Rukia stava cercando di dormire da un
bel po’, ma invano.
Eppure di sonno ne aveva, la giornata era stata spossante; ma il
rotolarsi
nervoso di Ichigo tra le coperte le impediva di abbandonarsi al giusto
riposo
che le spettava.
All’inizio, ne fu infastidita: aveva passato la mattina a
giocare alla
studentessa modello a scuola, e il pomeriggio a lavorare come guida per
giovani
shinigami sostituti. E quel corpo
umano, purtroppo, a differenza del corpo spirituale, reclamava una
buona
dormita; la quale, però, per colpa degli scatti agitati di
Ichigo, ora le
veniva negata.
Per un po’ fissò lo scaffale sopra di lei,
accigliata, aspettando che il
ragazzo che le dormiva di fianco si desse la dovuta calmata.
Poi, però, notò che gli scatti erano sempre
più violenti.
Che ogni tanto arrivava un tonfo soffocato dal cuscino.
Non era necessario aver vissuto cent’anni, per capire che
Ichigo non stava
soltanto rigirandosi tra le coperte.
Bensì, Ichigo stava combattendo contro il predominio della
propria anima.
Rukia aprì la bocca per chiamarlo, ma subito dopo la
richiuse, per paura di
suonare inopportuna.
Quel giorno aveva già fatto abbastanza; era pur vero che
alla fine aveva avuto
ragione, perché era stata loro data la prova che
l’assassinio di sua madre era
stato effettivamente opera di un Hollow, ma sapeva di aver ferito
Ichigo.
Sapeva di aver parlato nel momento meno adatto.
Ovvio: non l’aveva fatto apposta. Nella Soul
Society, ma soprattutto nel rukongai,
i sentimenti non erano cosa conosciuta. Quando sei solo contro tutti,
quando
non hai tempo di preoccuparti degli altri, ma soprattutto: quando la
tua intera
vita è imperniata sul combattimento contro gli Hollow, non
t’importa di
proteggere i tuoi ricordi.
I ricordi, nella Soul Society, ma
soprattutto nel rukongai, erano una
cosa bizzarra. Innanzitutto, la maggior parte dei loro abitanti ne era
priva, e
dunque non ne poteva capire l’importanza sacra che invece vi
conferivano i
terreni.
E in secondo luogo, anche qualora ve ne fosse permaso qualche
rimasuglio, non
si trattava quasi mai di un’esclusiva felice, e,
più di tutto, nessuno li
trattava come se fossero gemme preziose da custodire in una teca di
cristallo.
Se un menos cadeva giù
dal cielo e
attaccava, che importanza poteva avere ciò che la memoria
sussurrava? L’importante
era sconfiggere il nemico.
I ricordi… i ricordi, i sentimenti, le lacrime.
Chi conosceva queste leggende, in un mondo dove i bambini erano
costretti a
rischiare la vita per dell’acqua, soli, soli e chiusi fuori
dalle porte
blindate del seireitei?
-I…
Niente da fare. Il suo nome le moriva in gola. Il fatto era che si
sentiva in
colpa per quel pomeriggio, e aveva paura di peggiorare la situazione.
Lo sguardo di Rukia Kuchiki si fece triste. Perché non era
in grado di capire,
perché non ricordava cosa significasse la voglia di
accasciarsi a terra; perché
non ricordava cosa significasse avere una madre, e perché
non ricordava se ne
avesse mai avuta una o se fosse morta anche lei come quella di quello
strano
ragazzo che si rotolava nel futon
lì
di fianco, in preda alla furia atroce dei sentimenti umani.
Il suo sguardo si fece ancora più triste.
Sì; per essere shinigami,
anche al
più basso gradino della gerarchia, bisognava dimenticare
quei sentimenti.
Perché altrimenti come avrebbero potuto fare?
Come si poteva vivere così, rigirandosi nel letto, piangendo
per il dolore,
accendendo una sigaretta ogni anno di fronte alla tomba di una persona
che si
amava?
