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Autore: Ode To Joy    30/11/2015    6 recensioni
(Kageyama x Hinata)
(Iwaizumi x Oikawa)/(Ushijima x Oikawa)
“La senti? È la tua Forza che chiama la mia. Lasciala entrare... Lasciami entrare, Tobio.”
In questo universo non può esistere Luce senza Ombra. Così è sempre stato e così sempre sarà e l'equilibrio non è altro che un momento sospeso nel tempo prima che l'eterna lotta continui.
“Non hai ragione di temere il Lato Oscuro, Shouyou. È esso che dovrebbe temere te. Tu splendi... Le ombre si diradano intorno a te.”
Il tumulto dei sentimenti non ammette nessuna forma di equilibrio ma cosa rimane senza di essi? Una pace vuota, misera.
“Facciamo un patto: tu fai di me un Jedi ed io ti faccio diventare invincibile.”
Alla fine, ciò che conta non è scegliere tra Ombra e Luce ma trovare il modo di farle convivere entrambe dentro di sè.
(Star Wars-AU indipendente dalla saga originale.)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa dell’Autrice poco seria.
Titolo alternativo: Lo Star Wars-AU di cui nessuno aveva bisogno, Episodio I (il mio file sul tablet è veramente salvato così!)
Salve!
Sì...
Abbiate paziente sto cercando le parole per giustificare questa cosa ma, essenzialmente, non ho nessuna buona ragione dalla mia parte, quindi mi limiterò a raccontare la storia (della storia) fin dall’inizio! Ovvero, di quando avevo circa cinque o sei anni e piantai un capriccio infinito perché volevo a tutti costi vedere il film di E.T. (sì, il capolavoro di Spielberg!) ma mio padre, non possedendone la cassetta (sì, ho memoria dell’era delle cassette!) pensò bene di fregarmi con uno degli episodi della trilogia di Guerre Stellari (al tempo, si traduceva!) sperando che con qualche robottino, un po’ casino e qualche bestiola strana mi quietassi.
Morale della favola: non ci cascai nemmeno per cinque minuti di film ma mi guardai tutta la saga zitta a muta. Nel 1999 pretesi che mi portassero a vedere il prequel e, a Natale, ovviamente, sarò al cinema a fare la nerd!
E questa è sola la premessa, gente.
Lo ammetto spudoratamente, questa idea ha meno di una settimana di vita. Avevo altri progetti per questo fandom ma non questo!
Eppure, eccomi qui, caduta in tentazione per ragioni assai banali ed abbastanza imbarazzanti ma che voglio illustrare perché io so che qualcuno di voi capirà! Per cominciare, noi tutti sappiamo che qualcuno ha deciso che Oikawa Tooru ha tre priorità nella vita: 1, la pallavolo; 2, Iwa-chan! 3, gli alieni e la fantascienza (e, occhio, il 2 ed il 3 non sono certa che vengano in quest’ordine!).
Da qui è bastato che uscisse il trailer dell’Episodio VII di Star Wars ed allora è stato tutto un rotolare verso il Lato Oscuro. Il fandom di HQ (non io, quindi, me innocente!) ha cominciato a fantasticare su questi AU fantascientifici con Iwa-chan nelle vesti del Jedi senza macchia e senza paura e Oikawa in quello del Jedi caduto (rotolando al Lato Oscuro) divenuto Signore dei Sith!
Ed ora, gentile pubblico, una povera fanwriter dall’anima debole alle tentazioni come sono io, cosa poteva fare? Sono cominciate a saltar fuori fan art ispiranti a dir poco, storie di fanwriter da far venire le lacrime agli occhi e... Avrei potuto lasciar correre il treno, sì, ma... Rimpiangere di non aver contribuito questa meravigliosa follia di gruppo con la mia versione? Non potevo!
Quindi, ora iniziano le note serie di comprensione.
Prima di tutto, questa intende essere una storia “breve”, di circa 5-7 capitoli piuttosto corposi ma che potrebbe (condizionale) fare parte di una serie. Vediamo come andrà! Traduzione: il mio cervello ha riscritto il Signore degli Anelli ma devo darmi un contegno quindi procederò per gradi.
Ora, questo è uno Star Wars-AU che prende in prestisto essenzialmente il contesto di Star Wars ma è una storia completamente indipendente in qualunque altro senso. Nessuno interpreta il ruolo di nessuno e la trama non ha nulla a che fare con i film. Per fare un esempio, ci sono elementi che si potrebbero riportare al personaggio di Anakin Skywalker in ben 3 personaggi qui dentro, quindi tutto ciò che serve a questa fic è la cultura popolare che si ha della saga e nulla di più!
Venendo alla storia vera e propria.
Confesso immediatamente di aver trapiantato qui alcuni giochetti (terribilmente angst) che ho deciso di non inserire in A Tale Of Crows And Demons, quindi alcune delle mie fisse faranno capolino anche qui! Ciò non toglie che la storia sia completamente diversa (e decisamente più oscura...).
Per quanto riguarda i personaggi, ho indicato solo tre coppie (una coppia ed un triangolo per essere precisi) tra le principali per questioni pratiche. Quelle sono le relazioni più influenti all’interno della trama ma tendo a creare trame pressapoco corali quindi prevedo il coinvolgimento altre coppie classiche del fandom lungo la storia...
Un’ultima cosa per chi è nerd come me! Lo so... George Lucas è stato molto chiaro nel dipingere i Jedi in un modo, i Sith in un altro con pace interiore e costruttività da una parte e passione ed ambizione dall’altra... Qui rimango il più possibile fedele ai personaggi di HQ! E questo significa un’emotività sfrenata! Era giusto per fingere di sapere quello che faccio.
Piccolo glossario da primo capitolo: per ora limitiamoci a dividere gli schieramente in Jedi (i “buoni”) e i Sith (i “cattivi”) al resto penserà la trama. Un paio di paroline un po’ meno comuni: Padawan (un allievo Jedi non ancora Cavaliere) e Midichlorian (un micro-organismo presente nel sangue dei Jedi che permette loro di entrare in simbiosi con la forza. Più se ne hanno più un Jedi può diventare potente ma non determinano le capacità effettive). Un appunto sugli articoli, siccome dire lo Jedi a me urta! Qui siamo devo all’articolo il (che, oltreutto, nei film moderni mi par di aver sentito!)
Per qualunque chiarimento sentitevi liberi di pormi domande!
Che la forza sia con voi, miei cari lettori! (Inserire qui l’Opening Theme di Star Wars)

 
1
Come morning light
 

Tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana...
 
 
 
 
”Just close your eyes...”
C’erano delle dita gentili tra i suoi capelli, sul suo viso...
“The sun is going now... You’ll be alright, no one can hurt you now...”
Era avvolto in un caldo abbraccio, due labbra morbide contro la sua guancia.
“Come morning light, you and I’ll be...”
Gli occhi scuri che lo guardavano brillavano più di tutte le stelle nel cielo.
“Safe and sound...”

