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Autore: Lalla_04p    29/11/2015    2 recensioni
"...Si alzò dalla sedia, si stiracchiò, prese il suo telefono ed uscì dalla classe sbadigliando. Ma appena uscita, non vide nessuno. Dov'erano finiti tutti?..."

"...e, quando si girò per uscire dall'aula, urlò e cadde dallo spavento..."

"...Spalancò gli occhi e l'annuario le cadde dalle mani: quella ragazza era identica a lei..."
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si svegliò di soprassalto, indolenzita per la posizione e per il dove aveva dormito: il banco di scuola non era il posto migliore dove riposarsi. Non sapeva che ore erano, quanto aveva dormito, ma a giudicare dalla classe vuota, dovevano essere passate due ore. La cosa strana era il non sentire rumore al di fuori della sua aula: insomma, all'intervallo, chi non fa casino? 
 
Si alzò dalla sedia, si stiracchiò, prese il suo telefono ed uscì dalla classe sbadigliando. Ma appena uscita, non vide nessuno. Dov'erano finiti tutti? 
 
Guardò il telefono per vedere che ore erano e, quando notò che erano le 17.30, sgranò gli occhi. Com'era possibile? Aveva dormito così tanto? Se si, perché le sue amiche, nonché compagne di banco, non l'avevano svegliata al suono della campanella?
 
Si sarebbe risposta dopo, ora doveva uscire da quella prigione. Tornò in classe, prese lo zaino, uscì in corridoio, scese le scale e si diresse nell'atrio. Cercò di aprire la porta, ma era chiusa. Pronta ad arrendersi, si ricordò della porta nel piano sotterraneo. Scese di nuovo le scale e si diresse verso l'altra uscita, ma anche quella era chiusa. Affamata, tornò sui suoi passi ed entrò nel bar della scuola. Si preparò un panino e, mentre mangiava, pensò a come uscire dall'edificio. Finito il panino, si diresse verso una delle finestre per aprirla, ma sembrava bloccata. Provò anche con le altre, ma nessuna si apriva. E adesso, come avrebbe fatto ad uscire? Se almeno ci fossero state le sedie e i tavolini nel bar, avrebbe potuto lanciare uno di quelli contro la finestra, ma sembravano spariti.
 
All'improvviso sentì della musica rimbombare in tutta la scuola. C'era qualcuno, oltre a lei, qui? Convinta di non essere sola e di aver trovato qualcuno che l'aiutasse ad uscire da scuola, salì le scale fino all'ultimo piano, ovvero il secondo, dal quale, in una delle aule presenti, proveniva la musica. Entrò nell'aula, ma al suo interno non ci trovò nessuno. Strano, pensò, magari la persona che era qui dentro è scesa. Si avvicinò al computer, fonte della musica, e lo spense. Uscì dall'aula, richiudendosi alle spalle la porta, e si diresse al piano inferiore. Mentre scendeva le scale, si diede della stupida per non aver pensato prima di usare il telefono; lo prese in mano, ma con amarezza vide che non c'era campo. Imprecò ad alta voce e dal nulla, partì ancora una volta la musica. Ma non è possibile, pensò. Continuò a scendere le scale, arrivando al piano terra, dove si diresse alla fonte della musica. Aprì la porta ed entrò, ma la scena fu la stessa di prima: non c'era nessuno. Si avvicinò a spegnere il computer e, quando si girò per uscire dall'aula, urlò e cadde dallo spavento. 
 
Davanti a lei c'era un tizio, vestito di nero e col cappuccio calato in testa, così tanto che non si vedeva il viso. 
 
Cercò di articolare qualche frase, ma come era arrivato, il ragazzo sparì. Si rialzò ed uscì dalla classe. Cercava di capire chi era quel ragazzo e com'era possibile che fosse scomparso all'improvviso. Forse, pensò, sono ancora assonnata e mi immagino delle persone, insomma non è possibile che sia sparito così all'improvviso.
 
Poi fu un attimo. 
 
Un urlo squarciò il silenzio. Spaventata, ma anche preoccupata, la ragazza si diresse verso la fonte dell'urlo. Salì le scale ed entrò nella classe di fronte ad esse. 
 
