate e io i miei hobby.»
 
Nell’atrio non si notava che la luce era saltata per via delle lanterne, ma nei corridoi del centro c’era il buio assoluto. Heather si avvicinò con una candela color porpora e la porse a Oliver.
«È alla ciliegia» lo informò.
«Ti mostro dov’è il pannello di controllo» disse Cohen.
Oliver lo bloccò con una mano sul petto. «Non ti preoccupare. Grazie.» Prese la candela e si avviò dentro il magazzino.
Non che servisse poi molto, la candela. Oliver l’aveva presa solo per gentilezza. Aspettò di essere solo, con gli altri rimasti fuori; si guardò attorno per precauzione e poi si concentrò intensamente per un attimo. Il suo corpo iniziò a illuminarsi sempre di più, la sua pelle diventò fosforescente e finalmente il ragazzo poté finalmente distinguere i contorni degli oggetti che lo circondavano.
Era una stanza piena di scaffali e scatoloni pieni di roba. Alla sua destra c’era una saracinesca che occupava tutta la parete, mentre in fondo a sinistra trovò il pannello dell’impianto elettrico. Poggiò l’inutile candela alla ciliegia su uno scaffale, notando però che aveva davvero un buon odore, e aprì il pannello, ritrovandosi di fronte a diversi interruttori.
«Oh. Mio. Dio.»
Oliver si voltò di scatto, preso alla sprovvista. Sul suo volto pieno terrore.
I lineamenti di Todd erano davanti a lui, con la bocca spalancata, illuminati dalla luce emanata dal suo stesso corpo. Dietro, Miranda.
«Che c’è?» domandò Derek entrando, con al suo fianco Heather, che trattenne un urletto e si tappò la bocca, mentre dietro di lei Cohen la seguiva.
«Oh, porc-» Cohen si morse la lingua, trattenendo un imprecazione. Tutti stavano guardando il ragazzo fluorescente a bocca aperta.
«Oddio…» Oliver si grattò la testa, non sapendo cosa fare e andando nel panico. «Oddio, non volevo lo scopriste così, cioè in realtà non volevo lo scopriste proprio-»
«Oh, no, sei anche tu uno di quelli colpiti dal fulmine» dedusse Todd, quasi deluso dalla scoperta.
Oliver corrugò la fronte e rimase senza parole. Che voleva dire quella frase? Come faceva quel ragazzo a sapere del fulmine? Vero che era stata la tempesta più devastante di Londra, ma le sue parole nascondevano altro, come se sapesse esattamente cosa avesse comportato.
«Aspetta» disse Cohen, «anche tu?»
Miranda si voltò di scatto, confusa. «Che vorrebbe dire “anche tu”?»
Derek non riuscì a trattenere una risata. «Non ci credo, siamo appena diventati la Gang del Bosco.»
Heather gli rivolse uno sguardo confuso. «Perché mai?»
«Perché, Barbie» disse, indicando se stesso e gli altri, «a parte il fatto che ora siamo appena arrivati nella fase in cui dovremmo condividere per sempre un segreto, qui tutti abbiamo un potere.»
Heather alzò le mani. «Oh, parla per te!» esclamò. «E poi non ho ancora capito perché proprio la Gang del Bosco.»
«Penso fosse solo un nome random» cercò di spiegarle Cohen, quasi rassegnato a doversi sorbire le continue uscite del moro.
«Poteri un corno!» sbottò Miranda, frustrata dall’essere ignorata. «Di che diavolo state parlando.»
Oliver sospirò. «Ricordi la tempesta di qualche anno fa? Quella con la grandine così grande che ha praticamente distrutto qualsiasi macchina fosse parcheggiata in strada?»
Miranda annuì, visto che non era per niente difficile da ricordare.
«C’è stato un fulmine quel giorno» continuò Todd, «e… alcuni sono stati colpiti.»
«E diciamo che ci ha dato dei poteri» concluse Cohen. «Ma non avevo idea ce ne fossero altri come me…»
«Ehi, aspetta, io non mi illumino al buio come la Torcia Umana qui» precisò Derek, indicando il diretto interessato. «Porca puttana, amico! Sei come un cazzo di Tony Stark, solo che… hai il cuore tipo ovunque!»
