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Autore: The Corpse Bride    02/03/2009    3 recensioni
Sempre nel cuore della notte, sempre divisi dalle ante di un armadio.
Rukia non riesce a dormire perché Ichigo continua a rigirarsi nervosamente nel futon.
Nella notte dell'anniversario della morte di sua madre, Ichigo è tormentato da pensieri troppo pesanti per un quindicenne. E a Rukia spetta il compito di avvicinarsi, in punta di piedi, a quel tumultuoso vortice di pensieri che è la sua anima.
Da collocarsi nella notte successiva agli eventi al cimitero; ho tenuto conto di quanto succede nel manga ^^
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rukia stava cercando di dormire da un bel po’, ma invano.
Eppure di sonno ne aveva, la giornata era stata spossante; ma il rotolarsi nervoso di Ichigo tra le coperte le impediva di abbandonarsi al giusto riposo che le spettava.
All’inizio, ne fu infastidita: aveva passato la mattina a giocare alla studentessa modello a scuola, e il pomeriggio a lavorare come guida per giovani shinigami sostituti. E quel corpo umano, purtroppo, a differenza del corpo spirituale, reclamava una buona dormita; la quale, però, per colpa degli scatti agitati di Ichigo, ora le veniva negata.
Per un po’ fissò lo scaffale sopra di lei, accigliata, aspettando che il ragazzo che le dormiva di fianco si desse la dovuta calmata.
Poi, però, notò che gli scatti erano sempre più violenti.
Che ogni tanto arrivava un tonfo soffocato dal cuscino.
Non era necessario aver vissuto cent’anni, per capire che Ichigo non stava soltanto rigirandosi tra le coperte.
Bensì, Ichigo stava combattendo contro il predominio della propria anima.

Rukia aprì la bocca per chiamarlo, ma subito dopo la richiuse, per paura di suonare inopportuna.
Quel giorno aveva già fatto abbastanza; era pur vero che alla fine aveva avuto ragione, perché era stata loro data la prova che l’assassinio di sua madre era stato effettivamente opera di un Hollow, ma sapeva di aver ferito Ichigo. Sapeva di aver parlato nel momento meno adatto.
Ovvio: non l’aveva fatto apposta. Nella Soul Society, ma soprattutto nel rukongai, i sentimenti non erano cosa conosciuta. Quando sei solo contro tutti, quando non hai tempo di preoccuparti degli altri, ma soprattutto: quando la tua intera vita è imperniata sul combattimento contro gli Hollow, non t’importa di proteggere i tuoi ricordi.
I ricordi, nella Soul Society, ma soprattutto nel rukongai, erano una cosa bizzarra. Innanzitutto, la maggior parte dei loro abitanti ne era priva, e dunque non ne poteva capire l’importanza sacra che invece vi conferivano i terreni.
E in secondo luogo, anche qualora ve ne fosse permaso qualche rimasuglio, non si trattava quasi mai di un’esclusiva felice, e, più di tutto, nessuno li trattava come se fossero gemme preziose da custodire in una teca di cristallo. Se un menos cadeva giù dal cielo e attaccava, che importanza poteva avere ciò che la memoria sussurrava? L’importante era sconfiggere il nemico.

I ricordi… i ricordi, i sentimenti, le lacrime.
Chi conosceva queste leggende, in un mondo dove i bambini erano costretti a rischiare la vita per dell’acqua, soli, soli e chiusi fuori dalle porte blindate del seireitei?

-I…
Niente da fare. Il suo nome le moriva in gola. Il fatto era che si sentiva in colpa per quel pomeriggio, e aveva paura di peggiorare la situazione.
Lo sguardo di Rukia Kuchiki si fece triste. Perché non era in grado di capire, perché non ricordava cosa significasse la voglia di accasciarsi a terra; perché non ricordava cosa significasse avere una madre, e perché non ricordava se ne avesse mai avuta una o se fosse morta anche lei come quella di quello strano ragazzo che si rotolava nel futon lì di fianco, in preda alla furia atroce dei sentimenti umani.
Il suo sguardo si fece ancora più triste.
Sì; per essere shinigami, anche al più basso gradino della gerarchia, bisognava dimenticare quei sentimenti.
Perché altrimenti come avrebbero potuto fare?
Come si poteva vivere così, rigirandosi nel letto, piangendo per il dolore, accendendo una sigaretta ogni anno di fronte alla tomba di una persona che si amava?
Rukia non ricordava come fosse, o cosa si provasse. Poter soltanto guardare una lastra di pietra, che ti viene elargita in cambio di un corpo che eri abituato a stringere.
E stringere un corpo, com’era?
Com’era il calore della pelle umana? Com’era il battito di un altro cuore? Cosa si provava, quando si veniva stretti?
Quando si poneva queste domande, iniziava a sentire qualcosa di strano. Qualcosa di pungente, caldo fino a bruciare, qualcosa che le apriva uno strano buco nel petto ma che non aveva nulla a che vedere con i dolori fisici.
E capiva che quelle erano le sensazioni umane, le sensazioni che lei stava rimpiangendo, ma erano così strazianti che chiudeva gli occhi, respirava forte e si ripeteva: io sono una shinigami.
Non ci sono sentimenti, per gli shinigami.