"Ehi, va tutto bene?" 
 
Ma la sua domanda galleggiò nel vuoto, perché all'interno non c'era nessuno. Neanche il tempo di riprendersi, che sentì un altro urlo. Si precipitò nella classe accanto, ma anche lì non c'era nessuno. Ma sono per caso finita in un film horror, pensò. Forse stava ancora dormendo e questo era solo un sogno. Infondo non era la prima volta che le capitava di dormire così tanto e fare sogni strani: da quando era nato il suo fratellino, dormire la notte era fuori discussione e quindi le succedeva spesso di dormire in classe e sognare cose senza senso, ma questo li superava tutti. 
 
Persa nei suoi pensieri, si spaventò quando sentì un urlo più agghiacciante degli altri due. Si girò di scatto e fece per correre verso le scale, ma si ritrovò davanti ancora il ragazzo incappucciato. 
 
"Senti, levati dalla palle, non ho tempo da perdere con te" disse. 
Tanto è un sogno, pensò, non può mica uccidermi.
 
Il ragazzo sparì e lei poté finalmente scendere le scale e dirigersi verso il bar. Ma quello che trovò all'interno, la fece pentire di aver sceso le scale.
 
Davanti a lei, per terra, era disteso in una pozza di sangue il suo migliore amico. 
 
Ma che cazzo sta succedendo, si domandò con una crescente paura ad attanagliarle il corpo.
 
Sangue e ferite profonde erano le uniche cose che riusciva a vedere; era paralizzata. Non poteva essere successo davvero. Il suo migliore amico, quello fissato con il fisico e un po' coglione, ma con un cuore grande quando voleva, era morto. 
 
Chi era stato? Come aveva fatto? Perché? Quando era stato ucciso, se prima in questa stanza lui non c'era?
 
Poi come un fulmine a ciel sereno, le tornò in mente il ragazzo incappucciato. 
 
Era stato lui ad uccidere il suo migliore amico? 
 
Un brivido di terrore le attraversò il corpo. Aveva paura, immensamente paura e doveva uscire al più presto da lì, ma come? 
 
In preda al panico più totale, si accovacciò e si distese accanto a quello che era come un fratello per lei: non le importava se si sarebbe sporcata di sangue, voleva sentire il calore di qualcuno caro a lei. Si mise a piangere come aveva fatto poche volte nella sua vita: il motivo preciso non lo sapeva nemmeno lei, forse la solitudine o la morte del suo migliore amico oppure la possibilità di morire. 
Non aveva mai pensato di morire così, anzi cercava proprio di non pensarci alla morte, ne era terrorizzata. 
 
Non seppe quanto rimase in quella posizione a piangere, ma come un fulmine a ciel sereno per tutta la scuola si udì un altro urlo agghiacciante, che la fece scattare in piedi all'improvviso. 
 
Aveva paura, ma doveva sapere. 
 
Corse a perdifiato le quattro rampe di scale, arrivando all'ultimo piano, e si diresse verso quell'aula inutilizzata. Aprì la porta e, questa volta, l'urlo che echeggiò per tutta la scuola, fu causa sua. 
 
Poi silenzio. 
Il tempo si era fermato. 
 
Un altro corpo. Altro sangue. Altri tagli, così profondi che si intravedevano alcuni organi. Se non fosse stata così terrorizzata da non riuscire a muoversi, avrebbe sicuramente vomitato l'anima. La vista le si appannò in un attimo. Lacrime ricominciarono a rigarle le guance. Singhiozzi a scuoterla completamente. Cadde in ginocchio accanto a quel corpo che sapeva perfettamente a chi apparteneva. Quel ragazzo che le era sempre stato accanto nei momenti di gioia e di crisi, quello che sapeva tutto di lei, che la capiva con un solo sguardo, quello che era riuscito a scalfire la sua maschera di menefreghismo. Quel ragazzo che era tutto per lei: un fratello, un confidente, la sua ancora,  il suo migliore amico in assoluto. 
 
Gridò fino a quando non le fecero male le corde vocali e, continuando a piangere, si strinse al suo migliore amico. 
 