Oliver aggrottò le sopracciglia, cercando di capire il senso di quella frase.
«Oh, un uomo col cuore d’oro» scherzò Cohen, pungente.
«A me sinceramente ricorda più Edward Cullen» intervenne Heather, parlando con sincerità.
Tutti gli altri scoppiarono a ridere fragorosamente, non potendo trattenersi, mentre Oliver iniziava a spazientirsi per quelle battutine.
Todd si bloccò improvvisamente, voltandosi verso Derek con un ringhio. «Aspetta! È questo quello che mi hai fatto! Mentre ti pestavo a sangue mi hai fatto qualcosa che mi ha steso. Questo è barare!»
Heather non risparmiò una delle sue espressioni disgustate, borbottando un «Ma dovete per forza essere sempre tutti così rozzi?»
«Ehi, non è barare, si chiama “sopravvivenza” e “difesa personale”!» si giustificò il moro. Si aggiustò gli occhiali rosa che portava ancora sul naso. «C’era un motivo se ero il miglior spacciatore in zona» affermò, puntellandosi la montatura con un dito.
«Costringevi i clienti a indossare i tuoi occhiali se non compravano?» chiese Oliver, sghignazzando.
«Ehi!» intervenne Heather, gonfiando le guance. «Quelli sono i miei occhiali e sono bellissimi!»
«Oh, certo» rispose prontamente Miranda per difendere l’amico, «ma su di te.»
Heather gonfiò il petto, lanciandole un’occhiata truce. «Se vuoi provarci, stammi alla larga.» Miranda subito si sentì offesa, imbronciandosi.
Todd si avvicinò alla bionda di poco. «Fai finta che te l’abbia detto io» le sussurrò, per calmarla.
Heather fece una smorfia. «Questo non mi aiuta.» Todd si ritrasse, deluso e offeso da quelle parole.
Derek sbuffò, infastidito. «No, cazzoni.»
«Linguaggio!» borbottò Heather, stringendo i pugni.
«Faccio sballare la gente solo guardandola perché sono un figo» continuò, indicandosi gli occhiali, come se fosse la cosa più ovvia del pianeta.
Gli altri non furono molto convinti e Miranda fece un cenno a Cohen, chiedendogli: «E tu?»
Il rastaman scrollò le spalle, indifferente. «Controllo le piante.»
«Lo sapevo! Te l’avevo detto che non ero pazza!» sussurrò Heather verso Miranda, sebbene ciò che le uscì dalla gola fu più simile a un acuto.
Miranda incrociò le braccia, infastidita. «Ma cos’è, una cosa per soli uomini? È ingiusto. Perché non ho anch’io un potere?»
«E tu invece?» domandò Cohen a Todd.
D’un tratto un rumore interruppe la loro conversazione. Proveniva da dietro la saracinesca.
Oliver allungò la mano verso il pannello dell’impianto elettrico; dalla sua mano uscirono delle scintille e subito dopo le luci al neon ripresero a funzionare, mentre la luce proveniente dal suo corpo svaniva.
«Figo» commentò Heather.
Todd lanciò uno sguardo a Cohen. «È inutile alla vostra sopravvivenza, quindi è inutile anche saperlo» tagliò corto.
«Ok, andiamo a finire il nostro lavoro» disse Derek, mentre si avvicinava sospettoso alla saracinesca.
Cauto, impugnò la maniglia, dopo di che la alzò con uno scatto, rivelando lo scenario che si presentava dall’altro lato.
Heather lanciò un urlo, coprendosi immediatamente gli occhi, mentre tutti gli altri sgranarono le bocche, scandalizzati. L’unico che sembrava divertito dalla situazione pareva proprio Derek, che non riuscì a trattenere una risata, sebbene pervaso dallo stupore.
«Non ci credo!» esclamò.
Dall’altra parte, due uomini completamente nudi tentavano di coprirsi le parti intime, colti sul fatto e pieni di imbarazzo e colpevolezza.
Uno sembrava uscito da Abercrombie: altezza media, pelle cosparsa da qualche lozione abbronzante, addominali scolpiti, viso perfetto e squadrato, ciuffo perfetto di capelli castani, occhi grandi e azzurri. Era praticamente la versione umana di Ken.
