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Autore: Canneella    30/11/2015    0 recensioni
Daniele frequenta il Liceo Classico da quattro anni e gli fa schifo.
A dire la verità, a fargli schifo è un po' tutto.
Nulla lo interessa, tutto ció che lo circonda lo annoia, e lui è spento come un diciottenne non dovrebbe essere.
Alessandra invece ha due anni di meno ed è entusiasta ogni cosa, da un fiorellino sull'asfalto al sorriso di un anziano, disegna tutte le cose belle che vede ed è felice, sempre, anche se non succede niente.
Si vedono ogni giorno ma non si salutano, lei gli sorride soltanto con quel fare gentile e lui ricambia, le dedica l'unico lampo di colore di una giornata grigia, e lei non lo sa.
(Storia in revisione, ma si può leggere tranquillamente)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Alessandra

"Che vuol dire che vuoi disegnarmi?" 
Mi chiede Daniele appena salgo sul bus.
Ieri effettivamente ero scomparsa subito dopo averglielo detto.
"Era una domanda : posso disegnarti un giorno?"
"Ma perchè?"
"Perchè mi va, e perchè sei più interessante di quanto pensi."
"Mi mette a disagio."
"E dai, io non metto mai a disagio nessuno, mi hai vista? 
Al massimo ti faccio ridere!"
Sorride, ha un bellissimo sorriso, e io lo vedo pochissime volte.
Quando è serio peró ha un qualcosa di speciale, di diverso, qualcosa nello sguardo forse che io non riesco a identificare.
"E va bene, d'accordo."
"Che fai oggi pomeriggio?"
"Niente, ho un allenamento di pugilato alle sette e mezza peró."
"Allora ti disegno oggi pomeriggio.
A che ora esci da scuola?"
"All'una, tu?"
"Anch'io! Possiamo mangiare insieme. 
Io per le cinque devo essere a casa a studiare."
"Va bene.
Beh, ci vediamo all'uscita allora." 
Mi dice prima di salire le scale e andare in classe sua.
Io ovviamente non ascolto neanche mezza parola di lezione, e la campanella dell'uscita mi sembra il suono più celestiale del mondo.
Mi fiondo fuori dall'aula, scendo le scale di corsa, esco e non lo vedo.
Osservo ogni singolo viso, ma il suo non c'è.
Resto lì per dieci minuti.
"Ehi, scusami, quella di Fisica ci ha tenuti qualche minuto in più." mi giro ed è lí, vicino a me, con un'ombra di sincero dispiacere sul volto.
Sorrido.
"Non fa niente! Chi hai di Fisica?"
"La Bianchi..."
"Ah, ti capisco, ce l'ha anche una mia amica. 
Per fortuna lei non ha la mia sezione, io ho un pessimo rapporto sia con matematica che con fisica!"
"Dove andiamo a mangiare?"
"Non lo so, a te cosa va di mangiare?"
"Boh. Io mangio di tutto" dice alzando le spalle.
"Allora fammi pensare.
In via San Lorenzo c'è l'Orient Express, fanno un Kebab buonissimo lì.
A te piace il Kebab?"
"Sì. D'accordo, allora aspettiamo il venti e scendiamo in Piazza De Ferrari, da lì andiamo a piedi."
Annuisco e lo seguo fino alla fermata.
Sta zitto, pensa, chissà a che cosa.
Anch'io sto zitta.
Credo che pioverà, ci sono delle nuvole nerissime sopra di noi.
"Hai un ombrello?" Gli chiedo.
"No, tu?"
"Neanche io."
"Allora non sono l'unico che se li dimentica sempre!"
"Oh, beh, io mi dimentico tutto.
Mia madre dice che sono una svampita, se non ci fosse lei a ricordarmi le cose sarei spacciata."
Ride.
È una risata bassa, un po' rauca, ma mi piace.
È sincera, penso.
"Un po' svampita lo sei."
"Menzogne!
Solo che a volte mi perdo un po', mi distraggo e mi dimentico le cose."
"In che senso 'ti perdi'?"
"Magari penso a qualcosa, inizio a farmi un film mentale e da quel momento sono irraggiungibile per un po'. A te non succede?"
"A volte", dice piano, salendo sull'autobus.
Dopo una decina di minuti scendiamo, e nell'esatto istante in cui metto piede fuori dal bus sento una goccia d'acqua cadermi sul naso.