Rukia non ricordava come fosse, o cosa si provasse. Poter soltanto
guardare una
lastra di pietra, che ti viene elargita in cambio di un corpo che eri
abituato
a stringere.
E stringere un corpo, com’era?
Com’era il calore della pelle umana? Com’era il
battito di un altro cuore? Cosa
si provava, quando si veniva stretti?
Quando si poneva queste domande, iniziava a sentire qualcosa di strano.
Qualcosa di pungente, caldo fino a bruciare, qualcosa che le apriva uno
strano
buco nel petto ma che non aveva nulla a che vedere con i dolori fisici.
E capiva che quelle erano le sensazioni umane, le sensazioni che lei
stava
rimpiangendo, ma erano così strazianti che chiudeva gli
occhi, respirava forte
e si ripeteva: io sono una shinigami.
Non ci sono sentimenti, per gli shinigami.
E s’imponeva di non pensare più al cuore torturato
del ragazzo che viveva a
fianco a lei.
Ma poi capitava che un giorno quel ragazzo, di solito silenzioso,
assorto nel
sonno come se lo stesse divorando a bocconi affamati, iniziasse a
rigirarsi tra
le coperte, senza tregua, e che i tremori del suo cuore facessero
vibrare
l’aria così forte da dar vita a un terremoto.
Rukia era lì vicino, ogni notte, e ogni notte le ante di
quell’armadio
proteggevano le loro intimità;
e, assieme a questa, la solitudine cercata dei loro cuori.
Era giusto, era così che ci si doveva comportare, era quella
la legittima distanza
tra una shinigami fallita e un
umano
bizzarro e impulsivo dal quale non si sapeva mai cosa aspettarsi, e, di
sicuro,
non bisognava mai aspettarsi obbedienza.
Eppure, quella distanza iniziava a pesarle.
Rendeva l’aria ancora più densa della sofferenza
di Ichigo – così vicina che
avrebbe potuto toccarla.
È vero che esistono barriere che non si dovrebbero mai
abbattere.
Ed è vero che, se poniamo delle barriere, è
perché solitamente non vogliamo che
vengano abbattute.
Ma esistono barriere che vengono innalzate solo in nome di una
richiesta
disperata; una richiesta silenziosa e quasi inudibile che,
però, nella
pesantezza del silenzio risuona sorda come un colpo di cannone: quella
di
Ichigo urlava al mondo, abbattimi.
Rukia Kuchiki non sapeva se faceva parte di quel mondo.
Ugualmente, non si sentiva più in grado di respirare.
Fu così che spalancò le porte del guardaroba e,
silenziosa come la neve che
fiocca sui prati invernali, scivolò sul pavimento e
guardò il ragazzo sdraiato
davanti a lei.
La schiena di Ichigo, grande e solida, era rivolta contro di lei. I
capelli
arancioni e spettinati coprivano l’espressione del suo volto,
le sue braccia
forti stringevano un cuscino. E i suoi pugni erano chiusi, come quelli
di un
bambino disperato.
Poteva vedere i muscoli del suo corpo tendersi fino allo spasimo
perfino nella
penombra della notte.
-Ichigo – mormorò.
Lui non rispose. Forse sperava di farle credere che stesse dormendo.
-Ichigo – ripeté. Sapeva di non essere la persona
più adatta a massaggiare
cuori doloranti, sapeva di non avere la minima dolcezza, sapeva di non
saper
riparare ciò che era stato rotto da troppo tempo: tutto quel
che le era stato
insegnato a fare era stato combattere e toccare fronti con
l’elsa di una spada,
promettendo un Paradiso che era in realtà una discarica di
reietti.
-Hum – lo sentì brontolare – che
c’è adesso…?
La domanda la spiazzò. Cosa c’era…?
Nulla, lei non aveva nulla.
-Era a te che volevo chiederlo.
