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Autore: Kim_Pil_Suk    28/11/2015    2 recensioni
Andavo male nel 55% delle materie scolastiche, la mia concentrazione era pari a quella di un lama verso un palo e non ero così bravo negli sport come speravo.
Così mio padre, nonostante i tentativi passati, ha deciso di darmi un'insegnante di ripetizioni.
Sapevo che l'avrei odiata, che avrei pregato in ginocchio mio padre perché cambiasse idea, che avrei provato a uscire dallo stato illegalmente.
E invece non potevo chiedere di meglio.
|| Stydia AU || side!Scallison ||
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lydia Martin, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Avevo preso in considerazione anche io, come mio padre, di prendere ripetizioni. Ma l'ultima volta che avevo provato a farmi spiegare qualcosa da uno dei secchioni della mia classe era finita male. Basti sapere che non avevo capito un accidenti di quello che aveva detto a causa del brutto apparecchio che si ritrovava in bocca quella tizia e, non solo, quella alla terza lezione aveva cercato di baciarmi. Aveva chiuso la porta della mia camera - prima volta che studiavamo in camera mia, di solito sempre in cucina - a chiave e mi era quasi letteralmente saltata addosso. Insomma, non proprio una bella esperienza con le ripetizioni.
Così io e mio padre avevamo chiuso con le ripetizioni e avevamo deciso che me la sarei dovuta cavare da solo. Tanto meglio.

Ma lui, improvvisamente, avevano deciso che prendere ripetizioni da un'altra tizia fosse una grande idea!

Come no...
 

- Non capisco perché i miei non mi consultino prima di fare certe cose! - agitai le braccia furioso mentre entravo a scuola con Scott al mio fianco.

Scott era in due parole il migliore amico che potessi mai avere.

- Forse perché fai schifo a biologia, matematica, fisica, storia- disse contandoli sulle dita.

- Ok, amico. Ho capito. - dissi bloccandolo. - Ma non voglio che una pazza venga a insegnarmi il teorema di Euclide! - dissi mentre aprivo l'armadietto.

Scott rise sotto i baffi. Si divertiva. Ci credo, non era lui quello che veniva stuprato da certe arrapate del cavolo. - Beh, pensa se venisse a farti ripetizioni una come Lydia Martin. - disse chiudendo l'armadietto mentre davanti a noi sfilava Lydia Martin.

Insomma, Lydia era la ragazza più popolare della scuola. Bella, femminile, con dei capelli biondo fragola mozzafiato e delle labbra favolose. In sintesi quella adorata da tutti ma odiata da tutte.

- Sì. Certo. Come no. - dissi chiudendo l'armadietto. La sua ironia era pesante. Scherzare sulla mia cotta per Lydia era pungente.

Scott sorrise mentre andavamo nell'aula di biologia.

Hai presente quando hai quella voglia matta di lanciare il libro in aria e iniziare a cantare le canzoni di High School Musical? Bene, il signor Harris, il miglior professore di tutta Beacon Hills -percepite il sarcasmo, vi prego- ti faceva avere proprio quella sensazione. Avevi voglia di stracciare pagina per pagina quel libro e lanciarlo giù dalla finestra con tanto di cattedra per poi salire sui banchi e cantare stupide canzoni sull'estate e il divertimento. Però eravamo solo a Settembre lì alla scuola di Beacon Hills e quasi sicuramente mi sarei beccato una bella nota con annesso un bel biglietto per Fanculandia e il Paese-dove-si-ripete-l'anno-scolastico. Per cui no.

Dopo l'ennesima domanda che il signor Harris mi fece per ripicca e alla quale non sapevo rispondere Lydia alzò la mano. Alla prima domanda. E alla seconda. E alla terza. E a tutte le altre a cui non sapevo rispondere.

Ma Lydia Martins, quando alzava la mano in classe, non mi faceva rimanere imbarazzato desiderando che sprofondasse sotto il livello del mare. Anzi, Lydia era a modo suo modesta.

Avevo una cotta per lei dalla terza elementare e non era cambiato di una virgola, ciò che provavo per lei. Che fosse amore, interesse, amicizia -cosa un po' improbabile visto che non ci siamo mai parlati- o puro interesse da maniaco feticista delle ragazze belle e intelligenti.


 

- Oh, maddai! Scherzi?! - esclamai sputacchiando pezzi di insalata e uova ovunque verso Scott che se la rise per poi fare una smorfia disgustata.

- No, non scherzo! Maddai, ammettilo che lui è dannatamente meglio di-- il mio cellulare iniziò a vibrare più volte di fila, sul tavolo, accanto al mio vassoio.

Aprii il telefono e lessi la mezza dozzina di messaggi ricevuti da mio padre. Sbuffai sonoramente.