L’altro, invece, era Charles. L’assistente sociale.
«Che sta succedendo qui?» Una voce provenne dal corridoio, facendo voltare tutti di scatto verso la porta. «Avete risolto il problema?»
Quando Will comparve alla porta e vide la scena che gli si presentava di fronte, all’inizio la sua espressione fu pieno e totale sgomento, che poi si trasformò in disgusto nei confronti del suo compagno. Spostando lo sguardo verso l’altro uomo presente, si scandalizzò.
«Paul?» lo chiamò, sconcertato.
«Che qualcuno riprenda la scena» sussurrò Derek, prendendo di sorpresa Heather da dietro e scostandole bruscamente le mani che teneva ancora davanti agli occhi. «Guarda.»
Heather, infastidita e colta di sorpresa, si strattonò, afferrando un braccio di Derek e catapultandolo a terra con le sue forze. Il moro si ritrovò improvvisamente con la schiena a terra, fra stordito.
Cohen le lanciò un’occhiata di merito. «Però, picchi duro.» La bionda invece si allontanò più possibile dal precedente aggressore, ancora scossa.
«Con che coraggio?» domandò Will, stringendo i pugni.
Il Ken umano – che da quel che si era capito doveva chiamarsi Paul – mise una mano in avanti, mentre con l’altra si copriva. «Will, ti prego, cerca di capire-»
«Capire?»
Charles sbuffò, facendo una smorfia. «Oh, andiamo, finiamola» intimò. «Will, sei diventato la persona più pesante a questo mondo. Io non ti amo più!»
Will annaspò, sconcertato. «Co-come? Ma noi… insomma… dobbiamo sposarci! Dobbiamo partire domani!»
«Oh, no» rispose Charles. «Io e Paul partiremo. Mi hai praticamente costretto a organizzare questa cosa del matrimonio! Ogni volta che dico di lasciarti, tu non mi dai ascolto!»
«M-ma…» balbettò l’accusato, assumendo un’espressione piena di tristezza, «noi ci amiamo.»
Charles trattenne una risata.
«Ti prego, Will, non rendere tutto più complicato» intervenne Paul.
«Tu sta zitto!» Will digrignò i denti, mentre la rabbia montava nel suo corpo. «E va bene» disse, togliendosi gli occhiali e riponendoli accuratamente in tasca, «l’avete voluto voi.»
Sembrava avere occhi di fuoco e puntò il suo sguardo intensamente verso i due traditori. Velocemente il loro corpo iniziò a riempirsi di bolle rosse e a scoppiare e la loro pelle si ricoprì di croste e iniziò a spellarsi, a bruciare. I due urlarono in preda al dolore, sempre più forte man mano che il loro corpo iniziava ad arrostirsi.
«Oh, no, è un altro coi poteri!» esclamò Cohen, inorridito.
Miranda partì all’attacco e cercò di saltare addosso a Will, finendo solo per ricevere una testata ed essere scaraventata a terra, mentre Todd andò a soccorrerla, aiutandola a rialzarsi.
«Che facciamo?» gridò Oliver.
Cohen esitò, ma poi si voltò verso Derek. «Dimmi qualcosa!»
Derek gli lanciò uno sguardo confuso e in ansia. «Che dovrei dirti ora? Non sono intenzionato a proporti di scoparmi tua sorella proprio in questo momento.»
«Oh, quando sei stronzo!» esclamò il rastaman con un ghigno. Gli diede un pugno sul braccio e Derek gridò, mandandolo a quel paese, ma poi Cohen concentrò tutta la forza nelle sue mani e le batté sul pavimento.
Il suolo prese a tremare, gli scaffali traballavano e con essi la roba riposta che cominciò a tintinnare; il pavimento sotto i piedi di Will, però, cedette e con esso l’uomo, che si ritrovò sprofondato in un buco nel suolo fino alle ginocchia.
Si voltò verso il gruppo di ragazzi, furiosi, e puntò gli occhi verso Cohen, la cui mano iniziò a ustionarsi e di conseguenza lui iniziò a gridare.