 
 
“Tobio...”
Fu la mano che stringeva la sua spalla a svegliarlo, non la voce che lo chiamava.
Sbatté le palpebre un paio di volte, poi sollevò la testa storcendo la bocca in una smorfia: si era addormentato sul tavolo della sala delle armi, circondato da spade e fucili incompleti e pezzi di ricambio. Si era addormentato senza rendersene conto.
“Tobio...”
La mano sulla sua spalla era ancora lì e non scomparve nemmeno quando gli occhi blu si sollevarono sul Cavaliere accanto a lui. “Mae...”
“Non sono più il tuo Maestro,” gli ricordò Hajime, gli occhi verdi erano freddi mentre lo guardavano. Tobio conosceva quell’espressione e strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile, poi abbassò lo sguardo, recuperò la sua spada laser e l'agganciò alla cintura alzandosi in piedi. “Ha subito dei danni durante l'ultima missione,” spiegò riferendosi all'arma. “Volevo aggiustarla prima dell'allenamento del mattino. Mi sono addormentato.”
Hajime non si fece sfuggire il modo in cui il più giovane continuava ad evitare i suoi occhi. “Hai saltato l'allenamento del mattino,” gli disse ma non era per quello che lo rimproverava con lo sguardo.
“Mi spiace,” replicò Tobio. Non lo pensava davvero. “Con permesso...”
Hajime lo afferrò per un braccio. “Non fare un passò di più e torna seduto.”
Tobio fece una smorfia seccata ma non avrebbe mai mancato di rispetto a Hajime, così prese un respiro profondo e tornò al suo posto. Gli occhi blu si fissarono in quelli verdi senza esitazione questa volta. “Ho compiuto il mio dovere: la missione è stata un successo.”
“Non dal nostro punto di vista,” replicò Hajime.
Tobio inarcò le sopracciglia. “Il nemico è stato annientato e non ci sono perdite tra di noi. Che altro avrei dovuto fare?”
Hajime prese un respiro profondo. “Tobio, non ti abbiamo mandato lì per un atto di forza,” gli disse. “Ti abbiamo mandato perché guidassi i Padawan in un’azione di gruppo. Sì, hai sconfitto il nemico ma la prova a cui ti abbiamo sottoposto l'hai fallita completamente!”
“C'è rabbia nella tua voce...”
“Non sono arrabbiato,” replicò Hajime con tono fermo. “Sono deluso, molto deluso. Tutti noi lo siamo.”
“Il sentimento è ricambiato,” disse Tobio freddamente.
Hajime reclinò la testa da un lato. “Con che autorità sostieni una cosa simile?”
“Si presumeva che dovessi guidare degli uomini, giusto?” C’era arroganza nella voce di Tobio. “Quelli sotto i miei ordini erano mocciosi che pretendevano li tenessi per mano.”
“Attento a ciò che dici, Tobio,” gli disse Hajime facendo un passo avanti. “Questo tuo atteggiamento non mi piace affatto. Ti abbiamo messo nelle mani quei ragazzi perché sono cresciuti insieme a te. Avete la stessa età, dovrebbe essere più facile per voi trovare un equilibrio.”
“Potremmo avere la stessa età ma non siamo allo stesso livello.”
“Tobio!”
“Come si presume che possa diventare più forte se mi lasciate con i più deboli?”
Hajime batte una mano sul tavolo e Tobio si fece immediatamente rigido. Passarono alcuni istanti di totale silenzio, poi il primo sospirò e recuperò il controllo di sé immediatamente. “Non si tratta di essere i più forti, Tobio,” gli disse con voce notevolmente più calma. “Mi pareva di avertelo insegnato.”
Il giovane abbassò lo sguardo dispiaciuto. “Non volevo suonare irrispettoso, mi spiace.”
“Questo non devi dirlo a me,” replicò Hajime. “Dovresti dirlo ai ragazzi che hai abbandonato a loro stessi nell'ultima missione.”
“Sono vivi...”
“Non grazie a te.”
Gli occhi blu si sollevarono di nuovo. “È questo il mio errore? Guardare avanti, verso la vittoria e non curarmi di chi è alle mie spalle?”
“Devi avere fiducia in chi è alle tue spalle, Tobio ma vale anche al contrario... Altrimenti, potresti concedere al nemico una possibilità di colpirti di sorpresa senza neanche rendertene conto.”
Tobio annuì, un po' troppo distrattamente perché Hajime potesse credere che lo aveva ascoltato fino in fondo ma non era nulla di nuovo: quel ragazzo non ascoltava mai prima di essere inciampato nei suoi stessi errori e il più grande timore del suo Maestro era che, un giorno, una di quelle cadute gli sarebbe stata fatale.
Scosse la testa: pensare negativo avrebbe solo oscurato la sua capacità di giudizio e con un Cavaliere Jedi di soli quattordici anni tra le mani, doveva rimanere lucido e attento.
“Hai degli ordini per me?” Domandò Tobio.
Sì, effettivamente Hajime aveva dei nuovi ordini per lui. In primo luogo, lo aveva cercato per assicurarsi che stesse bene, poi Yuutaro gli aveva fatto direttamente rapporto riguardo alla missione da cui erano rientrati durante la notte ed allora i motivi della sua visita si erano fatti più complicati. Tobio era già grande sotto punti di vista che intimorivano anche i più anziani ma doveva crescere ancora un po’ perché potesse lasciarlo andare.
“Attenderanno...” Rispose.
Tobio inarcò un sopracciglio.
“Voglio che aggiusti quelle armi,” ordinò Hajime.
Tobio si voltò verso il cumulo di ferraglia alle sue spalle e sgranò gli occhi. “Tutte quante?!”
“Una per una, Tobio.”
“È un lavoro che dovrebbe spettare ai Padawan!”
“Oh, bene!” Esclamò Hajime con una punta di sarcasmo. “Per te non dovrebbe essere che un gioco da ragazzi, allora!”
“Maestro!”
Hajime gli lanciò un'ultima occhiata esasperata, eppure sorrideva. “Non sono più il tuo Maestro, Tobio,” replicò. “Ciò però non toglie che tu sei ancora un bambino. Non farti vedere di sopra prima che tutto qui dentro sia in ordine.”
 
 
 
Tobio era nato per essere un Cavaliere Jedi.
Altra risposta per spiegarsi il prodigio vivente che era non esisteva.
Era venuto alla luce all’interno del Tempio Jedi del pianeta di Seijou in un giorno d’inverno forse più freddo degli altri ma di cui nessuno aveva memoria. Delle sue origini o dei genitori che lo avevano messo al mondo nessuno sembrava sapere nulla e, ben presto, molti si erano risposti che Tobio doveva essere il risultato di qualche relazione contro le regole che l’Ordine aveva adeguatamente insabbiato.
Non sarebbe stato né il primo, né l’ultimo e non era un mistero che lo stesso Maestro Ukai avesse un evento del genere alle spalle. Tra tutte le storie non raccontate, però, quella di Tobio doveva essere speciale.
Come lui, del resto...
 
 
 
La storia che venne scritta a partire da quel giorno di primavera, però, fu tutta un’altra cosa.
 
 
 