-Scusami se il rumore t’infastidisce, shinigami
– replicò lui offeso.
Rukia spalancò gli occhi: forse era stata troppo seria? Lui
aveva frainteso: non
era infastidita dal suo agitarsi. Ma adesso che l’aveva
chiamata shinigami, adesso
sì, era infastidita
eccome.
-Kurosaki, non vedere sempre un
attacco nelle mie parole – riprese dura.
Lui non rispose; non udiva nemmeno il suono del suo respiro.
Rukia sospirò; anche stavolta non andava bene. Non sapeva
che farci. Quel
ragazzo sapeva essere un libro aperto fino ad essere imbarazzante, ma,
alle
volte, sapeva rendersi impenetrabile.
Non le piaceva il fatto che lo diventasse. Non voleva, in fondo, che
lui
diventasse uno shinigami fino a
quel
punto.
-Ichigo – tentò di nuovo, a bassa voce –
che cosa ti succede?
Ancora silenzio.
Rukia chinò la testa; doveva rassegnarsi. Non poteva
avvicinarglisi più di così,
perché lui non lo desiderava.
-Bah – lo sentì dire, all’improvviso;
alzò di scatto gli occhi blu – non lo so.
A volte capita. Non dormo, ecco tutto.
-Dovresti essere stanco – insinuò Rukia, attenta a
calibrare le proprie parole.
-Dovrei – lo udì sospirare, e poi lo vide stirare
le braccia – eppure non
riesco a dormire. Cazzo. Cerco di non pensare e di concentrarmi sul
buio, ma
non c’è verso.
Pausa.
-Non so moltissimo di voi umani – incominciò Rukia
con cautela – ma credo di
aver capito che non abbiate un grande potere sui vostri pensieri.
-E voi shinigami sì,
invece?
-Noi dobbiamo averlo. È
differente.
-E se non l’avete?
-Dobbiamo averlo – ripeté.
Le sue parole erano state abbastanza significative. Ichigo si
issò in piedi,
chinò la testa e si riavviò i capelli.
-Mi sembra una gran merdata, essere Dio della Morte. Vi chiamate Dei.
Dovreste
controllare non solo i vostri pensieri, ma anche quelli degli altri.
-Un Dio non è sempre ciò che un essere umano si
aspetta. – Rukia assottigliò
gli occhi, sprofondando lentamente nei ricordi. Poi li
riaprì, di scatto. – Non
cambiare discorso, Ichigo.
-Tsk.
-Vuoi dirmi cosa ti succede?
Ichigo aspettò qualche secondo, prima di rispondere un
incerto “non saprei.”
-Stai pensando a qualcosa? – incalzò Rukia.
Lui sospirò, e infine, grattandosi la nuca, rispose:
-Eh. Sì.
-Lo sapevo. Hai un’anima così forte che si
può quasi toccarne la forma.
-E questo che vuol dire?
-Vuol dire che se qualcosa la tormenta, crei un sisma spirituale
tutt’attorno a
te.
Lui sbuffò. Evidentemente, l’idea che la sua anima
fosse così percepibile non
gli piaceva granché.
-Io lo sento subito. Sono stata una shinigami.
Il mio lavoro è localizzare anime inquiete; quindi se a due
metri da me…
-Certo, Rukia. Perché non mi metti un bel timbro sulla
fronte e non mi spedisci
in Paradiso?
-Ichigo, basta così.
Iniziava ad arrabbiarsi. Ichigo le parlava come se, per lei, lui fosse
stato
soltanto un’altra fiammella incerta che tentava di gettare la
sua ultima, fioca
scintilla sul mondo.
-Sono io che dovrei dirlo! – esclamò lui, rabbioso
– Tu… tu pensi sempre al tuo
lavoro di shinigami. Io disturbo il
tuo sonno e tu domani dovrai affrontare dei nuovi mostri. Io sono
un’anima
inquieta, la mia anima agitata turba il tuo sonno! E mia madre
è morta, ma
aspetta, Ichigo, potrebbe essere stato un Hollow! E siccome io sono
Ascoltò impassibile quel discorso mezzo gridato, e lo
osservò ansimare dopo
averlo vomitato fuori.