«Fate qualcosa!» urlò Heather.
«Forse il suo potere è come il mio, forse funziona solo con contatto visivo!» propose Derek.
Oliver corse all’impianto elettrico, toccandolo, e subito una scarica di fulmini si espanse per tutto il circuito e fece saltare di nuovo la luce, facendo sprofondare la stanza nel buio.
Si sentì un botto, qualcosa di metallico che sbatteva, e poi un altro tonfo, come un sacco di patate che cadeva a terra.
«Penso di averlo colpito!» gridò Derek, allarmato.
Passò qualche secondo nel silenzio e nell’oscurità, ma nessuno più fiatava o si muoveva e pareva davvero che Derek fosse riuscito a stordire quel pazzo omicida del Dr. Spock. Oliver tese di nuovo la mano per toccare l’impianto e fece ritornare la luce.
Will aveva le ginocchia affondate nel terreno e il busto accasciato a terra.
Derek gongolò trionfante. In mano teneva un estintore. «Però, sono stato bravo, non si muove neanche più.»
Todd si avvicinò con cautela al corpo dell’uomo e gli mise due dita sul collo, poi gli prese un polso e si voltò con una faccia terrorizzata verso il resto del gruppo. «Amico, l’hai steso.»
«Lo so» rispose Derek.
«No, nel senso, è proprio morto.»
Il gruppo si raggelò, iniziandosi a guardare fra di loro e non sapendo che diavolo fare.
«Perché l’hai ucciso?» cercò di sussurrare Heather a denti stretti, benché ciò che la sua gola premeva per fare uscire non erano altro che urletti.
«I-io no… non….»
Miranda si mise le mani nei capelli e fece un cenno anche verso gli altri due corpi, praticamente carbonizzati. Morti pure loro, senza nessun dubbio. «E ora che facciamo?»
«Beh, io domani posso portare una crema contro le ustioni per…» propose Heather,  fermandosi però a fissare il rastaman, non ricordandosi il suo nome.
«Cohen» disse quello, scocciato, tenendosi la mano ustionata e tremante nell’altra.
«Non intendevo questo!» esclamò Miranda, spazientita e agitata.
«Ok, calma» intervenne Oliver.
«Calma» gli fece il verso Todd, con una smorfia.
«Per una volta ha ragione» disse Derek indicando Todd. «Rilassarsi mi sembra la cosa meno adatta da fare, a meno che tu non sia un ninfo-»
«Derek l’ha ucciso. Noi non c’entriamo nulla» si spiegò Todd.
«Cosa?» gridò l’interessato, scandalizzato. «Sparami nel culo la prossima volta che ti do ragione!»
Per una volta Heather lasciò stare il linguaggio, forse perché troppo presa dal panico.
«Lui ha ucciso Will e Will ha ucciso gli altri due. Noi siamo puliti» continuò Todd. «Sto per finire questa merda di servizio sociale, non ci penso neanche ad andare in galera ora!»
«Sei ragazzi – potenziabili criminali – si ritrovano sulla scena del crimine degli organizzatori dell’evento che stavano sorvegliando e uno degli assassinati è il loro assistente sociale? Non ci crederà nessuno» fece notare Miranda.
«E ancor di meno che sia stato solo io» si difese Derek, indicandoli tutti. «Potrei inventarmi un mucchio di cazzate con la polizia e incastrarvi tutti. Siete nella mia stessa merda, tutti quanti!» li minacciò. «E poi la mia era solo difesa personale!»
Cohen sospirò. «Ha ragione. Che facciamo?»
Oliver si passò una mano fra i capelli corti, riflettendo. «Heather e Miranda vanno a controllare la situazione di là. Non sappiamo se hanno sentito le urla, il terremoto…»
«Il terremoto l’hanno sentito sicuro» precisò Cohen.
«Aspetta, sei tu la causa delle continue scosse recenti a Londra?» domandò Todd.
«Cosa? Mio padre per colpa tua ha dovuto interrompere la costruzione di un palazzo per un mese!» intervenne Heather, accusandolo.
«Momento, tuo padre si occupa di edilizia?» domandò Derek, interessato.