Quel giorno, fu come se l’incarnazione della Forza stessa avesse varcato le porte del Tempio Jedi di Seijou e chiunque fosse nelle vicinanze al momento, Padawan o Cavaliere, non poté non cessare di fare qualsiasi cosa stesse facendo per sollevare gli occhi alla ricerca della fonte di tanto potere senza trovarla.
Anche Hajime si era sentito così nelle prime ore della mattina, poi Yuutaro era venuto da lui per raccontargli dello svolgimento della missione appena terminata ed ogni suo pensiero era andato a Tobio isolandolo completamente da tutto il resto. Era il suo peggior difetto da quasi quindici anni ma aveva perso da tempo l’ambizione di definirsi un Cavaliere Jedi degno di questo nome e c’erano giorni in cui non poteva evitare di pensare che l’Ordine lo tenesse per le sue effettive capacità sul campo e la sua indubbia lealtà, piuttosto che per la sua alquanto scarsa devozione al Codice.
Col tempo, si era stufato anche di nasconderla ma, a differenza di chi aveva saputo mentire meglio di lui, non aveva ancora tradito nessuno, tantomeno se stesso.
Daichi lo aspettava sulla grande balconata che dava sui giardini e Hajime si accorse immediatamente della confusione nei suoi occhi nel vederlo da solo. “Dov’è Tobio?”
“In punizione...”
L’altro inarcò un sopracciglio, l’angolo della sua bocca si sollevò in una smorfia divertita. “Hai messo il nostro Cavaliere più potente in punizione?”
“Potrebbe essere anche a capo del Consiglio per quel che mi riguarda,” replicò Hajime. “Ha quattordici anni e se commette degli errori deve pagarne le conseguenze.”
“Non sei più il suo Maestro, Hajime,” gli ricordò Daichi appoggiando un braccio al parapetto di marmo.
“Nessuno di noi lo è più,” replicò l’altro. “Eppure, continuiamo ad educarlo...”
“È un Cavaliere ma deve crescere.”
“Appunto, deve crescere.”
“Proprio per questo volevo che lo portassi con te.”
Fu il turno di Hajime di guardarlo confuso e Daichi continuò a sorridergli gentilmente, poi indicò i giardini sottostanti con un gesto del capo. Hajime appoggiò entrambe le mani sul parapetto e guardò di sotto. I ragazzi si erano tutti ritirati per i loro doveri del giorno con l’esclusione dei Padawan che avevano partecipato all’ultima missione guidata da Tobio ed il Jedi vide solo due persone ancora impegnate ad allenarsi. Uno lo conosceva bene: era Koushi, erano stati Padawan insieme e compagni di missioni innumerevoli volte, come Daichi. Era il ragazzino che aveva di fronte la vera novità.
Hajime non credeva di averlo mai visto: era minuto, troppo rispetto agli adolescenti che camminavano lungo i corridoi del Tempio Jedi; i capelli erano corti, ribelli e dello stesso colore del tramonto. Koushi gli parlava col sorriso gentile con cui era solito rivolgersi a tutti, mentre il piccoletto muoveva le labbra velocemente e con espressione costernata, come se si stesse scusando a ripetizione per qualcosa.
“Lui è Shouyou,” disse Daichi.
Hajime annuì una volta. “E ha attirato la nostra attenzione perché?”
Daichi lo guardò come se stesse mancando di vedere qualcosa che gli era stato sbattuto bellamente in faccia. “Non ha un padre...”
“Non è il primo e non sarà l’ultimo in questa galassia.”
“Nemmeno per sua madre ce n’è mai stato uno,” aggiunse Daichi con voce notevolmente più seria. Hajime non rispose. Gli occhi verdi si fissarono sulla figura minuta del ragazzino e strinse appena le palpebre mentre cercava di capire qualcosa che, evidentemente, andava al di là della sua capacità di comprensione.
Da quanto tempo non percepiva più la Forza in quel modo?
“Notevole, vero?” Domandò Daichi. “Davvero non te ne eri accorto? È praticamente impossibile non sentirla...”
“Quando si tratta di Tobio non sento più nulla, lo sai bene,” replicò Hajime, gli occhi ancora fissi sul ragazzino che gesticolava nervosamente davanti a Koushi. “Chi lo ha trovato?”
“Io e Koushi,” confessò Daichi. “Per puro caso, a dire il vero... Era in un pianeta praticamente isolato da qualsiasi controllo della Repubblica. Ci servivano rifornimenti e Shouyou era lì.”
“Shouyou?”
“Sì, è il suo nome.”
“Quanti anni ha?” Domandò Hajime trovandosi incapace di determinarlo da solo.
“Quattordici,” rispose Daichi. “Quindici all’inizio dell’estate. Ha la stessa età di Tobio.”
Hajime fece una smorfia. “Assurdo, è troppo grande...” Si allontanò dal parapetto. “Non può funzionare.”
Daichi gli andò dietro. “Perché, no?”
L’altro Jedi gli lanciò un’occhiata. “Prima di tutto, il Consiglio non lo permetterà mai anche solo per la sua età...”
“Il Maestro Ukai ha già dato la sua approvazione,” rispose immediatamente Daichi.
Hajime si bloccò e lo guardò esterrefatto. “Keishin Ukai?”
“No,” l’altro scosse la testa. “Ikkei Ukai.” Sorrise soddisfatto. “Vedo che non hai più così tanta fretta di andartene.”
Hajime era rimasto a bocca aperta, completamente senza parole. Ikkei Ukai non era il genere di Anziano del Consiglio devoto al Codice fino ad essere un bigotto ma dopo tutto quello che era successo prima e dopo la nascita di Tobio, tutti si erano convinti che l’era dei casi speciali e delle eccezioni fosse definitivamente finita in favore di una condotta più rigida da parte di tutti.
“Vieni,” lo invitò Daichi muovendo un passo in direzione dell’ascensore per accedere ai giardini. “Te lo presento.”
“Che cosa ha a che fare Tobio con tutto questo?” Domandò Hajime con evidente urgenza, non era certo che il coinvolgimento del suo ex allievo in tutta quella storia gli facesse piacere: quel ragazzino... Quel Shouyou emanava una Forza che non aveva mai percepito prima, nemmeno in...
“Il Maestro Ukai ha un progetto,” spiegò Daichi. “Vorrebbe che Tobio prendesse Shouyou come suo Padawan.”
Hajime sgranò gli occhi verdi. Se prima era rimasto senza parole, ora non sapeva proprio come sentirsi. “Che assurdità è mai questa?”
Daichi scrollò le spalle e gli sorrise paziente. “Tecnicamente, Tobio è un Cavaliere Jedi e può avere un allievo, se lo desidera...”
“Appunto, se lo desidera,” lo interruppe Hajime. “Tobio non si cura nemmeno dei ragazzi che sono cresciuti insieme a lui, che sono stati addestrati fin dai primi passi! Mettere quel ragazzino nelle sue mani è pura follia!”
“Proprio per questo il Maestro Ukai pensa che sia una buona idea,” disse Daichi.
“Spiegati...”
“Tobio è senza precedenti, Hajime,” cercò di spiegarsi Daichi gentilmente. “Shouyou non ha alcuna preparazione per essere uno Jedi ma ha più potenziale di quanto chiunque in questo Tempio abbia. Dagli il tempo d’imparare ad impugnare una spada e ci supererà tutti in pochi mesi ed allora a chi lo affideremo?”
“A chi lo ha già fatto prima di lui,” concluse Hajime con voce atona.
Daichi annuì. “Tobio imparerà ad essere responsabile della vita di qualcuno, imparerà a capire cosa vuol dire avere un compagno e Shouyou... Beh, imparerà tutto il resto dall’unico Jedi in grado di tenergli testa che abbiamo.”
“A quanto ammontano i Midichlorian?” Domandò Hajime.
Daichi aprì la bocca, poi la richiuse ed abbassò lo sguardo.
“Daichi...” Insistette l’altro.
“Superano la scala,” fu la risposta.
Hajime sentì il respiro venirgli meno per un istante. “Superano la scala...” Non era una domanda, aveva capito benissimo la prima volta.
Daichi alzò le spalle un’altra volta. “Dovremmo essere abituati a simili grandi eventi!” Forzò un sorriso. “Dopotutto, anche per Tobio è lo stesso.”
“Ma Tobio non è stato il primo...” Disse Hajime fissando un punto nel vuoto. “Un bambino nato senza padre e con un livello di Midichlorian nel sangue che supera la scala di valutazione.”
Il sorriso sul viso di Daichi morì di colpo come quegli occhi verdi lo guardarono glaciali.
“Il Maestro Ukai vuole mettere un mostro simile nelle mani Tobio?”
Si voltò di colpo e prese a camminare a passo di marcia verso l’interno del Tempio. Daichi lo fissò confuso mentre si allontanava. “Dove vai, ora?”
“Dal Maestro Ukai,” rispose Hajime senza voltarsi.
Daichi sgranò gli occhi, fece un passo in avanti e spalancò la bocca.
L’altro Cavaliere Jedi si fermò e lo guardò da sopra la propria spalla con un’espressione che avrebbe congelato chiunque. “Non provare a fermarmi!”
 