- Che succede? - chiese Scott.

- Se mio padre imparasse ad usare meglio il cellulare nuovo! - imprecai digitando un messaggio veloce di risposta. - Mi avvisava che chi deve farmi ripetizioni verrà oggi! E tra l'altro dice che verrà presto! Non avrò nemmeno il tempo di farmi una doccia. - sbuffai appoggiando malamente il telefono sul tavolo e ricominciando a mangiare.

- Ma, Stiles! Oggi era il nostro pomeriggio videogames! - protestò il mio amico.

Sospirai. Maledizione. - Lo so, lo so. Sarà per un'altra volta, no? - dissi poco convinto.
 

- Papà, spero almeno non sia una pazza maniaca! - dissi appena entrai in casa e vidi mio padre infilarsi la camicia con sopra il distintivo da sceriffo.

Mio padre sorrise. - Tranquillo, andrò via appena lei arriva così se è una pazza maniaca... - lasciò la frase in sospeso battendosi distrattamente la mano sulla fondina appesa alla cintura con dentro la pistola carica.
Non seppi come interpretare quel gesto.

 

Salii su nella mia stanza e feci una doccia.

Appena mi infilai la maglietta suonò il campanello. Corsi abbastanza straziatamente verso la porta di ingresso con ancora i capelli umidi.

- Oh, salve Sceriffo Stilinski! - salutò la ragazza. E non so come feci a non rendermi conto che quella voce era dannatamente familiare, che la sentivo tutti i giorni da quasi dieci anni.

Appena mi affacciai sulla rampa di scale mi bloccai con un piede sul primo gradino e gli occhi sgranati. Che fosse un sogno? Sicuro, pensavo in quel monento. Ma se mi tiro uno schiaffo o un pizzicotto mi risveglio, dicevo.

Ouch, no.

Anche se ero paralizzato dalla sorpresa Lydia Martin era ancora lì, in piedi davanti a mio padre, che parlavano educatamente.

Lei era perfetta. Come sempre. Aveva i capelli biondo fragola sciolti, il corpo fasciato da una camicetta e un maglioncino appositamente largo e dei pantaloncini di jeans che le facevano delle gambe mozzafiato.

Solo in quel momento sembrò notarmi, allora aggrottò appena le sopracciglia e inclinò appena la testa di lato, con curiosità.

Da quel momento iniziai a contare le gaffe che facevo.

- Ah, Stiles! Vieni a salutare la tua nuova insegnante di ripetizioni.
 

Mio padre si fece di lato, io scesi gli ultimi scalini -nemmeno mi ero accorto che ero sceso per andare verso di lei- mentre lei fece un paio di passi entrando in casa. Mio padre le chiuse la porta alle spalle.

- Lei è Lydia Martin, dovrebbe venire a scuola con te. - disse mio padre indicandola distrattamente con una mano.

- Sì, la conosco. - mi schiarii la gola. - La vedo sempre a lezione di biologia, chimica, storia e letteratura. Cioè, non che io la fissi ( bugia ), ma l'ho notata. - dissi grattandomi dietro al collo e guardando automaticamente prima i piedi di Lydia, poi il pavimento e poi il ginocchio dei pantaloni un po' rovinati della divisa di mio padre.

Gaffe n° 1.

Mio padre non sembrò notarlo strano, anche se Lydia si guardò attorno leggermente in imbarazzo.

Bene...

Mi schiarii la gola e tornai a parlare. - Io invece sono Stiles. - dissi pulendomi la mano sudata e nervosa sulla maglietta per poi porgergliela.

Lei la strinse delicatamente e abbastanza cordialmente. - Stiles Stilinski? Che strano abbinamento. - disse guardando prima me poi mio padre.

Mi emozionai per il solo fatto che lei mi avesse chiamato col nome intero.

Aprii bocca ma mio padre mi precedette. - In realtà si chiama Mienim ma lui lo odia per cui. - forse notò l'occhiataccia che gli lanciai perché tacque.

Gaffe n° 2
 

Mentre io ero totalmente in imbarazzo Lydia sembrava più che si divertisse, a mie spese.
 

Mio padre si dileguò con la scusa che dovesse andare a lavoro e fosse in ritardo, lasciandoci lì nell'ingresso come due pezzi di legno a fissare la porta che si chiudeva dietro le sue spalle.

Mi presi un momento per respirare e riprendere il controllo dei nervi. Mi sembravo una ragazzina davanti al suo idolo.

Ok. C'ero.

No, non è vero. Ero totalmente in panne. Mi sudavano le mani e con riuscivo a capire se quella che mi gocciolava dalla fronte fosse l'acqua dei capelli bagnati o sudore.