E s’imponeva di non pensare più al cuore torturato del ragazzo che viveva a fianco a lei.

Ma poi capitava che un giorno quel ragazzo, di solito silenzioso, assorto nel sonno come se lo stesse divorando a bocconi affamati, iniziasse a rigirarsi tra le coperte, senza tregua, e che i tremori del suo cuore facessero vibrare l’aria così forte da dar vita a un terremoto.
Rukia era lì vicino, ogni notte, e ogni notte le ante di quell’armadio proteggevano le loro intimità;
e, assieme a questa, la solitudine cercata dei loro cuori.

Era giusto, era così che ci si doveva comportare, era quella la legittima distanza tra una shinigami fallita e un umano bizzarro e impulsivo dal quale non si sapeva mai cosa aspettarsi, e, di sicuro, non bisognava mai aspettarsi obbedienza.
Eppure, quella distanza iniziava a pesarle.
Rendeva l’aria ancora più densa della sofferenza di Ichigo – così vicina che avrebbe potuto toccarla.

È vero che esistono barriere che non si dovrebbero mai abbattere.
Ed è vero che, se poniamo delle barriere, è perché solitamente non vogliamo che vengano abbattute.

Ma esistono barriere che vengono innalzate solo in nome di una richiesta disperata; una richiesta silenziosa e quasi inudibile che, però, nella pesantezza del silenzio risuona sorda come un colpo di cannone: quella di Ichigo urlava al mondo, abbattimi.
Rukia Kuchiki non sapeva se faceva parte di quel mondo.
Ugualmente, non si sentiva più in grado di respirare.
Fu così che spalancò le porte del guardaroba e, silenziosa come la neve che fiocca sui prati invernali, scivolò sul pavimento e guardò il ragazzo sdraiato davanti a lei.