 
***
 
 
Il Maestro Ikkei Ukai era in riunione con Il Maestro Takeda e con suo nipote, il Maestro Keishin, quando Hajime irruppe nella sala del Consiglio senza bussare, né tantomeno farsi annunciare.
Il vecchio non sembrò particolarmente sorpreso di vederlo e così nemmeno gli altri due, in piedi davanti a lui. Ikkei sospirò profondamente come se stesse facendo appello a tutta la sua pazienza per affrontare la discussione che stava per svolgersi all’interno di quella stanza circolare dalle pareti di vetro. “Hajime, sie...”
“No, grazie, resto in piedi,” lo interruppe il Jedi facendosi avanti a testa alta. “Esattamente quand’è che ha preso forma questa follia che vede Tobio come Maestro di un ragazzino sicuro quanto una bomba spaziale sul punto di esplodere?”
Takeda fu il primo ad intervenire, un sorriso cordiale stampato in volto. Era uno di quei Jedi che avevano preferito la riflessione, lo studio e la conoscenza alle scene d’azione del campo di battaglia. Per Hajime e per tutti gli altri era sempre stato quello a cui fare domande perché sembrava possedere il prodigioso dono di conoscere tutte le risposte e le concedeva ad ognuno con pazienza invidiabile. Probabilmente, era tra i pochi che più si avvicinavano all’immagine del Jedi perfetto illustrata dall’Antico Codice.
“Hajime, t’invito a riflettere sulla questione non appena le tue emozioni si saranno quietate abbastanza perché la ragione faccia la sua parte.”
Al suo fianco, Keishin alzò gli occhi al cielo. “In poche parole, stai zitto e ascolta.”
Takeda lo guardò un poco basito ma Ikkei sembrava non aver tempo da perdere con nessuno dei due. “Andate,” ordinò. “Non è una questione che si possa risolvere in democrazia ed usando la ragione.”
Hajime continuò a tenere gli occhi fissi sul viso del vecchio e non si curò dei due che si lanciavano occhiate un poco preoccupate ma ubbidivano comunque all’ordine e lo superavano senza aggiungere altra parola. Il rumore della porta che si richiudeva fu ciò che diede al Cavaliere Jedi il permesso di parlare. “Sarò breve,” disse. “Il tuo progetto è un fallimento ancor prima che divenga realtà. Vuoi quel ragazzino tra le nostre file? Non posso impedirtelo ma tieni Tobio lontano da lui, è già abbastanza instabile senza la compagnia di una mina vagante.”
Ikkei aspettò che avesse finto, il mento appoggiato ad un pugno chiuso. “Mi limiterò a dirti che non hai alcun potere riguardo a questa questione. Tobio non è più il tuo Padawan... Non è più il Padawan di nessuno di quelli che l’ha cresciuto con te. Le questioni che lo riguardano appartengono solo a lui, ora.”
“La sua risposta è no prima ancora che tu glielo chieda,” disse Hajime con un mezzo sorriso. “Risparmiati una perdita di tempo e passa oltre...”
“Nemmeno Tobio ha un simile potere.”
“Oh, siamo passati dalla libertà di scelta alla schiavitù, ora?”
“Non essere irrispettoso nei confronti del nostro Ordine,” lo avvertì Ikkei.
Hajime fece una smorfia. “Mi sembra un po’ troppo tardi per questa lezione, Maestro,” replicò. “Arriva con un ritardo di almeno quindici anni.”
Il viso di Ikkei si rabbuiò un poco. “No, la verità è che non hai mai voluto impararla... Né tu, né tutti quelli della tua generazione.” Fece una pausa. “E la prole sembra seguire il buon esempio...”
“Tobio è incontrollabile,” Hajime annuì. “Per questo non gli può affidare un Padawan con un potenziale come quello e senza le basi per essere un Jedi! Nel migliore dei casi, si ammazzeranno a vicenda prima di mettere piede su di un campo di battaglia reale.”
“La guerra non durerà per sempre.”
“Ma noi ne staremo ancora combattendo una tra centinaia e centinaia di anni,” replicò il Jedi con una nota di sarcasmo. “Evitami la storia dei protettori della pace o delle profezie. Di colui che porterà equilibrio nella Forza o illusioni simili! Non ci credo più! Siamo i soldati d’élite della Repubblica ed impediamo ai Sith di prendere il potere, né più, né meno! La vecchia filosofia è morta e la mia generazione le ha solo dato il colpo di grazia!”
Ikkei sbuffò annoiato. “Certo che sprechi un sacco di parole per una battaglia verbale che non puoi vincere.”
“Tobio non si avvicinerà a quel ragazzino.”
“Ci hai parlato?” Domandò il Maestro. “Con Shouyou, intendo...”
“No...”
“Dovresti. Ti sorprenderà quanto il tuo giudizio cambierà allora!”
Hajime fece una smorfia. “Ho passato tutta la vita accanto ad una persona solo per rendermi conto che non la conoscevo affatto e dovrei cambiare parere su un giovane sconosciuto dopo averci fatto una chiacchierata?”
Ikkei gli rivolse un sorrisetto e il Jedi comprese troppo tardi di avergli concesso lo spiraglio che contava di trovare e che sarebbe andato di sicuro a suo discapito. “È questo che rende la Forza in te così turbolenta, dunque,” concluse come se lo avesse saputo fin dal principio. “Un bambino senza padre ed un livello di Midichlorian nel sangue che può far pensare che sia stato concepito da questi... O, meglio, possiamo pensarlo ora che abbiamo almeno un precedente.”
Hajime strinse le labbra: non sarebbe mai caduto nelle provocazioni del vecchio!
Ikkei ridacchiò con se stesso. “Koushi mi ha raccontato che non appena hanno cominciato a parlare di Jedi, il piccoletto si è fatto subito tutto euforico e con occhi brillanti ha affermato che è sempre stato il suo sogno diventarne uno!”
“Le storie che sentono i bambini su di noi non riflettono la realtà delle cose,” replicò Hajime. “Questo mondo... Il nostro mondo lo si può comprendere soltanto vivendolo. Quel ragazzino ha vissuto quattordici anni in una realtà le cui regole non sussistono per un Jedi. Con che superbia pensiamo di cambiare una cosa simile?”
“Non c’era nulla nel suo mondo per cui valesse la pena rimanere,” aggiunse Ikkei. “Non credo faticherà poi così tanto a venire a patti con il Codice, come dici tu. Non che tu ci sia mai riuscito, dopotutto.”
“Neanche tu...” Replicò Hajime e Ikkei rimase in silenzio per un lungo minuto dopo quella frecciatina non poi così tra le righe. Keishin Ukai era suo nipote e questo era sufficiente a far capire quanto avesse disubbidito al Codice a sua volta in gioventù.
“Sconfitto con un colpo, Cavaliere Jedi,” disse il Maestro con un sorriso soddisfatto. “Non hai parlato molto da ragazzino ma quelle volte che lo facevi...” Scosse la testa. “Se è una rassicurazione di cui hai bisogno, sappi che non sono dell’idea che quello che è successo a te possa accadere anche a Tobio con Shouyou.”
“Non puoi darmi la certezza, però. Io pretendo quella.”
Ikkei lo fissò duramente. “Hajime, mandi Tobio a rischiar la vita da quando aveva tredici anni.”
“Non mi è piaciuto neanche quello ma ero lì quando succedeva.”
“Non puoi esserci sempre.”
“Lo so...”
“Come c’eri sempre anche con lui ma nel momento in cui ha alzato gli occhi verso di te e non ti ha trovato, non ha esitato ad afferrare la mano del Lato Oscuro.”
Hajime strinse i pugni con rabbia. “Non è così!” Esclamò. “E tu lo sai bene, come lo sa bene chiunque ci fosse, quindi smettila di fare leva su di lui per ottenere la mia approvazione. Tobio non sarà il Maestro di Shouyou e non ho intenzione di aspettare che quel ragazzino torni morto dopo la sua prima missione per potervi dire ve l’avevo detto!”
“Vedo che non comprendi la reale importanza di questo progetto, Hajime,” disse Ikkei. “Non era mia intenzione dirlo così apertamente ma mi trovo costretto.”
“Di che cosa stai parlando?”
“Dei ragazzi che Tobio ha quasi fatto uccidere ieri notte,” rispose il Maestro. “Del fatto che gli abbiamo dato una missione con un ruolo di comando dimostrando la nostra fiducia e l’ha tradita completamente giustificandosi con l’inadeguatezza degli stessi Padawan che sono cresciuti con lui. Non ha mai messo in discussione se stesso, nemmeno per un istante.”
Hajime sapeva che era la verità e non c’era nulla che potesse dire a discolpa del suo ex allievo.
“È il Cavaliere Jedi più forte della sua generazione e, probabilmente, di molte che lo hanno preceduto ma in questo preciso momento quello che l’Ordine realmente teme non è Shouyou, è lui.”
Hajime si fece rigido e non parlò.
Ikkei se ne accorse e si alzò in piedi. “Quella di Tobio è la condotta di un Sith. Parla di potere, di vittoria, di essere più forte. Sono parole che conosciamo bene entrambi e sappiamo a cosa portano simili pensieri con un potere come quello che scorre nel suo sangue.”
“Tobio non è passionale,” si sforzò di dire Hajime. “Non vuole essere altro che un Cavaliere Jedi, non ha altro desiderio che possa pericolosamente distogliere la sua attenzione da quella strada.”
“Non lo è semplicemente perché la passione non l’ha mai conosciuta,” replicò Ikkei. “È diverso dall’averla domata. Quanto tempo pensi che passerà prima che un Sith se ne approfitti e lo tenti?”
Hajime si lasciò sfuggire una risata. “Tobio è talmente perso nel suo mondo per simili cose. È ancora un bambino, come posso mettergliene nelle mani un altro?”
“Non è un bambino. È un Cavaliere Jedi che deve dimostrarci qualcosa, prima che divenga ufficialmente pericoloso per tutti noi.”
Il Cavaliere sollevò lo sguardo atterrito sul Maestro. “Perché dovrebbe correre un simile pericolo se non tradisce?”
Ikkei sospirò. “Lasciare i propri compagni a morire per dissetare una personale sete di gloria non è poi così diverso da un tradimento, Hajime.”
Il Cavaliere Jedi gelò e non poter ribattere alle parole del Maestro non fece che aumentare il suo senso d’impotenza. “Shouyou è l’ultima speranza di Tobio. È questo che tutti state cercando di dirmi?”
“Tobio doveva essere l’ultima speranza di tutti noi,” replicò Ikkei. “Come doveva esserlo lui. Non posso permettere che anche Tobio si trasformi in una minaccia.”
Hajime prese un respiro profondo, timoroso. “Se Tobio diviene il Maestro di Shouyou... Se dimostra di essere degno del titolo di Cavaliere Jedi...”
“Allora la speranza tornerà a brillare,” concluse Ikkei. “E se quel piccoletto si dimostra degno del potere che gli scorre nel sangue, Tobio non sarà più costretto a portare un simile fardello sulle spalle completamente da solo.”