«Zitti!» li interruppe Miranda, mettendosi le mani nei capelli, spazientita. Prese la mano di Heather, che subito assunse un’espressione disgustata. «Andiamo a controllare.»
«Aspetta» la fermò Oliver. «Se l’altro assistente sociale fa domande o cerca di venire di qua, voi bloccatelo a qualunque costo. Noi quattro invece dobbiamo postare i corpi.»
«Dove diavolo li mettiamo tre cadaveri?» chiese Cohen, sicuro che quel piano fosse un buco nell’acqua.
«Ci sono un paio di celle frigorifere nel seminterrato» li informò Todd.
«Perfetto» concluse Oliver. «Una volta che se ne saranno andati tutti, andiamo a riprenderli e troviamo il modo per sbarazzarcene.»
«Sì, ok, ma per il pavimento? Che diciamo per i buchi?» domandò Miranda.
«Uhm, un tappeto?» propose la bionda di fianco, non molto convincente.
«Ah, facciamo come dice e muoviamoci se non vogliamo ritrovarci tutti inculati!» disse Derek.
«Davvero, a volte mi chiedo chi fosse il gay qui dentro» lo punzecchiò Cohen.
 
Gli invitati, ovviamente, avevano sentito la scossa e per questo Ronnie – l’altro assistente sociale – aveva dovuto far finire la serata prima. Quando chiese dove fossero finiti Charles e Will, le due ragazze risposero che non li avevano più visti da quando erano andate a portar via la spazzatura. Si offrirono addirittura di chiudere il centro al posto di Ronnie che, titubante e confuso, accettò comunque volentieri a causa della troppa fiducia che riponeva nel prossimo. Dopo di che, complici, le ragazze tornarono nel magazzino, presero un tappeto arrotolato da uno degli scaffali e lo distesero sopra al buco nel pavimento, consapevoli che presto avrebbero dovuto trovare qualcosa di meglio per riempire quel cratere se volevano che nessuno se ne accorgesse sprofondandoci dentro. Chiusero la saracinesca, mentre i restanti quattro uomini avevano dovuto spostare le cibarie dai frigoriferi, per permettere ai cadaveri di entrarci, per poi ricoprirli di sacchi di piselli e scatole di gelati. Oliver si prese un ghiacciolo alla frutta e ne distribuì altri al resto del gruppo; dopo di che, velocemente, tolsero gli avanzi del buffet, rimisero a posto tavoli e sedie e dovettero togliere tutte le lanterne e candele e riporre tutto nel magazzino.
«L’assistente sociale se n’è andato» informò Miranda affiancata a Heather, una volta che si furono di nuovo tutti riuniti dopo aver sistemato tutto l’atrio.
«E ora che si fa?» domandò Cohen.
«Oh, questa la so!» disse Derek, eccitato. «Avvolgiamo i corpi in dei sacchi e li riempiamo di pietre, poi li buttiamo nel fiume, così restano nel fondo.»
Heather sfoggiò una delle sue migliori espressioni disgustate. «Non voglio neanche sapere da dove tu abbia preso quest’idea.»
«L’ho vista una volta in tv.»
«Però non ha tutti i torti» ammise Todd. «Le ragazze controllano la strada e il retro, mentre noi spostiamo i sacchi e li buttiamo.»
«Ok, ok, d’accordo» fece Oliver, alquanto stressato. «Le ragazze cercano sacchi o teli nel magazzino, Cohen tu vedi di trovare qualche pietra, mentre noi andiamo a tirare fuori i corpi» e magari ci prendiamo qualche altro gelato, avrebbe voluto aggiungere, visto che essere sottopressione gli faceva venire fame.
Si divisero di nuovo e i tre ragazzi rimasti scesero nel seminterrato, ma trovarono i congelatori aperti e le scatole di alimenti sparsi per terra.
«Ma che diavolo…» imprecò Derek, confuso alla vista di quella scena del crimine.
Oliver, allarmato, corse subito a controllare dentro i contenitori, ma non c’era più nessun corpo. «Sono spariti!» esclamò, spaventato e incredulo. «È impossibile!»
«Qualcuno ha rubato i corpi?» suggerì Todd.