La schiena di Ichigo, grande e solida, era rivolta contro di lei. I capelli arancioni e spettinati coprivano l’espressione del suo volto, le sue braccia forti stringevano un cuscino. E i suoi pugni erano chiusi, come quelli di un bambino disperato.
Poteva vedere i muscoli del suo corpo tendersi fino allo spasimo perfino nella penombra della notte.
-Ichigo – mormorò.
Lui non rispose. Forse sperava di farle credere che stesse dormendo.
-Ichigo – ripeté. Sapeva di non essere la persona più adatta a massaggiare cuori doloranti, sapeva di non avere la minima dolcezza, sapeva di non saper riparare ciò che era stato rotto da troppo tempo: tutto quel che le era stato insegnato a fare era stato combattere e toccare fronti con l’elsa di una spada, promettendo un Paradiso che era in realtà una discarica di reietti.
-Hum – lo sentì brontolare – che c’è adesso…?
La domanda la spiazzò. Cosa c’era…? Nulla, lei non aveva nulla.
-Era a te che volevo chiederlo.
-Scusami se il rumore t’infastidisce, shinigami – replicò lui offeso.
Rukia spalancò gli occhi: forse era stata troppo seria? Lui aveva frainteso: non era infastidita dal suo agitarsi. Ma adesso che l’aveva chiamata shinigami, adesso sì, era infastidita eccome.
-Kurosaki, non vedere sempre un attacco nelle mie parole – riprese dura.
Lui non rispose; non udiva nemmeno il suono del suo respiro.
Rukia sospirò; anche stavolta non andava bene. Non sapeva che farci. Quel ragazzo sapeva essere un libro aperto fino ad essere imbarazzante, ma, alle volte, sapeva rendersi impenetrabile.
Non le piaceva il fatto che lo diventasse. Non voleva, in fondo, che lui diventasse uno shinigami fino a quel punto.
-Ichigo – tentò di nuovo, a bassa voce – che cosa ti succede?
Ancora silenzio.
Rukia chinò la testa; doveva rassegnarsi. Non poteva avvicinarglisi più di così, perché lui non lo desiderava.
-Bah – lo sentì dire, all’improvviso; alzò di scatto gli occhi blu – non lo so. A volte capita. Non dormo, ecco tutto.
-Dovresti essere stanco – insinuò Rukia, attenta a calibrare le proprie parole.
-Dovrei – lo udì sospirare, e poi lo vide stirare le braccia – eppure non riesco a dormire. Cazzo. Cerco di non pensare e di concentrarmi sul buio, ma non c’è verso.
Pausa.
-Non so moltissimo di voi umani – incominciò Rukia con cautela – ma credo di aver capito che non abbiate un grande potere sui vostri pensieri.
-E voi shinigami sì, invece?
-Noi dobbiamo averlo. È differente.
-E se non l’avete?
-Dobbiamo averlo – ripeté.
Le sue parole erano state abbastanza significative. Ichigo si issò in piedi, chinò la testa e si riavviò i capelli.
-Mi sembra una gran merdata, essere Dio della Morte. Vi chiamate Dei. Dovreste controllare non solo i vostri pensieri, ma anche quelli degli altri.
-Un Dio non è sempre ciò che un essere umano si aspetta. – Rukia assottigliò gli occhi, sprofondando lentamente nei ricordi. Poi li riaprì, di scatto. – Non cambiare discorso, Ichigo.
-Tsk.
-Vuoi dirmi cosa ti succede?
Ichigo aspettò qualche secondo, prima di rispondere un incerto “non saprei.”
-Stai pensando a qualcosa? – incalzò Rukia.
Lui sospirò, e infine, grattandosi la nuca, rispose:
-Eh. Sì.
-Lo sapevo. Hai un’anima così forte che si può quasi toccarne la forma.
-E questo che vuol dire?
-Vuol dire che se qualcosa la tormenta, crei un sisma spirituale tutt’attorno a te.
Lui sbuffò. Evidentemente, l’idea che la sua anima fosse così percepibile non gli piaceva granché.
-Io lo sento subito. Sono stata una shinigami. Il mio lavoro è localizzare anime inquiete; quindi se a due metri da me…
-Certo, Rukia. Perché non mi metti un bel timbro sulla fronte e non mi spedisci in Paradiso?
-Ichigo, basta così.
Iniziava ad arrabbiarsi. Ichigo le parlava come se, per lei, lui fosse stato soltanto un’altra fiammella incerta che tentava di gettare la sua ultima, fioca scintilla sul mondo.
-Sono io che dovrei dirlo! – esclamò lui, rabbioso – Tu… tu pensi sempre al tuo lavoro di shinigami. Io disturbo il tuo sonno e tu domani dovrai affrontare dei nuovi mostri. Io sono un’anima inquieta, la mia anima agitata turba il tuo sonno! E mia madre è morta, ma aspetta, Ichigo, potrebbe essere stato un Hollow! E siccome io sono la Dea della Morte, devo localizzare tutti gli Hollow, è la mia priorità!
Ascoltò impassibile quel discorso mezzo gridato, e lo osservò ansimare dopo averlo vomitato fuori.
Commentò solo alla fine.
-Se urli così, ti sentiranno – disse, senza fare una piega.
-Sicuro! – sbottò lui, poi si tirò le coperte fino al mento e tornò a fissare un punto imprecisato sulla parete.
Aveva fallito. Ma non voleva fargli capire che il suo commento l’aveva offesa, e che le pesava non aver fatto alcun passo in avanti, anzi, aver decisamente indietreggiato giù per una scarpata.
Il suo lavoro, era quello di guidare anime umane. Anime lacerate, tormentate anche dopo l’ultimo respiro, anime che andavano condotte per mano in un luogo ove potessero essere curate.
E non era in grado di toccare, neanche con la punta delle dita, la superficie dell’anima che le dormiva a fianco.

Ma era per questo che era una shinigami, no?
Perché sapeva mantenere nei confronti delle anime quel distacco fondamentale che le permetteva di lasciarle andare.

-Ichigo – mormorò; nella gola del suo gigai si stava formando qualcosa di spesso e doloroso – Ichigo – chiamò di nuovo.
Non osava muovere un passo.
-Cosa – gorgogliò finalmente lui.
-Sai che non è vero.
Ci fu un attimo di pausa, prima che lui rispondesse:
-Sì, lo so.