 
***
 
 
Shouyou non era nato in un pianeta protetto dalla Repubblica.
Non aveva mai saputo cosa fosse la pace, nel suo mondo la gente moriva per strada anche per una semplice rissa. Non aveva mai saputo cosa fosse la libertà, per il bene di entrambi sua madre aveva dovuto rinunciarvi per trovare un padrone che potesse garantire loro protezione in cambio di lavoro. Il sole era molto caldo durante il giorno e le notti erano troppo fredde e pericolose perché Shouyou potesse uscire all’esterno per guardare le stelle. Non c’erano finestre nella sua camera. Non c’era nulla nella sua vita che lo spingesse ad avere speranza.
Eppure, Shouyou non aveva mai smesso di sognare.
Quando scendeva la notte e tutto si faceva silenzioso, non gli bastava che chiudere gli occhi per vedere tutto quello che non gli sarebbe mai appartenuto. Sentiva in sé vibrazioni che andavano oltre il suo corpo, percepiva pensieri che non erano generati dalla sua mente o emozioni che non provenivano dal suo cuore.
Shouyou chiudeva gli occhi ed era come sentire la vita dell’Universo intero battere nel suo petto e quella era una libertà, una speranza che non avrebbe mai potuto togliergli nessuno.
Per questo, Shouyou non aveva mai smesso di sorridere, di arrabbiarsi, di essere se stesso sempre e comunque. La galassia poteva anche essere troppo grande per accorgersi di lui ma Shouyou la sentiva e tanto bastava per non farlo sentire perduto.
Fino al giorno in cui aveva incrociato quei due Jedi sul suo cammino.
“È stata la Forza a portarci da te,” aveva detto gentilmente Koushi stringendogli entrambe le mani. “Non devi temere nulla, Shouyou. Ci prenderemo cura di te.”
Era stato Daichi a parlare con sua madre.
Shouyou non aveva capito molto della loro discussione ma si era accorto che la mamma piangeva, nonostante il Jedi le stesse parlando con calma e molto gentilmente. Solo dopo aveva compreso e tutta l’euforia di fronte alla prospettiva di divenire Cavaliere Jedi si era frantumata contro la cruda realtà: il cammino che stava per percorrere era suo e non della mamma.
Alla fine, lei aveva trovato il coraggio di spingerlo ad andare, ad affacciarsi su di un futuro migliore di quello che lei potesse offrirgli e Shouyou aveva trovato quello di non voltarsi mentre Koushi gli stringeva la spalla e Daichi li guidava verso la nave spaziale.
Aveva pianto, Shouyou.
Aveva pianto al punto che Koushi era dovuto restare accanto a lui per tutto il viaggio, coprendolo con una coperta per farlo smettere di tremare.
La mamma non c’era più e Shouyou sentiva l’universo come mai lo aveva sentito prima.
E così, tra le lacrime ed il freddo dello spazio, Shouyou aveva fatto il suo primo passo sulla strada che lo avrebbe reso un Cavaliere Jedi.
Quello che non gli era stato detto era che quel cammino non lo avrebbe compiuto da solo.
 
 
 
Il pianeta di Seijou era bellissimo. Non era caldo e polveroso come il mondo da cui veniva Shouyou. Il Tempio Jedi era circondato da immensi giardini pieni di alti alberi, fiumiciattoli e fiori che il ragazzino si ritrovava spesso a fissare incantato perdendo il filo del discorso.
Koushi rise. “Quella è una farfalla,” disse pazientemente e Shouyou allontanò immediatamente l’attenzione da quella strana creatura variopinta che l’aveva rapita. “Oh, mi dispiace!”
Koushi scosse la testa. “Non fa niente,” rispose. “Deve essere tutto completamente nuovo per te.”
“Eccome!” Esclamò Shouyou con un gran sorriso continuando a guardarsi intorno come se da ogni angolo potesse venir fuori qualcosa di sconosciuto e meraviglioso. Erano seduti sull’erba, in riva ad un fiumiciattolo dalle acque cristalline. Shouyou non aveva mai visto acqua tanto pulita in tutta la sua vita e l’idea di berla gli sembrava quasi un crimine. “Perciò, io diventerò il Padawan tuo e di Daichi, giusto?” Domandò con un sorriso speranzoso.
Il sorriso di Koushi divenne esitante per un istante. “No, Shouyou, mi dispiace... Il Consiglio ha altri progetti per te.”
Gli occhi d’ambra si fecero enormi. “Il Consiglio non vuole che mi addestriate? Ma il vecchio sembrava soddisfatto dopo avermi messo alla prova!”
Koushi si morse l’intero guancia per non ridere del modo in cui il Maestro Ikkei era stato nominato e si limitò a scuotere la testa. “Non si tratta di questo. Il Consiglio ha semplicemente scelto un Maestro per te che non sia né io né Daichi.”
Shouyou annuì ma parve comunque molto dispiaciuto. “Tu e Daichi mi piacevate.”
“Ne sono lusingato,” disse Koushi. “Ma io non sono Cavaliere, mi occupo della conoscenza della Forza ma non la uso in combattimento. Non sono molto abile con la spada.”
Shouyou inarcò un sopracciglio. “Esistono Jedi che non sono abili con la spada?”
“Quelli che preferiscono i libri, gli studi e la riflessione, per esempio.” Koushi rise della faccia inorridita che il ragazzino fece a quel punto. “Tranquillo, nessuno pretende cose del genere da te. Sarai affidato al migliore Cavaliere Jedi attivo sul campo che abbiamo in questa generazione.”
Gli occhi d’ambra si accesero nuovamente. “Davvero?” Tornò serio di colpo. “Ma un tipo burbero come il vecchio?” Domandò timoroso.
Koushi scrollò le spalle. “Ho avuto il mio ruolo nella sua educazione e non posso dire che sia un ragazzo solare, però...”
“È un ragazzo?” Shouyou reclinò la testa confuso. “Cioè è giovane? Non è uno di quei vecchi che combattono da secoli e secoli?”
“Nessuno combatte da secoli e secoli, Shouyou. Siamo Jedi ma non siamo immortali!” Rispose Koushi divertito. “Ad essere precisi, comunque, è sei mesi più giovane di te.”
Shouyou fece una smorfia. “Cosa? Ma io mi aspettavo un grande Maestro, tipo quelli delle storie che si sentono in giro...”
“Credimi,” disse Koushi in totale sincerità. “È giovane ma ha tutte le carte in regola per diventare uno dei grandi Jedi di quelle storie.”
 