Silenzio. Un silenzio assordante, spezzato dai suoi singhiozzi, che rimbombavano in quella scuola che era stata testimone della nascita di quelle amicizie che ormai aveva perso per sempre. Cullata da quel poco calore che proveniva ancora dal suo migliore amico, si addormentò.
 
Il silenzio venne spezzato dai rintocchi della campana, che la fecero svegliare. Si strofinò gli occhi, prese il telefono e guardò l'ora: 00.30. 
 
Guardo di fianco a sé, il cadavere del suo migliore amico era ancora lì. Si alzò dal pavimento, alimentata da un desiderio di vendetta. Uscì dall'aula e incominciò a scendere le scale. Non sapeva dove poteva trovare quell'essere e non sapeva nemmeno come ucciderlo, sembrava un fantasma per certi versi, ma sapeva che non era possibile. Non riusciva a capire perché quel ragazzo avesse ucciso i suoi amici. Insomma cosa gli avevano fatto? Non riusciva a trovare una ragione, certo c'era sempre qualcuno che li insultava per il loro comportamento da stronzi, ma mai nessuno li aveva minacciati di morte. 
 
Si fermò e si prese la testa fra le mani, era confusa più che mai e la consapevolezza di aver perso due persone così importanti per lei, la faceva stare malissimo. 
 
Poi, all'improvviso, sentì una mano sulla spalla. Alzò gli occhi e vide il ragazzo incappucciato. Si irrigidì e abbassò lo sguardo: non voleva vedere quell'essere mentre la uccideva. Il ragazzo le alzò il mento, costringendola a guardarlo, le si avvicinò piano piano e lei si irrigidì ancora di più.
Voleva baciarla per caso? 
E poi, ad un tratto, il ragazzo scomparve.
Com'era possibile che scomparisse all'improvviso? Nonostante fosse una persona realistica, che non credeva a queste cose, l'unica cosa che le venne in mente era solo una: fantasma.
 
E si ricordò. 
 
Quella storia che i ragazzi di quinta raccontavano ai primini per farli spaventare. Quella storia che i suoi stessi compagni raccontavano con tale entusiasmo, che sembrava quasi che ci credessero. Lei non l'aveva mai fatto, ma in quel momento fu felice che i suoi compagni ne fossero così ossessionati. Si diresse alla biblioteca, lì avrebbe trovato tutte le risposte che cercava.
 
La biblioteca era una di quelle poche stanze inutilizzate; nessuno entrava però era sempre aperta tutti. 
Era una ampia stanza, con molti scaffali pieni di libri alle pareti e al centro; oltre a questi, c'erano due tavoli con attorno 4 sedie ciascuno. Aveva ampie finestre, dalle quali, di giorno, entrava moltissima luce. 
 
Entrò in quella stanza e si diresse agli scaffali con gli annuari scolastici: a lei interessava quello del 1970/71. Sfiorò con le dita ogni libro: essendo la biblioteca inutilizzata, gli scaffali erano pieni polvere. Trovato l'oggetto del desiderio, lo prese e si sedette vicino a una finestra: la luce dei lampioni era abbastanza sufficiente da permetterle di vedere ogni singola foto e didascalia dell'annuario. 
Sfogliò quel libro con delicatezza e lentezza e si fermò soltanto quando trovò la foto che stava cercando disperatamente. Lesse il nome e tutte le dediche per quel ragazzo. Ammirazione e tristezza per quello che gli era accaduto erano i sentimenti prevalenti; c'erano anche due o tre dediche piene di scherno.
Idioti, pensò. 
Poi la vide. Dalla ultima pagina sbucava fuori una busta. La prese e, con delicatezza, l'aprì.
 