«Ma è impossibile, ci siamo stati solo noi qui!» ribatté Oliver.
«Che succede?» Cohen entrò nel seminterrato strisciando a terra – con la mano buona – un sacco pieno di pietre, mentre dietro di lui lo seguivano le due ragazze trasportando alcuni teli trovati.
«I corpi non ci sono più» li informò Todd.
«Come sarebbe a dire che non ci sono più?» domandò Heather, spaventata.
«Vuol dire che sono spariti, dolcezza. Puff!» continuò Derek.
«Siete sicuri fossero morti?» insistette la bionda.
«E… e… se fossero zombie?» chiese Cohen, sbiancando.
«Ma che cazzo dici?» lo interruppe Miranda.
«Guarda che oggigiorno con tutti questi OGM…. Beh, io non sarei così tranquillo» spiegò il rastaman.
Heather alzò le spalle. «Beh, ma non ci possiamo comunque fare nulla, no? Insomma, se gli zombie se ne vanno in giro non è mica colpa nostra, basta che ci stiano alla larga.»
«E che facciamo, quindi?» domandò Todd.
Miranda alzò le mani, esasperata. «Basta, mi sono rotta. Io me ne torno a casa. I corpi non ci sono e tanti cazzi, io non voglio più averne a che fare. Se qualcuno li trova, basterà uccidere anche loro, no? Tanto oramai ne siamo dentro» sbottò, un pizzico sarcastica.
«Non possiamo andare in giro a uccidere gente random!» la rimproverò Derek.
«Senti chi parla» ribatté l’altra, girando i tacchi e avviandosi verso l’uscita. «È ovvio che stavo scherzando, testa di cazzo, ma io ora me ne tiro fuori, se la questione viene fuori, incolperò te e in un modo o nell’altro cercherò di cavarmela.»
«Sì, ma se quei cadaveri spuntano fuori e risalgono a noi, io non avrò nulla a che fare con voi, sia chiaro» protestò Todd, seguendo gli altri che stavano uscendo.
Derek afferrò il braccio di Oliver, facendo rimanere solo loro due nel seminterrato. «Lo sai che sia nel caso i corpi siano stati presi che se fossero davvero zombie, noi siamo nella merda?» gli sussurrò.
«Lo so» rispose serio l’altro.  «Ma perché lo dici solo a me e non agli altri?»
«Perché tu sei uno di quelli che tendono ad essere i paparini della situazione e a proteggere tutti.»
«Cosa? No! Non è vero!» obiettò il ragazzo coi capelli più chiari.
Derek ghignò. «Sì, invece. Fammi indovinare, sei finito qui per qualcosa che ha fatto qualcun altro e che tu hai coperto, vero?» Fece una pausa e Oliver non controbatté, restò in silenzio concedendosi di lanciargli uno sguardo truce. «Oh, andiamo!» continuò il moro. «Almeno io sono qui perché sono un cazzone.»
«E allora? Se anche fosse?»
Il ghigno del giovane si aprì ancor di più. «Allora prendersi così tanto le cose a cuore ti farà finire sicuramente nella merda più di tutti.» Gli diede una pacca sulla spalla e gli intimò di uscire.
 
Heather entrò nello spogliatoio con un paio di cuffiette e Get Wasted degli All Faces Down sparata nelle orecchie. C’era solo Miranda lì dentro – perché Heather si vergognava cambiarsi di fronte i maschi – che la squadrò con una punta di gelosia nel vederla entrare vestita firmata di tutto punto, provava un enorme senso di nostalgia al ripensare che da piccola anche lei poteva permettersi tutte quelle cose.
Heather prese a cambiarsi ripiegando accuratamente il vestito nell’armadietto e spegnendo la musica al cellulare, sebbene Miranda fece in tempo a sbirciare la canzone in esecuzione. La bionda le lanciò uno sguardo e si soffermò più sulla rivista di gossip che la corvina teneva in mano, con un cruciverba completato in copertina.
«Al telegiornale hanno mandato un servizio sul terremoto di ieri.»