Commentò solo alla fine.
-Se urli così, ti sentiranno – disse, senza fare
una piega.
-Sicuro! – sbottò lui, poi si tirò le
coperte fino al mento e tornò a fissare
un punto imprecisato sulla parete.
Aveva fallito. Ma non voleva fargli capire che il suo commento
l’aveva offesa,
e che le pesava non aver fatto alcun passo in avanti, anzi, aver
decisamente
indietreggiato giù per una scarpata.
Il suo lavoro, era quello di guidare anime umane. Anime lacerate,
tormentate
anche dopo l’ultimo respiro, anime che andavano condotte per
mano in un luogo
ove potessero essere curate.
E non era in grado di toccare, neanche con la punta delle dita, la
superficie
dell’anima che le dormiva a fianco.
Ma era per questo che era una shinigami,
no?
Perché sapeva mantenere nei confronti delle anime quel
distacco fondamentale
che le permetteva di lasciarle andare.
-Ichigo – mormorò; nella gola del suo gigai
si stava formando qualcosa di spesso e doloroso – Ichigo
– chiamò di nuovo.
Non osava muovere un passo.
-Cosa – gorgogliò finalmente lui.
-Sai che non è vero.
Ci fu un attimo di pausa, prima che lui rispondesse:
-Sì, lo so.
Rukia si lasciò scivolare a terra, e lì si
sedette, cosciente, per il momento,
di non poter avanzare.
Afferrare un’anima e portarla da qualche parte non era mai
stato un problema per
lei.
Ma mai, in tutta la sua vita e morte, aveva penato così
tanto per spostarne una
di due metri soltanto, per portarla davanti a sé.
Forse perché, quella volta, aveva dato la
priorità al volere di quell’anima.
-Che cosa succede?
-A volte penso – Ichigo si fermò; le parve di
poter vedere le sue sopracciglia
aggrottarsi, nello sforzo di esprimersi – penso che vorrei
essere così. Un vero
shinigami. Vivere per combattere e
nient’altro.
-Credi che sia una vita… bella?
-Tu cosa credi?
-Credo che tu sia troppo giovane per pensarlo.
-E io credo che tu sia una so-tutto-io rompicoglioni. Allora, Rukia.
Rispondimi.
-Credo che ci sia qualcosa di meglio della lotta, per te. Io non lo
ricordavo,
ma questo è un mondo davvero bello.
-Tu credi? Eppure Yuzu piangeva ogni notte. Karin non ha più
versato una
lacrima. Mio padre guarda la tomba con lo sguardo di chi non ha
più le forze
per combattere.
Rukia abbassò lo sguardo, seria.
-E questi siamo soltanto noi quattro. Ma ricordi Inoue? E
perché Chado è solo,
perché ha sempre qualche livido addosso? Vedi, Rukia. A me
sembra, a volte, che
questo mondo faccia schifo.
-Capisco.
-E dimmi, è più bello, quello dove tu vivevi?
Non seppe cosa rispondergli.
Il settantottesimo distretto? Non voleva nemmeno pensarci.
Il seireitei, il fratello che non
la
guardava nemmeno? Gli sguardi astiosi di capitani e luogotenenti?
-Dipende da cosa il destino ti ha riservato – rispose, senza
esporsi – ma non
credo sia molto meglio di questo. Vedi Ichigo; qui ti è
concessa una cosa che
noi non abbiamo: puoi sperare di morire. Ma quando sei già
morto, non hai altro
a cui aggrapparti.
-Hah – fece lui, sarcastico – non avete niente di
meglio a cui aggrapparvi? La
morte? È questo, tutto ciò che chiedete?