"Poche righe per ricordarti sono impensabili, per questo ho scritto questa lettera, anche se neanche questa basta: sei un ragazzo troppo speciale. Non ho mai avuto il coraggio di dirti che ti amavo, avevo troppo paura che mi rifiutassi. Ho continuato ad essere la tua migliore amica e a sopportare ogni tuo discorso su di lei, lei che non ti meritava, che non capiva com'eri veramente, che ti insultava. Non ho mai capito perché continuassi a chiederle di uscire, ma quando te l'ho chiesto tu mi hai solo risposto che l'amavi troppo per rinunciare a lei. Avrei voluto che amassi me come amavi lei, ma questo resterà per sempre un mio sogno perché ormai tu non ci sei più. Non potrò più vedere il tuo sorriso, i tuoi bellissimi occhi verdi, i tuoi capelli sempre pettinati e in ordine a scuola, ma selvaggi a casa o sentire la tua voce, che per molti era irritante, ma che per me era vita, il tuo respiro che mi cullava nelle notti più fredde, il calore dei tuoi abbracci, il battito del tuo cuore, che non hai mai accelerato il suo battito in mia presenza, a differenza del mio. Mi mancherà il secchione, l'acido, il maestrino, il perfettino, il romantico, l'amico fedele, l'amante che non sei mai stato per me. Semplicemente mi mancherai tu.
Sai, lei non c'era al tuo funerale, come quasi tutti d'altronde. Però io c'ero. Io ci sarò sempre per te anche se non ci sei più. Quando ho saputo cosa ti era successo, sono corsa in ospedale però era troppo tardi. Eri già morto: l'incidente era stato troppo violento e tu non ce l'avevi fatta ad arrivare in ospedale, eri morto durante il tragitto. Una bella notizia è che hanno arrestato i ragazzi che erano sull'altro veicolo: non ci crederai, ma erano quegli stronzi che ogni giorno ti insultavano, l'avevano fatto apposta, sapevano che c'eri tu su quella macchina. Avrei voluto ucciderli tutti quando l'hanno confessato, ne andavano fieri e quella puttana si è messa a ridere, ci godeva anche lei e io non ce l'ho fatta più: le ho tirato un pugno. Mi ha denunciato, ma non mi importa, l'unica cosa della quale mi importava me l'hanno portata via. 
Non so per quanto potrò ancora resistere, il non averti accanto mi sta uccidendo. Non ho più amici ormai, ma neanche di questo mi importa.
Ho la sensazione che un giorno di questi la farò finita, fino ad allora ti amerò con tutta me stessa.
Per sempre tua"
 
Gocce caddero sul foglio. Non si era nemmeno accorta di aver incominciato a piangere. Le faceva male il cuore a pensare cosa avesse provato quella povera ragazza. Rilesse la lettera e si concentrò sul nome della ragazza. Sfogliò di nuovo l'annuario, fino ad arrivare alla foto della ragazza. Spalancò gli occhi e l'annuario le cadde dalle mani: quella ragazza era identica a lei.
 
Rimase immobile, con gli occhi sgranati, per un tempo indefinito. Poi alzò la testa dal libro e solo allora si accorse che sulla parete opposta, c'era una grande foto di quel ragazzo. Si avvicinò lentamente a quel ritratto e lesse la didascalia sottostante: 
Il senso di tristezza tornò. 
 
Poi fu un attimo. 
 
Sulla parete incominciarono a comparire parole, scritte con quello che aveva tutta l'aria di essere sangue. Rimase scioccata per qualche minuto, poi si mise a leggere quello che era comparso.
 
"Quando ero ancora vivo, molte cose che ritenevo importanti non lo erano affatto e me ne sono reso conto solo dopo la mia morte. Pensavo che la vita girasse solo sullo studio e sulla scuola. Pensavo di aver trovato l'amore della mia vita. Pensavo di avere tanti amici. Pensavo che tu fossi invidiosa. Tante, troppe cose che si sono rivelate tutte false. Tranne una. L'amore della mia vita l'avevo trovato, soltanto pensavo fosse la persona sbagliata. Tu eri l'amore della mia vita, ma me ne sono reso conto troppo tardi. Accarezzare i tuoi lunghi capelli e la tua pelle, guardare i tuoi occhi marroni che mi capivano subito, abbracciarti, parlarti, consolarti: era tutto quello di cui avevo bisogno. Avevo bisogno di te e non l'avevo capito. E mi dispiace per questo. Mi dispiace di non averti abbracciata abbastanza, di non aver capito i tuoi sguardi che erano più di mille parole, di non averti amata come meritavi, di aver compreso di essere geloso quando ormai era tardi. Ero geloso di tutti quelli che ti stavano accanto e ti sorridevano. Per questo li ho uccisi tutti. Non potevo sopportare che altri ti facessero sorridere al posto mio…" 
 
Si fermò e finalmente capì perché quell'essere avesse ucciso i suoi migliori amici.
 