La bionda l’ascoltò, mentre si infilava la tuta arancione dei servizi sociali. Miranda la squadrò, sorpresa poi nel vederla: non indossava la tutta, o almeno il tessuto sembrava quello e anche il colore, ma il busto ora era formato da un corpetto con bretelle, con una cinta di cuoio in vita e si era fatta i risvoltino alle caviglie per non sporcare l’orlo dei pantaloni, per non parlare della fascia abbinata che portava tra i capelli. Quasi stentava a crederci: aveva modificato il vestito. La bionda cacciò anche una giacca  sempre arancione fatta con la stoffa in eccesso.
Heather notò che era osservata. «Non mi piace la tuta» si giustificò, «così ieri sera l’ho portata a casa e l’ho ricucita.»
Miranda sgranò gli occhi per lo sgomento. «L’hai fatta tu?»
L’altra fece spallucce. «Sì, è un mio hobby. Se vuoi posso modificare anche la tua. Così com’è ti svalorizza proprio.»
La corvina arrossì lievemente. «Davvero?» domandò e l’altra annuì. Mirando sorrise, felice, e ci pensò un po’ su. «Allora vorrei… qualcosa con le righe.»
 
Uscirono dallo spogliatoio, ancora sorridenti e parlottanti, per poi ritrovarsi con gli altri nell’atrio e vedere Ronnie arrivare sprizzante di allegria, con affianco una donna scheletrica, piatta e bianca mozzarella, a contrasto con i lisci capelli neri con la frangetta che la facevano sembrare appena uscita da Pulp Fiction; gli occhi grandi e verdi, il naso piccolo e all’insù e le labbra enormi pittate di rosso, che si muovevano in modo ipnotico per via del suo masticare il chewing gum a bocca aperta. Indossava delle zeppe enormi che la slanciavano tanto da far risultare Ronnie ancora più piccolo, un paio di jeans a zampa di elefante e una camicetta. Ma non fu neanche il suo stile ad attirare l’attenzione dei ragazzi, bensì la targhetta che portava al collo.
«Buongiorno a tutti, ragazzi» trillò Ronnie, entusiasta. «Lei è Stacy, la vostra nuova assistente sociale.»
Derek ghignò, avvicinandosi agli altri ragazzi e sussurrando: «Inizia la gara su chi se la fa per primo. Sono aperte le scommesse.»
Stacy fece un passo avanti, svogliata, continuando a masticare il suo chewing gum che aveva un forte odore di ciliegia. «Mettiamo le cose in chiaro» iniziò, «non me ne frega un cazzo di voi, quindi meno mi romperete le palle e più farete finta di starvene buoni, meglio sarà per tutti.»
 
 
 
 
 
 

 

 

panda b i t c h.
Hola amigos.
Non pubblico dall'era dei tempi, ma questa storia la stavo progettando da un bel po' e mi ero ripromessa che appena finivo un'altra storia, pubblicavo anche questa. E così ho fatto, quindi rimango figa.
Non prometto di iniziare a pubblicare più velocemente perché, purtroppo, non è iniziato il mio periodo di pausa, anzi.
Ora che ho pubblicato, però, posso iniziare a studiare per gli esami, cosa che probabilmente non farò e invece mi sfonderò di film e serie tv, ma noi cerchiamo di essere positivi. Inoltre devo rifinire degli ultimi disegni per una tizia per cui lavoro, che al momento sta male quindi ho più tempo, ma non ho neanche la minima idea di quando sia la scadenza precisa, quindi è un big problem.
Volevo precisare che non tutti i personaggi sono miei, anzi, i protagonisti appartengono a persone di cui ora non ho voglia di copia-incollare i profili efp che hanno partecipato a questa storia, quindi ringraziamo pure loro, sperando di averli resi bene. Comunque sia la storia può essere, ovviamente, letta da chiunque in quanto non vi saranno spoilers riguardo la serie, al massimo riferimenti di poco conto.
E... niente, spero abbiate una buona lettura.
Per seguirmi e platani vari, andate sul mio profilo dove ci sono dei bellissimi cuoricini che dovrei aggiornare, che se ci cliccate servono a contattarmi e seguirmi su qualsiasi social network. Vi vendo la trocah.
Baci e panda, Mito.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Misfits / Vai alla pagina dell'autore: pandamito