-E a te, sembra di chiedere qualcosa di diverso?
Lo guardò fredda, a denti stretti. Ma lui non poteva leggere
il rimprovero nei
suoi occhi, perché le dava le spalle.
-Che stai dicendo? – replicò lui, a voce bassa
– Se volessi morire, non
combatterei.
-Tanti direbbero che se non volessero morire, si guarderebbero bene dal
combattere. Il campo di battaglia è il posto più
vicino alla morte che tu possa
scegliere. – Strinse i pugni. – E tu, Ichigo, quel
giorno hai scelto.
Lui tacque per un po’.
Quando si alzò di nuovo, reggendosi su un braccio, e
ricominciò a parlare, era
chiaro che lo faceva con fatica.
-Non sempre – disse infine – e non voglio proprio
‘morire’. È che a volte
vivere mi è pesante.
Rukia non osò parlare; non voleva rischiare
d’interromperlo.
-Non lo so; io voglio vivere.
Voglio
andare in giro con Chado, chiacchierare con Tatsuki, litigare con mio
padre,
che ne so, roba del genere. Ci sono delle persone, vicino a me, che mi
fanno
venire voglia di essere vivo; il più possibile, e il
più a lungo possibile. –
Ichigo scosse la testa, e Rukia poté avvertire il turbinio
che gli scuoteva il
cuore – Ma c’era una persona. Quella per la quale
vivevo, in effetti; quella
che… se avevo voglia di svegliarmi ogni mattina, era
perché avrei visto lei. –
Rukia strinse i denti, perché, nel mondo umano, anche senza
avvertire i reiatsu, la sofferenza
è così palpabile
e schiacciante che annienta tutto ciò che le si trova
attorno. – E quando
questa viene a mancare, beh, ti manca anche quella voglia di vivere che
avevi
prima, no? Voglio dire, ci sono tutte quelle persone, e io voglio
vederle ogni
giorno, ma dall’altra parte a volte mi chiedo ancora se mi
interessa passare
un’intera giornata dove mia madre non
c’è.
Rukia ancora tacque, incapace di trovare le parole adatte, o anche solo
delle
parole e basta. Ichigo non era il tipo da melodramma, per cui si
limitò a
scrocchiarsi le dita e a stirarsi la schiena, e poi riprese la parola.
-Vedi – incominciò – non succede sempre
che io me lo chieda. Con il tempo, non ricordi più
com’era prima, no? Sarei
falso se dicessi che mi manca. Mi capisci?
-Sì – fece Rukia, senza nemmeno rendersene conto.
E, miracolosamente, in quel momento Ichigo si voltò verso di
lei.
Il suo volto era lucido, il suo sguardo era vivo e traforante e la sua
espressione era la solita, grave, l’espressione che un
quindicenne non avrebbe
mai dovuto avere.
Non erano gli occhi mezzi addormentati di chi era riuscito a chiuderli,
abbandonandosi a un sonno sereno.
Bensì quelli di chi ha passato una notte in bianco,
analizzando una serie di
pensieri che in realtà avrebbe soltanto voluto scacciare.
Ichigo aprì la bocca per parlare, ma nel farlo, incapace
com’era di aprirsi a
qualcuno, guardò il pavimento.
-Però ogni tanto mi chiedo perché
lei.
Mi rendo conto che qualcuno ha voluto farmi del male. Qualcuno me ne
farà ancora.
E soprattutto che Chad, papà, Yuzu e Karin, insomma, queste
persone che mi
tengono attaccato al mondo… anche loro potrebbero fare
quella fine, no? E
allora perché alzarsi al mattino, se tanto, da un giorno
all’altro, potresti
risvegliarti solo?
-Capisco cosa vuoi dire.
-Non sono un eroe, Rukia. – Stavolta la guardò
intensamente, da sotto quelle
sopracciglia perennemente corrugate. – Non credo
così tanto nella forza dei
legami. Io credo che ti rendano debole.