"Non sono la persona che credi che io sia. Le assomiglio e basta. Hai ucciso due persone innocenti" gridò.
In risposta altre parole apparirono sulla parete: "Si che sei tu. Non mi mentire. Ti riconoscerei ovunque"
"No ti sbagli, non sono lei. Come ti ho già detto le assomiglio e basta" si ritrovò ad gridare ancora. 
"Smettila. Non farmi rifare quello che ho fatto tanti anni fa"
"Perché cosa hai fatto?"
"Ti ho uccisa"
 
Le si bloccò il respiro. Lui aveva ucciso la sua amata. Ma perché?
 
"P-perché?" gli chiese balbettando.
"Perché volevi sposare un altro, mi avevi dimenticato e io non lo potevo accettare"
"Era s-mio diritto risposarmi. Non potevo rimanere sola tutta la vita. Tu non saresti mai più tornato in vita" disse, immedesimandosi nella ragazza; forse se avesse finto di essere la sua amata, lui non l'avrebbe uccisa subito.
 
"No! Tu dovevi essere solo mia, di nessun altro"
Possessivo il ragazzo, pensò 
"Sì molto" apparì sul muro.
Spalancò gli occhi. Quel ragazzo gli leggeva nel pensiero?
"Si. Uno dei doni che ho ricevuto quando sono morto. Come il poter restare qui con te"
"Questo non è un dono. Dovresti trovare la pace e abbandonare questo limbo. Lei vorrebbe così. Forse ti sta proprio aspettando dall'altra parte"
"Cazzate. Io non posso andarmene. Devo proteggerti"
"Mi proteggeresti lo stesso"
"Basta! Mi sono stufato. È ora che tu venga da me"
 
Uno solo pensiero le vorticava nella testa: lui voleva ucciderla. 
 
Afferrò il suo zaino e corse fuori dalla biblioteca, ma arrestò la sua corsa quando scorse quell'essere dall'altra parte del corridoio. Rimasero a fissarsi per un tempo indefinito e per la prima volta, riuscì a scorgere gli occhi verdi del ragazzo sotto il cappuccio. Lo spirito incominciò ad avanzare verso di lei. Agì d'istinto: aprì lo zaino e gli lanciò tutto quello che le capitava sottomano. Lui schivò ogni libro e lei giurò di aver intravisto l'ombra di un sorriso. Gli lanciò addosso anche lo zaino, che venne schivato prontamente. Non aveva più niente da tirargli addosso e lui continuava ad avanzare. 
 
Aveva paura, tanta. Incominciò ad indietreggiare. Poi sbatté contro qualcosa. 
Non ho altre soluzioni, pensò.
Presa la sedia e gliela lanciò, ma anche quella schivò.
 
"Una sedia? Sei ser-"
 
Non finì la frase perché un banco gli volò addosso e lo fece cadere. 
La ragazza prese a correre più forte che poteva. Non sapeva quanto tempo aveva prima che si riprendesse dalla caduta e la raggiungesse. Salì di corsa le scale e poi buio. 
 
Si risvegliò in una stanza buia. Era distesa su un lettino. Si guardò attorno e quando intravide la porta, si avvicinò ad essa e provò ad aprirla. Era chiusa. Si mise le mani sugli occhi e si sedette per terra. Era esasperata, non ce la faceva più, tutta questa storia la stava portando all'esaurimento nervoso. Respirò profondamente per un paio di minuti, poi si tolse le mani dagli occhi e si guardò attorno. Da quello che riusciva a vedere si trovava in infermeria. La domanda era come poteva essere in infermeria, se le scale che stava salendo erano dall'altra parte della scuola. Si alzò e si diresse verso il lettino, lo afferrò e lo scaraventò contro la porta a vetri, la quale si ruppe. Uscì dalla stanza e si avviò verso le scale, ma si bloccò. Davanti alle scale c'era lui, il ragazzo incappucciato.
 