Quando mi voltai Lydia stava guardando la casa, senza muoversi di un millimetro.

Casa mia non era questa gran cosa, per cui non c'era molto da vedere.
Mi schiarii la voce. - Lydia ( nella mia testa, la ragazzina che c'era in me, urlò di gioia per averla chiamata per nome ), accomodati pure. - le dissi prendendole il cappotto dalle mani. Fu un gesto automatico quello di prenderlo delicatamente e appenderlo all'attaccapanni. - Vuoi fare un giro della casa? Così dopo potrai orientarti meglio. - le dissi avviandomi verso le scale.

Le feci vedere il bagno, nel caso le fosse servito, la stanza di papà e la mia. Ci passammo davanti, quando aveva la porta aperta ma non la feci entrare, era troppo in disordine. Così la chiusi a chiave e la portai di sotto. Le mostrai il salotto e infine la accompagnai in cucina.

- Accomodati. - dissi appena arrivati in cucina. Cercai di mantenere la calma mentre lei si guardava attorno, posando ogni tanto lo sguardo su di me.
 

La osservai un attimo. Ma lei sembrò non notarlo.

- Vuoi qualcosa da bere? - le chiesi aprendo il frigo.

Lei annuì così le versai del succo in un bicchiere e glielo porsi. Una sensazione di imbarazzo mi pervase mentre lei beveva lentamente il suo succo.

A metà bicchiere mi guardò e lo abbassò di scatto, alzando un sopracciglio.

- Mienim. - disse con aria di rimprovero.

- Stiles. - la corressi automaticamente sottovoce.

- Stiles. Vai a prendere i libri. - disse come se fosse ovvio che dovevo già averli presi da un pezzo.

- Ah già. - risposi intelligentemente. 
 

Lydia ripeté un ultima volta il teorema di Euclide, portandosi il mio lapis alle labbra.

- Non è così difficile, dai. - sbuffò esasperata. - Il teorema di Euclide dice che la somma dell'area dei quadrati ricavati dai due lati minori di un triangolo scaleno, detti cateti, è uguale all'area del quadrato ricavato sul lato maggiore, detto ipotenusa. Ok? - ripeté con voce sottile indicando la figura disegnata sul libro di aritmentica.

Guardai un attimo la figura, poi la mano di Lydia e infine il braccialetto che portava al polso. Scossi la testa.
 

Se avessi ammesso che avevo capito sarebbe stato più facile ma in realtà non avevo sentito quasi niente di quello che aveva detto, troppo concentrato sul tintinnio dei ciondoli del suo bracciale e sul movimento delle sue labbra.

Lydia lo ripeté un ultima volta. Prese un foglio bianco dal mio quaderno e iniziò disegnando il triangolo, poi i quadrati per ogni lato e infine la formula. Passo passo mi spiegava cosa significasse.

Mi chiese se avevo capito, di nuovo.

Annuii. Diciamo che sì, avevo capito diverse cose: il teorema di Euclide, che io non ero fatto per l'aritmetica e che la mia cotta per Lydia Martin stava peggiorando di secondo in secondo.
 

Lydia si tirò su la spallina della borsa, incrociò le braccia al petto e mi guardò con aria di sufficienza, come era fare di solito, fermi entrambi sulla soglia della porta.

Portai il peso del mio corpo sull'altro piede e guardai un attimo le fibre del maglione rosa confetto di lei. - Allora, per i soldi ci ha già pensato mio padre o devo farlo io? - chiesi, a disagio.

- Tuo padre manderà tutto sulla mia carta di credito. - disse lei, per chiudere la discussione. Ma non si mosse, continuando a guardarmi.

La guardai un attimo negli occhi.

- Sai, Stiles? - disse Lydia riportandomi alla realtà. - Sei il ragazzo più ignorante e meno portato a scuola che abbia mai visto. - Feci una smorfia, sapendo che aveva pescato uno dei miei difetti. - Ma anche l'unico a cui io abbia dato ripetizioni. Per cui il migliore. - fece un piccolo sorriso. Poi aprì la porta e mise un piede fuori.
 

La guardai, un attimo confuso, ma lei mi rispose con un sorriso cordiale, come a dirgli che se fossero diventati amici me lo avrebbe detto. Poi uscì da casa Stilinski senza nemmeno chiudere la porta, si diresse verso la propria macchina, entrò dentro e senza nemmeno guardarmi partì.

Io, dal mio canto, rimasi un paio di minuti immobile sulla soglia, confuso. Poi chiusi la porta, presi il telefono dalla tasca e trattenendo un urletto ben poco maschile chiamai Scott.
- Scott! Indovina chi è venuta a farmi lezione? - urlai nella cornetta appena il mio migliore amico rispose. - Lydia Martin!

  
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