Rukia si lasciò scivolare a terra, e lì si sedette, cosciente, per il momento, di non poter avanzare.
Afferrare un’anima e portarla da qualche parte non era mai stato un problema per lei.
Ma mai, in tutta la sua vita e morte, aveva penato così tanto per spostarne una di due metri soltanto, per portarla davanti a sé.
Forse perché, quella volta, aveva dato la priorità al volere di quell’anima.

-Che cosa succede?
-A volte penso – Ichigo si fermò; le parve di poter vedere le sue sopracciglia aggrottarsi, nello sforzo di esprimersi – penso che vorrei essere così. Un vero shinigami. Vivere per combattere e nient’altro.
-Credi che sia una vita… bella?
-Tu cosa credi?
-Credo che tu sia troppo giovane per pensarlo.
-E io credo che tu sia una so-tutto-io rompicoglioni. Allora, Rukia. Rispondimi.
-Credo che ci sia qualcosa di meglio della lotta, per te. Io non lo ricordavo, ma questo è un mondo davvero bello.
-Tu credi? Eppure Yuzu piangeva ogni notte. Karin non ha più versato una lacrima. Mio padre guarda la tomba con lo sguardo di chi non ha più le forze per combattere.
Rukia abbassò lo sguardo, seria.
-E questi siamo soltanto noi quattro. Ma ricordi Inoue? E perché Chado è solo, perché ha sempre qualche livido addosso? Vedi, Rukia. A me sembra, a volte, che questo mondo faccia schifo.
-Capisco.
-E dimmi, è più bello, quello dove tu vivevi?
Non seppe cosa rispondergli.
Il settantottesimo distretto? Non voleva nemmeno pensarci.
Il seireitei, il fratello che non la guardava nemmeno? Gli sguardi astiosi di capitani e luogotenenti?
-Dipende da cosa il destino ti ha riservato – rispose, senza esporsi – ma non credo sia molto meglio di questo. Vedi Ichigo; qui ti è concessa una cosa che noi non abbiamo: puoi sperare di morire. Ma quando sei già morto, non hai altro a cui aggrapparti.
-Hah – fece lui, sarcastico – non avete niente di meglio a cui aggrapparvi? La morte? È questo, tutto ciò che chiedete?
-E a te, sembra di chiedere qualcosa di diverso?
Lo guardò fredda, a denti stretti. Ma lui non poteva leggere il rimprovero nei suoi occhi, perché le dava le spalle.
-Che stai dicendo? – replicò lui, a voce bassa – Se volessi morire, non combatterei.
-Tanti direbbero che se non volessero morire, si guarderebbero bene dal combattere. Il campo di battaglia è il posto più vicino alla morte che tu possa scegliere. – Strinse i pugni. – E tu, Ichigo, quel giorno hai scelto.
Lui tacque per un po’.
Quando si alzò di nuovo, reggendosi su un braccio, e ricominciò a parlare, era chiaro che lo faceva con fatica.
-Non sempre – disse infine – e non voglio proprio ‘morire’. È che a volte vivere mi è pesante.
Rukia non osò parlare; non voleva rischiare d’interromperlo.
-Non lo so; io voglio vivere. Voglio andare in giro con Chado, chiacchierare con Tatsuki, litigare con mio padre, che ne so, roba del genere. Ci sono delle persone, vicino a me, che mi fanno venire voglia di essere vivo; il più possibile, e il più a lungo possibile. – Ichigo scosse la testa, e Rukia poté avvertire il turbinio che gli scuoteva il cuore – Ma c’era una persona. Quella per la quale vivevo, in effetti; quella che… se avevo voglia di svegliarmi ogni mattina, era perché avrei visto lei. – Rukia strinse i denti, perché, nel mondo umano, anche senza avvertire i reiatsu, la sofferenza è così palpabile e schiacciante che annienta tutto ciò che le si trova attorno. – E quando questa viene a mancare, beh, ti manca anche quella voglia di vivere che avevi prima, no? Voglio dire, ci sono tutte quelle persone, e io voglio vederle ogni giorno, ma dall’altra parte a volte mi chiedo ancora se mi interessa passare un’intera giornata dove mia madre non c’è.
Rukia ancora tacque, incapace di trovare le parole adatte, o anche solo delle parole e basta. Ichigo non era il tipo da melodramma, per cui si limitò a scrocchiarsi le dita e a stirarsi la schiena, e poi riprese la parola.
-Vedi – incominciò – non succede sempre che io me lo chieda. Con il tempo, non ricordi più com’era prima, no? Sarei falso se dicessi che mi manca. Mi capisci?
-Sì – fece Rukia, senza nemmeno rendersene conto.
E, miracolosamente, in quel momento Ichigo si voltò verso di lei.
Il suo volto era lucido, il suo sguardo era vivo e traforante e la sua espressione era la solita, grave, l’espressione che un quindicenne non avrebbe mai dovuto avere.
Non erano gli occhi mezzi addormentati di chi era riuscito a chiuderli, abbandonandosi a un sonno sereno.
Bensì quelli di chi ha passato una notte in bianco, analizzando una serie di pensieri che in realtà avrebbe soltanto voluto scacciare.
Ichigo aprì la bocca per parlare, ma nel farlo, incapace com’era di aprirsi a qualcuno, guardò il pavimento.