Io… ho paura di perderli
tutti, e un
eroe non ha paura. Un eroe sa di poter difendere le persone che ama, sa
che il
loro legame gli darà forza. E sa che rimarranno tutti
assieme fino alla fine,
perché sarà lui
a proteggerli finché
non arriverà quel momento.
Rukia abbassò lo sguardo di fronte al dolore palpitante di
Ichigo.
-Ma io cosa so? – esclamò; la sua voce era forte,
ma Rukia vi colse
un’incrinatura che le strozzò il cuore –
Non so nemmeno cosa voglio per me
stesso. Non so se posso evitargli la fine che ha fatto mia madre. Non
so
nemmeno se la fine sia giusta o sbagliata! – Si
strofinò la faccia per un po’,
poi la scoprì; era accaldato e preoccupato, e fissava il
pavimento con l’aria
disperata di chi non sa cosa fare. – Tu non me
l’hai mai detto, Rukia. Cosa
dovrei augurarmi? Di vivere, o di morire?
-Tu che cosa vuoi?
-Io voglio ciò che è meglio per me.
-Tu, che cosa vuoi?
Ichigo la guardò, imbronciato e confuso.
-Ti ho già risposto – ribatté.
-Ti ho già risposto anch’io. Nessuna soluzione
è la più adatta di quella che il
cuore ti suggerisce. – Lo guardò attentamente.
– A te è ancora concessa la
scelta, Ichigo. È a te stesso che devi porre questa domanda.
Io non posso
aiutarti.
Lui scosse la testa. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto.
-Quando lei c’era – riprese Rukia, di colpo
– avevi questo sguardo?
-Uh? Quale guardo?
-Questo. Questo sguardo serio, immusonito. Di una persona amareggiata
che non è
più in grado di godersi ciò che la circonda.
Lui la guardò per un momento, poi distolse gli occhi.
Grattandosi la testa, ci
pensò su.
-Non credo – rispose infine – ricordo che ero
felice.
-E adesso?
-Adesso sto bene.
-Ma sei felice?
Lui non rispose.
-Hai lo sguardo di chi ha vissuto cent’anni, Ichigo.
Chinò il capo, senza alzare gli occhi da terra. Lei lo
guardava impassibile.
-Hai lo sguardo di chi ha visto troppo, e di chi non vuole vedere
più niente. Hai…
hai gli occhi di uno shinigami.
Ichigo finalmente alzò la testa, e fece un mezzo sorrisetto
triste.
-E cosa c’è che non va? È esattamente
quello di cui abbiamo bisogno, no?
-No. Non volevo fare di te uno shinigami.
Non vorrei mai che qualcuno avesse quegli occhi.
Lui abbassò lo sguardo di nuovo.
-Alza la testa verso di me, Ichigo. Guardami bene.
Ichigo obbedì, e guardò i suoi occhi distanti.
Blu come la parte più profonda
del mare, quella che non si poteva raggiungere; quella dove la
temperatura era
così bassa da uccidere le forme umane.
-È dunque così che vuoi diventare? Tu vuoi dimenticare?
-Io… – si guardò attorno, cercando una
risposta – no. Non credo. Vorrei solo
mettere da parte… come dire…
-La paura. Il dolore. Il buco nel cuore di quando perdi qualcosa.
La guardò, con gli occhi spenti di chi ha perduto.
-Sì.
-Hai soltanto due scelte, Ichigo. Vivere con il buco nel cuore, o
diventare uno
shinigami.
-Rukia – scandì, con sfida – e se
volessi diventare uno shinigami
anch’io?
Lei fece un sorrisetto.
-Non te lo permetterò.
Lui la guardò, sbalordito.
-Mi avevi detto di avere due scelte. Mi avevi detto che non potevi
aiutarmi.
-No, non posso aiutarti nelle tue decisioni. Ma posso
senz’altro impedirti di
portarle a termine. Ichigo Kurosaki, tu non sarai mai un vero shinigami.