Poi due, tre, quattro, le vedo apparire sull'asfalto sempre più velocemente.
"Oh-oh." dico.
"Forse ho un K-Way. Aspetta."
Lo vedo frugare nervosamente nello zaino, mentre i suoi capelli (e i miei) iniziano a bagnarsi.
"Ce la fai a correre da qui a San Lorenzo?" mi chiede realizzando di non avere nessunissimo K-Way.
Annuisco e iniziamo a correre tutti e due, io ogni tanto mi fermo a tirarmi su i jeans perchè questi maledetti affari cadono, e quando entriamo all'Orient Express siamo fradici e stanchi, ma io sto ridendo e lui pure.
Ordiniamo e ci sediamo a un tavolino.
"Hai dei capelli buffissimi" gli dico.
Ha appena finito di sgrullarseli, come uno di quei cani pelosissimi quando escono dall'acqua, sono tutti arruffati.
"Non credere che i tuoi siano meglio!"
"Oh, tu non sai che cosa saranno appena inizieranno ad asciugarsi da soli. 
Si gonfieranno e faró concorrenza a un barboncino, e mi prenderai in giro per i prossimi trent'anni."
Mangiamo i nostri Kebab, il suo sparisce nel giro di tre minuti, io invece arrivo a metà e ce ne metto il quadruplo.
"Non lo finisci?"
"Non ho mai finito un Kebab in vita mia. 
Sono delle bombe, io dopo metà sono già strapiena."
"Vorrà dire che lo mangeró io. 
Posso?"
"Beh, certo, ma voi maschi che avete al posto dello stomaco? Un aspirapolvere?"
Dopo qualche minuto i resti del mio Kebab sono svaniti nel nulla.
Tiro fuori il blocco da disegno, una matita e la gomma.
"Ah, cazzo, mi ero dimenticato che vuoi disegnarmi.
Sei strana forte."
Non lo ascolto nemmeno, spariscono tutti i suoni, resta solo il foglio e il soggetto.
Traccio il contorno del suo viso, i capelli arruffati, le labbra, il naso, le sue lentiggini e lascio gli occhi per ultimi.
In realtà, non lo sto nemmeno guardando.
So il suo viso a memoria, mi ricordo pure i tre piccolissimi nei che ha sulla guancia destra.
Mentre li disegno mi viene un'idea.
Tiro fuori il Trattopen dall'astuccio.
"Avvicinati!"
"Neanche per sogno, che ci vuoi fare con quello?"
"Nulla che non si possa lavare."
Non gli do' tempo di replicare e collego i tre nei sulla sua guancia.
"Guarda!
È un triangolo equilatero!"
Mi guarda come se fossi matta, apre la fotocamera interna dell'iPhone e dopo un paio di secondi sorride.
"Solo a una come te poteva venire in mente una cazzata così."
Non rispondo e inizio a disegnare la parte di lui che preferisco.
Gli occhi.
Quell'espressione seria, malinconica, adulta che ha tutte le mattine eccetto quando parla con me.
Quando finisco osservo attentamente il disegno e mi piace.
È Daniele, dai capelli incasinati all'abbozzo delle spalle.
Lo giro in modo che lui lo possa vedere.
"Cristo se sei brava."
Non dico nulla, osservo soltanto la sua espressione.
"Dico davvero. 
Posso tenerlo o lo vuoi tenere tu?"
"Tienilo.
Io tanto ti vedo tutte le mattine."
Lo piega e lo infila in un quaderno, l'unico quasi asciutto che ha e che poi mette delicatamente nello zaino.
Ci alziamo, paghiamo ognuno per sè e usciamo.
Ha smesso di piovere, per terra è ancora bagnato.
"Devi andare a casa?" Mi chiede.
"Sì, vado a prendere il diciotto!"
"Beh, anch'io allora, se vuoi ti accompagno."
"Grazie!"
Facciamo il viaggio di sole sei fermate chiacchierando e quando arriva la mia ci salutiamo.
"Ci vediamo domani!" Gli dico allegramente.
"Sì, grazie per il disegno. Sei stata carina."
"Se anche tu non avessi accettato io ti avrei disegnato lo stesso, sappilo."
"E perchè?"
Non dico nulla, sorrido e scendo, lanciandogli un ultimo sguardo mentre aspetta una risposta che non ho intenzione alcuna di dargli.
  
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