-Però ogni tanto mi chiedo perché lei. Mi rendo conto che qualcuno ha voluto farmi del male. Qualcuno me ne farà ancora. E soprattutto che Chad, papà, Yuzu e Karin, insomma, queste persone che mi tengono attaccato al mondo… anche loro potrebbero fare quella fine, no? E allora perché alzarsi al mattino, se tanto, da un giorno all’altro, potresti risvegliarti solo?
-Capisco cosa vuoi dire.
-Non sono un eroe, Rukia. – Stavolta la guardò intensamente, da sotto quelle sopracciglia perennemente corrugate. – Non credo così tanto nella forza dei legami. Io credo che ti rendano debole. Io… ho paura di perderli tutti, e un eroe non ha paura. Un eroe sa di poter difendere le persone che ama, sa che il loro legame gli darà forza. E sa che rimarranno tutti assieme fino alla fine, perché sarà lui a proteggerli finché non arriverà quel momento.
Rukia abbassò lo sguardo di fronte al dolore palpitante di Ichigo.
-Ma io cosa so? – esclamò; la sua voce era forte, ma Rukia vi colse un’incrinatura che le strozzò il cuore – Non so nemmeno cosa voglio per me stesso. Non so se posso evitargli la fine che ha fatto mia madre. Non so nemmeno se la fine sia giusta o sbagliata! – Si strofinò la faccia per un po’, poi la scoprì; era accaldato e preoccupato, e fissava il pavimento con l’aria disperata di chi non sa cosa fare. – Tu non me l’hai mai detto, Rukia. Cosa dovrei augurarmi? Di vivere, o di morire?
-Tu che cosa vuoi?
-Io voglio ciò che è meglio per me.
-Tu, che cosa vuoi?
Ichigo la guardò, imbronciato e confuso.
-Ti ho già risposto – ribatté.
-Ti ho già risposto anch’io. Nessuna soluzione è la più adatta di quella che il cuore ti suggerisce. – Lo guardò attentamente. – A te è ancora concessa la scelta, Ichigo. È a te stesso che devi porre questa domanda. Io non posso aiutarti.
Lui scosse la testa. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto.
-Quando lei c’era – riprese Rukia, di colpo – avevi questo sguardo?
-Uh? Quale guardo?
-Questo. Questo sguardo serio, immusonito. Di una persona amareggiata che non è più in grado di godersi ciò che la circonda.
Lui la guardò per un momento, poi distolse gli occhi. Grattandosi la testa, ci pensò su.
-Non credo – rispose infine – ricordo che ero felice.
-E adesso?
-Adesso sto bene.
-Ma sei felice?
Lui non rispose.
-Hai lo sguardo di chi ha vissuto cent’anni, Ichigo.
Chinò il capo, senza alzare gli occhi da terra. Lei lo guardava impassibile.
-Hai lo sguardo di chi ha visto troppo, e di chi non vuole vedere più niente. Hai… hai gli occhi di uno shinigami.
Ichigo finalmente alzò la testa, e fece un mezzo sorrisetto triste.
-E cosa c’è che non va? È esattamente quello di cui abbiamo bisogno, no?
-No. Non volevo fare di te uno shinigami. Non vorrei mai che qualcuno avesse quegli occhi.
Lui abbassò lo sguardo di nuovo.
-Alza la testa verso di me, Ichigo. Guardami bene.
Ichigo obbedì, e guardò i suoi occhi distanti. Blu come la parte più profonda del mare, quella che non si poteva raggiungere; quella dove la temperatura era così bassa da uccidere le forme umane.
-È dunque così che vuoi diventare? Tu vuoi dimenticare?
-Io… – si guardò attorno, cercando una risposta – no. Non credo. Vorrei solo mettere da parte… come dire…
-La paura. Il dolore. Il buco nel cuore di quando perdi qualcosa.
La guardò, con gli occhi spenti di chi ha perduto.
-Sì.
-Hai soltanto due scelte, Ichigo. Vivere con il buco nel cuore, o diventare uno shinigami.
-Rukia – scandì, con sfida – e se volessi diventare uno shinigami anch’io?
Lei fece un sorrisetto.
-Non te lo permetterò.
Lui la guardò, sbalordito.
-Mi avevi detto di avere due scelte. Mi avevi detto che non potevi aiutarmi.
-No, non posso aiutarti nelle tue decisioni. Ma posso senz’altro impedirti di portarle a termine. Ichigo Kurosaki, tu non sarai mai un vero shinigami.
-E chi l’ha deciso? Tu…?
-No. L’ha deciso il tuo nome.
Ichigo sbarrò gli occhi, come se l’avesse sentito dire per la prima volta.
-Il mio nome… intendi…
-Intendo dire che devi vivere. Che devi proteggere con la sicurezza di chi vuole arrivare fino alla fine con le persone che ama. L’ha deciso tua madre quando ti ha chiamato Ichigo; chi sono io per oppormi alla sua volontà?
-Però ti opponi senza problemi alla mia, eh? – Ichigo ghignò; poi si alzò, e, a passi decisi, le andò di fronte.
Rukia era sbalordita di fronte al cambiamento di temperatura che causava il corpo di Ichigo al suo; più lui le si avvicinava, e più diventava caldo.
Il ragazzo le puntò un dito sulla fronte.
-Ora come ora, basterebbe il mio dito indice per fermarti.
Scacciò la sua mano con un colpetto; lo guardò, forte ed elegante come sempre.
-Stolto. Se tu decidessi di rinunciare, non basteranno cento dei tuoi corpi a fermarmi.
Ichigo non mosse un muscolo, e, per un attimo, tra i due intercorse uno sguardo tanto intenso che a Rukia sembrò che la stanza circostante fosse sparita, che in tutto il mondo ci fossero soltanto lei, Ichigo e il silenzio tra loro due.