 
***
 
 
Quado Hajime era uscito da quella porta costringendo Tobio a starsene confinato nella sala delle armi per il resto della giornata, il ragazzo si era ripetuto più volte, un’arma aggiustata dopo l’altra, che avrebbe volentieri compiuto qualsiasi altro dovere, piuttosto che starsene seduto a fare il lavoro di un Padawan comune.
Meno di un’ora dopo, Hajime era tornato e lo aveva fatto con una missione tra le mani che gli era stata assegnata dal Maestro Ikkei Ukai in persona. C’era voluta una buona mezz’ora perché il suo mentore gli spiegasse tutta la faccenda, si soffermasse sui dettagli ed arrivasse alla conclusione.
In breve: a Tobio era stato assegnato un Padawan della sua stessa età senza nessuna preparazione preliminare alla vita Jedi ma che i vecchi dell’ultimo piano si aspettavano diventasse una sorta di prodigio se messo nelle mani giuste.
Hajime aveva fissato Tobio.
Tobio aveva fissato Hajime.
Alla fine, il più giovane si era voltato verso la ferraglia sparsa di fronte a lui sul tavolo ed aveva ripreso ad aggiustare la spada-laser che aveva tra le mani come se non gli fosse stata appena offerta una via di fuga da quell’ingrato compito.
Un colpo alla nuca fu ciò che gli impedì di continuare ad ignorare Il fatto.
“Rispondimi quando ti parlo,” sibilò Hajime e gli occhi blu si sollevarono immediatamente sui suoi e l’ex Maestro vi lesse dentro tutta la discussione polemica che stava per seguire.
“Cosa si aspettano che faccia?” Domandò Tobio irritato. “Che compia un miracolo?”
Sì, esattamente, Hajime lo pensò ma non lo disse.
“Se a quattordici anni non ha mai tenuto tra le mani una spada laser, come pensano che potrà mai diventare un Cavaliere efficiente? Sarò vecchio prima che riesca e non farsela cadere sui piedi... Attiva!”
Hajime prese un respiro profondo: lo sapeva... Oh, sì, l’aveva saputo fin dal principio che sarebbe stata una discussione lunga ed infruttuosa ma era stato educato per essere un Cavaliere Jedi, poco importava se lungo la strada si era perso quasi in via definitiva, questo gli imponeva di mantenere una certa calma e compostezza e provare a fare appello alla ragione di Tobio, prima di passare alle maniere forti e prenderlo a calci da lì ai giardini.
“Tobio, la tua condotta è stata aspramente giudicata.”
Gli occhi blu si fecero indignati. “Ho appena riportato una vittoria contro i Sith!”
“Al Consiglio non piacciono i tuoi metodi di ottenerla. Non quando sei evidentemente troppo preso da te stesso svantaggiando i tuoi compagni Jedi.”
“Quei Padawan non erano adeguati!”
Hajime strinse le labbra. Proprio come aveva detto Ukai: non un pentimento, non un segno di autocritica. Tobio era tornato vittorioso e tanto gli bastava, le vite che quasi aveva sacrificato non avevano alcuna importanza per lui.
“La tua vittoria per il Consiglio è terribilmente simile ad un tradimento all’Ordine, Tobio.”
A quel punto, gli occhi blu si fecero grandi, pieni d’incomprensione. “Per quale ragione? Combatto per loro, non mi sognerei mai di...”
“Lo so,” lo interruppe Hajime. “Ma abbiamo delle regole... Regole che non tutti siamo portati a rispettare alla letterale ma ce ne sono alcune che nessun Maestro dovrebbe sentirsi in obbligo di spiegare a voce: rispetto per chi combatte al tuo fianco, lucidità quando ti trovi ad affrontare una situazione pericolosa ed umiltà. Nessuno è invincibile da solo, Tobio.”
Aveva perso il conto delle volte che glielo aveva ripetuto e solo il cielo sapeva quanto Hajime si fosse sforzato perché Tobio facesse suo quel concetto. Non sei da solo! Non combatti da solo!
Il ragazzo strinse i pugni. “Questa è una punizione, quindi?”
“No,” Hajime scosse la testa. “È una possibilità per porre rimedio ai tuoi errori, per guadagnarti di nuovo la stima del Consiglio e dei tuoi compagni. Una seconda possibilità per dimostrarti un grande Cavaliere Jedi.”
Tobio scattò in piedi. “Io sono un grande Cavaliere Jedi!”
Hajime lo guardò duramente. “Non ancora, Tobio,” disse scuotendo appena la testa. “Plasma quel ragazzino in un Cavaliere Jedi ed allora sarai degno di essere chiamato Maestro.”
“Non si diventa Jedi in un giorno!” Esclamò Tobio esasperato. “Chiunque sia questo moccioso, non potrà mai diventare quello che il Consiglio vuole in poco tempo!” Tornò a sedersi con un sospiro scocciato e riprese a suddividere pezzi di ricambio a seconda dell’arma a cui corrispondevano.
Hajime si umettò le labbra. “Il livello di Midichlorian nel suo sangue supera la scala di valutazione,” disse con voce atona e molto lentamente, così che l’altro potesse udire chiaramente ogni sua parola.
Tobio si fece immobile e, lentamente, quegli occhi blu si fissarono in quelli verdi del Maestro.
Hajime sorrise soddisfatto. “Adesso sì che stai ponendo attenzione...”
 
 
***
 
 
Il primo incontro tra Tobio e Shouyou avvenne nella sala del Consiglio al cospetto di sei Jedi di ben tre generazioni diverse.
“Shouyou,” disse Koushi posando entrambe le mani sulle spalle del ragazzino. “Lui è Tobio e sarà il tuo Maestro da oggi in avanti. Avete la stessa età, non hai ragione di sentirti intimorito.”
Sembra più grande, però, pensò Shouyou e non gli piacque molto il modo in cui doveva alzare lo sguardo per guardare il suo così detto Maestro in faccia. Era alto, molto alto. Decisamente più alto di lui, comunque ed aveva le spalle larghe e l’espressione di seria di uomo già adulto. Tuttavia, Shouyou non poteva fare a meno di guardare i suoi occhi. Non c’era colore sul Pianeta di Seijou che non lo avesse incantato ma non aveva mai visto un blu simile nelle iridi di una persona.
Tobio fece un passo in avanti e, intimorito, Shouyou si ritrasse fino quasi a nascondersi dietro a Koushi. Il Cavaliere Jedi fece una smorfia scocciata e si voltò in direzione del giovane uomo alle sue spalle che, però, lo fulminò con uno sguardo e Shouyou ebbe quelle iridi blu su di sé ancora una volta. Non ci voleva certo un genio per capire che non era molto felice di essere lì. “Qual è il tuo nome?”
Shouyou si fece coraggio e mosse un passo avanti. “Shouyou, Maestro...” Rispose timoroso.
“Chiamami per nome,” replicò Tobio. “Maestro è un titolo per i vecchi, non lo sai?”
Il giovane alle sue spalle si diede una manata in faccia. Il vecchio Maestro borbottò qualcosa lungo la linea del “vecchio a chi?”. Tutti gli altri tentarono di essere inflessibili di fronte a tanta arroganza e Shouyou non seppe come reagire. Era normale che un Jedi così giovane si prendesse gioco tanto liberamente dei suoi superiori? Koushi gli aveva detto che era il più forte della sua generazione, tuttavia...
“Posso chiamarti Tobio?”
“È il mio nome, stupido,” rispose l’altro come se la risposta fosse ovvia ed il Cavaliere alle sue spalle non mancò di lanciargli un’occhiata decisamente irritata. Shouyou stesso sentì che quel comportamento sgarbato completamente gratuito cominciava a dargli seriamente sui nervi. “Dato che ti comporti come tale, potrei riservarti lo stesso rispetto e chiamare stupido anche te!” Esclamò mettendo su il broncio.
 