-E chi l’ha deciso? Tu…?
-No. L’ha deciso il tuo nome.
Ichigo sbarrò gli occhi, come se l’avesse sentito
dire per la prima volta.
-Il mio nome… intendi…
-Intendo dire che devi vivere. Che devi proteggere con la sicurezza di
chi
vuole arrivare fino alla fine con le persone che ama. L’ha
deciso tua madre
quando ti ha chiamato Ichigo; chi sono io per oppormi alla sua
volontà?
-Però ti opponi senza problemi alla mia, eh? –
Ichigo ghignò; poi si alzò, e, a
passi decisi, le andò di fronte.
Rukia era sbalordita di fronte al cambiamento di temperatura che
causava il
corpo di Ichigo al suo; più lui le si avvicinava, e
più diventava caldo.
Il ragazzo le puntò un dito sulla fronte.
-Ora come ora, basterebbe il mio dito indice per fermarti.
Scacciò la sua mano con un colpetto; lo guardò,
forte ed elegante come sempre.
-Stolto. Se tu decidessi di rinunciare, non basteranno cento dei tuoi
corpi a
fermarmi.
Ichigo non mosse un muscolo, e, per un attimo, tra i due intercorse uno
sguardo
tanto intenso che a Rukia sembrò che la stanza circostante
fosse sparita, che
in tutto il mondo ci fossero soltanto lei, Ichigo e il silenzio tra
loro due.
Alla fine, Ichigo abbassò lo sguardo, con aria sconfitta.
-Ebbene?
-Ebbene ho scelto – rispose lui, guardando da
un’altra parte – d’altronde, non
mi lasci alternativa.
-Ichigo. Sai quel che volevo dire. E sai che la scelta rimane tua.
-Non hai capito – la guardò ancora;
fissò gli occhi su quelli di Rukia, così in
profondità che la ragazza vacillò – io
ho scelto.
-Ichigo…? – lo osservò allontanarsi,
osservò il suo profilo serio mentre
replicava:
-Proteggere una persona. In realtà, l’unica scelta
che puoi prendere è il tuo
destino.
Le lanciò un ultimo sguardo, prima di infilarsi nel futon e
chiudere gli occhi.
Rukia ascoltò a lungo il silenzio, rotto solo dai profondi
respiri di Ichigo,
prima di appoggiare la testa contro le ante dell’armadio e
addormentarsi.
(Nda: sta diventando problematico, per me O_o’. Io ci provo a
dare alle mie fan
fiction la trama che voglio io, ma poi questi due prendono il potere e
ne fanno
quello che vogliono loro.
Inizialmente doveva essere un what if;
ovvero, volevo concedere alla coppietta un minimo di contatto fisico.
Il
problema è che poi mi suona innaturale, perché,
voglio dire, tutto ciò si
colloca prima che partano alla volta della Soul Society, ed
è indubbio che i
due non siano stati in alcun tipo d’intimità :D.
Così ho cercato di rendere un
po’ l’atmosfera del manga: i due non si toccano mai
in modo particolare, non si
dicono cose sdolcinate, e il legame tra i due è suggerito
soltanto da poche e
significative frasi.
In effetti, la persona che Ichigo vuole proteggere in questa fic
– nel caso non
fosse chiaro – è Rukia, ed è per lei
che decide di tenere duro, di continuare
ad amare, di rimanere in vita.
Tra l’altro, il desiderio di morte di Ichigo è
stato accennato più volte tra
manga e anime, ed è un aspetto che, insieme a tanti altri,
sicuramente
approfondirò.
Ah, e a proposito dell’anime, la puntata relativa
all’anniversario è una
diretta dichiarazione di IchiRuki O_O difatti prestissimo ci
scriverò su, nel
frattempo lo pubblicizzo XD.
Grazie di aver letto fino a qui e grazie a chi lascerà una
recensione ^-^.)