Alla fine, Ichigo abbassò lo sguardo, con aria sconfitta.

-Ebbene?
-Ebbene ho scelto – rispose lui, guardando da un’altra parte – d’altronde, non mi lasci alternativa.
-Ichigo. Sai quel che volevo dire. E sai che la scelta rimane tua.
-Non hai capito – la guardò ancora; fissò gli occhi su quelli di Rukia, così in profondità che la ragazza vacillò – io ho scelto.
-Ichigo…? – lo osservò allontanarsi, osservò il suo profilo serio mentre replicava:
-Proteggere una persona. In realtà, l’unica scelta che puoi prendere è il tuo destino.
Le lanciò un ultimo sguardo, prima di infilarsi nel futon e chiudere gli occhi.

Rukia ascoltò a lungo il silenzio, rotto solo dai profondi respiri di Ichigo, prima di appoggiare la testa contro le ante dell’armadio e addormentarsi.








(Nda: sta diventando problematico, per me O_o’. Io ci provo a dare alle mie fan fiction la trama che voglio io, ma poi questi due prendono il potere e ne fanno quello che vogliono loro.
Inizialmente doveva essere un what if; ovvero, volevo concedere alla coppietta un minimo di contatto fisico. Il problema è che poi mi suona innaturale, perché, voglio dire, tutto ciò si colloca prima che partano alla volta della Soul Society, ed è indubbio che i due non siano stati in alcun tipo d’intimità :D. Così ho cercato di rendere un po’ l’atmosfera del manga: i due non si toccano mai in modo particolare, non si dicono cose sdolcinate, e il legame tra i due è suggerito soltanto da poche e significative frasi.
In effetti, la persona che Ichigo vuole proteggere in questa fic – nel caso non fosse chiaro – è Rukia, ed è per lei che decide di tenere duro, di continuare ad amare, di rimanere in vita.
Tra l’altro, il desiderio di morte di Ichigo è stato accennato più volte tra manga e anime, ed è un aspetto che, insieme a tanti altri, sicuramente approfondirò.
Ah, e a proposito dell’anime, la puntata relativa all’anniversario è una diretta dichiarazione di IchiRuki O_O difatti prestissimo ci scriverò su, nel frattempo lo pubblicizzo XD.
Grazie di aver letto fino a qui e grazie a chi lascerà una recensione ^-^.)

  
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