 
 
Ci vollero quattro Cavalieri Jedi per tenere fermo Tobio e, quando Shouyou cominciò a rispondere agli insulti, il Maestro Ikkei stesso fu costretto ad intervenire per ristabilire la pace.
 
 
***
 
 
 
Una volta che Tobio fu tornato nella sua stanza e Hajime cominciò a parlare, il più giovane fu certo che non sarebbe vissuto abbastanza per sentire la fine. Non disse nulla. Rimase seduto sul suo letto artigliando i pantaloni con entrambe le mani e fissando il pavimento sotto i suoi piedi senza vederlo.
“Che ti è saltato in mente?” Domandò il suo ex Maestro per l’ennesima volta camminando avanti ed indietro nervosamente.
Tobio si decise ad alzare gli occhi e a tentare di far valere le sue ragioni. “Quello non è un Padawan, è un piccolo idiota arrogante!”
Hajime gli puntò un dito contro. “Non osare dire nulla sull’arroganza, Tobio! Non tu!”
“Avrà anche un livello di Midichlonian incalcolabile ma questo non compensa per tutto il resto. minuto, non è cresciuto con i nostri insegnamenti e...”
“Oh, tu ci sei cresciuto eccome e non ho raccolto molti frutti in tal senso, non usare scusanti che non valgono nemmeno con te!”
Tobio mise su il broncio ma si guardò bene dal replicare: si era messo nei guai già abbastanza.
Hajime sospirò. “Ciò non cambia quello che è stato deciso...”
“Il vecchio si è bevuto il cervello! Non è possibile tirare fuori un Jedi da quel microbo!”
“Tobio, non avere l’arroganza di credere di saperne di più dei tuoi Maestri!”
“Dico solo la verità!”
“Mettilo alla prova! Dimostra davanti a tutti che hai ragione, se ci tieni tanto! Urlare non è modo adeguato per mostrarla questa tua verità!”
Tobio sbuffò esasperato. “Quello stupido è morto prima ancora che attivi la spada-laser!”
Hajime si passò una mano tra i capelli e s’impose di rimanere calmo. “Domani assisterò al vostro addestramento, va bene?” Propose. “Io e Koushi o Daichi. Giudicheremo le effettive capacità di Shouyou come Padawan e di te come Maestro ed allora rivaluteremo la decisione del Consiglio con nuovi elementi da prendere in considerazione.”
Tobio prese un respiro profondo. “Ti ringrazio...”
“Non farmene pentire,” disse Hajime premendo il pulsante per aprire la porta della sua camera. “Ora, dormi. Buonanotte, Tobio.”
“Buonanotte, Maestro.”
Hajime si fermò a guardarlo ma non perse tempo a correggerlo: certe abitudine erano, semplicemente, dure a morire e non doveva per forza essere un difetto.
“Cerca di dormire, Tobio...”
 
***
 
 
Il soffitto di Tobio era un’enorme vetrata che dava sull’immensa volta celeste.
Non aveva mai dovuto dormire nelle camerate insieme agli altri bambini ma non si era mai interrogato sul motivo di un simile privilegio. La sua educazione ed il suo addestramento erano stati diversi da quelli di tutti gli altri e, forse, si trattava solo di un’eccezione come tante messa in pratica nei suoi confronti.
Non che gli fosse mai dispiaciuto. La solitudine ed il silenzio erano sempre stati suoi alleati e non aveva mai pensato di sostituirli con qualcuno dei bambini che era stato addestrato al suo fianco da quando aveva memoria. C’erano ragazzi, come quelli che si erano dimostrati degli inetti nell’ultima missione che aveva guidato, che facevano parte della sua vita da quando aveva memoria e Tobio poteva tranquillamente affermare che non si sentiva legato a nessuno di loro.
Non avrebbe mai perso il sonno per averli messi in pericolo: erano apprendisti Jedi e conoscevano i rischi.
Tuttavia, i nervi che gli aveva messo quel nanerottolo e l’aspettativa di vederlo anche l’indomani erano abbastanza per impedirgli di rilassarsi. Non si era nemmeno scomodato a togliersi i vestiti, era rimasto steso sopra le coperte ed aveva contato e perso il conto delle stelle sopra di lui almeno tre volte quando si rese conto che avrebbero dovuto prenderlo a colpi in testa per fargli perdere i sensi.
“Maledizione...” Imprecò a bassa voce coprendosi gli occhi con un braccio.
Ci mancava solo che si presentasse al primo giorno di addestramento del nanerottolo barcollando per il sonno mancato. Eppure, da bambino, guardare le stelle era sempre stato sufficiente per farlo rilassare. Quei soli lontani erano state la sua silenziosa ninna-nanna per tutta la sua infanzia.
”Just close your eyes...”
O, almeno da quando aveva memoria.
“The sun is going down,” si ritrovò a canticchiare senza rendersene conto.
”You’ll be alright, no one can hurt you now...” Cantò la voce nei suoi sogni nella sua testa.
“Come morning light...” mormorò Tobio chiudendo gli occhi lentamente.
”You and I’ll be safe and...”
“Oh, eccoti!”
Tobio si ritrovò a fissare le stelle sopra di lui con gli occhi sbarrati.
“Lo sapevo che eri tu!” Esclamò quella voce irritante. “Ti ho sentito.”
Tobio sentì il materasso sotto di lui abbassarsi e voltò molto lentamente il viso per identificare lo sconosciuto che aveva osato irrompere nella sua stanza senza permesso. Come se quella voce da bambino petulante non fosse stata sufficiente!
Shouyou si era inginocchiato sul suo letto e si guardava intorno incantato. “Quindi, è questa la stanza di un Cavaliere Jedi!”
Tobio sentì le dita prudergli terribilmente e se non fosse stato tanto intontito da non ricordare dove fosse la sua spada-laser, probabilmente, ci sarebbe già stata una testa dai capelli dal colore impossibile a rotolare sul pavimento della sua camera.
“Bruttina,” commentò Shouyou con una smorfia. “Sa di apatico, pensavo me...” Qualsiasi consa pensasse, Tobio non la seppe mai perché come quegli occhi ambrati si sollevarono sul soffitto di vetro, Shouyou non sembrò più in grado di pronunciare alcuna parola.
Tobio ebbe appena il tempo di rallegrarsi per questo che, di colpo, si rese conto che il silenzio aveva cominciato a farsi pesante. “Ehi...” Chiamò sollevandosi sui gomiti. “Ti è andato in blocco il cervello per caso?”
Shouyou non gli rispose. Era come se lui non fosse più nemmeno nella stanza.
Tobio cominciò ad inquietarsi. Si mise a sedere e toccò il petto del ragazzino con la punta dell’indice. “Ehi, coso...” Nessuna risposta. “Shouyou?” Tentò di nuovo.
Gli occhi d’ambra, finalmente, si abbassarono su quelli blu ma la sorpresa mista a smarrimento che li animava era ancora lì, al suo posto. “Che ti prende, stupido?” Domandò Tobio inarcando un sopracciglio.
Shouyou nemmeno si offese, prese e torcersi le mani nervosamente e diede ancora un’occhiata veloce al cielo stellato. “Non le avevo mai viste,” confessò con un filo di voce.
Anche Tobio si ritrovò a sollevare lo sguardo senza motivo. “Cosa?”
“Le stelle...” Fu strano il modo in cui Shouyou pronunciò quella parola. Era pregna d’incanto la sua voce, come se quello che Tobio aveva avuto davanti agli occhi per tutta la vita fosse la cosa più prezioso dell’intero Universo.
“Non hai mai visto le stelle?” Ripeté completamente basito.
Le guance di Shouyou si colorarono appena, come se fosse imbarazzato e mise su il broncio. “Non è colpa mia se nel mio mondo non mi era possibile uscire e vederle.”
“Non ti ho accusato di nulla, idiota,” replicò Tobio irritato. “Perché non potevi uscire a vederle?” Chiese un istante più tardi.
Shouyou aveva sollevato lo sguardo ancora una volta. “Le persone muoiono per strada di continuo da dove vengo io. Di notte non è sicuro...”
Tobio sentì la gola farsi secca di colpo.
“E non c’erano finestre nella nostra casa, solo una porta d’ingresso ed un impianto di areazione che, spesso, buttava dentro cattivo odore,” scrollò le spalle e fece una smorfia disgustata. “Capitava che qualche ratto ci morisse dentro e allora... Bleah!”
Tobio non ebbe il tempo di sentirsi schifato, era già troppo occupato a registrare quelle informazioni e Shouyou gliele stava dando come se fossero episodi di vita quotidiana completamente normali.
“È la prima volta che le vedo,” concluse Shouyou con un sorriso incantato. “Sono bellissime...” La sua voce suonava quasi spezzata e Tobio non se lo fece sfuggire. “Stai per piangere, adesso?”
Shouyou tirò su col naso e lo guardò irritato. “Niente affatto!”
Tobio sospirò annoiato e decise di lasciar cadere la questione: avrebbe avuto tutto il tempo di vederlo piangere una volta sorto il sole. “Come mi hai trovato?”
“Oh, mi hanno dato una stanzetta in fondo al corridoio,” spiegò Shouyou con un sorriso. “Lì c’è una finestra ma è tanto piccola che per affacciarmi mi devo arrampicare ed una volta che ci arrivo riesco solo a vedere il muro dell’edificio di fronte. Koushi si è scusato tanto, dice che è una soluzione temporanea.”
“Sì, ma come hai trovato me?” Insistette Tobio. “Hai aperto tutte le porte del piano a casaccio?”
“No, te l’ho detto,” disse Shouyou. “Ti ho sentito...”
“Cantare?” Tobio lo sbuffò. “Canticchiavo appena, come puoi avermi sentito?”
Shouyou arricciò il naso e scosse la testa. “No!” Esclamò. “Sentito... Sentito!” Si premette entrambe le mani contro il petto come se questo potesse chiarire qualsiasi confusione. In un certo senso, dopo un primo istante di titubanza, Tobio credette di avere la soluzione. “La Forza?” Domandò dubbioso. “Hai percepito la Forza in me?”
Shouyou sorrise ed annuì. “Esatto!” Poi reclinò la testa da un lato. “Se si dice così quando si sente il potere vitale di qualcosa...?”
Era la peggiore definizione che Tobio avesse mai sentito in vita sua ma decise di non polemizzare ed annuì con una smorfia. “Sì, il potere vitale...”
“Il tuo è il più forte che ho mai sentito,” commentò Shouyou con emozione. “È come il mio. Tu mi hai sentito, vero? Sei rimasto sorpreso, vero?”
“No,” rispose Tobio. “Mi avevano detto che avevi un livello di Midichlonian assurdo, ero preparato.”
Shouyou sospirò con un broncio. “Sei bello che antipatico, lo sai?”
Il Jedi lo fissò furente. “Perché non pensi a quanto sei irritante tu?”
Per tutta risposta, Shouyou si lasciò cadere sul suo letto senza permesso e prese a fissare la volta celeste con un sorriso incantato. “Deve essere bellissimo addormentarsi ogni notte così!”
“Ehi, sei sul mio letto!”
“Resto ancora un po’ e me ne vado, promesso!”
Tobio era troppo stanco per mettersi a discutere, così si lasciò cadere sulla parte del materasso rimasta libera e tornò a fissare le stelle solo per tenere la mente impegnata con qualcosa.
“Mi piaceva...” Commentò Shouyou dal nulla.
Tobio si voltò e si accorse che lo guardava. “Che cosa?”
“Quella canzone...”
“Allora mi hai sentito!”
“Non ti arrabbiare! Hai una bella voce per essere così antipatico!” Era sincero e Tobio si ritrovò ad arrossire senza motivo.
“Ma stai zitto...” Sibilò.
“Chi la cantava?”
“Eh?”
“Quella canzone,” disse Shouyou. “Suonava come una ninna-nanna. Chi te le cantava?”
Tobio ci pensò e per l’ennesima volta cercò di rimettere insieme le visioni frammentarie che vedeva dei suoi sogni. Non ci riuscì. “Non lo so...” Ammise e l’immagini di due occhi scuri brillanti più del firmamento sopra di loro lo costrinse a tirarsi a sedere.
“Che succede?” Domandò Shouyou confuso.
Tobio si alzò e recuperò la spada-laser dal tavolo su cui l’aveva lasciata. “Alzati, abbiamo da fare.”
“Che cosa?”
“Sei stupido? Nessuno dei due andrà a dormire questa notte e non abbiamo tempo da perdere! Cominciamo l’addestramento stanotte. Giuro, se crolli ti lascio a terra!”
Shouyou saltò giù dal letto con entusiasmo. “Ricevuto, Maestro!”
“E non chiamarmi Maestro!”
 