"Ti prego, lasciami andare, non dirò niente" disse lei.
"Come se qualcuno ti potrebbe credere se lo raccontassi" rispose lui 
"Allora perché mi vuoi uccidere? Ti prego, non voglio morire"
 
Il ragazzo rise. Aveva una bella risata, doveva ammetterlo, ma stava ridendo di lei e se c'era una cosa che lei non sopportava, era che gli altri ridessero di lei. E poi successe. La rabbia, la tristezza, l'esasperazione, l'offesa, la portarono a fare quella che nessuno dei due si aspettava.
 
"Fanculo stronzo" gridò lei e buttò il ragazzo giù dalle scale, con tutta la forza che aveva.
 
Il ragazzo rotolò giù fino all'ultima rampa di scale e poi silenzio. 
 
Aveva il respiro affannoso lei, come se avesse corso una maratona. Poi il senso di colpa la invase. Odiava la sua impulsività. Per questo scese velocemente le scale, per andare a soccorrere il ragazzo. Era esilarante pensare che stesse andando ad aiutare il ragazzo che aveva tentato di ucciderla. Ma quando arrivò alla fine delle scale, lui non c'era. 
Dov'era finito? 
E poi di colpo, sentì una serratura aprirsi.
 
"Ma tesoro, cosa fai qui a quest'ora? E soprattutto, come sei entrata?" 
 
La ragazza si girò verso la porta e vide la portinaia. Come poteva dirle che non era mai uscita da quella scuola? L'avrebbe presa per pazza.
 
"Che ore sono?" chiese invece lei.
"Dieci minuti alle sette, tesoro" le rispose la donna.
 
Spalancò gli occhi. Quante ore era rimaste lì dentro? Non aveva nemmeno la forza di contarle.
 
"Tesoro sei pallidissima, sembra che tu abbia visto un fantasma" le disse la donna preoccupata.
Infatti l'ho visto, pensò lei.
La donna spostò il suo sguardo da lei e lo puntò per terra.
"Sono tue queste cose?" Le chiese.
La ragazza guardò per terra e vide il suo zaino e i suoi libri. Com'era possibile che fossero finiti qui, se li aveva lanciati dall'altra parte della scuola?
"Ehm si, sono le mie cose" rispose lei con voce un po' tremante.
La donna la guardò più preoccupata di prima.
"Tesoro, raccogli le tue cose e vai a casa. Devi riposare"
"Ma, ma, non posso. Ho lezione tra poco" sussurrò la ragazza.
"Non pensare alla scuola, pensa a riposarti. Vai a casa prima che arrivi la vicepreside" le rispose la donna.
La ragazza cercò di protestare, ma lo sguardo della donna non ammetteva repliche. Sospirò e si chinò a prendere le sue cose. Forse la portinaia aveva ragione. Aveva bisogno di riposo e di pensare a mente lucida all'accaduto. 
 
Finì di sistemare le sue cose, si alzò, salutò la portinaia e si incamminò verso la porta. Ma prima di varcare la soglia, non poté non notare il fatto che i suoi vestiti non erano sporchi di sangue. Si bloccò di colpo e le venne da piangere: stava impazzendo.
 
"Tesoro, tutto bene?" le chiese la portinaia preoccupata.
"S-sì, tutto a posto" le rispose.
Varcò la soglia ed abbassò lo sguardo, non voleva che nessuno la vedesse con gli occhi lucidi.
Tutta questa storia era assurda.
 
"Ehiii, ciaoo" sentì due voci salutarla allegramente. 
 
Le ignorò, non aveva la forza di salutare le sue migliori amiche. In realtà non sapeva nemmeno se sarebbe riuscita a dire un ciao, infondo era colpa loro se era rimasta a scuola.
 
Sentì gli sguardi confusi delle sue migliori amiche sulla schiena, ma non ci fece tanto caso. L'unica cosa che voleva fare ora era dormire e mettere a tacere tutti i suoi pensieri che le stavano facendo venire mal di testa.
 
"Ehi, va tutto bene?" le chiese una delle due. 
 
Non rispose a voce, ma nella sua testa la risposta a quella domanda c'era e prese il sopravvento su tutti i pensieri: fanculo.
   
 
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