 
 
 
L’indomani, i Padawan del primo addestramento del mattino li trovarono nei giardini del Tempio che si lanciavano insulti tra un colpo di spada-laser e l’altro. Quando Koushi e Hajime scesero a controllare la situazione, era ormai chiaro che il loro intervento fosse completamente superfluo e si scambiarono un sorriso d’intesa.
 
 
 
 
Fu all’alba di quel giorno che ebbe inizio il cammino di Shouyou e Tobio.
 
 
***
 
 
 
Il Signore dei Sith se ne stava seduto a gambe incrociate sul ponte principale della nave spaziale, il mento appoggiato ad un pugno chiuso e gli occhi persi nell’infinità della galassia di fronte ai suoi occhi. Aveva il cappuccio nero tirato sul capo e l’atteggiamento rilassato di un ragazzino in un momento di noia.
Qualcuno lo raggiunse.
Non si voltò per controllare chi fosse, lo sapeva già.
“Non li ho puniti,” disse il suo Maestro con voce monocorde. “Esattamente come mi hai detto.”
Il Signore dei Sith sorrise. “Un Maestro che segue i consigli dell’allievo, eh?”
“È sempre stato così tra di noi...”
“Potrebbe diventare pericoloso,” commentò il giovane incappucciato voltando un poco il viso ed il Maestro riuscì a scorgere appena un bagliore di quegli occhi dorati sotto la stoffa nera guardarlo con sensualità. Una tentazione vivente, tanto che spesso dubitava di averlo portato lui al Lato Oscuro. C’erano giorni in cui si chiedeva se non avesse varcato davvero quella soglia solo dopo che il suo così detto allievo aveva afferrato la sua mano. “Per te, intendo... L’assenza di differenza di età tra noi potrebbe trasformarsi da un vantaggio ad una condanna in un battito di ciglia.” Aggiunse il Signore dei Sith.
L’espressione marmorea del Maestro non cambiò di una sfumatura. “Perché non hai voluto che li punissi? Hanno fallito e hanno regalato una vittoria al nemico.”
L’altro si alzò in piedi con un sospiro. “Molti sono morti sul campo di battaglia,” replicò. “Dovrei punire i miei uomini per essere stati più fortunati?”
“Sono stati deboli.”
Il Signore dei Sith sorrise ancora e scosse la testa. “Non è colpa loro,” disse quasi amorevolmente. “Non avevano nessuna possibilità di farcela.”
Il Maestro inarcò un sopracciglio. “Sembri soddisfatto della nostra sconfitta...”
“No,” replicò l’altro. “Sono soddisfatto della mia eredità.”
Si guardarono per alcuni istanti di completo silenzio, poi il Maestro si voltò. “Non farmi attendere per troppo tempo...”
L’altro rise. “Potrei farti attendere tutta la notte e tu saresti comunque lì, ad aspettarmi.”
Il Maestro non replicò e, non appena fu scomparso, il Signore dei Sith tornò a volarsi verso il mare infinito di stelle in cui la loro nave spaziale navigava.
“E tu quanto mi farai aspettare? Mi raccomando, non metterci troppo...” Mormorò toccando il vetro con la punta delle dita ed il riflesso di due occhi dorati sotto una frangia di capelli castani ricambiò il suo sguardo carico di aspettativa. “A presto, Tobio-chan...”




 
   
 
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